Il role-playing: un`esperienza narrativa e un

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Il role-playing: un`esperienza narrativa e un
Satu Heliö
Il role-playing:
un’esperienza narrativa
e un atteggiamento mentale
Traduzione di Elisabetta Felaco
L’autrice descrive la relazione fra gioco e narrazione, e prosegue trattando le implicazioni per il gioco di ruolo. La sua tesi principale è che i giochi
di ruolo rappresentino un particolare tipo di gioco con forti aspirazioni narrative, dato che i giochi vengono “narrativizzati” in diversi modi.
Questo porta all’idea del role-playing come atteggiamento mentale che
può essere utilizzato anche in altri tipi di giochi.
All’inizio degli anni Novanta sarebbe stato impensabile dire che è possibile
studiare i giochi in ambito accademico, se non all’interno degli studi sociali. Ma grazie alla ricerca nelle arti e culture digitali, e al crescente interesse
nell’ipertestualità e in altre forme di narrazione interattiva, nelle conferenze
internazionali hanno cominciato a fare la loro comparsa sempre più giochi
testuali e addirittura articoli sui giochi. Nel 2001 Espen Aarseth, professore
norvegese di letteratura e autore del libro Cybertext, ha lanciato una rivista
scientifica chiamata Game Studies1 con un gruppo internazionale di colleghi
e questo fatto, insieme ad alcune conferenze, è stato l’inizio dello studio del
gioco come disciplina. Il loro programma di ricerca è quello di studiare i giochi in quanto giochi, concentrandosi principalmente sui giochi elettronici, per
via della storia dello studio del gioco e del fatto che i giochi elettronici sono
la forma di intrattenimento a più rapida crescita di diffusione al mondo, e che
c’è poca ricerca disponibile a riguardo.
http://www.gamestudies.org.
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I giochi di ruolo ovviamente si stanno facendo strada in ambito accademico e nelle discussioni critiche, ma al momento il numero di articoli a riguardo
è ancora più piccolo che per quanto riguarda i giochi elettronici. È strano perché i giochi di ruolo sono stati il punto di partenza per i videogiochi,2 quindi
si potrebbe immaginare una maggiore presenza di studi a riguardo. Forse la
mancanza di studi è dovuta al fatto che i giochi elettronici coprono un giro
d’affari maggiore e oggigiorno sono associati a un immaginario meno di nicchia. Negli ultimi anni c’è stato un crescente interesse nello studio dei giochi
di ruolo, sopratutto nei paesi nordici (dove lo studio del gioco è cominciato
da diversi anni).
Definire un gioco
L’espressione “gioco di ruolo” contiene la parola gioco. Cosa, dunque, rende un gioco di ruolo un gioco? Oppure non si tratta affatto di una forma
di gioco? Nello studio del gioco, sono state date diverse definizioni di gioco
sempre più specifiche:
[Un gioco è] una struttura narrativa di significati endogeni che richiede ai giocatori di cercare di raggiungere uno scopo superando delle difficoltà. (Costikyan 2002)
Un gioco è un sistema in cui i giocatori ingaggiano un conflitto fittizio, definito
da regole, che si conclude con un risultato quantificabile. (Salen e Zimmerman
2004, 80)
Un gioco è un sistema formale chiuso che rappresenta soggettivamente una
parte della realtà. (Crawford 1982)
Inoltre, l’antropologo francese Roger Caillois (1961, 6-7) descrive il piacere
di giocare nel modo seguente:
Il gioco consiste nel bisogno di trovare, d’inventare immediatamente una risposta che sia libera nei limiti delle regole. Questa libertà del giocatore, questo margine accordato alla sua azione, è essenziale al gioco e spiega in parte il piacere
che esso suscita.
