L`art. 270-bis c.p. disciplina cardine dell`antiterrorismo. Un vestito

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L`art. 270-bis c.p. disciplina cardine dell`antiterrorismo. Un vestito
L’art.
270-bis
c.p.
disciplina
cardine
dell’antiterrorismo.
Un vestito sempre attuale che si conforma alle recenti correnti
fondamentaliste di matrice islamica.
di Nicolò Giordana
Sommario: 1. La nozione di terrorismo; 2. Presupposti storici e la l. 15/1980;
3. Il novum storico e la necessaria l. 438/2001; 4. Terrorismo e associazioni
islamiche, le nuove frontiere.
Il legislatore italiano intervenne nell'asset normativo del codice Rocco
introducendo, con l'art. 3 l. 15 dicembre 1980, n. 15, una figura di reato, poi
modificata dal d.l. 18 ottobre 2001, n. 374 convertito nella l. 15 dicembre 2001, n.
438, volta a punire qualsiasi atto volto a finalità terroristiche o sovversive
dell'ordine democratico. La norma venne introdotta per reagire al massiccio
fenomeno del terrorismo interno degli anni di piombo e venne poi modificata dopo
gli eventi dell'11 settembre 2001. Questa disciplina, destinata a risvegliarsi di
tanto in tanto relativamente a fatti di grande portata anche mediatica, è
paragonabile ad un vestito sempre moderno che occorre rimodellare nelle parti in
cui si dimostra non sufficiente ad esigenze attuali e contingenti. Oggi Il
fondamentalismo religioso, il Califfato, la Jihad e l’I.S.I.S. contribuiscono a
spolverare i mezzi che l’ordinamento fornisce per combattere la lotta al terrorismo
nazionale ed internazionale.
1. La nozione di terrorismo
Come molte normazioni anche quella in esame presenta alcuni paradossi:
primo tra tutti è la definizione che ne è data di cosa sia il terrorismo. Il suo
significato viene attribuito dall’art. 270-sexies c.p. introdotto dalla l. 31 luglio 2005,
n. 155. Con la volontà di dirimere le questioni giurisprudenziali tale disposto
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determina che sono da considerarsi con finalità di terrorismo le condotte che, per
natura o contesto, possano arrecare grave danno ad un Paese o ad
un'organizzazione internazionale e che vengono compiute allo scopo di intimidire
una popolazione o costringere i poteri pubblici - o tali organizzazioni - a compiere
od astenersi dal compiere un atto ovvero destabilizzare o distruggere le strutture
politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali.
2. Presupposti storici e la l. 15/1980
Gli anni '70 e l'inizio degli '80 rappresentano un momento assai critico per
la storia del nostro Paese. Sono i c.d. anni di piombo iniziati con le proteste degli
studenti, poi con le lotte dei lavoratori e culminati con numerosi attentati primo
tra tutti la strage di piazza Fontana a Milano. Si formano gruppi che fanno politica
extraparlamentare e che adottano come metodo di dissuasione la violenza: sono le
organizzazioni armate di sinistra e di destra che fanno sfociare il comune
sentimento della popolazione italiana nel terrore. Si accettò così la risposta militare
dello Stato e si giustificò l'adozione di provvedimenti restrittivi della libertà
personale. In tale situazione di c.d. emergenza terrorismo, i partiti al governo – la
Democrazia Cristiana, il Partito Socialdemocratico, il Partito Repubblicano, il
Partito Liberale e quello Socialista – trovarono l'intesa, unitamente al Partito
Comunista, volta alla produzione di leggi speciali che si prefiggevano lo scopo di
impedire questo dilagarsi di condotte sovversive. In questo piano si collocano la l.
22 maggio 1975, n. 152, c.d. Reale, l'istituzione del G.I.S. e del N.O.C.S., nonché la
modifica al Codice penale con l'inserimento dell'art. 270-bis.
