APOLOGIA DEL TERRORISMO A MEZZO “INTERNET”
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APOLOGIA DEL TERRORISMO A MEZZO “INTERNET”
APOLOGIA DEL TERRORISMO A MEZZO “INTERNET” Corte di cassazione, Sezione I, 6 ottobre 2015 - 1° dicembre 2015 n. 47489 (Pres. Chieffi; Rel. Rocchi; Pm -conf.- Angelillis; Ric. Halili). Reati contro l’ordine pubblico- Apologia- Caratteristiche- Pubblicità- Internet – Ravvisabilità (Cp, articolo 414) E’ ravvisabile la natura “pubblica” dell’apologia nel caso di documenti diffusi su siti internet liberamente accessibili. Infatti, l’articolo 266, comma 4, del Cp definisce il reato avvenuto “pubblicamente” quando il fatto è commesso “col mezzo della stampa o con altro mezzo di propaganda” ed è evidente che un sito internet a libero accesso ha una potenzialità diffusiva indefinita, tanto da poter essere equiparato alla stampa. Sulla questione affrontata dalla Cassazione, va considerato, con valenza assorbente, che la recente legge 17 aprile 2015 n. 43, di conversione del decreto legge 18 febbraio 2015 n. 7, diretto a rafforzare gli strumenti di lotta contro i fenomeni di terrorismo internazionale, ha innovato il disposto dell’articolo 414, commi 3 e 4, del Cp, prevedendosi un aggravamento di pena allorquando i fatti risultino commessi attraverso strumenti telematici e informatici, in ragione della particolare diffusività [e conseguente insidiosità] di tali mezzi. Interessante è comunque la vicenda oggetto della decisione. Nella specie, nell’ambito di una vicenda cautelare, il reato di apologia di cui all’articolo 414, comma 4, del Cp, aggravato dalla finalità di terrorismo ai sensi dell’articolo 1 del decreto legge 15 dicembre 1979 n. 625, convertito dalla legge 6 febbraio 1980 n. 15, era stato contestato ad un indagato cui si addebitava di avere fatto apologia dello Stato islamico, associazione con finalità di terrorismo internazionale, pubblicamente e, in particolare, mediante la diffusione sulla rete internet di documenti in parte provenienti dalla stessa organizzazione terroristica e in parte redatti dallo stesso indagato, che, secondo la contestazione, avevano il fine di convincere il lettore che l’adesione allo Stato islamico doveva ritenersi la sola scelta corretta, anche sotto il profilo religioso. La Corte ha ritenuto corretta e congruamente motivata la decisione del giudice cautelare che aveva ravvisata la sussistenza del reato, escludendo si fosse trattato di documenti diffusi solo per sollecitare un’adesione solo “ideologica” dei potenziali lettori allo Stato islamico, ma anzi valorizzando, in fatto, che i documenti rappresentavano l’adesione all’esecuzione di atti di terrorismo e l’esaltazione della diffusione ed espansione dell’organizzazione, anche con l’uso delle armi. A supporto della decisione, la Cassazione ha ritenuto opportuno ricordare che, in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale [cfr. sentenza n. 65 del 1970], per la punibilità dell’apologia occorre che questa, per le modalità con cui viene realizzata, integri un comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti, trascendendo la pura e semplice manifestazione del pensiero. Per l’effetto, per l’integrazione del reato di apologia, ma anche del reato di istigazione per delinquere, non basta l’esternazione di un giudizio positivo su un episodio criminoso, per quanto odioso e riprovevole esso possa apparire alla generalità delle persone dotate di sensibilità umana, ma occorre che il comportamento dell’agente sia tale per il suo contenuto intrinseco, per la condizione personale dell’autore e per le circostanze di fatto in cui si esplica, da determinare il rischio, non teorico, ma effettivo, della consumazione di altri reati e, specificamente, di reati lesivi di interessi omologhi a quelli offesi dal crimine esaltato. In ogni caso, ha concluso la Corte, l’accertamento del pericolo concreto di commissione di delitti in conseguenza dell’apologia o dell’istigazione è riservato al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivato [ciò che nello specifico, come si è visto, è stato ritenuto]. GIUSEPPE AMATO