Molte definizioni di “gioco” contengono come elementi fondamentali regole, strutture temporali, condizioni per la vittoria, conflitto e obbiettivi. Ognuno di questi elementi, eccetto che le condizioni per la vittoria, si possono
trovare nei giochi di ruolo, quindi i giochi di ruolo sembrerebbero qualificarsi
come giochi per definizione. Dividerò i giochi di ruolo in una serie di forme
di role-playing con diversi tratti in comune: sono tutti giochi che consistono
in azioni strategiche simulate in un mondo fittizio, dove le situazioni conflittuali sono fortemente incoraggiate e supportate dalla struttura del gioco, cioè
Vedi Brad King e John Borland (a cura di) (2003), Dungeons and Dreamers: The Rise of Computer
Game Culture from Geek to Chick.
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dal game master e dal regolamento (per quanto riguarda l’idea di favorire i
conflitti attraverso la creazione dei personaggi, vedi Lankoski e Heliö 2002 e
Lankoski, Heliö e Ekman 2003). I giocatori partecipano a tali giochi di solito
attraverso gli occhi di un personaggio immergendosi nella sua vita. Il conflitto in un gioco può essere interno o esterno, cioè basato sul personaggio o il
gruppo di personaggi oppure basato sull’ambientazione, e può essere usato
come punto di partenza, motivazione o elemento dinamico del gioco.
I giochi di ruolo solitamente vengono divisi in tre categorie: per prima cosa
ci sono i giochi di ruolo al tavolo, che vengono abitualmente giocati, appunto,
attorno a un tavolo dove i giocatori interpretano i propri personaggi in una
maniera più o meno immedesimativa. Poi ci sono i giochi di ruolo dal vivo,
dove i giocatori si vestono come i propri personaggi e li rappresentano recitando in un ambiente che simuli il mondo del gioco. Infine ci sono i giochi di
ruolo per computer, dove il mezzo è il gioco elettronico. In essi la parte centrale del role-playing è simile a quella dei giochi al tavolo ma talvolta è limitata
dal mezzo di comunicazione usato. Quest’ultimo tipo di giochi è l’unico che
presenta la possibilità di role-playing con un singolo giocatore, per quanto
una situazione del genere possa sembrare paradossale.
Nella famiglia dei giochi di ruolo c’è anche una gran quantità di altri tipi
di giochi e attività simili al gioco che possono essere incluse o escluse, come i
giochi di carte collezionabili (come Magic: The Gathering) e i giochi strategici
di miniature (come Warhammer 40.000), o diverse tipi di combinazione fra
forme teatrali e larp, come il fateplay.
Di solito in queste forme di gioco è presente l’azione del role-playing, ma il
punto focale può andare più verso la competitività del gioco (MtG, Warhammer)
o verso la rappresentazione immedesimativa (come nel fateplay), piuttosto che
concentrarsi sul role-playing.
Alcuni teorici sostengono che i giochi di ruolo non dovrebbero essere classificati come giochi, perché la maggior parte di essi non contiene nessuna
condizione per la vittoria né regole fisse. Lo studioso di giochi Jesper Juul e i
creatori di giochi Eric Zimmerman e Katie Salen commentano che questo tipo
di giochi potrebbero essere visti come giochi “caso limite”, o casi di confine
(Salen e Zimmerman 2004, 81-82; Juul 2003, 39). A ogni modo non vengono
considerati giochi veri e propri. Tuttavia i giochi di ruolo continuano a mantenere la propria posizione ambivalente e una grande varietà di stili di gioco.
Per comprendere appieno il fenomeno, dobbiamo capire come funzionano,
quali tratti hanno in comune con gli altri giochi e cosa li rende speciali. Ora
che sappiamo che i giochi di ruolo come categoria rappresentano un caso
limite fortemente orientato verso il gioco, dobbiamo esaminare quale sia il
ruolo della loro parte narrativa. I giochi di ruolo sono storie? E se questo è
vero, che tipo di storie sono?
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Raccontare storie?
Le teorie sui racconti interattivi e la loro relazione con i giochi spesso hanno idealizzato l’argomento. Lo stesso atteggiamento si trova anche in alcune
delle teorie che riguardano i giochi di ruolo. Per esempio Murray (1999, 152)
scrive: “Forse il prossimo Shakespeare del mondo sarà un fantastico game
master di giochi di ruolo dal vivo e un esperto di informatica” (vedi anche
Mackay 2001).
