paolo mantegazza - Ordine di Pavia
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tanto; semplicemente si reinventa un altro mestiere, fra le tante cose che ha in mente di fare. In mezzo alle beghe e ai contrasti accademici, Mantegazza è una figura che dimostra quanto si possa essere forti ed autorevoli, pur avendo a disposizione poco o nulla. Persona garbata e ben educata, Mantegazza “stuzzica” i problemi, non le persone; dei vari problemi ricerca ciò che sia bene e ciò che sia male. I molti aneddoti dei suoi scritti, esprimono tutto il valore che lui attribuisce alla vita naturale dell’uomo, la quale, priva di norme morali “è destinata a soccombere”. La vita di Mantegazza suggerisce un’altra riflessione: “La politica si addice o non si addice ai medici?”. Mantegazza è un esempio di felice connubio tra medicina e politica; non c’è dubbio che la sua carica umana e la sua preparazione umanistica, abbiano condotto ad eccellenti risultati nel campo della legislazione sanitaria. L’uomo, quando entra in parlamento, è già noto per la sua attività scientifica ed è già promotore di importanti iniziative per gli studi di “antropologia, fisiologia e patologia sperimentale”. Ha già scritto molte opere destinate agli studiosi, ma indirizzate soprattutto alla gente, in modo da diffondere le sue idee anche tra i cosiddetti “profani”. In sostanza Mantegazza, pur essendo giovane, diviene deputato con un formidabile bagaglio di cultura e di idee. Mantegazza è un comunicatore nato e, soprattutto, è un problem-solver; non si batte, come spesso accade in politica, per la carriera, per i soldi, per vanità, per sete di potere o per altri interessi personali. Mantegazza si batte perché i medici siano dei “condizionatori di un paese”, nel senso che l’approccio quotidiano con i problemi dei cittadini, li conduce a sviluppare progetti sociali innovativi e riformatori. La politica si addice ai medici, a condizione che abbiano veramente qualcosa di nuovo da dire e da portare avanti con spirito di servizio e per il bene comune. Naturalmente, per fare politica, lascia intendere Mantegazza, sono richieste anche altre qualità: senso dello stato, onestà intellettuale, capacità decisionale, buonsenso, coerenza, energia e determinazione. Mantegazza muore il 26 agosto 1910 a S. Terenzio dei Liguri, fra Lerici e Fiascherino, in provincia di La Spezia. Insigne ricercatore, studioso raffinato ed appassionato politico, Mantegazza, dotato di una straordinaria carica umana ed umanistica, è ricordato nella storia della medicina come filosofo, patologo, igienista, antropologo e scrittore, ma soprattutto come fondatore del primo laboratorio europeo di Patologia Sperimentale. Personaggio eclettico e poliedrico, Mantegazza non è mai ricordato per una caratteristica alla quale rimarrà fedele per tutta la vita: il senso ironico della ricerca e della cultura scientifica. Mantegazza lo aveva già sviluppato in una delle sue tesine di laurea: “Pathologus Doctissimus non semper bonus medicus”. consorzio umano. Massima l’idealità dove nessuno si compra o si vende, massima la moralità dove la donna non è giudicata per nulla inferiore all’uomo”. Parole sovversive e faziose, per il tempo nel quale esse vengono pronunciate. Scrive ancora Mantegazza che l’amore in comune, o matrimonio in comune, “non si trova mai come fondamento della società”; il “comunismo” in amore è “un'orgia dell’ebbrezza erotica, ma non può durare come stato permanente in alcun consorzio umano”. Ciò che veramente conta dice Mantegazza, è il patto di famiglia, che unisce un uomo e una donna, e che prende valore “da diversi elementi morali ed intellettuali”; questo può accadere