un pomeriggio a diol kadd con gianni celati
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un pomeriggio a diol kadd con gianni celati
UN POMERIGGIO A DIOL KADD CON GIANNI CELATI “Tutto quello che ci riguarda nella vita ha a che fare con l’amicizia: il resto è tutto secondario”: è stato il commento con cui Gianni Celati ha chiuso l’incontro che l’ha visto ricevere “Il Calepino” 2007 nel salone Furietti della Biblioteca “Angelo Mai” di Bergamo Alta. “Il più grande senso di amicizia – ha spiegato – si ha quando si riesce a pensare insieme”. Ci hanno provato – Celati, il Premio Bergamo e il pubblico del salone Furietti – a dare consistenza a quest’amicizia, costruendo l’intenso pomeriggio del 23 novembre come un momento nel quale “pensare insieme”. Ciascuno ha fatto la sua parte. Gianni Celati cimentandosi in lunghe letture dal suo recente “Passare la vita a Diol Kadd” (Fondazione San Carlo di Modena, 2006), racconto di una full immersion artistico-esistenziale in una piccola tribù del Senegal; poi presentando stralci dal suo film “Il mondo di Luigi Ghirri” (1999), dove le voci di collaboratori e amici ricostruiscono i luoghi e le poetiche del fotografo reggiano. Il Premio, tributandogli i dovuti onori con le parole (l’introduzione del presidente Massimo Rocchi, l’indirizzo del Rettore dell’Università Alberto Castoldi, il profilo critico di Marco Belpoliti e il saluto finale del “padrone di casa” Giulio Orazio Bravi) e con la musica, il robusto blues di Robi Zonca (tra l’altro allievo di Celati al DAMS di Bologna) e Stefano Galli. Il pubblico, per parte sua, ascoltando e applaudendo. Chi sia Gianni Celati, e perché si sia pensato a lui per conferirgli la sesta edizione del premio “Il Calepino”, lo ha raccontato bene Belpoliti. “La parola “calepino” sta a indicare anche un quadernetto, un taccuino da viaggio. Nessuno merita un premio con questo nome più di Celati, uno che dagli anni ’80 in avanti è stato uno scrittore itinerante, “sulla strada”. Alcuni dei suoi libri più belli (“Verso la foce” è secondo me il libro di viaggio più importante della letteratura italiana dagli anni ’50 in poi) hanno avuto la prima stesura proprio su taccuini. Abbiamo fotografie di Luigi Ghirri che riprendono Celati intento ad annotare, a prendere appunti. E’ un modo di lavorare inconsueto. Mentre la maggior parte degli scrittori cerca di evitare gli ostacoli, per raggiungere facilmente la pagina, la comunicazione, il lettore, Celati si pone obiettivi alti e non scansa gli ostacoli: anzi, se ne crea continuamente. Tutti gli siamo grati per questo lavoro, che ha qualcosa di masochistico ma produce risultati unici e fa di lui uno scrittore ancora tutto da scoprire”. Belpoliti si è poi soffermato sulla singolarità del premiato, anche rispetto a tutti gli intellettuali che hanno ricevuto “Il Calepino” negli anni scorsi. “Celati – ha continuato – è una figura veramente al di fuori del mondo letterario e delle sue cerimonie, dei suoi rituali, dei suoi luoghi anche mondani, dalle case editrici ai giornali. E’ “extramondano” nel senso che vive in un extra-mondo: si è allontanato dall’Italia, ma anche da una figura di scrittore tradizionale, e pure dalla rappresentazione tradizionale dello scrittore. In Celati vive una contraddizione evidente, che è poi uno dei tanti ostacoli di cui si parlava: non vuole essere scrittore nel modo che lui definisce “della letteratura industriale”, eppure è indiscutibilmente uno scrittore. Vive la contraddizione come una sorta di piccola crocifissione, con una sofferenza che si percepisce bene in tutto quello che scrive. I lettori sentono questa forma di sofferenza, ma sentono anche che coesiste con una grande gioia nello scrivere. Avvertono che li riguarda perché riguarda, prima di tutto, il modo vero e autentico, di scrivere. Celati ci dice che scrivere è un’attività contro se stessi: e che per scrivere bisogna, almeno in una certa misura, farsi violenza”. Le letture da “Passare la vita a Diol Kadd” hanno aperto una finestra su una della capitali di quell’extramondo dal quale oggi Celati manda i suoi messaggi: lunghe descrizioni, incontri, minime esplorazioni (come un giro in carretto nella savana), momenti quotidiani in un villaggio wolof di trecento anime nel cuore del Senegal, al limite fra la savana e il deserto che avanza. Questo è Diol Kadd, luogo di nascita dell’attore Mandiaye N’Diaye e centro del singolare progetto di cooperazione al quale Celati si è prestato: la costruzione e messa in scena (ovviamente in lingua wolof) di una commedia aristofanesca sul “gioco della povertà e della ricchezza”. Raccontato da Celati, questo frammento di mondo è apparso ben più lontano da noi delle migliaia di chilometri che ci distanziano. “Ho cercato di capire – ha spiegato – cosa vuol dire vivere un tempo più dilatato, vivere la vita più lentamente. Di tutti i nostri problemi economici, giuridici, politici, ho tentato una riduzione a un’unica cosa: al fatto di come usiamo il tempo e di come lo sprechiamo”. Forse la differenza maggiore sta nella dipendenza da un certo modo di intendere i sentimenti, nella schiavitù da quello che chiamiamo “emozione”. “La gente in occidente – ha notato Celati – vuole essere costantemente emozionata: altrimenti – si arriva a dire – non vale la pena vivere”. A questo punto anche l’olimpico Celati s’è sfogato un po’: “Non se ne può più di queste vite da romanzo, cui dovrebbero somigliare anche le nostre per obbedire agli ultimi richiami pubblicitari. Dalle nostre parti diventa sempre più misterioso il modo in cui gli uomini passano la vita: non si può neanche più parlarne, perché tutti sentono il vuoto che avanza insieme con la comunicazione planetaria, e c’è sempre il pericolo di suscitare pensieri depressivi. Adesso dominano questi giovanotti d’assalto dal cranio pelato, impegnati solo a fare carriera, a fare le cose in fretta, d’assalto, tipo marines... creati per togliere di mezzo tutto quello che dà fastidio, e diffondere l’ideale dell’eroe tecnologico”. Un antidoto a queste cupe visioni? Per esempio la lezione di Luigi Ghirri, maestro e innovatore della fotografia di paesaggio, prematuramente scomparso nel 1992: “sviluppare un occhio che guardi tutte le cose, che non escluda niente, che porti avanti con calma tutte le osservazioni di ciò che ci sta attorno: non per glorificare ma semplicemente per rendere dignità alle cose, con la fotografia e con le parole”. A.P.P.