Per confutare questo tipo di idealizzazione, il ricercatore danese esperto
nell’ambito dei giochi Jesper Juul ha esaminato alcuni dei falsi miti riguardanti giochi e racconti nel suo articolo Games Telling Stories?, in cui viene presentato un approccio che nell’ambito dello studio del gioco è stato denominato
“ludologia”. Il termine è stato coniato alla sua origine da un altro ricercatore e
progettista di giochi, l’uruguaiano Gonzalo Frasca. L’idea alla base di questo
approccio è quella di studiare i giochi in quanto tali, per i loro meriti, e di
mettere in discussione i tentativi di interpretare i giochi come racconti, rappresentazioni ecc. (vedi Frasca 2000).
Trovo che questo tipo di approccio ludologico sia molto rinfrescante e lucido. Secondo Juul, ci sono almeno tre tipi di argomentazioni che di solito vengono utilizzate per mettere alla pari giochi e racconti: 1) usiamo i racconti per
qualsiasi cosa; 2) molti giochi contengono introduzioni e retroscena dati in
forma narrativa; 3) i giochi condividono alcune caratteristiche con i racconti.
Juul poi esplora tre importanti motivi per interpretare i giochi come fenomeni
non-narrativi: 1) i giochi non sono parte del sistema di mezzi narrativi formato da film, romanzi e teatro; 2) il tempo nei giochi funziona in modo diverso
che nei racconti; 3) la relazione fra il lettore o lo spettatore e il racconto e
diverso da quella fra il giocatore e il gioco (Juul 2001).
Per arrivare alla base del dibattito riguardo la relazione fra giochi e racconti
bisogna fare riferimento allo studio di racconti e narrazione. Questa disciplina
è chiamata narratologia, e sotto le sue ali accademici esperti di letteratura e
cinema hanno stabilito un certo numero di definizioni per i concetti chiave.
Per esempio, una “storia” è stata definita nel modo seguente:
La storia consiste negli eventi e nei personaggi. Il “testo” è un discorso, scritto o
parlato, che si occupa di portare avanti l’esposizione. Il testo è ciò che leggiamo.
Dato che il testo è parlato o scritto esso implica che ci sia qualcuno per pronunciarlo o scriverlo. L’atto o il processo dell’esposizione è un terzo aspetto: la
“narrazione”. (Rimmon-Kenan 1983, 3)
Riassumendo: la narrazione richiede sempre un narratore e qualcuno per
cui la storia viene narrata. In un gioco questo non è vero. Ma nei giochi di ruolo si può dire che tutti i giocatori partecipano alla narrazione e allo stesso tempo ne sono spettatori. Una teorica dei racconti interattivi, Janet Murray, scrive:
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I giochi di ruolo sono rappresentazioni drammatiche in un senso non tradizionale ma affascinante. I giocatori sono sia attori sia spettatori e gli eventi che
vengono rappresentati possiedono l’immediatezza di un’esperienza personale.
(Murray 1999, 42)
Questo però non trasforma il gioco in una storia e ancor meno in un racconto. In un gioco di ruolo i giocatori hanno, allo stesso modo di uno sceneggiatore, gli elementi della trama, le azioni che formano la storia, il potere del
game master che guida il gioco e hanno del materiale scritto per il background.
Ma le azioni presenti in un gioco non creano una storia. Possiamo raccontare
storie sulla vita, ma questo non rende le nostre vite, nel loro stesso accadere,
storie in sé: la storia della vita di qualcuno è sempre subordinata alla vita realmente vissuta (cfr. Juul 2001).
