Architettura in Italia 1918

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Architettura in Italia 1918
Introduzione
Il presente ciclo di lezioni è nato dalla coincidenza con le manifestazioni
per il 70° anniversario della fondazione della città di Torviscosa, dal quale
tema si è preso lo spunto per avviare un approfondimento tematico
sull’architettura e sull’urbanistica italiana del periodo compreso tra le due
guerre mondiali.
Nato come momento di compresenza e quindi di confronto tra le discipline della Storia, della
Filosofia e della Storia dell’Arte, tese a mettere in luce gli sviluppi e le contraddizioni di quegli
anni che hanno visto l’affermazione e il crollo del Fascismo e le parallele esperienze
dell’architettura italiana moderna, il ciclo di lezioni si pone come momento di riflessione critica sul
quel complesso intersecarsi di scelte politico – sociali e culturali che nel loro evolversi hanno
visto da parte degli artisti una prima adesione, a volte anche sincera, agli ideali della rivoluzione
fascista, per poi stemperarsi progressivamente fino alla cocente disillusione, per arrivare in alcuni
casi alla strenua opposizione. Il coinvolgimento degli architetti e di tutta la cultura artistica italiana
di questo periodo offrono, a nostro avviso, uno spaccato particolarmente significativo della
duplice “facciata” con cui sia l’azione politica, ma anche gli indirizzi della produzione
architettonica e le posizioni dei singoli architetti, determinano l’immagine ambivalente e ambigua
di quegli anni. In questa complessa serie di fenomeni storici, però, si è voluto anche cogliere
alcuni aspetti significativi ed originali di una produzione artistica che, per merito di alcune
personalità rappresentative e di alcune posizioni culturali progressiste, ha saputo proiettare l’Italia
in una dimensione internazionale, raccogliendo, anche a distanza di anni dalla fine del conflitto
mondiale, nuovi spunti di interesse ed approfondimento. Il riferimento alla straordinaria figura di
Terragni è d’obbligo, ma da essa non vanno esclusi alcune altre personalità quali quelle di
Persico e Pagano, Michelucci, Moretti, Libera, ed altri ancora.
Al tradizionale tema dell’architettura, proprio in coincidenza con l’anniversario della città di
Torviscosa, si è ritenuto di allargare il confronto critico arche alla situazione ed agli sviluppi
dell’urbanistica del regime fascista, che proprio nel suo intento di attribuire ad un nuovo
assetto del territorio la soluzione del rapporto conflittuale tra città e campagna e parte di un
controllo dello sviluppo economico e socio-politico, ha dimostrato il carattere di forte
strumentalizzazione verso una disciplina che era appena nata e si stava definendo, proprio in
quegli anni, in modo autonomo.
Architettura, città e assetto del territorio non sono stati disgiunti nella lettura storica se non per
esigenze di carattere didattico, ma anzi rimarcano, anche a scala territoriale, quella ambiguità
di fondo delle scelte politico - istituzionali, che ha caratterizzato tutto il periodo in questione.
Pomezia – particolare dell’affresco della Sala delle Adunate nella
Casa del Fascio
Littoria, foto aerea - 1940
Premessa
Nella invitabile esigenza di sintesi e che il
percorso didattico delle scuole secondarie
superiori esige si è ritenuto importante cercare un
approccio di integrazione disciplinare alle
complesse vicende che hanno scandito gli anni tra
la prima e la seconda guerra mondiale, in gran
parte coincidenti con il ventennio fascista, in modo
da dare agli allievi un quadro critico il più ampio
possibile del contesto socio-politico e culturale che
ha determinato la nascita, l’affermazione e il crollo
del fascismo, e delle coeve esperienze che si
sono sviluppate in campo artistico.
Il percorso è strutturato in modo da poter attuare
una correlazione tra le idee, i valori, i miti
propugnati in quegli anni e la loro
concretizzazione pratica attraverso le opere
realizzate, in particolare quelle relative
all’architettura e all’urbanistica.
Assetto del territorio, strutture urbane e immagini
architettoniche possono diventare testimonianze
di ideali, la validità storica dei quali, però, a volte si
infrange proprio sul piano della realizzazione
pratica, dimostrandone i limiti o le qualità
attraverso la durata nel tempo e nella memoria
collettiva.
