Rubano e incendiano la Cayenne di Mesina

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Rubano e incendiano la Cayenne di Mesina
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Sardegna
LA NUOVA SARDEGNA MARTEDÌ 26 MARZO 2013
l’ex primula rossa nel mirino
Rubano e incendiano
la Cayenne di Mesina
la statistica
Meno furti d’auto nell’isola
Finalmente sulla Sardegna viene fuori un dato positivo:
mentre in tutta l’Italia i furti d’auto aumentano,
nell’isola c’è un calo del -2,9%. In Italia, solo lo scorso
anno, sono state 115.451 le vetture rubate, in media 316
al giorno, una ogni cinque minuti. Numeri che pongono il
nostro Paese al secondo posto in Europa
dopo la Francia, con Roma e Napoli che
guidano la classifica delle città più
colpite: nel mirino city car e utilitarie con
la Fiat Panda che si conferma modello
preferito dai ladri. Il quadro emerge dal
’Dossier annuale sui Furti d’Auto 2012’
elaborato da LoJack Italia su dati del
Ministero degli Interni, che sottolinea
come nel 2012, a fronte di una crescita
dei furti dell’1,84% rispetto all’anno
precedente, continuano a diminuire i
recuperi delle vetture rubate: in pratica
solo 49.572 sono state restituite ai
legittimi proprietari (43%) mentre di quasi 66 mila
veicoli si sono perse le tracce. Il dato nazionale si riflette
anche a livello geografico con 13 regioni in cui si
evidenzia l’aumento del fenomeno criminale. Rispetto
al 2011 la crescita maggiore si è evidenziata in Valle
d’Aosta (+30%), Calabria (+26,26%), Molise (+14,02%)
e Umbria (+13,03%). Di Panda ne sono sparite 11 mila nel
2012, segue la Punto. In crescita i furti delle vetture
premium: Mercedes, Bmw, Audi, Porsche, Jaguar,
Maserati e Ferrari.
Siniscola, la Porsche è intestata alla sorella Antonia, casalinga di Orgosolo
L’auto ridotta in cenere in una cava abbandonata ai piedi del Montalbo
di Sergio Secci
◗ SINISCOLA
Una splendida Porsche Cayenne è stata ridotta a un mucchio di cenere. Gli autori dello
sfregio, e forse di un avvertimento, quasi sicuramente conoscono il proprietario: si
chiama Graziano Mesina, l’ex
latitante tornato in libertà dopo aver ricevuto la grazia dal
presidente Ciampi nel 2004.
L’anziano protagonista di alcune delle pagine più famose
del banditismo sardo aveva intestato quella Porsche alla sorella Antonia, tranquilla casalinga di Orgosolo.
Mesina, che di Cayenne è
appassionato, utilizzava il Suv
per scorrazzare nel Supramonte accompagnando i turisti amanti del brivido e curiosi
di conoscere località passate
tristemente alla storia, e panorami mozzafiato.
Ad avvistare le fiamme, domenica notte, è stato un automobilista. Lunghe lingue di
fuoco provenivano dalla dismessa cava di Concas, un’
area abbandonata da anni ai
Graziano Mesina nella sua casa di Orgosolo: nel 2004 ottenne la grazia
piedi del Montalbo sulla direttrice per Nuoro. Sul posto sono arrivati dalla sede della vicina zona industriale del paese i
vigili del fuoco.
Solo quando è iniziata l’operazione di bonifica hanno scoperto che le fiamme erano state alimentate da un’auto ormai irriconoscibile. Immediatamente sono stati avvisati i
carabinieri della compagnia
di Siniscola ed è stato possibile solo dal numero di telaio del
motore risalire a una costosa
Porsche Cayenne. È bastato
incrociare i dati delle denunce
per furto per scoprire che il
Suv, o meglio quel che ne restava, era intestata ad Antonia
Mesina, domiciliata a Orgosolo.
Graziano aveva assegnato il
compito di autista di quel gioiello su quattro ruote a un nipote, lui si limitava a fare da cicerone. E proprio il nipote pare avesse in custodia la Por-
sche quando è stata rubata nel
primo pomeriggio a Villagrande Strisaili, un paese dove sicuramente non passava inosservata. In serata la denuncia
di furto è stata presentata, ma
a Gavoi, non a Villagrande.