Esperienze narrative
Nei giochi di ruolo colui che racconta e la storia raccontata hanno entrambi
delle gravi mancanze: non c’è nessuno per cui la storia viene narrata e non c’è alcun narratore. Naturalmente possiamo ipotizzare che il game master e i giocatori
ricostruiscano la storia giocando, cosa che è in parte vera. Tuttavia, bisogna notare che non c’è realmente una storia in un gioco di ruolo, sebbene ci siano eventi,
personaggi e strutture narrative che danno ai giocatori le basi per interpretarlo
come un racconto. Abbiamo diverse strutture a disposizione, che possiamo completare grazie alla nostra immaginazione durante lo svolgimento del gioco (entro
certi limiti). Abbiamo anche la possibilità di seguire diversi tipi di premesse e
strutture narrative e abbiamo la possibilità di imitarle per i nostri scopi e creare
esperienze narrative più autentiche e più adatte alla situazione. Abbiamo il “desiderio narrativo” di mettere in relazione fra loro le parti che interpretiamo, per
costruire una trama a partire da elementi ricorsivi e paralleli (Brooks 1984). Il
desiderio di raggiungere questo tipo di risultato nei giochi è stato descritto come
“intrigo”, una trama nascosta con diversi possibili risultati (Aarseth 1997, 112).
Come già osservato, il desiderio narrativo può essere alimentato da specifiche soluzioni nella progettazione del gioco: per esempio, idee derivanti dal
dramatic writing possono essere usate come base per la creazione del personaggio (Lankoski e Heliö 2002). Inoltre, con mezzi simili, è possibile guidare
l’interpretazione del giocatore (Lankoski, Heliö e Ekman 2003).
A questo punto sembra ovvio che i giochi non sono storie e che con esse
condividono solo alcune caratteristiche. Comunque, la delicata struttura del
processo di role-playing e l’implicita propensione alla narrazione, come pure
l’intenzione di creare un’esperienza narrativa per i giocatori, sono le cose che
rendono i giochi di ruolo così interessanti.
Questo ci fa capire quanto sia importante per noi interpretare una sequenza di eventi come una storia in cui raccontare le cose che consideriamo im131
portanti. Il desiderio narrativo diventa evidente in questi momenti. Non rende
i giochi storie, né rende gli eventi in essi presenti storie. Sono la nostra interpretazione e le nostre aspettative che cercano prepotentemente un racconto,
e questo diventa evidente nel modo in cui verbalizziamo le nostre esperienze
dopo aver giocato. Nei larp finlandesi, le sedute di debriefing offrono ai singoli giocatori l’opportunità di “narrativizzare” la propria esperienza nel gioco.
Questa è la mia argomentazione centrale. Un gioco di ruolo è un particolare tipo di gioco narrativo, ma il punto di vista teorico è diverso da quello usato per
mettere in relazione la maggior parte di giochi con delle esperienze narrative.
I giochi di ruolo si basano sulla comunicazione. Per questo motivo cominciamo a creare storie, cominciamo a verbalizzare, e da ciò deriva l’esperienza
narrativa. In questi giochi sono presenti alcune forti strutture che supportano
la narrazione e permettono di vivere il gioco come un racconto. Inoltre, c’è
una forte base verbale che favorisce la nostra “lettura” narrativa dei giochi.
Per esempio, vengono spesso usati termini come “punti dramma” e “narratore”, creando così la sensazione di una storia che prende forma durante il gioco
(vedi, per esempio, Vampiri: la Masquerade).
Di solito lo scopo di un gioco di ruolo è quello di generare un’esperienza
narrativa, o di interpretare gli eventi del gioco in tal senso. Questa a sua volta
diventa un’esperienza emotiva che può variare da uno spensierato “Evviva,
abbiamo vissuto un’avventura!” a qualcosa di più serio come “Oh, adesso
capisco quanto la guerra sia un fenomeno complesso”. Il punto di vista da
cui si ottiene questo tipo di esperienza è, tipicamente, quello del personaggio
che si sta interpretando, cioè quello con cui il giocatore si identifica, e della
sua percezione degli eventi. Tuttavia, il processo immedesimativo che porta
all’esperienza emotiva non si restringe solo al personaggio che il giocatore
interpreta, dato che gli altri personaggi e il loro comportamento, le emozioni
e le esperienze degli altri giocatori, il mondo in cui il gioco è ambientato e gli
eventi che accadono durante il gioco e le loro conseguenze, tutto influenza
l’esperienza del singolo giocatore e ne è anzi il punto di origine.