soltanto nella monogamia, che Mantegazza esalta come valore sociale. Curiosissimi alcuni racconti antropologici di Mantegazza, come l’australiano che fa bollire la moglie, di cui pregusta con voluttà il sapore del brodo; l’africano che per saggiare la virtù della propria donna, le somministra un potente veleno; l’orientale che ripudia la sua sposa quando la vede piangere, perché piangendo diventa brutta. A proposito dell’adulterio, Mantegazza ricorda il diverso trattamento fra adultero e adultera, spesso punita più severamente rispetto al maschio. Condannato nell’antichità con la pena di morte, l’adulterio assume a volte contorni folkloristici. Mantegazza ricorda che a Cuma, in Campania, la donna adultera viene denudata e fatta passeggiare sopra un asino; disonorata per sempre, l’adultera viene chiamata “quella che ha montato l’asino”, perché l’asino è considerato l’animale sessualmente più aggressivo. Un argomento controverso, discusso dal Mantegazza, è il cosiddetto Ius primae noctis, “osceno balzello imposto dai signori ai loro vassalli”, avanzo dell’antica schiavitù. Alcuni studiosi lo considerano un “pregiudizio dei dotti”, cioè una credenza generale non suffragata da prove storiche; altri studiosi sottolineano la prepotenza dei tiranni nell’attribuirsi questo privilegio prima elevato a diritto, ma poi trasformato in una tassa pecuniaria. Antenore, nel 340 a.C., si ribella a questa violenza; si veste da donna e nel letto accoppa il tiranno con un pugnale nascosto sotto le vesti. L’ultima riflessione di Mantegazza su questo argomento è amara; “Lo jus primae noctis è talmente naturale alla natura prepotente dell’uomo, che noi lo vediamo non più scritto, ma esercitato nella società in cui viviamo”. Mantegazza, per sua natura, è un personaggio davvero “singolare”, nel senso che è capace di adattarsi alle situazioni più sfavorevoli, trasformandole in opportunità. Naturalmente questo richiede flessibilità ed elasticità mentale, oltre che curiosità e fantasia. A Pavia prima gli “scippano” l’insegnamento ed anche l’istituto, poi gli “soffiano” il personale ed anche i fondi minimi di sopravvivenza. Mantegazza sul momento si incavola, ma è un gran signore e non pietisce più di IV Appunti di Storia della Medicina Pavese: PAOLO MANTEGAZZA di Luigi Bonandrini Paolo Mantegazza nasce a Monza il 31 ottobre 1831. Non si hanno particolari informazioni sull’infanzia e sulla giovinezza, ma, nel corso degli studi secondari, due episodi sembrano influenzare e modellare la sua formazione. Il primo, di tipo didattico, è legato alla presenza, fra gli insegnanti di Mantegazza, di Carlo Cattaneo, antesignano del federalismo e della devolution. Cattaneo, allievo a Pavia di Gian Domenico Romagnosi, si laurea in Giurisprudenza ed entra in politica proponendo l’autonomia del Lombardo-Veneto nell’ambito di una federazione degli stati asburgici. Costretto a fuggire in Svizzera, viene eletto nel Parlamento italiano, ma rifiuta di andarci per non prestar giuramento al re. Il secondo episodio, di tipo socio-politico, vede Mantegazza sulle barricate delle cinque giornate di Milano, con il ruolo di sentinella diurna e notturna, pur avendo soltanto sedici anni. La gloriosa liberazione di Milano nei giorni 18-22 marzo 1848, pone le basi del rinnovamento culturale romantico e della successiva annessione al Regno d’Italia. E’ verosimile che queste esperienze abbiano profondamente inciso su una testa già precocemente assetata di conoscenza e di esperienza. Mantegazza si iscrive alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Pavia; si laurea con lode ed ha come relatore l’internista Luigi Scarenzio. Fin da giovanissimo Mantegazza applica