Questo il percorso fatto dai
ladri: per lasciare l’Ogliastra si
sarebbero diretti verso la Baronia attraversando la strada
quattro corsie Nuoro-Siniscola o forse la vecchia provinciale da cui poi si accede, attraverso una mulattiera, alla vecchia cava di calcare di Concas.
Dalle tracce lasciate sul terreno sembra che, prima di dare
fuoco alla Cayenne e mandare
in fumo 60-100mila euro,
(questo il prezzo del Suv più
chic che ci sia sul mercato) gli
autori del furto abbiano anche tentato di gettarlo in una
delle vasche utilizzate a suo
tempo per la calce. Non essendoci riusciti hanno deciso
quindi di appiccare il fuoco. A
quel punto, la cosa importante era cancellare qualsiasi impronta che potesse portare gli
investigatori e Mesina ad individuarli. Le ipotesi che spiega-
no l’episodio potrebbero essere diverse. Una è che si sia trattato di un fatto grave e condannabile, ma che il furto sia
stato fine a se stesso e che solo
in un secondo momento, per
paura, scoprendo l’identità
del proprietario, i ladri abbiano deciso di disfarsi dell’auto.
La seconda, è che possano
avere agito per sfregio nei confronti di Grazianeddu o di uno
dei suoi familiari. Nulla trapela comunque dal diretto inte-
ressato, chiamato al telefono
Mesina non risponde, così come nulla lasciano intendere
gli investigatori che vogliono
accertare la dinamica dei fatti
e raccogliere elementi per indirizzare le indagini andando
a colpo sicuro.
Bocche cucite a Orgosolo,
dove si preferisce non commentare la notizia, e a Budoni
dove vivono i nipoti di Graziano Mesina e dove l’ex latitante
è di casa.
Un nuovo virus colpisce le capre
L’Sos scatta mentre gli ispettori dell’ Fvd concludono l’ispezione sulla peste suina
◗ CAGLIARI
Prosegue l’impegno dell’Italia per l’applicazione delle misure straordinarie contenute
nel Piano della Peste suina
africana approvato dalla
Commissione europea nel novembre 2012. La scorsa settimana si è conclusa la visita
ispettiva in Sardegna del Food Veterinary Office (FVO) di
Dublino, che ha ribadito la necessità di combattere la presenza di maiali illegali negli allevamenti. L’obiettivo di eradicare la malattia dalla Sarde-
gna (dove è presente dal
1978), infatti, è fortemente, se
non esclusivamente, condizionato
dalla
presenza
sull’isola di suini illegali, dagli
allevamenti allo stato brado,
dall’impropria gestione degli
usi civici nei pascoli demaniali nonchè dalla totale assenza
di controlli dei suini nelle aree
protette. Per tutte queste cause, ad oggi, rileva il ministero
della Salute in una nota, «la
peste suina africana è sottostimata e quindi sottonotificata». La presenza di questa malattia, oltre a rappresentare
una forte limitazione allo sviluppo del settore suinicolo e
dei prodotti tipici della salumeria destinati alla commercializzazione fuori dall’isola,
crea difficoltà agli scambi intracomunitari e costituisce
un grave handicap nelle procedure di negoziazione tra
l’Unione europea e i Paesi terzi che fanno pesare, in modo
rilevante, la presenza della
malattia in Europa.
Intanto un nuovo allarme è
stato lanciato dalla Coldiretti:
un virus minaccia gli oltre 270
mila animali del patrimonio
caprino dell’isola. I possibili
danni alle imprese sono stimati in diversi milioni di euro.
Il pericolo si chiama Caev, artrite encefalite caprina virale.
L’associazione denuncia la totale assenza di interventi di
profilassi e, stando alle prime
indagini di Coldiretti, avrebbe già fatto capolino nell’80%
degli allevamenti isolani. «Un
rischio - ha detto il presidente
regionale Battista Cualbu ma è bene precisare che non
ci sono riflessi su latte e carni:
sotto quel profilo si può stare
tranquilli al cento per cento».
