“A City is not a Tree”: new models of urban space

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“A City is not a Tree”: new models of urban space
“Una città non è un albero”. nuovi modelli di spazio urbano
“A City is not a Tree”. New Models of Urban Space
in “Nuova architettura italiana. Il paesaggio italiano tra architettura e fotografia/New Italian Architecture. Italian Landscapes
between Architecture and Photography”, a cura di Pippo Ciorra e Marco D'Annuntiis, Skira editore, Milano 2000
“A City is not a Tree”, una città non è un albero: il senso ambiguo del titolo di un poco conosciuto
saggio di Cristopher Alexander del 1965 è subito chiarito dal suo contenuto1. Alexander critica lo
schema astratto, “ad albero” appunto, che aveva governato la pianificazione urbana di quegli anni; uno
schema dove ogni parte interagisce col tutto attraverso una gerarchia di tipo piramidale, costituita da
sottoinsiemi che, raccolti in gruppi, sono collegati in unità di ordine via via più grande. In opposizione al
diagramma deterministico alla base delle città “artificiali” (le New Towns, Brasilia,Chandigarh)
Alexander vedeva la città “naturale”, quella sedimentata nel tempo, funzionare piuttosto come un
“semi-lattice”, cioè come una struttura aperta, dove le parti sono collegate in maniera incrociata da
diversi ordini di relazioni, e gli elementi di scala minore possono interagire tra loro senza passare dalla
inflessibile gerarchia dello zoning, della distinzione tra strade principali e strade locali, dalle “unità di
vicinato”, dalla separazione tra quartieri residenziali autosufficienti e un centro ridotto a dispensatore di
servizi. Cristopher Alexander critica molti degli assiomi della pianificazione moderna: la separazione tra
auto e pedoni, la segregazione di “aree gioco” nei quartieri residenziali moderni, la concentrazione di
funzioni per pura analogia tipologica. La città a “semi-lattice” permetterebbe invece connessioni
plurime, informali, livelli di relazione tra ordini di gradezza diversi, interferenze significative tra le parti.
L'opposizione tra albero e “semi-lattice” ricorda un'altra opposizione, quella tra struttura dendromorfa e
struttura a rizoma, argomentata dall'oscura e narcisista affabulazione di Gille Deleuze e Félix Guattari
del 1980, dove, in Mille plateaux, “Il metodo arborescente è travolto. L'albero, questo sistema
simmetrico e regolato, stabilito su radici, non funziona più come metodo della conoscenza.
Indeterminazione, probabilità, caos, sono i concetti su cui si rimodella la fisica subatomica, ma anche i
concetti che spiegano il divenire culturale del nostro tempo. Mille Plateaux propone un metodo che si
chiama rizoma. (...) Principio di connessione dell'eterogeneo. Vespe ed orchidee, neuroni ed elettroni
fanno rizoma. Connessioni dell'eterogeneo e macchine. (...) Principio di molteplicità. (...) Principio di
1Cristopher
Alexander, A City is not a Tree, in “The Architectural Forum”, aprile-maggio 1965, trad. it.
Una città non è un albero, in id., Note sulla sintesi della forma, Il Saggiatore, Milano 1967, pp. 194230.
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rottura autosignificante. (...) Mille Plateaux non ha un centro, ma se un centro vogliamo trovargli,
questo sta nel concetto di deterritorializzazione. Mille Plateaux è il libro della deterritorializzazione.2”
Come per spiegare il sesso ai bambini si usano molto api e fiori, così svariati autori appaiono, in
positivo o negativo, irretiti dalle metafore fitomorfe della conoscenza. Se talvolta si parla di “architettura
delle teorie” - Ludwig Wittgenstein usa spesso il modello mentale della struttura di una città cresciuta
nel tempo per gettare luce sul carattere non logico ma storico delle lingue naturali3 - un animismo
naturalista emana viceversa da molti tentativi di mettere ordine nell'esplosione territoriale di questo
secolo.
L'albero e la rete sembrano contendersi - come i centurioni la tunica santa ai piedi della croce - la
struttura del territorio contemporaneo: da una parte la gerarchia ordinata e significante tra parti, la
stratificazione storica tra centri maggiori e minori, tra centri e periferie, e i paralleli tentativi moderni di
controllare i flussi materiali, gli scambi di informazioni, le figure. Dall'altra l'icona del disordine, ma
anche della democrazia, della flessibilità autoregolata, dell'assenza di centro. Pianificazione contro
laissez-faire, storia contro contemporaneità, armonia contro anarchia, bellezza contro caos.
Se il dilemma è spesso di natura accademica, l'evoluzione della città e del territorio europeo appare in
realtà costituirsi come un ibrido in costante evoluzione tra questi due modelli. Una nuova fitta rete di
connessioni si è sovrapposta alla sequenza preordinata della città antica, cambiandone radicalmente il
significato, alterando le relazioni gerachiche tra le parti. Basti pensare a come la rete della
metropolitana, collegando tra loro punti inaspettati della città attraverso bypass sotterranei che
ignorano le storiche vie di connessione tra centro e borghi, abbia operato una radicale sovrascrittura
nella nostra esperienza di city users, sovvertendo o intensificando antichi valori di posizione. Nel
2
Gilles Deleuze, Félix Guattari, Mille Plateaux. Capitalisme et schizophrénie, Paris 1980, trad. it.