Giorgio de Chirico – La ricompensa dell’indovino – 1913
Antonio Sant’Elia – La centrale elettrica - 1914
Il FUTURISMO
Antonio Sant’Elia - La città nuova - 1914
Il primo segnale di un risveglio della
ricerca artistica in Italia lo si deve al
Futurismo che nasce ufficialmente con la
pubblicazione del suo Manifesto sul
quotidiano Le Figaro di Parigi, il 20
febbraio 1909, a firma di Filippo Tommaso
Marinetti. I principi enunciati in undici
punti, che seguono una introduzione
altisonante, sono rivolti all’esaltazione
delle virtù della temerarietà, dell’energia e
dell’audacia, rivendicando la suprema
magnificenza della velocità della
macchina da corsa. Ad esse si
aggiungono l’esaltazione di varie virtù
come il patriottismo ed un inneggiamento
alla guerra, mentre il decimo punto chiede
la distruzione di ogni tipo di Istituzione
accademica. L’undicesimo promuove una
esaltazione della città con le sue
fabbriche, le stazioni ferroviarie e gli
aeroplani, e della vita moderna con le sue
“folle agitate dal lavoro, dal piacere e dalla
sommossa”. In questa nuova esaltazione
della macchina e della velocità, quali
simboli della modernità da contrapporre al
passatismo della cultura italiana classica,
maturano le opere rivoluzionarie di
Boccioni e Sant’Elia.
Umberto Boccioni
U. Boccioni – Stati d’animo : gli addii (II° versione) - 1911
Picasso – Le Demoiselle
d’Avignon - 1907
C. Carrà – Cavallo e cavaliere – 1912-13
Se per gli espressionisti si trattava di un
confondersi contemplativo con la
sostanza spirituale dell’Universo, per i
cubisti era la penetrazione intellettuale
dell’essenza delle cose, astraendo
dalle contingenze. Per Boccioni,
invece, come per Bergson, il problema
era di cogliere la realtà nella sua
totalità, nel suo assoluto, di cui fanno
parte sia gli elementi contingenti che
essenziali, coglierla nel suo movimento
incessante. Si tratta di una conoscenza
completa, ottenuta immedesimandosi
intuitivamente nell’oggetto e vivendone,
dal di dentro, la sua vita. Il quadro,
quindi, è la vita stessa intuita nelle sue
trasformazioni dentro all’oggetto e non
al di fuori.
Dal di dentro si riuscirà, inoltre, a dare
la sua relazione con l’ambiente.
L’ “ispirazione” è l’atto con cui l’artista si
immerge nell’oggetto e ne vive il moto
caratteristico, e il moto caratteristico
prelude che non ci siano linee
orizzontali o verticali ma correnti
sferiche che avvolgono l’artista da ogni
parte.
U. Boccioni – La città che sale - 1911-12
Dal punto di vista figurativo abbiamo 6 concetti
chiave : solidificazione dell’impressionismo,
espansione dei corpi nello spazio, simultaneità,
compenetrazione dei piani, dinamismo e
soggetto.
SOLIDIFICAZIONE DELL’IMPRESSIONISMO Mentre gli Impressionisti danno un “momento”,
noi sintetizziamo tutti i momenti (di tempo, luogo,
forma e colore) per ottenere l’eternità
dell’impressione. Cezanne lo tentò con forme
statiche, Boccioni lo fa con forme dinamiche.
C. Carrà - I funerali dell’anarchico Galli – 1911
ESPAZIONE NELLO SPAZIO - L’oggetto è concepito
come nucleo (costruzione centripeta) dal quale partono
le forze (linee - forme - forza) che lo definiscono
nell’ambiente. (costruzione centrifuga) e ne determinano
il carattere essenziale. Quindi non viene negato, a
differenza dei cubisti, l’atmosfera e il moto, solo non
vuole sacrificare la concretezza dell’oggetto.
COMPENETRAZIONE DEI PIANI - Nella partecipazione
dell’oggetto e dell’ambiente alla costruzione del
soggetto si ha la compenetrazione dei piani. Il corpo
entra nel divano e il divano entra in noi, Quindi si
verificano, tra oggetto e ambiente, non solo influenze di
colori ma anche di volumi.
SIMUTANEITA’ E DINAMISMO - Nella compenetrazione sono inevitabili i due
concetti di simultaneità e dinamismo. Il dinamismo è il più importante per Boccioni ed
è la concezione delle forme interpretate nell’infinito manifestarsi della loro relatività tra
moto assoluto e relativo, tra ambiente e oggetto, fino a formare un tutt’uno. Le linee
forza sono la manifestazione dinamica di questa forma. La simultaneità è intesa tra
oggetto, ambiente e atmosfera, come linee - forza, come compenetrazione dei piani,
dinamismo.
La reazione classicista
Achille Funi
Maternità – 1921
Achille Funi
Il bel cadavere – 1920
Felice Casorati
L’attesa - 1921
Piero Marussig
Donne al caffé - 1924
Dopo il turbine del Futurismo e il dramma della
prima guerra mondiale l’Italia si presenta, sullo
scorcio degli anni venti, con alcune proposte
che, come abbiamo visto, possono essere
definite di mediazione e di “ritorno all’ordine” :
il gruppo di Valori Plastici, la Metafisica di De
Chirico e il gruppo di Novecento.