Per prevenire il nuovo virus che colpisce le capre non esiste un vaccino
Le capre colpite dal Caev soffrono di artrite, mastite (l’indurimento della mammella
comporta un calo della produzione del latte senza comprometterne però la qualità) ed
encefalite, con disturbi e para-
gavoi, la ricorrenza
Cinque anni fa il delitto di Dina Dore
Presto un museo per le 300 scarpe rosse: denuncia contro la violenza e il femminicidio
di Valeria Gianoglio
◗ GAVOI
Dina Dore
Per un paio di settimane hanno
resistito stoicamente alle avversità, proprio come, esattemente cinque anni fa, la sera del 26
marzo del 2008, aveva fatto la
povera Dina Dore di fronte ai
suoi killer che cercavano di immobilizzarla con un paio di rotoli di scotch e un’ascia, dentro
il garage di casa Rocca-Dore.
Sono le più di 300 scarpe rosse
che le donne di Gavoi hanno voluto donare alla comunità, lo
scorso 8 marzo, per esporle nella rotonda all’ingresso del pae-
se, e raccontare così, in modo
silenzioso ma visibile, il loro no
deciso al femminicidio. Per
quindici giorni, dunque, le scarpette rosse sono rimaste in piazza, come monito discreto ma
d’impatto a tutti coloro che entravano e uscivano da Gavoi.
Hanno sopportato il vento gelido, il freddo polare, la neve.
Hanno sfidato le occhiate di
qualche turista ignaro e sorpreso, le domande di chi ancora
non sa trovare un perché a tanto male, i dubbi di chi non crede alle verità ufficiali. O forse,
preferisce pensare che siano
lontane dal vero. Ma è proprio
in queste ore, tra ricordi, dubbi,
indagini, mariti che finiscono
in carcere insieme ai loro presunti complici, è proprio nel
giorno del quinto anniversario
della morte di Dina, che quelle
300 scarpette diventate ormai
un simbolo, si apprestano a trasformarsi in qualcosa di più.Il
comitato spontaneo che le aveva raccolte qualche settimana
fa, lanciando un’iniziativa efficace e lontana da grossi clamori, sta pensando, infatti, di farle
confluire in un museo. Una sorta di mostra permanente per
non dimenticare non solo il coraggio della povera Dina, ma
anche il dolore di tutte le altre
donne uccise in modo crudele
e brutale, a Gavoi e non solo.
Come Maria Pina Sedda, l’impiegata gavoese ammazzata
nella sua casa di Nuoro dal marito. Ecco, è anche per Dina e
Maria Pina, che le donne di Gavoi in questi giorni hanno ritirato le scarpette rosse dalla rotonda e le stanno facendo asciugare e rimettere in sesto dopo
giornate pasate all’aperto, dentro la mansarda di una casa privata. Perché nell’immediato futuro vogliono che quelle trecento scarpe rosse facciano parte
di un museo dedicato a tutte le
lisi degli arti sino all’immobilita. «Al momento non esistono
vaccini: si possono solo migliorare le difese virali degli
animali selezionando e allevando solo quelli sierologicamente negativi al virus.
donne, e in particolare al grande coraggio di chi si oppone alla
violenza, anche al prezzo di pagare con la propria vita.Perché
quella sera, esattamente cinque anni a oggi, nel garage di
via Sant’Antiocru, era andata
proprio così. C’era una mamma di 37 anni, c’era la sua figlioletta di 7 mesi, e c’erano anche
almeno due giovani dotati di
ascia, rotoli di scotch e intenzioni terribili. Aveva lottato come
una leonessa, la povera Dina: lo
hanno dimostrato tutti i rilievi e
le analisi sulla scena del delitto.
E persino dopo essere stata incerottata, era quasi riuscita, in
uno sforzo sovrumano, a liberarsi una mano dalla morsa del
nastro adesivo che gliela legava. Ma purtroppo non era bastato. La sua famiglia la ricorderà in silenzio, come ha fatto in
questi cinque lunghissimi anni,
e con una messa, dopo Pasqua.