un modello di pensiero inusitato per il tempo: la visione dell’uomo nella sua dimensione politico-sociale e l’utilizzazione del pensiero filosofico per valutare i risultati delle scienze. E’ del tutto evidente che gli insegnamenti di Cattaneo lascino un segno profondo in Mantegazza; l’ultimo libro di Cattaneo, “La psicologia delle menti associate”, è un’opera antesignana degli studi sociologici. Mantegazza si inserisce in questo percorso e si dedica allo studio dei vari fenomeni della società umana. All’improvviso, subito dopo la laurea, Mantegazza parte per il Sudamerica e si reca in Argentina. Si racconta che Mantegazza abbia abbandonato l’Italia non per suo desiderio, ma per espressa volontà della famiglia, con l’intendimento “di guarirlo da una violenta passione giovanile”. La passione è “per una persona poco gradita, anzi per niente gradita alla famiglia”, e, aggiunge qualcuno, “dai facili ed allegri costumi”. Si tratta di una versione apertamente dichiarata dai genitori, elemento questo poco verosimile, perché poco coerente; non si Paolo Mantegazza capisce perchè una famiglia renda pubblica una cosa che ha tutto l’interesse a tener riservata. Le ragioni, sono ben più sottili e complesse: si tratta di ragioni politiche. La madre di Mategazza, Laura Solera, occupa un posto di rilievo fra le donne del Risorgimento. Amica di patrioti ed anche di Garibaldi, ella ospita nella villa di Sabbioncella sul lago Maggiore, i reduci e i feriti della guerra d’indipendenza del 1848. Sono quindi politiche le vere circostanze che sospingono la famiglia ad allontanare il figliolo da Milano, per il rischio, imminente e realistico, di rappresaglie austriache. Tra l’altro le ragioni sentimentali non sono certo in armonia con la spiccata personalità di Mantegazza, ribelle ed anticonformista per scelta e per indole. Curiosissimo ed avido di sapere, anche se a volte un poco eccentrico e bizzarro, Mantegazza “approfitta” del soggiorno sudamericano per affinare alcuni problemi intellettuali. Fa il medico, viaggia, scrive, osserva, analizza e getta le basi di molti suoi studi successivi. Non rimaneva molto di questa prima fase della vita, anzi non rimaneva nulla, fino al 1960, quando, nel cinquantesimo della scomparsa, l’Università di Buenos Aires nella persona di Juan Dalma, reggente dell’Uni- I cosa non è facile e nascono vere e proprie guerre sul personale da assegnare, ma nessuno intende recedere dalle proprie posizioni. A farne le spese è, ancora una volta, Mantegazza, il quale non solo perde l’Istituto, ma perde ogni possibilità di avere posti per assistenti o per inservienti; non li avrà mai più e, ogni anno, sarà costretto a chiedere al Rettore un contributo di lire cinquanta per un “sottoportinaio” di cognome Gariboldi. Nonostante le difficoltà logistiche, Mantegazza ottiene dal Rettore la possibilità di fare un corso di Patologia Sperimentale e ottiene dall’Ospedale S. Matteo, la possibilità di usufruire di una “ sala per esercitazioni di sintomatologia clinica “. Nascono da questa “convenzione”, le prime ricerche di Mantegazza e nasce il primo laboratorio di Patologia Sperimentale sorto in Europa, nel quale Mantegazza si occupa di innesti, di generazione spontanea, di fibrina, di dolore e dei moti del cuore. Sorprendentemente, nel 1865, all’ età di 34 anni, Mantegazza viene eletto dai suoi concittadini monzesi, deputato al Parlamento Italiano, che a quel tempo ha sede a Firenze. Costretto a fermarsi nella città Toscana per buona parte dell’ anno, Mantegazza chiede di tenere un corso di Antropologia e a Firenze fonda la Società, l’ Archivio e il Museo Antropologico. Nel 1873 ottiene dal ministero la cattedra