La prima, che prende il nome dall’omonima
rivista romana fondata nel 1919, vede la
collaborazione dei pittori Carlo Carrà e di
Ardengo Soffici. Il gruppo di Novecento, più
importante sia per il contributo degli architetti ma
soprattutto per il superamento del carattere di
piccola elite che aveva Valori Plastici, nasce a
Milano nel 1923, in occasione della mostra
“Pittori del Novecento” . Questi artisti, tra cui
figura anche il nome dell’ architetto Muzio,
tentano di ridefinire il carattere dell’architettura
attraverso un forte richiamo alla tradizione
nazionale del classicismo e, in alcuni casi, della
pittura “primitiva” del medio evo.
Mario Sironi
Paesaggio urbano
1920
Anche Carlo Carrà, uno dei
maggiori interpreti dell’arte
figurativa italiana del periodo,
dopo una iniziale esperienza
nel Futurismo approderà al
Novecento, rifacendosi in
modo diretto ai pittori del
trecento e del quattrocento
italiano.
Cavallo e cavaliere – 1912-13
Il pino sul mare – 1921
Le figlie di Loth – 1919
I funerali dell’anarchico Galli – 1911
L’ovale delle apparizioni – 1918-19
La Metafisica e Valori Plastici
Dopo la fine della prima guerra mondiale a Roma, con Modigliani e con i
“Valori Plastici”, si verifica un abbandono precipitoso dai principi della
modernità che, per l’Italia, sono rappresentati dal Futurismo.
Nel 1918 Mario Broglio fonda la rivista “Valori Plastici” e nel 1920 l’ex
futurista Tavolato scrive su di essa un articolo infuocato contro la
demenza e la stupidità dei principi futuristi, Kandinskiani e di tutta l’arte
“moderna”. Con questi atti si prendono le distanze dai movimenti
rivoluzionari dell’avanguardia europea.
Sulla Rivista Valori Plastici verrà diffusa anche la Metafisica di de
Chirico, che in quegli anni sta conducendo una ricerca del tutto
personale.
Il movimento Valori Plastici punta verso il classicismo e l’arcaismo,
rivaluta una pittura tranquilla, solida, distaccata dai problemi della vita
moderna, e tradizionalista.
I nomi più rappresentativi sono i fratelli Andrea De Chirico (con lo
pseudonimo di Alberto Savinio) e Giorgio De Chirico. Il primo fu il teorico
della Metafisica, il secondo il poeta.
G. de Chirico – La ricompensa dell’indovino – 1913
G. de Chirico – L’enigma dell’ora - 1911
Firenze – Spedale degli Innocenti
Torviscosa – la piazza
E’ quindi compito dell’arte cogliere questo senso
“fantasmico” delle cose, questa unità di infinito con il finito.
L’ironia, per Savinio, è la reazione emotiva che si produce
nel momento dell’estrema chiarezza di coscienza nel
percepire la “precisione originale della natura”.
Cioè ironica è la realtà allo stato naturale, denudata, senza
veli. Ironico è il disvelamento operato dall’artista, la limpida
trasparenza nella quale egli immerge le cose. E infatti De
Chirico opera una oggettività descrittiva sia delle
composizioni di oggetti (che saranno quelle propriamente
dette “metafisiche”), sia i successivi soggetti come ritratti ed
autoritratti. Questa ironia implica una interpretazione del
classicismo diversa da quella neoclassica. Non si trattava
più di idealizzare ma di “denudare” la natura, non si cercava
il bello ideale ma si trattava di cogliere l’essenza stessa del
Naturalismo e della classicità.
Questa ironia implica una interpretazione del classicismo
diversa da quella neoclassica. Non si trattava più di
idealizzare ma di “denudare” la natura, non si cercava il bello
ideale ma si trattava di cogliere l’essenza stessa del
Naturalismo e della classicità.
G. de Chirico – Lotta dei centauri - 1909
Nel periodo del “ritorno all’ordine”, e quindi della reazione classicista postbellica rispetto alle linee di
ricerca figurativa delle avanguardie, De Chirico e la sua Metafisica diventano un punto di riferimento
determinante, sia per la corrente dei Valori Plastici, sia per il Surrealismo. Gli stessi Dadaisti
pubblicarono i lavori di De Chirico sulle loro riviste, mentre i Surrealisti lo considerarono un precursore
delle loro ricerche sui territori dell’inconscio e del prelogico. Lo stesso Magritte, caposcuola dei Fauvisti,
ha detto che quando potè osservare dal vero un quadro di De Chirico i suoi occhi “videro il pensierop
per la prima volta”
A. Böcklin
Battaglia di centauri - 1872
G. de Chirico – Le muse inquietanti - 1918
Le muse inquietanti sono forse l’opera più famosa ed
emblematica di De Chirico. In questo quadro sono presenti
tutte le tematiche e i soggetti principali della fase matura
dell’artista, ovvero la spazialità rarefatta, caratterizzata da
ampi volumi geometrici prevalentemente vuoti, e la
dialettica tra grandi spazi esterni tersamente rischiarati e
piccoli spazi chiusi e bui.