Il vecchio testo dell'art. 270-bis c.p. riportava:
«Chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni che si propongono il
compimento di atti di violenza con fini di eversione dell'ordine democratico è punito con
la reclusione da sette a quindici anni.
Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da sette a quindici anni.»
Questa fattispecie venne introdotta negli ultimi giorni degli anni '70 e
venne definita una delle risposte più d'impatto che lo Stato ha dato in ordine ai
dilaganti attacchi terroristici che hanno dominato il decennio che si stava per
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concludere. Con la novella norma si è voluto sanzionare in modo differente e
maggiormente incisivo i gruppi politico-terroristi rispetto che con l'art. 270 c.p.
Una parte della dottrina 1 , che in tal sede non appare condivisibile, identifica
l'oggetto della tutela penale nell'interesse relativo alla personalità interna dello
Stato a che più persone non si associno per compiere atti diretti a sovvertire
direttamente l'ordine democratico. In tal senso ordine democratico è da intendersi,
essendo concetto politico, un sinonimo di ordine costituzionale. Altra dottrina 2 e
giurisprudenza granitica individuano l'oggettività giuridica nella tutela dell'ordine
costituzionale. La Suprema Corte 3 aveva desunto, prima della novella del 2001,
che debba escludersi la configurabilità del reato quando la finalità di terrorismo o
di eversione attenga ad uno Stato straniero. Non rileva, poi, ai soli fini del reato de
quo, che il comportamento dell'associazione indirettamente perturbi o leda i
principi dell'ordinamento italiano: tale fatto sarebbe sanzionato, invero, da altre
norme che tutelano il singolo valore costituzionale casu casu leso. L'art. 270-bis si
collocò per punire quell'associazione che si ponga in modo diretto il fine di
eversione dell'Ordinamento italiano e la mancanza di detto fine fa' venire meno
l'elemento costitutivo del reato stesso. La Cassazione osservava come: «la
particolare individuazione del bene protetto come "l'ordinamento italiano" da una parte
non pone detta norma fuori dalla categoria dei reati a tutela della personalità dello Stato
[...] e dall'altro si riferisce, in ogni caso, all'ordinamento costituzionale italiano. È
soltanto questo ordinamento che costituisce il bene giuridico tutelato dalla norma. [...]
anche detto reato, come molti altri del titolo in questione, si caratterizza per
un'anticipazione della soglia di punibilità ottenuta attraverso l'attribuzione di rilevanza
ad attività meramente preparatoria con una conseguente accentuazione del ruolo delle
"componenti soggettive" dell'illecito penale. Il fine di eversione dell'ordinamento
democratico, infatti, non solo denota la necessità del dolo specifico (che invero è già indicata
nel proponimento del compimento di atti di violenza), ma soprattutto qualifica l'atto di
violenza e quindi qualifica la stessa associazione. Pertanto, la mancanza del fine
dell'eversione dell'ordinamento costituzionale italiano, non solo rileva sotto il profilo
MANZINI, Trattato, IV, p. 376.
FIANDACA-MUSCO, Diritto, p.s., I, p. 43.
3 Cfr intra multos Cass. Pen., sent. 204785/1996 in Foro italiano, 1996, II, p. 578.
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soggettivo, ma "anticipatamente" anche sotto il profilo dell'elemento materiale, poiché
l'associazione non ha la finalità richiesta dalla legge e quindi non è integrata
l'associazione di cui all'art. 270-bis».
La giurisprudenza non si esentò dal ravvisare in tale fattispecie un reato di
pericolo presunto per la cui realizzazione sarebbe sufficiente la costituzione di
un'associazione che aggiunga agli schemi normativi ex art. 416 c.p. quelli speciali
del disposto normativo art. 270-bis c.p.
Il soggetto passivo di questo reato si identifica nello Stato italiano, nella
sua personalità interna. A differenza del delitto di cui all'art. 270 c.p. doveva
dunque escludersi - prima del 2001 - la personalità internazionale dello Stato in
quanto l'ordine democratico non è attinente alla personalità internazionale.