di Antropologia a Firenze; abituato ad uno schietto realismo, Mantegazza riconosce di aver avuto il posto grazie alla sua “medaglietta di deputato”. Una volta trasferitosi a Firenze, l’insegnamento di Patologia Generale a Pavia passa nelle mani di altri due prestigiosi insegnanti, prima Giulio Bizzozzero, allievo di Mantegazza, e poi Achille de Giovanni. Mantegazza non ha peli sulla lingua. Quando, nel 1866, il Parlamento Italiano approva una legge “mingherlina e rachitica” sulla risicoltura, il medico toscano Carlo Livi attacca i proponimenti bollandoli come “compari di un battesimo in nome dell’oro”. Mantegazza si ribella e rimanda la critica al mittente, giudicandola “un’eresia e una bestemmia vivente contro la pubblica igiene”. La legge affida il controllo delle risaie agli enti locali, “cioè ai locali gruppi di potere”, come dice Livi; tra l’ economia e l’ igiene, cioè fra il business e la salute, “vince sempre il guadagno e chi guadagna sono i due o tre che non rischiano neppure una infreddatura”. Nasce da questa violenta polemica, la figura dell’ igienista del lavoro. Mantegazza, nel 1881, pubblica un saggio sull’ Igiene del lavoro, dove offre consigli ai lavoratori; sarti e calzolai facciano una corsa quotidiana “per le vie o nel giardino”, i minatori si concedano “lunghi riposi all’aria aperta”, le ricamatrici lavorino “in camere tappezzate di verde”. Quella di Mantegazza è una prevenzione “arcaica”, ma apre la strada alla medicina sociale e allo studio delle malattie professionali; dagli studi pavesi sulle patologie delle mondatrici di riso della Lomellina, Luigi Devoto imposterà il concetto di malattia professionale versità di Tucuman, progetta di “far veder la luce” ad un inedito diario intimo di Mantegazza, riguardante anche il periodo sudamericano. Si scopre così che il diario è costituito da ben 63 volumi, dei quali cinque si riferiscono all’Argentina. Mantegazza rimane legato all’esperienza americana anche perché sposa una cittadina argentina di Salta, dalla quale ha tre figli, due femmine e un maschio; il suo legame con il Sudamerica si rafforza ancor più, quando ottiene in concessione “30 leghe quadrate di terreno” nell’alto Bermelo. Il progetto è quello di diffondere la coltura del grano e del gelso e di far emigrare laggiù trenta famiglie di coloni lombardi e piemontesi. Il Mantegazza, ritornato in Italia nel 1858, viene coinvolto nella liberazione della Lombardia e deve rinunciare al programma. Una volta stabilitosi in Italia, Mantegazza compie una serie di viaggi in varie parti dell’Europa ed affina la sua formazione medica all’Ospedale Militare di S.Ambrogio e all’Ospedale Maggiore di Milano, prima di intraprendere l’esperienza accademica pavese. A Pavia la nomina dei professori universitari avveniva con pubblico concorso, per titoli ed esami, scritti ed orali; gli esami venivano suddivisi tra Vienna e Pavia. Giova ricordare che, con le domande “per iscritto e a voce”, i plichi degli esami venivano inviati al Rettore con sigilli e con obbligo di apertura pubblica. I quesiti non erano semplici, tutt’altro. Ad esempio, in un concorso di Chirurgia Pratica nel 1822, uno dei quesiti scritti così recitava: “Quali sono le malattie che rendono necessaria l’apertura del torace e quali riflessi occorrono intorno a questa operazione”. I commissari erano Antonio Scarpa, Bartolomeo Panizza e Franz Xaver Hildebrandt, tre “baroni” della Facoltà Medica. La legge Casati del 13 novembre 1859 assegna all’Università di Pavia undici posti di ruolo e, nello stesso decreto, la cattedra di Patologia Generale viene separata dalla cattedra di Materia Medica. Luigi Scarenzio chiede di tenere la Materia