Architettura in Italia 1918
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Architettura in Italia 1918
Introduzione Il presente ciclo di lezioni è nato dalla coincidenza con le manifestazioni per il 70° anniversario della fondazione della città di Torviscosa, dal quale tema si è preso lo spunto per avviare un approfondimento tematico sull’architettura e sull’urbanistica italiana del periodo compreso tra le due guerre mondiali. Nato come momento di compresenza e quindi di confronto tra le discipline della Storia, della Filosofia e della Storia dell’Arte, tese a mettere in luce gli sviluppi e le contraddizioni di quegli anni che hanno visto l’affermazione e il crollo del Fascismo e le parallele esperienze dell’architettura italiana moderna, il ciclo di lezioni si pone come momento di riflessione critica sul quel complesso intersecarsi di scelte politico – sociali e culturali che nel loro evolversi hanno visto da parte degli artisti una prima adesione, a volte anche sincera, agli ideali della rivoluzione fascista, per poi stemperarsi progressivamente fino alla cocente disillusione, per arrivare in alcuni casi alla strenua opposizione. Il coinvolgimento degli architetti e di tutta la cultura artistica italiana di questo periodo offrono, a nostro avviso, uno spaccato particolarmente significativo della duplice “facciata” con cui sia l’azione politica, ma anche gli indirizzi della produzione architettonica e le posizioni dei singoli architetti, determinano l’immagine ambivalente e ambigua di quegli anni. In questa complessa serie di fenomeni storici, però, si è voluto anche cogliere alcuni aspetti significativi ed originali di una produzione artistica che, per merito di alcune personalità rappresentative e di alcune posizioni culturali progressiste, ha saputo proiettare l’Italia in una dimensione internazionale, raccogliendo, anche a distanza di anni dalla fine del conflitto mondiale, nuovi spunti di interesse ed approfondimento. Il riferimento alla straordinaria figura di Terragni è d’obbligo, ma da essa non vanno esclusi alcune altre personalità quali quelle di Persico e Pagano, Michelucci, Moretti, Libera, ed altri ancora. Al tradizionale tema dell’architettura, proprio in coincidenza con l’anniversario della città di Torviscosa, si è ritenuto di allargare il confronto critico arche alla situazione ed agli sviluppi dell’urbanistica del regime fascista, che proprio nel suo intento di attribuire ad un nuovo assetto del territorio la soluzione del rapporto conflittuale tra città e campagna e parte di un controllo dello sviluppo economico e socio-politico, ha dimostrato il carattere di forte strumentalizzazione verso una disciplina che era appena nata e si stava definendo, proprio in quegli anni, in modo autonomo. Architettura, città e assetto del territorio non sono stati disgiunti nella lettura storica se non per esigenze di carattere didattico, ma anzi rimarcano, anche a scala territoriale, quella ambiguità di fondo delle scelte politico - istituzionali, che ha caratterizzato tutto il periodo in questione. Pomezia – particolare dell’affresco della Sala delle Adunate nella Casa del Fascio Littoria, foto aerea - 1940 Premessa Nella invitabile esigenza di sintesi e che il percorso didattico delle scuole secondarie superiori esige si è ritenuto importante cercare un approccio di integrazione disciplinare alle complesse vicende che hanno scandito gli anni tra la prima e la seconda guerra mondiale, in gran parte coincidenti con il ventennio fascista, in modo da dare agli allievi un quadro critico il più ampio possibile del contesto socio-politico e culturale che ha determinato la nascita, l’affermazione e il crollo del fascismo, e delle coeve esperienze che si sono sviluppate in campo artistico. Il percorso è strutturato in modo da poter attuare una correlazione tra le idee, i valori, i miti propugnati in quegli anni e la loro concretizzazione pratica attraverso le opere realizzate, in particolare quelle relative all’architettura e all’urbanistica. Assetto del territorio, strutture urbane e immagini architettoniche possono diventare testimonianze di ideali, la validità storica dei quali, però, a volte si infrange proprio sul piano della realizzazione pratica, dimostrandone i limiti o le qualità attraverso la durata nel tempo e nella memoria collettiva. Giorgio de Chirico – La ricompensa dell’indovino – 1913 