3. Il novum storico e la necessaria l. 438/2001
Con l'11 settembre 2001 si apre un nuovo dibattimento sulla efficienza
dell'art. 270-bis c.p. così formulato: i tragici eventi di New York hanno determinato
una svolta nelle esigenze di tutela dell'ordine pubblico rendendo improrogabile la
necessità di rafforzare gli strumenti di contrasto verso il terrorismo internazionale
prevedendo l'introduzione di adeguate misure sanzionatorie e di idonei dispositivi
operativi. Se i riferimenti normativi prima prevedevano unicamente sanzioni ad
atti aventi finalità terroristiche, ora, in tutto l'asset normativo, è introdotto "anche
internazionale".
Il legislatore italiano si rende qui conto che l'esigenza internazionale, nel
piano di stretto collegamento che la globalizzazione ha elaborato, diventa
l'esigenza del singolo soggetto nazionale. Oggi non possiamo più, infatti, pensare
che ciò che accade negli Stati Uniti, piuttosto che in Medio Oriente, siano
accadimenti lontani da noi: gli sviluppi di azioni terroristiche in quei Paesi
potrebbero giungere a noi in tempi rapidissimi. In questa scia si è collocata la l. 15
dicembre 2001, n. 438. Il testo originario rimane invariato salvo due aggiunte: la
prima prevede che il soggetto attivo non sia unicamente colui che promuova,
costituisca, organizzi o diriga, bensì anche colui che finanzia, ivi riferendosi,
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principalmente, a fenomeni di terrorismo internazionale. La seconda novità
costituisce nell'introduzione dei commi 3 e 4:
«Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di
violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale.
Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o
furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il
profitto o che ne costituiscono l'impiego».
Il soggetto attivo del reato può essere qualsiasi soggetto, cittadino italiano
o straniero, che agisce nel territorio dello Stato anche rivolto ad uno dei soggetti
di cui al comma 3. È un reato plurisoggettivo a concorso necessario essendo
condicio si ne qua non che per la sua commissione vi sia la creazione, o la
preesistenza, di una struttura organizzata partecipata da più persone. Il legislatore
non ha ivi previsto, al pari della banda armata, un quantitativo minimo di
partecipanti ma definendo esso stesso il termine “associazioni” all’interno dell’art.
270-bis c.p. pare come voglia rimandare tacitamente all’art. 416 c.p. secondo cui il
numero minimo di soggetti è pari a tre. Nel nuovo disposto normativo il soggetto
passivo è, oltre che lo Stato italiano, quello estero, le organizzazioni ovvero
istituzioni internazionali – ciò in assoluta riforma rispetto il vecchio modello
dell’art. 270-bis c.p. che, in rinvio all’art. 270 c.p., non ottemperava altri soggetti
all’infuori dello Stato italiano seppur nella sua personalità interna ed
internazionale.
Quanto all'elemento materiale occorre esaminare il profilo della condotta
sotto il significato di associazione ed i fini da essa perseguiti. Con associazioni
debbono intendersi non solo le società intese come il comune sentire ma altresì i
partiti politici, i comitati, le organizzazioni di ogni specie, permanenti o
occasionali4. Ciò che, ai fini della punibilità, rileva è la sussistenza di fatto di un
sodalizio essendo trascurabile la presenza o meno di uno statuto o regolamento
interno. In ogni caso non può configurarsi l'associazione senza l'esistenza di
un'organizzazione, sia pure sommaria e rudimentale, che predisponga attività e
mezzi con la dazione di vari compiti agli associati: le singole condotte, in tal
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MANZINI, Trattato, IV, p. 364.