Medica e la Patologia Generale viene affidata per incarico a Luigi Concato, futuro Clinico Medico a Bologna. Nel 1860 viene bandito il concorso di Patologia Generale che viene espletato a Torino; il vincitore è appunto Mantegazza, il quale giunge a Pavia, ma non trova l’istituto perché occupato dal suo maestro Scarenzio. Non si abbatte Mantegazza e, in attesa di eventi, tiene il corso libero di Storia della Medicina. Nel frattempo si cerca di proporre una serie di regole che riguardino il contenuto degli insegnamenti, la loro progressione e gli esami della Facoltà Medico-Chirurgica e non più Medico-Chirurgica-Farmaceutica. Le polemiche, anche aspre, non mancano, riferite soprattutto alle nuove cattedre, “create cento a cento”, cosicché “i giovani credevano di essere chiamati tutti a fare il professore”; un concetto relativo visto che le cattedre erano pochissime alla fine, come spesso accade, una legge buona viene “demolita, guastata, fatta e rifatta, con regolamenti che si succedono come valanghe gli uni sugli altri”. La Facoltà cerca di portare ordine e di trovare accordi; la II e di medicina del lavoro. La vis polemica non manca: “si spendono milioni per rendere più teatralmente pomposa l’incoronazione del nuovo re o per imporre a colpi di cannone il protettorato al popolo eritreo”, ma non si trovano i quattrini “per bonificare terreni malarici, costruire ospedali e migliorare le condizioni igieniche dei quartieri operai”. Da questo filone nasce la percezione della necessità di provvedimenti igienici atti a difendere la società contro le malattie professionali e le malattie infettive. A dire il vero le discipline igieniche sono antiche come l’uomo e la storia propone tre famosissimi igienisti: Mosè che prescrive al popolo norme sanitarie in nome di Dio, Licurgo in nome della patria, Ippocrate in nome della Natura. Si tratta di un'igiene religiosa in Mosè, di un'igiene civile in Licurgo, di un'igiene empirica in Ippocrate. Certamente le leggi di Licurgo sono drastiche, troppo energiche e violente, in contrasto col diritto stesso di natura: scaraventare dalla rupe Tarpea i neonati gracili, mangiare soltanto salsa nera, sottoporre le fanciulle a fatiche insopportabili. Pur tuttavia, forse a compenso di “cotali crude esorbitanze”, Licurgo propone anche leggi sapienti sul matrimonio, sulla sorveglianza dei veleni, sul controllo della prostituzione, sull’ ispezione delle case, dei cibi e delle carni. Dalla Grecia alcuni principi si trasferiscono a Roma: le terme e i bagni per ogni classe di popolo, l’ispezione dei visceri animali, l’igiene urbana con acquedotti e cloache gigantesche. Gli intellettuali danno subito il buon esempio; Seneca si vanta di tuffarsi e di nuotare nel Tevere nel mese di gennaio. Darwiniano convinto, Mantegazza affronta contemporaneamente una serie di argomentazioni connesse con il principio dell’ evoluzione, quali la pangenesi, la selezione sessuale, l’ isolamento geografico; pubblica la “Fisiologia dell'amore” (1873), la “ Fisiologia del dolore” (1888), la “ Fisiologia dell’ odio” (1889). Incredibile la sua capacità di analizzare le problematiche più disparate; fra i libri “strani”, si possono ricordare “Un giorno a Madera”, “Le memorie di un domatore di belve”, “Il secolo tartufo” e “L’anno 3000”. I grandi meriti scientifici di Mantegazza possono essere solo riassunti. Spetta a Mantegazza e non a Rudolph Wirchow né a Theodor Koch, la scoperta delle spore dei batteri e la riproduzione per mezzo di esse. Mantegazza è anche il precursore degli innesti animali e dei tentativi di opoterapia con i secreti ghiandolari. Nel 1866 nota per primo gli effetti terapeutici sperimentali ottenuti