Antonio Sant’Elia – La centrale elettrica - 1914 Il FUTURISMO Antonio Sant’Elia - La città nuova - 1914 Il primo segnale di un risveglio della ricerca artistica in Italia lo si deve al Futurismo che nasce ufficialmente con la pubblicazione del suo Manifesto sul quotidiano Le Figaro di Parigi, il 20 febbraio 1909, a firma di Filippo Tommaso Marinetti. I principi enunciati in undici punti, che seguono una introduzione altisonante, sono rivolti all’esaltazione delle virtù della temerarietà, dell’energia e dell’audacia, rivendicando la suprema magnificenza della velocità della macchina da corsa. Ad esse si aggiungono l’esaltazione di varie virtù come il patriottismo ed un inneggiamento alla guerra, mentre il decimo punto chiede la distruzione di ogni tipo di Istituzione accademica. L’undicesimo promuove una esaltazione della città con le sue fabbriche, le stazioni ferroviarie e gli aeroplani, e della vita moderna con le sue “folle agitate dal lavoro, dal piacere e dalla sommossa”. In questa nuova esaltazione della macchina e della velocità, quali simboli della modernità da contrapporre al passatismo della cultura italiana classica, maturano le opere rivoluzionarie di Boccioni e Sant’Elia. Umberto Boccioni U. Boccioni – Stati d’animo : gli addii (II° versione) - 1911 Picasso – Le Demoiselle d’Avignon - 1907 C. Carrà – Cavallo e cavaliere – 1912-13 Se per gli espressionisti si trattava di un confondersi contemplativo con la sostanza spirituale dell’Universo, per i cubisti era la penetrazione intellettuale dell’essenza delle cose, astraendo dalle contingenze. Per Boccioni, invece, come per Bergson, il problema era di cogliere la realtà nella sua totalità, nel suo assoluto, di cui fanno parte sia gli elementi contingenti che essenziali, coglierla nel suo movimento incessante. Si tratta di una conoscenza completa, ottenuta immedesimandosi intuitivamente nell’oggetto e vivendone, dal di dentro, la sua vita. Il quadro, quindi, è la vita stessa intuita nelle sue trasformazioni dentro all’oggetto e non al di fuori. Dal di dentro si riuscirà, inoltre, a dare la sua relazione con l’ambiente. L’ “ispirazione” è l’atto con cui l’artista si immerge nell’oggetto e ne vive il moto caratteristico, e il moto caratteristico prelude che non ci siano linee orizzontali o verticali ma correnti sferiche che avvolgono l’artista da ogni parte. U. Boccioni – La città che sale - 1911-12 Dal punto di vista figurativo abbiamo 6 concetti chiave : solidificazione dell’impressionismo, espansione dei corpi nello spazio, simultaneità, compenetrazione dei piani, dinamismo e soggetto. SOLIDIFICAZIONE DELL’IMPRESSIONISMO Mentre gli Impressionisti danno un “momento”, noi sintetizziamo tutti i momenti (di tempo, luogo, forma e colore) per ottenere l’eternità dell’impressione. Cezanne lo tentò con forme statiche, Boccioni lo fa con forme dinamiche. C. Carrà - I funerali dell’anarchico Galli – 1911 ESPAZIONE NELLO SPAZIO - L’oggetto è concepito come nucleo (costruzione centripeta) dal quale partono le forze (linee - forme - forza) che lo definiscono nell’ambiente. (costruzione centrifuga) e ne determinano il carattere essenziale. Quindi non viene negato, a differenza dei cubisti, l’atmosfera e il moto, solo non vuole sacrificare la concretezza dell’oggetto. COMPENETRAZIONE DEI PIANI - Nella partecipazione dell’oggetto e dell’ambiente alla costruzione del soggetto si ha la compenetrazione dei piani. Il corpo entra nel divano e il divano entra in noi, Quindi si verificano, tra oggetto e ambiente, non solo influenze di colori ma anche di volumi. SIMUTANEITA’ E DINAMISMO - Nella compenetrazione sono inevitabili i due concetti di simultaneità e dinamismo. Il dinamismo è il più importante per Boccioni ed è la concezione delle forme interpretate nell’infinito manifestarsi della loro relatività tra moto assoluto e relativo, tra ambiente e oggetto, fino a formare un tutt’uno. Le linee forza sono la manifestazione dinamica di questa forma. La simultaneità è intesa tra oggetto, ambiente e atmosfera, come linee - forza, come compenetrazione dei piani, dinamismo. La reazione classicista Achille Funi Maternità – 1921 Achille Funi Il bel cadavere – 1920 Felice Casorati L’attesa - 1921 Piero Marussig Donne al caffé - 1924 Dopo il turbine del Futurismo e il dramma della prima guerra mondiale l’Italia si presenta, sullo scorcio degli anni venti, con alcune proposte che, come