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contesto, rilevano penalmente solo in quanto oggettivamente collegate tra loro
dall'associazione stessa. Affinché tali sodalizi assumano rilievo penale occorre che
perseguano gli scopi prefissati con l’uso della violenza. Tale vis consiste in qualsiasi
forza illegittima, sul piano morale o fisico, contro res o persone; questo requisito è
da ritenersi implicito quando l'associazione non si limiti a propagandare idee bensì
miri a realizzazioni pratiche da attuarsi mediante violenza contro le resistenze che
gli ordinamenti necessariamente e ragionevolmente opporrebbero ai tentativi di
sovversione o terrorismo.
La giurisprudenza ha affermato che, al fine che si rammostri la
configurabilità di tale reato, è necessario che più persone concorrano nel formare
una struttura organizzata che realizzi una autonoma realtà distinta dai singoli
partecipi ed idonea di per sé stessa a perseguire uno specifico programma di azioni
violente; è dunque richiesto il solo vincolo associativo riferito al programma, non
identificando il minimo numero di partecipanti né la consistenza di mezzi idonei
alla realizzazione dei fini, né un effettivo pericolo per lo Stato essendo questo già
presunto dalla legge in via assoluta per il solo fatto della formazione
dell'associazione anche se essa sia rudimentale. Quanto attiene alla struttura
organizzativa dell'associazione è granitica la giurisprudenza ad affermare la non
necessità che questa assuma ingenti dimensioni né che la struttura debba essere
salda e munita di mezzi consistenti idonei ai fini 5. La norma dell’art. 270-bis muove
tutela non sulle idee bensì avverso il programma di violenza: l'idea, anche se di
natura eversiva ma non sorretta da condotte violente, riceve tutela
dall'orientamento democratico stesso che essa mira a distruggere.
Quanto al fine, come già si è più volte detto, esso deve mirare al
compimento di atti violenti con ulteriore fine terroristico. A differenza dell'art. 270
c.p., nell’art. 270-bis c.p. gli atti di violenza preordinano un programma concreto e
specifico non essendo, l'idea eversiva, non accompagnata da propositi concreti ed
attuali di violenza rilevanti. Pertanto, affinché sussista un delitto de quo
l'associazione deve proporsi non un disegno generico anche di matrice
rivoluzionaria bensì concreto e specifico programma di azioni violente, anche non
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Cfr. inter multos Cass. Pen., sent. 186854/1990, Delle Chiaie, in Mass. Cass.
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necessariamente terroristiche, col fine di sovvertire violentemente l'ordinamento.
In merito ai requisiti di atti violenti l'opinione prevalente è che debbano assumere
rilievo penale 6 , quelli che impieghino illegittima forza fisica o morale, contro
persone o cose, anche se non trascenda a fatti costituenti per se stessi reato. A loro
volta tali atti debbono essere indirizzati all'eversione dell'ordine democratico che,
ex art. 11 l. 29 marzo 1982, n. 304, deve intendersi quale l'ordinamento
costituzionale. Tale ordinamento costituzionale equivale al complesso dei principi
di cui è formato lo Stato secondo la Costituzione ed espressione dei principi
fondamentali che nella Carta fondamentale servono a definire natura e struttura
dello Stato 7.
Dato certo è che la finalità di terrorismo e quella di eversione
dell'ordinamento costituzionale sono concettualmente distinte: rileva alla finalità
terroristica quella di incutere terrore nella collettività con azioni criminose
indiscriminate dirette non avverso i singoli bensì contro ciò che essi rappresentano
o, se dirette ad un singolo, miranti ad incutere terrore per sfiduciare l'Ordinamento
ed indebolire la struttura. Il fine eversivo è raffrontabile nel più diretto scopo di
sovvertire l'Ordinamento costituzionale travolgendo l'asset pluralistico e
democratico dello Stato disarticolandone le strutture, impedendone il
funzionamento o deviando dai principi fondamentali che costituiscono l'essenza
dell'ordinamento costituzionale. Dal punto di vista probatorio tali fini ben possono
desumersi dalla convergenza di differenti elementi quali la personalità degli
associati con la loro comprovata qualificazione ideologica, la disponibilità di
immobili destinati a riunioni clandestine, il possesso di armi, il rinvenimento di
eventuali documenti falsi o di altri accessori ad attività chiaramente illegali, la
detenzione di carte o scritte con chiari contenuti sovversivi o terroristici destinati
all'uso ed alla distribuzione, dalla disponibilità di somme ingiustificate ed ancora
qualsivoglia elemento logicamente affine allo scopo descritto in tale condotta
illecita.