Tutti i giochi di ruolo hanno in comune anche l’uso della cultura pop, specialmente di alcuni suoi generi. Per esempio, il genere fantasy è fortemente
collegato ai giochi di ruolo perché i primi giochi di ruolo sono stati sviluppati
avendo in mente la Terra di Mezzo di J.R.R. Tolkien. Oggigiorno, la struttura
dei giochi di ruolo non viene influenzata più solo dalle saghe e dai racconti
fantasy, dato che anche le serie televisive danno origine a giochi (vedi, per
esempio, Buffy the Vampire Slayer Roleplaying Game) e influenzano il modo in
cui sono interpretati e vissuti.
Per esempio esplorazione e combattimento sono temi che si trovano in
serie televisive sia di ambientazione storica sia di ambientazione contemporanea, organizzati in episodi; e possiamo trovale simili temi e simili strutture
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nelle campagne di gioco di ruolo (sull’uso della cultura pop nei giochi di ruolo, vedi Mackay 2001, 29-33). È stato anche osservato che strutture riconoscibili che facciano riferimento alla cultura pop e a elementi di genere sono utili
per mantenere una diegesi coerente all’interno del gioco (vedi Montola 2003,
80-87, Stenros 2004, Hakkarainen e Stenros 2003, 56-63).
Petri Lankoski (2003, 15-19) parla delle interpretazioni narrative e di come
usare i nostri schemi narrativi per sostenere tali interpretazioni. Vedo questo tipo di azioni (introdurre ambientazione e personaggi, dare inizio a eventi, risultati ecc.) come parti vitali per il role-playing, perché è in questo modo che possiamo realmente cominciare a costruire l’esperienza narrativa a partire da quello che abbiamo giocato e vissuto, rappresentato e sentito durante una sessione
di role-playing. Lankoski usa idee derivate dall’analisi cinematografica (Edward
Brannigan) e dalla psicologia cognitiva (Jean Matter Mandler). Con l’aiuto di
queste teorie crea un modello con cui spiega il funzionamento di questo tipo di
schemi, e prosegue descrivendo come interpretazioni narrative possono essere
aiutate adottando certe soluzioni utilizzate nella creazione di sceneggiature.
L’atteggiamento mentale
Il gioco di ruolo, inoltre, è interessante perché, benché si tratti di un genere
di gioco con i propri sottogeneri, può anche essere considerato come un metodo applicabile a qualsiasi tipo di gioco. Tutti i giochi richiedono ai partecipanti
di stipulare un certo tipo di accordo con il gioco: di accettare e seguire le regole.
Inoltre tutti i giochi richiedono l’uso dell’immaginazione, e soprattutto nei
giochi di ruolo sono enfatizzate l’esistenza di un mondo di fantasia e la condivisione di quanto immaginato. Ovviamente, un oggetto fuori gioco non si
trasforma realmente nella sua immagine data nel gioco: per esempio, anche
se un aeroplano in cielo diventa un drago nell’immaginazione di alcuni larper,
non si trasforma realmente in un drago e anche i giocatori lo sanno. Il gruppo
dei giocatori ha un contratto comune che stabilisce come comportarsi in una
simile situazione, perché essi vogliono condividere il proprio mondo di fantasia. Per sostenere quel tipo di immedesimazione, non bisogna parlare mai ad
alta voce della “aeroplanosità del drago”.
Questo metodo che usa l’immaginazione come strumento drammatico e
funzionale al gioco è il cuore delle attività del role-playing, ed è utilizzabile
anche in altri tipi di giochi. Per esempio, questo tipo di atteggiamento mentale permette al giocatore di percepire come significativi per la narrazione eventi apparentemente insignificanti. Se c’è desiderio narrativo, tirare un dado
(cosa che serve per portare la casualità nel gioco) può essere percepito come
un evento drammatico pieno di significato. Questo atteggiamento mentale si
può usare nei giochi di ruolo per ottenere una maggiore immedesimazione,
ma non costituisce una tecnica immedesimativa di per sé, visto che può essere
sfruttata anche in altri tipi di giochi.