abbiamo visto, possono essere definite di mediazione e di “ritorno all’ordine” : il gruppo di Valori Plastici, la Metafisica di De Chirico e il gruppo di Novecento. La prima, che prende il nome dall’omonima rivista romana fondata nel 1919, vede la collaborazione dei pittori Carlo Carrà e di Ardengo Soffici. Il gruppo di Novecento, più importante sia per il contributo degli architetti ma soprattutto per il superamento del carattere di piccola elite che aveva Valori Plastici, nasce a Milano nel 1923, in occasione della mostra “Pittori del Novecento” . Questi artisti, tra cui figura anche il nome dell’ architetto Muzio, tentano di ridefinire il carattere dell’architettura attraverso un forte richiamo alla tradizione nazionale del classicismo e, in alcuni casi, della pittura “primitiva” del medio evo. Mario Sironi Paesaggio urbano 1920 Anche Carlo Carrà, uno dei maggiori interpreti dell’arte figurativa italiana del periodo, dopo una iniziale esperienza nel Futurismo approderà al Novecento, rifacendosi in modo diretto ai pittori del trecento e del quattrocento italiano. Cavallo e cavaliere – 1912-13 Il pino sul mare – 1921 Le figlie di Loth – 1919 I funerali dell’anarchico Galli – 1911 L’ovale delle apparizioni – 1918-19 La Metafisica e Valori Plastici Dopo la fine della prima guerra mondiale a Roma, con Modigliani e con i “Valori Plastici”, si verifica un abbandono precipitoso dai principi della modernità che, per l’Italia, sono rappresentati dal Futurismo. Nel 1918 Mario Broglio fonda la rivista “Valori Plastici” e nel 1920 l’ex futurista Tavolato scrive su di essa un articolo infuocato contro la demenza e la stupidità dei principi futuristi, Kandinskiani e di tutta l’arte “moderna”. Con questi atti si prendono le distanze dai movimenti rivoluzionari dell’avanguardia europea. Sulla Rivista Valori Plastici verrà diffusa anche la Metafisica di de Chirico, che in quegli anni sta conducendo una ricerca del tutto personale. Il movimento Valori Plastici punta verso il classicismo e l’arcaismo, rivaluta una pittura tranquilla, solida, distaccata dai problemi della vita moderna, e tradizionalista. I nomi più rappresentativi sono i fratelli Andrea De Chirico (con lo pseudonimo di Alberto Savinio) e Giorgio De Chirico. Il primo fu il teorico della Metafisica, il secondo il poeta. G. de Chirico – La ricompensa dell’indovino – 1913 G. de Chirico – L’enigma dell’ora - 1911 Firenze – Spedale degli Innocenti Torviscosa – la piazza E’ quindi compito dell’arte cogliere questo senso “fantasmico” delle cose, questa unità di infinito con il finito. L’ironia, per Savinio, è la reazione emotiva che si produce nel momento dell’estrema chiarezza di coscienza nel percepire la “precisione originale della natura”. Cioè ironica è la realtà allo stato naturale, denudata, senza veli. Ironico è il disvelamento operato dall’artista, la limpida trasparenza nella quale egli immerge le cose. E infatti De Chirico opera una oggettività descrittiva sia delle composizioni di oggetti (che saranno quelle propriamente dette “metafisiche”), sia i successivi soggetti come ritratti ed autoritratti. Questa ironia implica una interpretazione del classicismo diversa da quella neoclassica. Non si trattava più di idealizzare ma di “denudare” la natura, non si cercava il bello ideale ma si trattava di cogliere l’essenza stessa del Naturalismo e della classicità. Questa ironia implica una interpretazione del classicismo diversa da quella neoclassica. Non si trattava più di idealizzare ma di “denudare” la natura, non si cercava il bello ideale ma si trattava di cogliere l’essenza stessa del Naturalismo e della classicità. G. de Chirico – Lotta dei centauri - 1909 Nel periodo del “ritorno all’ordine”, e quindi della reazione classicista postbellica rispetto alle linee di ricerca figurativa delle avanguardie, De Chirico e la sua Metafisica diventano un punto di riferimento determinante, sia per la corrente dei Valori Plastici, sia per il Surrealismo. Gli stessi Dadaisti pubblicarono i lavori di De Chirico sulle loro riviste, mentre i Surrealisti lo considerarono un precursore delle loro ricerche sui territori dell’inconscio e del prelogico. Lo stesso Magritte, caposcuola dei Fauvisti, ha detto che quando potè osservare dal vero un quadro di De Chirico i suoi occhi “videro il pensierop per la prima volta” A. Böcklin Battaglia di centauri - 1872 G. de Chirico – Le