FIANDACA-MUSCO, I, p. 44.
RICCI, Delitti contro la personalità dello Stato e "terrorismo internazionale": considerazioni sul
caso Achille Lauro, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1991, p. 651.
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La condotta può dunque essere indirizzata a due livelli: il primo vede
un’attività promotiva, costitutiva, organizzativa, direttiva o finanziatoria, il
secondo è un mero status di partecipante generico. Già solo dalla previsione di
siffatte condotte desumiamo chiaramente come debbano essere presenti più
consociati stabilmente organizzati. Tra le differenti viene messa in luce,
specialmente grazie alla novità legislativa del 2001, la condotta del finanziamento,
novum assoluto nell’alveo dei reati associativi del codice penale se si pensa che la
punibilità del finanziatore era prevista unicamente per il sodalizio finalizzato al
traffico di sostanze stupefacenti ex art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
L’innovazione è giustificabile dato l’enorme rilievo che assume l'apporto
finanziario nel mantenimento di una struttura organizzativa e nell'attuazione di
attività aventi fine terroristico. Con tale valvola si colpiscono poi tutte quelle
condotte che, diversamente, non possono essere ricondotte alla mera
partecipazione ma che comunque assimilano uno scopo contributivo all'esistenza
stessa del societas delinquendi. Il finanziamento di gruppi terroristici è un reato a
forma libera nel quale è consentito sussumere ogni tipo di investimento di capitali,
di raccolta di fondi o di conferimento di beni o di altra utilità. L'apporto finanziario
deve poi volgere al consolidamento ed al mantenimento dell'associazione, non
anche dei singoli associati. In ordine alle altre condotte la giurisprudenza ha
definito con specificità l’organizzatore rispetto a chi dirige l’associazione. Così,
l'attribuzione a taluno del ruolo di organizzatore non implica direttamente che
costui si occupi del coordinamento e della direzione dell'attività degli altri
delinquenti, bensì è unicamente richiesto che l'attività del soggetto abbia i requisiti
della essenzialità e della infungibilità - intesa, come non facile sostituibilità e non
come indispensabilità. La mera partecipazione si definisce invece non come la
condotta di chi spenda una qualsivoglia attività in favore dell’associazione con il
placet di coloro i quali dirigono il sodalizio, non sapendo infatti se l’associazione
stessa lo possa già, con tanto, ritenere sodale o meno 8, bensì l’effettiva attività
violenta condotta in senno alle direttive ed ai mezzi disposti dall’associazione
stessa.
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LATTANZI, Codice penale annotato con la giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 2008, p. 745.
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L'elemento soggettivo richiesto per l'imputabilità ex art. 270-bis c.p. sono
il dolo generico e quello specifico. Il primo attiene alla cosciente e libera volontà
di commettere l'azione ossia promuovere, costituire, organizzare, dirigere o
finanziare associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con fini
di eversione dell'ordine democratico. Il dolo specifico consiste nell'atto a scopo
terroristico o eversivo in sé: si qualifica nella scienza di capovolgere l'ordinamento
o compiere azioni che incutano il sentimento del terrore tra i consociati.