Ne Le muse inquietanti è presente, infatti, una grande
piazza-palcoscenico sullo sfondo della quale si staglia il
Castello degli Estensi di Ferrara. Alla mole imponente
dell’edificio, immobile feticcio di un’epoca passata, si
contrappone una fabbrica con due ciminiere, che con la sua
presenza rimanda alla muta dialettica tra antico e moderno.
A conferma di ciò sulla destra un palazzo ad arcate rievoca
l’architettura classica.
La residenza degli Estensi è un
immobile feticcio del passato
La fabbrica con le
due ciminiere
allude all’epoca
presente, incarna
un feticcio della
modernità
Il manichino su un
piedistallo,
composto da un
insieme di oggetti
apparentemente
privi di
connessione, che
gli conferiscono un
aspetto solenne ed
inquietante.
La pedana
palcoscenico
definisce la
profondità,
accentuata
dall’impossibile
parallelismo della
scatola in primo
piano.
La statua marmorea in secondo piano
è meno ambigua ma ugualmente
inquietante in quanto posta all’ombra
La vasta piazza ferrarese, scandita dalle impossibili linee
prospettiche, è punteggiata da alcuni oggetti misteriosi : un
parallelepipedo con le facce suddivise in triangoli colorati, a
ricordare una scatola di giocattoli infantili; un cilindro fra le due
statue, percorso da un aspirale, che lo fa assomigliare ad un
dolciume per bambini; una seconda scatola di colore uniforme
che fa da appoggio piedestallo) alla seconda statua seduta.
Un altro oggetto misterioso, simile ad un ombrellone, Il tutto è
immerso in una luminosità redante, quella delle piazze italiane
così vuote di vita reale, così piene di storia e di malinconia.
Le lunghe ombre presenti su palcoscenico, che si prolungano
fino oltre la tela, creano una fitta rete di riferimenti
contradditori. A partire dalle stesse ombre e dal rapporto con
la luminosità della scena e degli oggetti, non è possibile
stabilire un quadro temporale coerente, Da ciò e deriva un
senso di “sospensione”, di a temporalità, che si esprime nella
fissità degli oggetti e in quella delle staute
I due manichini in primo piano testimoniano la presenza assenza dell’uomo. Il primo a sinistra è composto da un
elemento cilindrico scanalato che ricorda una statua greca
femminile arcaica, avvolta in un peplo, sul quale si innesta un
torso marmoreo coronato da una enorme testa di manichino.
La seconda figura è seduta; è acefala e la sua testa
inquietante è appoggiata ai suoi piedi.
Il sentimento che suggerisce la composizione è di
straniamento temporale ; lo spettatore è come balzato fuori
dalla realtà quotidiana e trascinato in una dimensione
parallela, fuori dalla normale percezione della realtà, che letta
in chiave metafisica assume un valore simbolico universale.
Il “ritorno all’ordine”, quale prima manifestazione di rinnovamento
artistico in Italia dopo il dramma della prima guerra mondiale, trova una
sua ragione d’essere nell’esigenza diffusa di certezze, di richiami ad un
passato tranquillizzante, rivissuto nella magica atmosfera di iconografie
ormai consolidate nella memoria, ma soprattutto lontane delle
sperimentazioni rivoluzionarie dei movimenti di avanguardia. Mentre
l’esperienza di Valori Plastici si esaurisce nel 1922, la formula di
Novecento si consolida nelle famose mostre organizzate da Margherita
Sarfatti nel 1924 alla ”XIV° Esposizione Internazionale di Arte di
Venezia”, alla “Prima Mostra del Novecento Italiano” tenuta a Roma nel
1926 ed alla Seconda Mostra del 1929. Margherita Sarfatti, che in quegli
anni rappresentò l’elemento trainante del gruppo e colei che lo lanciò nel
panorama artistico nazionale, era una sostenitrice convinta e amica
intima del Duce, nonché giornalista del Popolo d’Italia (l’organo del
Partito Nazionale Fascista). Essa rappresentava, quindi, gli ideali artistici
del Fascismo, e la tendenza arcaicizzante da lei sostenuta finì per fare
coincidere gli assunti classicisti della pittura di Novecento con la
rappresentazione artistica dei contenuti del Fascismo.