muse inquietanti - 1918 Le muse inquietanti sono forse l’opera più famosa ed emblematica di De Chirico. In questo quadro sono presenti tutte le tematiche e i soggetti principali della fase matura dell’artista, ovvero la spazialità rarefatta, caratterizzata da ampi volumi geometrici prevalentemente vuoti, e la dialettica tra grandi spazi esterni tersamente rischiarati e piccoli spazi chiusi e bui. Ne Le muse inquietanti è presente, infatti, una grande piazza-palcoscenico sullo sfondo della quale si staglia il Castello degli Estensi di Ferrara. Alla mole imponente dell’edificio, immobile feticcio di un’epoca passata, si contrappone una fabbrica con due ciminiere, che con la sua presenza rimanda alla muta dialettica tra antico e moderno. A conferma di ciò sulla destra un palazzo ad arcate rievoca l’architettura classica. La residenza degli Estensi è un immobile feticcio del passato La fabbrica con le due ciminiere allude all’epoca presente, incarna un feticcio della modernità Il manichino su un piedistallo, composto da un insieme di oggetti apparentemente privi di connessione, che gli conferiscono un aspetto solenne ed inquietante. La pedana palcoscenico definisce la profondità, accentuata dall’impossibile parallelismo della scatola in primo piano. La statua marmorea in secondo piano è meno ambigua ma ugualmente inquietante in quanto posta all’ombra La vasta piazza ferrarese, scandita dalle impossibili linee prospettiche, è punteggiata da alcuni oggetti misteriosi : un parallelepipedo con le facce suddivise in triangoli colorati, a ricordare una scatola di giocattoli infantili; un cilindro fra le due statue, percorso da un aspirale, che lo fa assomigliare ad un dolciume per bambini; una seconda scatola di colore uniforme che fa da appoggio piedestallo) alla seconda statua seduta. Un altro oggetto misterioso, simile ad un ombrellone, Il tutto è immerso in una luminosità redante, quella delle piazze italiane così vuote di vita reale, così piene di storia e di malinconia. Le lunghe ombre presenti su palcoscenico, che si prolungano fino oltre la tela, creano una fitta rete di riferimenti contradditori. A partire dalle stesse ombre e dal rapporto con la luminosità della scena e degli oggetti, non è possibile stabilire un quadro temporale coerente, Da ciò e deriva un senso di “sospensione”, di a temporalità, che si esprime nella fissità degli oggetti e in quella delle staute I due manichini in primo piano testimoniano la presenza assenza dell’uomo. Il primo a sinistra è composto da un elemento cilindrico scanalato che ricorda una statua greca femminile arcaica, avvolta in un peplo, sul quale si innesta un torso marmoreo coronato da una enorme testa di manichino. La seconda figura è seduta; è acefala e la sua testa inquietante è appoggiata ai suoi piedi. Il sentimento che suggerisce la composizione è di straniamento temporale ; lo spettatore è come balzato fuori dalla realtà quotidiana e trascinato in una dimensione parallela, fuori dalla normale percezione della realtà, che letta in chiave metafisica assume un valore simbolico universale. Il “ritorno all’ordine”, quale prima manifestazione di rinnovamento artistico in Italia dopo il dramma della prima guerra mondiale, trova una sua ragione d’essere nell’esigenza diffusa di certezze, di richiami ad un passato tranquillizzante, rivissuto nella magica atmosfera di iconografie ormai consolidate nella memoria, ma soprattutto lontane delle sperimentazioni rivoluzionarie dei movimenti di avanguardia. Mentre l’esperienza di Valori Plastici si esaurisce nel 1922, la formula di Novecento si consolida nelle famose mostre organizzate da Margherita Sarfatti nel 1924 alla ”XIV° Esposizione Internazionale di Arte di Venezia”, alla “Prima Mostra del Novecento Italiano” tenuta a Roma nel 1926 ed alla Seconda Mostra del 1929. Margherita Sarfatti, che in quegli anni rappresentò l’elemento trainante del gruppo e colei che lo lanciò nel panorama artistico nazionale, era una sostenitrice convinta e amica intima del Duce, nonché giornalista del Popolo d’Italia (l’organo del Partito Nazionale Fascista). Essa rappresentava, quindi, gli ideali artistici del Fascismo, e la tendenza arcaicizzante da lei sostenuta finì per fare coincidere gli assunti classicisti della pittura di Novecento con la rappresentazione artistica dei contenuti del Fascismo. G. Pagano – Palazzo della Chimica Expo del