A chiosa occorre spendere due parole circa il rapporto tra l'art. 270-bis c.p.
ed il reato di banda armata. Tra i due pare infatti ravvedersi un concorso: tra la
fattispecie tipica ex art. 306 c.p. e quelle speciali ex artt. 270 e 270-bis c.p. il rapporto
è non già di specie a genere bensì di mezzo a fine. Il delitto di banda armata è infatti
caratterizzato dallo scopo di commettere un reato contro la personalità dello Stato,
tra cui trovano conforto gli artt. 270 e 270-bis c.p. Per rispondere dunque del reato
di cui al disposto normativo art. 306 c.p. è sufficiente il fine anche non raggiunto,
e quanto il reato-fine si verifica non può che concorrere con la banda armata, e
d'altro canto le posizioni di cui agli artt. 270 e 270-bis c.p. sono assolutamente
compatibili con quelle ex art. 306 c.p. trattandosi di ipotesi che possono anche
rimanere distinte sul piano organizzativo e della componente soggettiva
ravvisando come, tipicamente, le associazioni terroristiche prevedano uno
scandagliamento di gradi per la partecipazione alle stesse ed essendo d'uopo
l'esclusione, almeno nei periodi iniziali, di una parte degli adepti dall'inserimento
nelle strutture militari. Invero, a conferma di quanto appena detto, l'art. 306 c.p.
conserva natura strumentale nei confronti dei delitti di cui all'art. 302 c.p., ed il
raggiungimento del fine porta come conseguenza che il reato-mezzo - art. 306 c.p.
- ed i reati-fine - art. 302 c.p. - concorrano tra loro ed essendo ravvisabili,
nell'elenco di cui all'art. 302 c.p. i delitti non colposi di cui agli artt. 270 e 270-bis
c.p. va' da sé come sia configurabile il concorso fra questi.
4. Terrorismo e associazioni islamiche, le nuove frontiere
Punto di dibattito recente è se a concorrere ad assoggettare componenti rei
di terrorismo sia anche la comune appartenenza ad associazioni religiose di matrice
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islamica. Sul punto è intervenuta la Suprema Corte 9 su un ricorso proposto
avverso un’ordinanza del 26 maggio 2004 con la quale il Tribunale di Firenze,
riteneva sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di associazione
per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale nei confronti di alcuni
soggetti
appartenenti
ad
un'organizzazione
integralista
islamica
che
propagandava la Jihad ovvero fanatismo religioso-militare inteso come chiara
violenza indirizzata a Stati et Organizzazioni internazionali mediante uso di
kamikaze ossia veri e propri ordigni umani. Gli indagati, accusati di essere
reclutatori e parte di un disegno associativo volto poi alla commissione violenta
delle teorie propugnate, erano destinatari di misure cautelari cui ricorrevano
lamentando una non corretta interpretazione del disposto normativo art. 270-bis
c.p. asserendo come, dalle intercettazioni poste alla base dei provvedimenti
restrittivi, sarebbero state travisate mere espressioni di diversi punti ideologici da
parte dei mussulmani in relazione alla campagna militare statunitense in Iraq. La
Cassazione, investita della questione, confermava le tesi dei giudici di legittimità
ritenendo sussistente un’associazione per delinquere con finalità terroristiche
internazionali e di un programma d’azione orientato all'indottrinamento ed al
fanatismo religioso-militante. Per il Tribunale l'associazione di cui all'art. 270bis c.p. è «una struttura organizzativa caratterizzata da un programma comune ai
partecipanti con il proposito del compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo
internazionale», dovendo dunque ritenere terroristica ogni cellula collegata alla
rete di Al Qaeda. In questa struttura in cellule non è rinvenibile né una gerarchia,
né il capo, in quanto il vincolo troverebbe sostegno e fondamento nella c.d.
"fratellanza musulmana". Come ritiene la Suprema Corte, la costituzione del
sodalizio criminoso non potrebbe essere esclusa dal fatto che lo stesso è «imperniato
per lo più attorno a nuclei culturali che si rifanno all'integralismo religioso islamico,
perché, al contrario, i rapporti ideologico-religiosi, sommandosi al vincolo associativo che
si propone il compimento di atti di violenza finalizzati a terrorizzare, lo rendono ancor
più pericoloso».