G. Pagano – Palazzo della Chimica
Expo del Valentino, Torino - 1928
G. Pagano, G. L. Montalcini
Palazzo Gualino, Torino - 1928
G. Sommaruga – Tre Croci , Campo de’ Fiori
Varese – 1908-11
L’Italia, all’inizio del ‘900, vede ancora operante, in
architettura, una linea stilistica basata sullo storicismo
eclettico con qualche spunto interessate nel Liberty.
Il Classicismo - Giovanni Muzio
G. Muzio – Ca’ Brutta (Casa di via Moscova) Milano - 1923
Muzio è la figura più rappresentativa del Novecento
architettonico italiano. Nella Ca’ Brutta a Milano, che
l’architetto racchiude una forma semplificata priva di un
vero fronte principale, l’uso di stilemi classici
fortemente stilizzati evdienzia una manipolazione
metafisica della forma e del suo significato.
Questa originale operazione “pretende coscientemente di fondare un linguaggio da
mettere a disposizione della estensione quantitativa della città contemporanea” (Gregotti,
1969) favorendo, nel contempo, la ripresa dell’ideale neoclassico.
Lo studio dell’edificio viene iniziato nel 1919 ma la realizzazione è del 1922. In quell’anno
l’opera fu considerata troppo moderna al punto che sia l’Ordine degli Ingegneri che quello
degli Architetti, riuniti in assemblea comune, ne richiesero l’abbattimento. Da questa
aspra polemica ricevette l’appellativo di “Cà Brutta”. All’epoca l’unico che prese
apertamente le difese di Muzio fu Marcello Piacentini che nell’ “Informatore
dell’Architettura” (1922) si esprime ne modo seguente : “Dunque questo fatto mostruoso,
la pietra dello scandalo è certamente quella casa là, sull’angolo, arrotondata, a tre zone
orizzontali di colore, piatta, semplice, modesta, quella casa che è veramente una casa e
che non vuole essere altro che una casa. Perché gridare tanto contro un’opera così
silenziosa, così a posto?”.
G. Muzio – Ca’ Brutta (Casa di via Moscova) Milano - 1923
Questa originale operazione “pretende coscientemente di fondare
un linguaggio da mettere a disposizione della estensione
quantitativa della città contemporanea” (Gregotti, 1969) favorendo,
nel contempo, la ripresa dell’ideale neoclassico.
Lo studio dell’edificio viene iniziato nel 1919 ma la realizzazione è
del 1922. In quell’anno l’opera fu considerata troppo moderna al
punto che sia l’Ordine degli Ingegneri che quello degli Architetti,
riuniti in assemblea comune, ne richiesero l’abbattimento. Da
questa aspra polemica ricevette l’appellativo di “Cà Brutta”.
All’epoca l’unico che prese apertamente le difese di Muzio fu
Marcello Piacentini che nell’ “Informatore dell’Architettura” (1922) si
esprime ne modo seguente : “Dunque questo fatto mostruoso, la
pietra dello scandalo è certamente quella casa là, sull’angolo,
arrotondata, a tre zone orizzontali di colore, piatta, semplice,
modesta, quella casa che è veramente una casa e che non vuole
essere altro che una casa. Perché gridare tanto contro un’opera
così silenziosa, così a posto?”.
Altri architetti che rimangono influenzati da questa tendenza neoclassica,
seppure con variazioni personali, sono Giuseppe Definetti con il suo edificio
per appartamenti “La Meridiana”, Aldo Andreani con il Palazzo Fidia,
entrambi realizzati a Milano.
Questi architetti si propongono come una “avanguardia moderata”con il fine
di determinare la nuova linea stilistica di quegli anni.
Il riferimento al classicismo, anche se più sobrio e controllato in quanto
influenzato dallo sviluppo del razionalismo, rimarrà anche in alcune opere
degli anni successivi.
A. Andreani – Palazzo Fidia
Milano - 1936
G. Definetti – Casa Meridiana, Milano - 1925
E. Lancia e G. Ponti – Casa, Milano - 1934
G. Muzio – Casa a, Milano - 1936
Mussolini e le arti.
Pur non essendosi mai sbilanciato ufficialmente a favore di una corrente artistica o di uno stile
in particolare, cosa che ne avrebbe avvalorato il ruolo di “stile fascista” decretandone
contemporaneamente l’unicità nel panorama artistico italiano, Mussolini ha sempre sostenuto
alcuni ideali che variavano dal richiamo a miti passati all’immedesimazione con icone
futuriste. Il mito della “romanità” identificato con la grandezza dell’antico Impero, l’ideale della
“modernità” e della “rivoluzione” rappresentata dal Fascismo stesso, o ancora il mito della
“mediterraneità” che richiama alla mente i paesaggi e le tradizioni italiche. Rimbalzando di
volta in volta dai fasti di un passato ormai lontano, ma che si vuole richiamare per la sua
grandiosità, ed un futuro diventato presente grazie proprio alla rivoluzione del Fascismo,
Mussolini ha “costruito” una serie di “immagini” molto generiche, ma di forte impatto, con le
quali identificare l’Italia e l’ancora oscuro indirizzo stilistico della sua produzione artistica. In
realtà, al di là di queste indicazioni, nessun carattere specifico è mai emerso, né per
l’architettura né per le arti figurative, al punto che il dibattito, nel corso delgi anni ’30, si è più
volte infiammato nella ricerca dello “stile fascista”.