Valentino, Torino - 1928 G. Pagano, G. L. Montalcini Palazzo Gualino, Torino - 1928 G. Sommaruga – Tre Croci , Campo de’ Fiori Varese – 1908-11 L’Italia, all’inizio del ‘900, vede ancora operante, in architettura, una linea stilistica basata sullo storicismo eclettico con qualche spunto interessate nel Liberty. Il Classicismo - Giovanni Muzio G. Muzio – Ca’ Brutta (Casa di via Moscova) Milano - 1923 Muzio è la figura più rappresentativa del Novecento architettonico italiano. Nella Ca’ Brutta a Milano, che l’architetto racchiude una forma semplificata priva di un vero fronte principale, l’uso di stilemi classici fortemente stilizzati evdienzia una manipolazione metafisica della forma e del suo significato. Questa originale operazione “pretende coscientemente di fondare un linguaggio da mettere a disposizione della estensione quantitativa della città contemporanea” (Gregotti, 1969) favorendo, nel contempo, la ripresa dell’ideale neoclassico. Lo studio dell’edificio viene iniziato nel 1919 ma la realizzazione è del 1922. In quell’anno l’opera fu considerata troppo moderna al punto che sia l’Ordine degli Ingegneri che quello degli Architetti, riuniti in assemblea comune, ne richiesero l’abbattimento. Da questa aspra polemica ricevette l’appellativo di “Cà Brutta”. All’epoca l’unico che prese apertamente le difese di Muzio fu Marcello Piacentini che nell’ “Informatore dell’Architettura” (1922) si esprime ne modo seguente : “Dunque questo fatto mostruoso, la pietra dello scandalo è certamente quella casa là, sull’angolo, arrotondata, a tre zone orizzontali di colore, piatta, semplice, modesta, quella casa che è veramente una casa e che non vuole essere altro che una casa. Perché gridare tanto contro un’opera così silenziosa, così a posto?”. G. Muzio – Ca’ Brutta (Casa di via Moscova) Milano - 1923 Questa originale operazione “pretende coscientemente di fondare un linguaggio da mettere a disposizione della estensione quantitativa della città contemporanea” (Gregotti, 1969) favorendo, nel contempo, la ripresa dell’ideale neoclassico. Lo studio dell’edificio viene iniziato nel 1919 ma la realizzazione è del 1922. In quell’anno l’opera fu considerata troppo moderna al punto che sia l’Ordine degli Ingegneri che quello degli Architetti, riuniti in assemblea comune, ne richiesero l’abbattimento. Da questa aspra polemica ricevette l’appellativo di “Cà Brutta”. All’epoca l’unico che prese apertamente le difese di Muzio fu Marcello Piacentini che nell’ “Informatore dell’Architettura” (1922) si esprime ne modo seguente : “Dunque questo fatto mostruoso, la pietra dello scandalo è certamente quella casa là, sull’angolo, arrotondata, a tre zone orizzontali di colore, piatta, semplice, modesta, quella casa che è veramente una casa e che non vuole essere altro che una casa. Perché gridare tanto contro un’opera così silenziosa, così a posto?”. Altri architetti che rimangono influenzati da questa tendenza neoclassica, seppure con variazioni personali, sono Giuseppe Definetti con il suo edificio per appartamenti “La Meridiana”, Aldo Andreani con il Palazzo Fidia, entrambi realizzati a Milano. Questi architetti si propongono come una “avanguardia moderata”con il fine di determinare la nuova linea stilistica di quegli anni. Il riferimento al classicismo, anche se più sobrio e controllato in quanto influenzato dallo sviluppo del razionalismo, rimarrà anche in alcune opere degli anni successivi. A. Andreani – Palazzo Fidia Milano - 1936 G. Definetti – Casa Meridiana, Milano - 1925 E. Lancia e G. Ponti – Casa, Milano - 1934 G. Muzio – Casa a, Milano - 1936 Mussolini e le arti. Pur non essendosi mai sbilanciato ufficialmente a favore di una corrente artistica o di uno stile in particolare, cosa che ne avrebbe avvalorato il ruolo di “stile fascista” decretandone contemporaneamente l’unicità nel panorama artistico italiano, Mussolini ha sempre sostenuto alcuni ideali che variavano dal richiamo a miti passati all’immedesimazione con icone futuriste. Il mito della “romanità” identificato con la grandezza dell’antico Impero, l’ideale della “modernità” e della “rivoluzione” rappresentata dal Fascismo stesso, o ancora il mito della “mediterraneità” che richiama alla mente i paesaggi e le tradizioni italiche. Rimbalzando di volta in volta dai fasti di un passato ormai lontano, ma che si vuole richiamare per la sua grandiosità, ed un futuro diventato