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Quindi si può fare role-playing nei giochi di strategia, nella roulette e addirittura nei videogame sparatutto. Si può giocare perfino a calcio con questo
atteggiamento mentale: non è necessariamente un gioco di ruolo se i giocatori assumono l’identità di calciatori famosi, ma se le parti interpretate dai
giocatori sono completate da regole che definiscono l’interpretazione, allora
comincia il gioco di ruolo. Quando applichiamo il role-playing al calcio, possono esserci regole riguardo le possibilità per i diversi giocatori di fare goal a
seconda delle diverse occasioni.
È fondamentale conoscere le meccaniche dell’atteggiamento mentale e avere la volontà di usare la propria immaginazione. Anche se un gioco non prevede role-playing, come per esempio molti dei giochi di ruolo on-line multiplayer (Dark Age of Camelot e altri), persone esperte nel fare role-playing possono adottare quell’atteggiamento mentale, utilizzare il vantaggio dato dalle
funzionalità comunicative del gioco, e cominciare a fare role-playing. Questo
però richiede il supporto attivo o almeno l’approvazione degli altri giocatori:
ognuno di noi si può comportare come se fosse un principe, ma se gli altri non
agiscono di conseguenza non si tratta di role-playing. Per far emergere il gioco di ruolo, il ruolo dovrebbe essere in qualche modo in relazione alle regole
del gioco. Spesso queste relazioni esistono solo implicitamente, ma i giocatori
dovrebbero essere almeno in grado di esprimerle a parole.
Il vantaggio dell’atteggiamento mentale dato dal role-playing è che può essere
usato per rendere nuova l’esperienza data da altri tipi di giochi aggiungendo la
promessa di un’esperienza narrativa. Anche se l’atteggiamento mentale può essere utile in diversi tipi di giochi, trovo che un gioco sia davvero un gioco di ruolo
solo se possiede quei tratti che un GdR dovrebbe, per definizione, avere. Fra questi
ci sono l’insieme delle regole, diversi giocatori con personaggi e un game master.
Conclusioni
Il mio obbiettivo nell’introdurre questo modello è quello di definire i giochi
di ruolo in un modo che sottolinei la grande varietà presente fra le forme concrete di gioco di ruolo, e di capirle meglio. I giochi possono essere più “simili
a giochi”, più orientati verso l’azione o più orientati verso la narrazione, cosa
che dipende dai partecipanti e dallo stesso sistema di gioco.
È possibile estendere l’idea di role-playing ad altri tipi di gioco, e ottenere esperienze narrative attraverso l’atteggiamento mentale indotto dal roleplaying, anche con giochi che sembrano non essere giochi di ruolo. I giochi di
ruolo funzionano secondo il principio del raccontare storie, dove la premessa
dell’esperienza narrativa è contenuta nell’idea alla base del gioco e funge da
punto di partenza per il game master e da motivazione al gioco per i giocatori.
Riassumendo: l’atteggiamento mentale generato dal role-playing può essere usato quando il giocatore vuole introdurre elementi narrativi nel gioco,
indipendentemente da quale gioco si tratti.
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Tuttavia, questo atteggiamento non trasforma il gioco in un gioco di ruolo,
dato che questi ultimi, per definizione, possiedono diverse caratteristiche che
devono essere condivise dai giocatori prima che il gioco possa essere considerato un gioco di ruolo. Questo caratteristiche comprendono un insieme di
regole che è usato sia per dare una struttura al gioco stesso, sia per simulare
il mondo in cui il gioco è ambientato. Quest’insieme di regole viene messo
in atto dai giocatori e dal game master all’interno della diegesi condivisa del
gioco, e la possibilità di accordarsi sulle regole dipende dalla flessibilità del
sistema di gioco: per esempio, i giochi elettronici di solito non permettono
di scendere a compromessi riguardo alle regole o alle meccaniche di gioco, e
secondo la mia esperienza personale questa possibilità varia molto a seconda
dei casi anche per sistemi di gioco gestiti da persone reali.