Rizoma. Millepiani, I, Castelvecchi editore, Roma 1997, prefazione, p.5. Continuano i due: “Un
rizoma, come stelo sotterraneo, si distingue assolutamente dalle radici e dalle radicelle. (...) Principi di
connessione e di eterogeneità: qualsiasi punto di un rizoma può essere connesso a quasiasi altro e
deve esserlo. (...) Non c'è una lingua in sé, né un'uversalità del linguaggio, ma un concorso di dialetti,
verancoli, gerghi, lingue speciali. (...) Nel rizoma non ci sono punti o posizioni, come se ne trovano in
una struttura , un albero, una radice. Non ci sono che linee. (...) Il rizoma è un'anti-genealogia. E' una
memoria corta o un'antimemoria. Il rizoma procede per variazione, espansione, conquista, cattura,
iniezione. (...) Non conosciamo più né scientificità né ideologia, ma soltanto concatenamenti. (passim,
pp. 14-43.)
3 “Il nostro linguaggio può essere considerato come una vecchia città: un dedalo di stradine e piazze,
di case vecchie e nuove, e di case con parti aggiunte in tempi diversi; e il tutto circondato da una rete
di nuovi sobborghi con strade dritte e regolari, e case uniformi.” Ludwig Wittgenstein, Ricerche
filosofiche , p.17 .“Il linguaggio è un labirinto di strade. Vieni da una parte e ti sai orientare; giungi allo
stesso punto da un'altra parte, e non ti raccapezzi più.”
L. Wittgenstein, Ibid., p.109
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territorio, la tendenza localizzativa atopica degli shopping centers punteggia il paesaggio con una rete
che interfersice in maniera complessa con i nuclei antichi, con la struttura profonda della sua
antropizzazione storica. Percorrendo gli argini del Brenta, la vista di una villa palladiana si alterna a
quella di un supermercato della scarpa, un filare di pioppi cipressini rivela in filigrana la luce dei
lampioni di un grande parcheggio. E, inaspettatamente, i modi abitativi e i canoni di comportamento
sedimentati nell'ambiente storico e dagli spazi della città estesa si influenzano reciprocamente: spazi
nuovi vengono utilizzati secondo usanze tradizionali, quasi paesane, e viceversa riproiettiamo sulla
città antica aspettative funzionali e formali derivate dalla transitività dei nuovi modi di vita.
Ma l'aforisma-titolo del saggio di Cristopher Alexander ci ricorda un'altra condizione fondativa del
progetto, che possiamo oggi porre in esplicita antitesi a quella perniciosa contaminazione tra ottimismo
neotecnico e pretese armonie cosmiche rappressentata dal pensiero New Age: la condizione di
fallibilità intrinseca ad ogni processo conoscitivo. Già Karl Marx distingueva tra l'opera dell'ape e quella
dell'architetto; e la bellezza dell'albero non può essere quella della città, come, per Paul Valéry, quella
della conchiglia non può essere quella di un manufatto umano. La divisione tra pensiero e
realizzazione genera uno iato, una libertà tra idea e manufatto, colmata dal lavoro di deformazione
reciproca che pensiero e materia subiscono nel progetto. “ Questa è una condizione assoluta: se non si
può fare che una cosa, e in una sola maniera, essa si fa come da se stessa; e dunque questa azione
non è veramente umana (poichè il pensiero non vi è necessario) e noi non la comprendiamo. (...) Noi
cominciamo le nostre opere a partire da diverse libertà: libertà, più o meno estesa, di materia; libertà di
figura, libertà di durata, tutte cose che sembrano proibite al mollusco - essere che non conosce se non
la sua lezione, con la quale la sua stessa esistenza si confonde” 4.
La bellezza della città è plurima, fallace, occasionale; ma quando esiste, essa supera quella della
natura, ci conforta nella sua assenza di perfezione. La sua mancanza di necessità ce la rende cara,
preziosa, commovente. La nostra città non è un albero, ed è per questo che la possiamo comprendere.
Essa ci protegge dalla spietata inesplicabilità della natura, dalla crudeltà dei suoi comportamenti morire tra zanne predatrici non è certo il nostro ideale di comfort -, dalla violenza morale del suo buon
esempio.
4
Paul Valéry, L'homme et la coquille, in “Nouvelle Revue Française”, 1 febbraio 1937, ora in Id.,
Oeuvres , t. I, Pléiade, Gallimard, Paris 1957, pp. 895-900.
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villa”, oggi assistiamo ad un interessante fenomeno sociale, e cioé la riscoperta dei piccoli centri
urbani come luoghi di vita e di attività: chi negli anni cinquanta e sessanta si era costruito una villetta,
fuggendo spesso da un passato dalle origini contadine, oggi ricompra e ristruttura un appartamento
nel centro del paese come “seconda casa”.
La compresenza di funzioni, la qualità storica e
ambientale, la vita sociale dei nuclei urbani sono oggi riscoperti sotto forma di loisir, di tempo libero, in
alternativa alla fuga verso la privacy un po' noiosa del suburbio. Già ora, con l'apertura domenicale dei
negozi, l'attività dello shopping si caratterizza sempre di più come occupazione ricreativa del fine
settimana. A quando la “villeggiatura in città?”.
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