con le iniezioni di sperma sotto pelle e in addome; mette in rilievo “l’impulso alle caratteristiche morfologiche e funzionali”. Rilevanti le ricerche di Mantegazza sugli innesti, sui trapianti di tessuti, sulla degenerazione e sulla rigenerazione dei nervi; con Angelo Vittadini, Mantegazza è uno degli antesignani dell’ antisepsi. Appassionato fotografo , Mantegazza è anche il primo presidente della Società Fotografica Italiana, sorta a Firenze nel 1890. Mantegazza pubblica un libro certamente singolare per il tempo: “L’ igiene dell’ amore”. La reazione è violenta; qualcuno parla di “attentato al pudore”, qualcun altro scrive che “s’ egli avesse veduto quel libro nel salotto di una signora, non le avrebbe mai più fatto visita”. Mantegazza reagisce, anzi non reagisce, da par suo: “Il tempo è l’ errata corrige di tutte le miserie umane; esso è galantuomo e mi darà ragione”. Il pensiero di Mantegazza è sempre coerente con lo spirito di chi vuol contribuire a risolvere un problema: “C’ è gente che vuol vedere la mezzanotte a mezzogiorno o vuol pescare le balene in Arno; io non ho scritto il libro perché trovasse il posto suo nei salotti delle signore”. Il tempo dà ragione a Mantegazza, perché il volume ha grande successo e viene tradotto in francese e in inglese. Qualche anno dopo, Mantegazza pubblica un altro libro, “ Gli amori degli uomini”. Il rumore della critica diviene “uragano” e ci vuole un bel po’ di tempo perché, “cessato il temporale e svanite le nubi, ritorni sereno il cielo”. La principale accusa a Mantegazza, non è etica o morale, ma quella “di aver scritto un libro osceno per far molti quattrini”. Anche questo libro viene tradotto in più lingue, spiazzando qualcuno che chiedeva ufficialmente di “scacciare Mantegazza dalla Cattedra e dal Senato”. Mantegazza risponde che “l’osceno non è bello” e che “il bello vero sta in alto e all’ arte appartiene”; bigotti e falsi puritani, sostiene Mantegazza, sono degli ipocriti e non comprendono che “è umano il bello e il brutto, l’alto e il basso, il volgare e il sublime”. Lo studioso bolla gli avversari come “tartufi al sessantaquattresimo”, che si comportano come “i più grandi millantatori che sono i più grandi vigliacchi e come i più timidi che parlano sempre del loro valore”. È ispirato Mantegazza, quando invoca “le ombre sante e benedette dell’ antica Grecia per scacciare le fetide e velenose nebbie dell’ impostura che, in una volta sola, puzza di sagrestia e di bordello”. Sono moltissimi i problemi trattati da Mantegazza, il quale, con una raffinata e profonda analisi antropologica attraverso i secoli, esprime il suo pensiero su molti problemi della vita, compresi il matrimonio, l’adulterio, il divorzio; esprime un'opinione antropologica persino sul cosiddetto “jus primae noctis”. “Gli Italiani”, dice Mantegazza, “sono i primi amatori fra i popoli civili”; al polo opposto stanno gli Indiani Tinnè, “i quali persino mancano della parola amante e caro”. Come principio, continua Mantegazza,” l’uomo è naturalmente poligamo e la donna è naturalmente poliandra”; questo sarebbe vero se non ci fosse il freno delle leggi, dei pregiudizi e delle usanze religiose. Le ragioni risiedono nell’amore prepotente per la varietà, al punto che molte volte, ad esempio nel divorzio, “si preferisce il peggio, sol perché diverso dal meglio”. Le ardenti passioni della donna prevalgono su quelle dell’uomo, al punto di confermare l’antico proverbio: “Ciò che la donna vuole, Dio lo vuole”. Le conclusioni di Mantegazza sono perentorie. “La moralità in fatto di amore è misurata dal rispetto in cui è tenuta la donna nel III
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