M. Piacentini – La Città Universitaria – 1932-35
E. Del Debbio – Foro Mussolini, Roma – 1928-33i
I Razionalisti
In questo panorama di grande esaltazione e di forte
ambiguità, ma ancora incerto sulle linee artistiche da
seguire, si affaccia, nel 1926, il famoso “Gruppo 7”,
milanese, formato dagli architetti Figini, Pollini, Larco,
Guerra, Frette, Libera e Terragni che propugna una
forma di Razionalismo in linea con le ricerche più
avanzate in Europa.
Sono i primi laureati delle facoltà di architettura
italiane (istituite con un decreto
nel 1914, che prevedeva anche la creazione degli
Istituti di Belle Arti).
Figini, Pollini, Bottoni, Frette, Libera – Casa Elettrica
IV Mostra di Arte Decorativa e Industriale Moderna a Monza – 1930.
Terragni, P. Lingeri – Casa Rustici, Milano - 1935
Terragni,
Prog. per il Palazzo dei
Ricevimenti all’E42
Roma – 1937-38
La scuola Superiore di Architettura di Roma
sarà la prima ad essere realizzata nel 1919,
sulla scia di quanto Gustavo Giovannoni
andava affermando in quegli anni sulla
necessità che la figura dell’architetto esca
da una forma di “dilettantismo
professionale” per diventare un “architetto
integrale”. Tale figura doveva integrare
quella dell’ingegnere, uno “scienziato”, e
quella del diplomato all’Accademia di Belle
Arti, un “umanista”, per consentire, come
affermerà Alberto Calza Bini nel 1933, “ …il
ritorno di quel primato nell’architettura che
fu nostro, e tornerà ad essere nostro, se
l’equilibrio classico e la naturale virtù del
canto sono, come sono, prerogative
magnifiche della nostra razza …” (Ciucci,
1989)
Il Novocomum (1927-28)
Il Razionalismo del “Gruppo 7” si pone
da subito come stile al servizio della
Rivoluzione Fascista, con l’intento di
rappresentare, all’interno
dell’avanguardia architettonica, l’etica
e lo spirito rivoluzionario dell’ideologia
di Mussolini, per diventare lo “stile
fascista”, in contrapposizione al filone
classicista. La figura più
rappresentativa è quella di Giuseppe
Terragni (1904-1943), comasco, che
nel 1927 realizza il primo edificio
razionalista di un certo spessore : il
Novocomum. Contrariamente alla
tradizione classica che prevede il
rinforzo degli angoli per definire
compiutamente la massa dell’edificio,
Terragni “nega” le strutture angolari
ricorrendo anche ad un gioco di
intersezioni di cilindri vetrati con la
geometria cubica delle murature
portanti.
Tale accorgimento evidenzia il debito di Terragni verso il Costruttivismo Russo e le
ricerche di dei Razionalisti tedeschi e francesi, come Le Corbusier. L’esclusione
totale di ogni forma di decorativismo, la linearità della forma geometrica e
l’uniformità cromatica, stabiliscono la volontà di appartenenza al Movimento
Moderno.
La Casa del Fascio di Como
(1932-1933)
Marcello Piacentini (1881-1960)
Nel confronto tra i Classicisti, eredi della tradizione italica, e i Razionalisti, promotori
di una rivoluzione stilistica al passo con le proposte delle avanguardie europee, si
inserisce (o è più corretto dire che è sempre stato presente) Marcello Piacentini,
figura dominante nel panorama architettonico italiano, non assimilabile all’interno di
nessuna delle correnti precedenti. Docente di Urbanistica all’Università di Roma,
presente nelle giurie di quasi tutti i concorsi di architettura italiani di quegli anni,
coordinatore o progettista dei più importanti interventi di edilizia in Italia, è la figura
attorno alla quale ruota il dibattito su quale deve essere lo stile più rappresentativo
del fascismo. Mediatore per eccellenza, in linea con la posizione ambivalente di
Mussolini per quanto riguarda gli aspetti dello “stile”, Piacentini opterà per una
soluzione di “mediazione” tra gli assunti classicisti e le innovazioni razionaliste,
proponendo una forma di monumentalismo retorico e antidecorativo, che assimili le
istanze di entrambi i gruppi dominanti.