presente grazie proprio alla rivoluzione del Fascismo, Mussolini ha “costruito” una serie di “immagini” molto generiche, ma di forte impatto, con le quali identificare l’Italia e l’ancora oscuro indirizzo stilistico della sua produzione artistica. In realtà, al di là di queste indicazioni, nessun carattere specifico è mai emerso, né per l’architettura né per le arti figurative, al punto che il dibattito, nel corso delgi anni ’30, si è più volte infiammato nella ricerca dello “stile fascista”. M. Piacentini – La Città Universitaria – 1932-35 E. Del Debbio – Foro Mussolini, Roma – 1928-33i I Razionalisti In questo panorama di grande esaltazione e di forte ambiguità, ma ancora incerto sulle linee artistiche da seguire, si affaccia, nel 1926, il famoso “Gruppo 7”, milanese, formato dagli architetti Figini, Pollini, Larco, Guerra, Frette, Libera e Terragni che propugna una forma di Razionalismo in linea con le ricerche più avanzate in Europa. Sono i primi laureati delle facoltà di architettura italiane (istituite con un decreto nel 1914, che prevedeva anche la creazione degli Istituti di Belle Arti). Figini, Pollini, Bottoni, Frette, Libera – Casa Elettrica IV Mostra di Arte Decorativa e Industriale Moderna a Monza – 1930. Terragni, P. Lingeri – Casa Rustici, Milano - 1935 Terragni, Prog. per il Palazzo dei Ricevimenti all’E42 Roma – 1937-38 La scuola Superiore di Architettura di Roma sarà la prima ad essere realizzata nel 1919, sulla scia di quanto Gustavo Giovannoni andava affermando in quegli anni sulla necessità che la figura dell’architetto esca da una forma di “dilettantismo professionale” per diventare un “architetto integrale”. Tale figura doveva integrare quella dell’ingegnere, uno “scienziato”, e quella del diplomato all’Accademia di Belle Arti, un “umanista”, per consentire, come affermerà Alberto Calza Bini nel 1933, “ …il ritorno di quel primato nell’architettura che fu nostro, e tornerà ad essere nostro, se l’equilibrio classico e la naturale virtù del canto sono, come sono, prerogative magnifiche della nostra razza …” (Ciucci, 1989) Il Novocomum (1927-28) Il Razionalismo del “Gruppo 7” si pone da subito come stile al servizio della Rivoluzione Fascista, con l’intento di rappresentare, all’interno dell’avanguardia architettonica, l’etica e lo spirito rivoluzionario dell’ideologia di Mussolini, per diventare lo “stile fascista”, in contrapposizione al filone classicista. La figura più rappresentativa è quella di Giuseppe Terragni (1904-1943), comasco, che nel 1927 realizza il primo edificio razionalista di un certo spessore : il Novocomum. Contrariamente alla tradizione classica che prevede il rinforzo degli angoli per definire compiutamente la massa dell’edificio, Terragni “nega” le strutture angolari ricorrendo anche ad un gioco di intersezioni di cilindri vetrati con la geometria cubica delle murature portanti. Tale accorgimento evidenzia il debito di Terragni verso il Costruttivismo Russo e le ricerche di dei Razionalisti tedeschi e francesi, come Le Corbusier. L’esclusione totale di ogni forma di decorativismo, la linearità della forma geometrica e l’uniformità cromatica, stabiliscono la volontà di appartenenza al Movimento Moderno. La Casa del Fascio di Como (1932-1933) Marcello Piacentini (1881-1960) Nel confronto tra i Classicisti, eredi della tradizione italica, e i Razionalisti, promotori di una rivoluzione stilistica al passo con le proposte delle avanguardie europee, si inserisce (o è più corretto dire che è sempre stato presente) Marcello Piacentini, figura dominante nel panorama architettonico italiano, non assimilabile all’interno di nessuna delle correnti precedenti. Docente di Urbanistica all’Università di Roma, presente nelle giurie di quasi tutti i concorsi di architettura italiani di quegli anni, coordinatore o progettista dei più importanti interventi di edilizia in Italia, è la figura attorno alla quale ruota il dibattito su quale deve essere lo stile più rappresentativo del fascismo. Mediatore per eccellenza, in linea con la posizione ambivalente di Mussolini per quanto riguarda gli aspetti dello “stile”, Piacentini opterà per una soluzione di “mediazione” tra gli assunti classicisti e le innovazioni razionaliste, proponendo una forma di monumentalismo retorico e antidecorativo, che assimili le istanze di entrambi i gruppi dominanti. Dopo un inizio in linea con le ricerche del