VENDOLA Niki - Fondazione Cercare Ancora

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VENDOLA Niki - Fondazione Cercare Ancora
Niki VENDOLA
Ccredo che anche la vicenda egiziana meriti di essere rappresentata come una cartina di tornasole
della logica profonda che ispira i sistemi di potere planetari. Intanto, lì si può cogliere come la
crescita che era a ritmi impetuosi, credo attorno all’8% all’anno del PIL, non è di per sé sufficiente
per risolvere quel problema che è il frutto dell’assalto ai prezzi delle materie prime e che ci ha
riproposto, all’inizio del terzo millennio, sequenze, fotogrammi che appaiono uscire dalla notte dei
tempi: la rivolta per il pane, la rivolta per gli ingredienti elementari della vita, dell’esistenza.
Questo lo dico perché uno dei limiti della cultura riformista è quello di contrapporsi, per esempio
qui in Italia, alle manovre di bilancio, alle manovre finanziarie del ministro Tremonti, contestando
giustamente il fatto che, a fronte della gendarmeria messa in campo nei confronti della questione
del debito pubblico, non si è offerta nessuna via di uscita dal punto di vista della crescita. Senza
crescita non c’è possibilità neanche di giustificare i tagli che vivono dentro l’idea di controllare gli
stock del debito. Ma la crescita, questo è il punto, di per sé non è sufficiente.
Io ho trovato singolarmente antiche, vecchie, antiquate, roba da modernariato, le rappresentazioni
ideologiche della proposta, per così dire, di Marchionne, proprio perché, al di là del ricatto, e al di là
di quell’elemento, diciamo, pre-liberale o anti-liberale e pre o post cristiano, che egli offriva
nell’immaginare che i diritti dell’individuo, la dignità della persona in fabbrica possano essere in
qualche maniera sospesi, ma il tema è l’assoluta arretratezza dal punto di vista del modello di
sviluppo: nessuna riflessione critica sul ciclo dell’automobile, sul tema della mobilità sostenibile.
Vedete, ieri a me è capitato di fare un lungo accordo con l’amministratore delegato di Enel
Distribuzione sul tema di tutta l’energia potenziale che non si sfrutta perché di notte non funzionano
i pannelli fotovoltaici, perché non tutto il potenziale dell’eolico viene sfruttato, ed allora bisogna
immaginare, per esempio, a partire dallo sfruttamento di questo potenziale inespresso, per esempio
puntando sull’idrogeno, sistemi di mobilità sostenibile. Abbiamo parlato di automobile ecologica,
l’amministratore delegato di Enel Distribuzione diceva: facciamo questo esperimento in Puglia,
facciamo della Puglia un caso europeo, purtroppo dovremmo andare a parlare con Renault o con la
Toyota perché, certo, la Fiat non le fa queste cose. Non si cimenta proprio su questo terreno. E la
cosa veramente più, come posso dire, più col torcicollo, è l’idea che qui si debba costruire le più
inquinanti tra i modelli di automobile americani, come i Suv. E’ possibile che questo non può
costituire oggetto di discussione?
Io non dico che avremmo avuto il diritto di discutere del piano industriale, che avremmo avuto il
diritto di discutere della indisponibilità dei diritti individuali, come è il diritto di sciopero, e che
avremmo tutti quanti dovuto, diciamo, ragionare sul fatto che il peso specifico del lavoro nella
rappresentazione politica e nella discussione pubblica si sia andato progressivamente contraendo,
riducendo, miniaturizzando, fino quasi ad evaporare, e che la dimensione del lavoro non ha più
impattato la dimensione della politica, anzi la politica globalmente ha immaginato che il lavoro
fosse una questione da collocare sotto la rubrica ‘sindacato e relazioni industriali’, o qualche volta
nella rubrica della cronaca nera.
Per il resto la svalorizzazione del lavoro che è stato, diciamo così, il dato più rilevante dal punto di
vista sociale e dal punto di vista culturale, ha accompagnato il processo di trasferimento di
ricchezza dal mondo del lavoro al capitale e alla rendita. E, fra l’altro, anche questo trasferimento,
lo dico a tutti gli apprendisti stregoni dell’uscita dalla crescita, questo trasferimento di ricchezza
produce effetti recessivi. La ricchezza trasferita dal lavoro al capitale è economia reale che tende a
trasmutare in finanza. La finanziarizzazione è uno dei problemi che noi dovremmo poter affrontare
criticamente senza atti di genuflessione nei confronti dei poteri dati.
Allora, questa Europa non parla di lavoro e per questo non parla del Mediterraneo. Non vede bene
se non, diciamo, per coprire l’ipocrisia di un continente che si era iscritto nella coalizione dei
volenterosi, sia pure con contraddizioni interne, e che immaginava l’esportazione dei diritti umani e
della democrazia in ogni modo, e che improvvisamente si scopre un continente di trafficanti con
Ben Ali, con Mubarak, con Gheddafi, come sapete bene, ed a fronte di un incendio così epocale,
che cambia la geopolitica del mondo nel giro di poche settimane, domani, credo che c’è la giornata
della collera a Tripoli, non si sa come matura, dal Marocco dove i segnali di tensione sono
formidabili. Io sono stato dieci giorni fa ad Agadir e anche lì l’eco della rivolta è formidabile, ed è
una rivolta che si fa i baffi di tutte le nostre raffinate dispute ideologiche, perché è una rivolta che è
insieme sul tema del lavoro e sul tema della libertà, sul tema della giustizia sociale e sul tema dei
diritti, del protagonismo dei popoli e degli individui.
Ecco, questa Europa poiché ha completamente delegato ai poteri economici e al mercato qualunque
discorso sul lavoro e sui diritti che ne conseguono, è incapace di costruirsi come alternativa di
civiltà. Non si pensa più, perché vive la crisi del compromesso tra capitale e lavoro che ne ha
plasmato in tutto il dopoguerra il volto, il profilo e un modello di welfare che oggi viene liquidato
con una velocità e una violenza che, visti dalla Grecia e da altre angolature, mette davvero i brividi,
per questa ragione non vede fino in fondo l’incendio che va dal Nord Africa al Medio Oriente e
torna nei Balcani, come è accaduto nella rivolta del popolo albanese.
Allora il punto è questo, io la dico con una serie di sillogismi abbastanza veloci. Penso che la
sinistra viva una crisi vertiginosa in Europa perché fatica a ricollocare il lavoro, e non sto
predicando torsioni neo-laburistiche o un discorso classicamente socialdemocratico, perché la
questione del lavoro è la questione delle giovani generazioni, è la questione dell’ambiente, è la
questione della parità di genere, è la questione della libertà dentro al lavoro e in rapporto al lavoro e
della libertà dal lavoro. Siccome ha cancellato il lavoro, ha smesso di avere ambizioni alte.
L’europeismo, dal mio punto di vista, crepa per questo deficit di centralità della questione del
lavoro.
E oggi, a fronte della peggiore classe dirigente che il vecchio Continente abbia mai avuto, noi
viviamo dentro una sindrome di afasia, muti mentre cambia il mondo sotto i nostri occhi, muti
mentre gli ideali che hanno animato la storia della sinistra trovano bandiere e una leva
generazionale che per la prima volta, dopo tanti anni, non ha il segno egemonico dei
fondamentalisti. Una rivolta, per il momento, largamente laica. Lì forse dovremmo guardare con più
attenzione, primo perché c’è la soluzione alla crisi dell’Europa, secondo perché c’è l’unica
possibilità di rifondare una sinistra che deve lottare a livello europeo,, ma senza nessuna tentazione
diabolica all’eurocentrismo. Almeno così la penso io.