Dopo un inizio in linea con le ricerche del Liberty Piacentini opta per una linea più
monumentale e razionale, sfrondata da ogni decorativismo ma memore della
“grandezza di Roma imperiale”
M. Piacentini – Ippodromo di
Villa Glori, Roma - 1920
M. Piacentini – Casa dei
Mutilati, Roma - 1920
M. Piacentini (coordinatore) – La città universitaria, Roma – 1932-35
I suoi edifici, privi di un vero carattere innovativo, sia
sotto il profilo tipologico che stilistico, accompagnano la
formazione dello stile fascista seguendo lo sviluppo del
dibattito in corso e le generiche indicazioni di
Mussolini, mantenendo sempre, però, una linea sobria.
Tra gli interventi di maggior importanza realizzati da
Piacentini vanno citati la Città Universitaria di Roma,
l’E42 (il quartiere dell’EUR) realizzato per l’Esposizione
Internazionale del 1942, l’apertura di via della
Conciliazione a Roma.
L’E 42
Il rituale celebrativo del fascismo aveva già ottenuto
una degna scenografia con gli interventi prestigiosi
della via dei Trionfi e la via dell’Impero, il cui lustro,
però, derivava dalle preesistenze archeologiche della
Roma imperiale con il Colosseo, l’arco di Tito, la
colonna Traiana e il Monumento a Vittorio Emanuele.
Mancava un’opera completamente “fascista” che non
fosse solo un edificio isolato, per quanto importante, o
complessi a destinazione d’uso specifica come la città
universitaria e il Foro Mussolini..
Ubicazione dell’E42
La Padula – Palazzo della Civiltà Italiana
L’idea di una Grande Esposizione Internazionale quale vetrina mondiale delle conquiste del Fascismo viene
colta immediatamente, prevedendo che dovesse essere tenuta nel 1942, ventesimo anniversario della
conquista del potere da parte di Mussolini. Il luogo deputato a diventare sede della manifestazione viene trovato
a sud di Roma, in una zona che doveva “rappresentare l’elemento cardinale di un sistema che deriva dal nucleo
monumentale romano-fascista del centro antico (Fori e zona archeologica), e si proietta poi verso il mare …”.
“La metropoli futura da Roma a Ostia sanzionerà simbolicamente con il suo affacciamento sul mare nostrum
l’aspirazione a una egemonia sul Mediterraneo”. (Sica, 1996)
Come per operazioni simili già attuate, seppure a scala minore, tutto l’impianto urbanistico dell’ E42 è impostato
sull’asse della via Imperiale che partendo da Piazza Venezia e attraversando le aree archeologiche, deve
Adalberto Libera – Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi
La Padula – Palazzo della Civiltà Italiana
collegare Roma con l’E42 e, quindi,
col mare. Il progetto è impostato, fin
dall’inizio, con le esigenze
celebrative del programma e viene
impostato su assi prospettici,
simmetrie ed edifici monumentali.
Dal punto di vista delle correnti
stilistiche anche qui, come nella
città universitaria, Piacentini riesce
a far collaborare assieme una
rappresentanza di entrambi gli
schieramenti e a sottometterli alle
sue indicazioni.
Nelle successive revisioni del
progetto Piacentini, che nel 1938
ha in mano tutta l’operazione,
opterà per uno schema più
squadrato e più rigido,
allontanando gli elementi
paesistici naturali portati ai
margini del complesso
architettonico, in modo da
ottenere uno schema che “per la
sua monumentalità suggestiva di
un centro imperiale di una città
fascista può garantire quei
risultati di magniloquente
espressività tutta romana
Planimetria generale dell’area
che Piacentini si attende dalle architetture destinate a materializzarla”.
Nel 1941, a causa della guerra, il progetto verrà abbandonato e una
commissione, con a capo Piacentini, elaborerà una variante al PRG.
Gli edifici più rappresentativi di tutto il complesso dell’E42 sono il
Palazzo della Civiltà Italiana (La Padula, Guerrini, Romano) e il
Palazzo dei Congressi di Adalberto Libera. Il primo, secondo gli autori,
doveva essere un grande cubo con una “imponenza di massa a
sviluppo verticale, una solennità grandiosa”, mentre il risultato è
assimilabile ad un paesaggio metafisico di De Chirico, o, come lo
definisce Giò Ponti, “un fantasma architettonico,
una evocazione, una scena di pietra e di
cemento, tutto falsi archi in rivestimento sopra
una struttura in cemento armato”.