Il terzo punto è che il gioco, per funzionare, richiede che i giocatori partecipino attivamente. Quindi nei giochi di ruolo dovrebbero esserci due o più
entità indipendenti. Una è il sistema di gioco che può variare da un game
master in carne e ossa ai computer che gestiscono il gioco nei giochi di ruolo
elettronici, fino agli insieme di regole dei libri-avventura per giocatore singolo. Il numero delle altre entità è dato dal numero di giocatori: il numero
massimo di partecipanti può essere uno, da uno a dieci nei giochi al tavolo,
fino a espandersi alle decine e centinaia dei larp e alle migliaia dei mmorpg.
Gli stessi giochi di ruolo differiscono dagli altri tipi di giochi nella loro propensione verso le esperienze narrative e il raccontare storie. Per la maggior
parte questo si realizza dopo che il gioco è stato giocato, quando i giocatori
verbalizzano le proprie azioni in maniera formale o informale. Pratiche formali includono le sessioni di debriefing alla fine dei larp, dove di solito il giocatore ha qualche minuto per riassumere le azioni del proprio personaggio.
Un’altra pratica comune sono i diari e le relazioni sul gioco, che vengono usati
nelle campagne più lunghe, e permettono ai giocatori e al game master di rimanere aggiornati sugli eventi del gioco. Un esempio di pratica più informale
è la tipica discussione che segue la partita riguardo gli eventi del gioco e le
azioni del personaggio.
Queste forme di verbalizzazione supportano la parte narrativa dei giochi di
ruolo e l’idea di raccontare storie in essi contenuta. Il bisogno di dare forma
narrativa alle azioni giocate è una struttura fondamentale dei giochi di ruolo.
È una caratteristica che distingue i giochi di ruolo dagli altri giochi: un GdR
è un gioco che contiene implicitamente una spinta a creare un’esperienza
narrativa e incoraggia i giocatori a raccontare storie a riguardo.
Penso che questo tipo di modello sia necessario perché secondo me non
si può dire che i giochi di ruolo non riguardino solo la rappresentazione di
mondi immaginari o il calcolo di punti esperienza, ma nemmeno che riguardino solo comunità di narratori o la creazione di racconti. Voglio considerare
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il role-playing un modo per affrontare un gioco che possa essere adattato a
diversi tipi e concetti di gioco. Il role-playing si può anche analizzare, sviluppare e realizzare in diversi modi a seconda delle proprie motivazioni. Dal mio
punto di vista, definizioni esclusive del role-playing che lo considerino solo
una forma di racconto o solo un gioco non danno a questo strumento i meriti
che merita come insieme di fenomeni complessi e diversificati. Spero che questo modello introduca una prospettiva sui giochi di ruolo utile a sviluppare
teorie a loro riguardo.
Ringraziamenti
Voglio ringraziare sinceramente tutti i miei colleghi nel Gamelab dello Hypermedia laboratory
dell’Università di Tampere e il mio caro fidanzato e collega Aki Järvinen, che mi hanno più
volte aiutato a definire meglio le mie idee e le mie osservazioni, e la mia amica e collega Heidi
Hopeametsä per le sue eccellenti critiche e suggerimenti e il suo caloroso supporto, e soprattutto
tutti i fantastici game master che ho avuto negli ultimi due anni e il gruppo teorico di Cracking
Nail Varnish, il gioco che ha reso possibile queste teorie.
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L’autrice
Satu Heliö è una gamer, game researcher e concept designer finlandese. Pratica giochi di ruolo al
tavolo dal 1990 e larp dal 1996, anche come autrice. Ha scritto diversi articoli di teoria sui giochi;
nasce studiosa di letteratura e media e poi è passata a occuparsi in particolare di giochi per computer. È una degli autori del questionario Harviainen-Heliö sulla valutazione dell’esperienza dei
partecipanti ai giochi di ruolo dal vivo.
Indicazioni bibliografiche di questo articolo:
Heliö S. (2004), “Role-Playing: A Narrative Experience and a Mindset”, in Beyond Role and Play –
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