Liberty Piacentini opta per una linea più monumentale e razionale, sfrondata da ogni decorativismo ma memore della “grandezza di Roma imperiale” M. Piacentini – Ippodromo di Villa Glori, Roma - 1920 M. Piacentini – Casa dei Mutilati, Roma - 1920 M. Piacentini (coordinatore) – La città universitaria, Roma – 1932-35 I suoi edifici, privi di un vero carattere innovativo, sia sotto il profilo tipologico che stilistico, accompagnano la formazione dello stile fascista seguendo lo sviluppo del dibattito in corso e le generiche indicazioni di Mussolini, mantenendo sempre, però, una linea sobria. Tra gli interventi di maggior importanza realizzati da Piacentini vanno citati la Città Universitaria di Roma, l’E42 (il quartiere dell’EUR) realizzato per l’Esposizione Internazionale del 1942, l’apertura di via della Conciliazione a Roma. L’E 42 Il rituale celebrativo del fascismo aveva già ottenuto una degna scenografia con gli interventi prestigiosi della via dei Trionfi e la via dell’Impero, il cui lustro, però, derivava dalle preesistenze archeologiche della Roma imperiale con il Colosseo, l’arco di Tito, la colonna Traiana e il Monumento a Vittorio Emanuele. Mancava un’opera completamente “fascista” che non fosse solo un edificio isolato, per quanto importante, o complessi a destinazione d’uso specifica come la città universitaria e il Foro Mussolini.. Ubicazione dell’E42 La Padula – Palazzo della Civiltà Italiana L’idea di una Grande Esposizione Internazionale quale vetrina mondiale delle conquiste del Fascismo viene colta immediatamente, prevedendo che dovesse essere tenuta nel 1942, ventesimo anniversario della conquista del potere da parte di Mussolini. Il luogo deputato a diventare sede della manifestazione viene trovato a sud di Roma, in una zona che doveva “rappresentare l’elemento cardinale di un sistema che deriva dal nucleo monumentale romano-fascista del centro antico (Fori e zona archeologica), e si proietta poi verso il mare …”. “La metropoli futura da Roma a Ostia sanzionerà simbolicamente con il suo affacciamento sul mare nostrum l’aspirazione a una egemonia sul Mediterraneo”. (Sica, 1996) Come per operazioni simili già attuate, seppure a scala minore, tutto l’impianto urbanistico dell’ E42 è impostato sull’asse della via Imperiale che partendo da Piazza Venezia e attraversando le aree archeologiche, deve Adalberto Libera – Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi La Padula – Palazzo della Civiltà Italiana collegare Roma con l’E42 e, quindi, col mare. Il progetto è impostato, fin dall’inizio, con le esigenze celebrative del programma e viene impostato su assi prospettici, simmetrie ed edifici monumentali. Dal punto di vista delle correnti stilistiche anche qui, come nella città universitaria, Piacentini riesce a far collaborare assieme una rappresentanza di entrambi gli schieramenti e a sottometterli alle sue indicazioni. Nelle successive revisioni del progetto Piacentini, che nel 1938 ha in mano tutta l’operazione, opterà per uno schema più squadrato e più rigido, allontanando gli elementi paesistici naturali portati ai margini del complesso architettonico, in modo da ottenere uno schema che “per la sua monumentalità suggestiva di un centro imperiale di una città fascista può garantire quei risultati di magniloquente espressività tutta romana Planimetria generale dell’area che Piacentini si attende dalle architetture destinate a materializzarla”. Nel 1941, a causa della guerra, il progetto verrà abbandonato e una commissione, con a capo Piacentini, elaborerà una variante al PRG. Gli edifici più rappresentativi di tutto il complesso dell’E42 sono il Palazzo della Civiltà Italiana (La Padula, Guerrini, Romano) e il Palazzo dei Congressi di Adalberto Libera. Il primo, secondo gli autori, doveva essere un grande cubo con una “imponenza di massa a sviluppo verticale, una solennità grandiosa”, mentre il risultato è assimilabile ad un paesaggio metafisico di De Chirico, o, come lo definisce Giò Ponti, “un fantasma architettonico, una evocazione, una scena di pietra e di cemento, tutto falsi archi in rivestimento sopra una struttura in cemento armato”. Il secondo, il Palazzo dei Congressi di Libera, è posto proprio di fronte al Palazzo della Civiltà Italiana, ma rappresenta un risultato figurativo decisamente diverso. Un immenso cubo di 40 metri di lato posto su una platea orizzontale dalla quale