Il secondo, il Palazzo dei Congressi di Libera, è
posto proprio di fronte al Palazzo della Civiltà
Italiana, ma rappresenta un risultato figurativo
decisamente diverso. Un immenso cubo di 40
metri di lato posto su una platea orizzontale
dalla quale emerge il salone dei congressi.
Questo risultato è determinato da una ricerca
che Libera ha condotto, ancora nel 1927-28,
all’Università sull’analisi di monumenti
dell’architettura romana quali il Pantheon, le
Terme e altri ancora, che portano alla
traduzione strutturale di queste fabbriche
dalla muratura al cemento armato. In questo
modo possiamo cogliere quella valenza
semantica tipica del periodo, che ci porta
nella dimensione arcaica, anche se in
questo caso è filologicamente teorizzata. Il
risultato è di una grande “coerenza di
ricerca dove la geometria e la tecnica, la
matematica e la storia, la precisione e il
valore simbolico della forma si intrecciano
inestricabilmente” (Muntoni, 1995)
Gli stessi progettisti nel 1927, tracciando le
linee di una nuova poetica dell’architettura
moderna, intendono rifarsi ad “una nuova
epoca arcaica”.
Adalberto Libera – Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi
Via della Conciliazione
Nel giugno del 1936 viene presentato al
Papa e a Mussolini il progetto per la
realizzazione dell’accesso a San Pietro
da Castel Sant’Angelo, a firma degli
architetti A. Spaccarelli e M. Piacentini.
L’operazione prevede la demolizione
della famosa “spina” dei borghi, della
chiesa dell’Annunziatina e di vari edifici
di pregio storico. Nonostante le forti
polemiche innescatesi sull’opportunità di
una tale trasformazione (anche
Giovannoni stesso esprimerà forti
contrarietà) i lavori procedono
ugualmente. Interrotti a causa della
guerra, essi riprenderanno dopo la
caduta del fascismo, per il Giubileo del
1950, e porteranno a conclusione il
progetto piacentiniano.
Lo stile Littorio
La necessità di ostentazione ed esaltazione del potere, di rappresentazione retorica delle conquiste del
Fascismo, sommate ad una volontà di presenza, totalizzante ed universale, del fascismo in ogni più piccolo
fatto della quotidianità, comporterà una svolta nella tipologia delle immagini e nello stile delle rappresentazioni.
Una retorica esasperata e monumentale che, nelle raffigurazioni, diventa gigantismo, dilatazione estrema nello
spazio urbano, attraverso l’uso caricaturale ed enfatico di simbolismi tipici dell’ideologia.
La stessa persona del Duce diventerà “presenza ossessiva” ad ogni occasione
politica, sociale e culturale, immortalata sia fotograficamente che pittoricamente.
Accanto alle rappresentazioni del Duce e dei simboli del fascismo, il
messaggio politico, o forse è meglio dire la sua rappresentazione
caricaturale, diventa patrimonio di ogni “messaggio” rivolto alla
massa degli italiani. La comunicazione pubblicitaria sfrutterà al
massimo questa opportunità usando la retorica trionfalistica per
immettere i suoi prodotti sul mercato.
dopo il 1930
MUSSOLINI IMPORRA’ SEMPRE DI
PIU’ I SIMBOLI DEL SUO POTERE
Galleria di Vernio, Autostrada Bologna- Firenze
M. Sironi, Casa Madre dei
Mutilati di Guerra, Roma
1936-1938
Torre Jensen - Torviscosa
LA STIRPE ITALICA
La storia si avvia verso le leggi razziali, verso una inquietante e
delirante svolta di onnipotenza, annullando, di fatto, ogni seppur
vago ricordo dei propositi rivoluzionari.
.
Lo spreco di opportunità determinate da una condizione politica estremamente
favorevole, data da un consenso sicuramente alto e mantenuto tale con i mezzi
di persuasione più svariati, è un risultato storico che non può trovare
giustificazione. L’impegno dell’Arte e degli artisti italiani, a supporto delgi ideali
del fascismo, è stato alto e fortemente partecipato, ma ha trovato nella svolta
autoritaria e nel delirio del razzismo un muro invalicabile che ha determinato
quella condizione di emarginazione prima, e di rivolta dopo, anche di chi, fino
all’ultimo, ha creduto in quegli ideali.
A conclusione di questa lezione, con un libero “gioco” di immagini tratte dalla realtà artistica del tempo, si è voluto provare a
leggere quel carattere di ambiguità che, all’inizio di questa esposizione, era stato definito come caratterizzante la politica di
Mussolini, in particolare per quanto concerne i rapporti con l’arte. Se è vero che esiste una relazione biunivoca tra la cultura di
un tempo storico e la sua rappresentazione artistica, questa relazione deve, in qualche modo, emergere anche dall’ apparato
iconografico del fascismo, qui riportato nei ritratti del Duce..
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