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Cfr. Cass. Pen., sez. II, sent. 17.01.2005, n. 669, in Mass. Cass.
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In diverse circostanze la Cassazione ha specificato come il terrorismo
«rappresenta un metodo di lotta che mira a spargere il disordine, il panico» 10 o, meglio,
il fine terroristico si individua in «quella di incutere terrore nella collettività con azioni
criminose indiscriminate, dirette cioè non contro le singole persone ma contro quello che
esse rappresentano o, se dirette contro la persona, indipendentemente dalla sua funzione
nella società, miranti ad incutere terrore per scuotere la fiducia nell'ordinamento costituito
ed indebolirne le strutture», definizioni poi ampliate dalla giurisprudenza di merito
che ritiene come tale metodo di lotta sia caratterizzato dal frequente uso di
strumenti violenti ovvero ad una violenza eccessiva, spietata e gratuita
dimostrativa dell’assoluto disprezzo dei beni giuridici tutelati.
Il fatto che sicuramente, più di ogni altro, oggi è in grado di far tornare in
auge questo art. 270-bis c.p. è il dover fronteggiare un pericolo comune che si è già
dimostrato in grado di compiere atti terroristici a livello internazionale in senno
ad un’organizzazione ben studiata e comprovata: l’I.S.I.S. Questo, anche noto con
l’acronimo I.S.I.L., è lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, organizzazione
estremista islamica presente in Iraq ed in Siria composta da combattenti militanti
quantificati in circa cinque o sei mila, in Iraq, e sei o sette mila, in Siria. Questa
associazione ha preso il posto dello Stato Islamico dell’Iraq (I.S.I.), gruppo affiliato
ad Al Qaeda prima che venne disconosciuto da Ayman al Zawahiri. In Siria i
militanti sono in gran parte siriani ma i leader sono iracheni o libici, già esperti di
combattimento in suolo iracheno, afgano e ceceno; in Iraq sono iracheni ed i
dirigenti tunisini e sauditi. La disponibilità armata conta di circa trentamila unità
con soggetti privi di un’uniforme comune ma contraddistinti dal costante uso del
passamontagna modello Mephisto nero col quale nascondono la propria identità. I
membri di questa organizzazione sono soggetti ricchi di una forte determinazione
religiosa basata sull’idea che morire da martiri implichi l’entrata nel paradiso
islamico col relativo guadagno di goderne i benefici materiali. Sicuramente la
ferocia di tale organizzazione terrorista è comprovata dai fatti: il 25 luglio 2014
venne distrutta a Mosul la Moschea di Giona in quanto frequentata anche da
Cfr. Cass. Pen., sez. I, 5 novembre 1987, in Riv. pen., 1988, p. 892; Cass. Pen., sez. I, 21
ottobre 1983, in Giur. it., 1985, II, pp. 20 ss.; Cass. Pen., sez. I, 27 ottobre 1987, in Riv. it.
dir. proc. pen., 1991, pp. 641 ss.; Cass. Pen., sez. I, 10 maggio 1988, ibidem, p. 641.
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cristiani e da questi definita quale meta di apostasia; oltre cinquecento membri
della comunità pre-islamica degli Yazidi sono stati uccisi tra luglio ed agosto 2014;
centinaia di donne sono state sequestrate e ridotte in schiavitù; oltre seicento
membri di gruppi rivali sono stati massacrati. Anche quanto alla disponibilità di
armi godono di un ampio arsenale composto di carri armati, sistemi missilistici,
cannoni, lanciagranate e fucili automatici. Soggetti dunque che calzano a pennello
il vestito del legislatore italiano ex art. 270-bis c.p. che forse deve essere adattato,
magari con la previsione di una specifica aggravante in ordine al fatto che il solo
essere parte di una associazione terrorista di matrice islamica a portata
internazionale faciliti il reperimento di mezzi per l’associazione stessa, per soggetti
componenti di organizzazioni terroristiche di tale portata.
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