emerge il salone dei congressi. Questo risultato è determinato da una ricerca che Libera ha condotto, ancora nel 1927-28, all’Università sull’analisi di monumenti dell’architettura romana quali il Pantheon, le Terme e altri ancora, che portano alla traduzione strutturale di queste fabbriche dalla muratura al cemento armato. In questo modo possiamo cogliere quella valenza semantica tipica del periodo, che ci porta nella dimensione arcaica, anche se in questo caso è filologicamente teorizzata. Il risultato è di una grande “coerenza di ricerca dove la geometria e la tecnica, la matematica e la storia, la precisione e il valore simbolico della forma si intrecciano inestricabilmente” (Muntoni, 1995) Gli stessi progettisti nel 1927, tracciando le linee di una nuova poetica dell’architettura moderna, intendono rifarsi ad “una nuova epoca arcaica”. Adalberto Libera – Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi Via della Conciliazione Nel giugno del 1936 viene presentato al Papa e a Mussolini il progetto per la realizzazione dell’accesso a San Pietro da Castel Sant’Angelo, a firma degli architetti A. Spaccarelli e M. Piacentini. L’operazione prevede la demolizione della famosa “spina” dei borghi, della chiesa dell’Annunziatina e di vari edifici di pregio storico. Nonostante le forti polemiche innescatesi sull’opportunità di una tale trasformazione (anche Giovannoni stesso esprimerà forti contrarietà) i lavori procedono ugualmente. Interrotti a causa della guerra, essi riprenderanno dopo la caduta del fascismo, per il Giubileo del 1950, e porteranno a conclusione il progetto piacentiniano. Lo stile Littorio La necessità di ostentazione ed esaltazione del potere, di rappresentazione retorica delle conquiste del Fascismo, sommate ad una volontà di presenza, totalizzante ed universale, del fascismo in ogni più piccolo fatto della quotidianità, comporterà una svolta nella tipologia delle immagini e nello stile delle rappresentazioni. Una retorica esasperata e monumentale che, nelle raffigurazioni, diventa gigantismo, dilatazione estrema nello spazio urbano, attraverso l’uso caricaturale ed enfatico di simbolismi tipici dell’ideologia. La stessa persona del Duce diventerà “presenza ossessiva” ad ogni occasione politica, sociale e culturale, immortalata sia fotograficamente che pittoricamente. Accanto alle rappresentazioni del Duce e dei simboli del fascismo, il messaggio politico, o forse è meglio dire la sua rappresentazione caricaturale, diventa patrimonio di ogni “messaggio” rivolto alla massa degli italiani. La comunicazione pubblicitaria sfrutterà al massimo questa opportunità usando la retorica trionfalistica per immettere i suoi prodotti sul mercato. dopo il 1930 MUSSOLINI IMPORRA’ SEMPRE DI PIU’ I SIMBOLI DEL SUO POTERE Galleria di Vernio, Autostrada Bologna- Firenze M. Sironi, Casa Madre dei Mutilati di Guerra, Roma 1936-1938 Torre Jensen - Torviscosa LA STIRPE ITALICA La storia si avvia verso le leggi razziali, verso una inquietante e delirante svolta di onnipotenza, annullando, di fatto, ogni seppur vago ricordo dei propositi rivoluzionari. . Lo spreco di opportunità determinate da una condizione politica estremamente favorevole, data da un consenso sicuramente alto e mantenuto tale con i mezzi di persuasione più svariati, è un risultato storico che non può trovare giustificazione. L’impegno dell’Arte e degli artisti italiani, a supporto delgi ideali del fascismo, è stato alto e fortemente partecipato, ma ha trovato nella svolta autoritaria e nel delirio del razzismo un muro invalicabile che ha determinato quella condizione di emarginazione prima, e di rivolta dopo, anche di chi, fino all’ultimo, ha creduto in quegli ideali. A conclusione di questa lezione, con un libero “gioco” di immagini tratte dalla realtà artistica del tempo, si è voluto provare a leggere quel carattere di ambiguità che, all’inizio di questa esposizione, era stato definito come caratterizzante la politica di Mussolini, in particolare per quanto concerne i rapporti con l’arte. Se è vero che esiste una relazione biunivoca tra la cultura di un tempo storico e la sua rappresentazione artistica, questa relazione deve, in qualche modo, emergere anche dall’ apparato iconografico del fascismo, qui riportato nei ritratti del Duce.. Realismo Novecento Metafisica Astrattismo Surrealismo Dadaismo Espressionismo Costruttivismo Neoclassicismo