Al R. P. Christof Heimpel, C.O. di Heidelberg Deputato della

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Al R. P. Christof Heimpel, C.O. di Heidelberg Deputato della
Al R. P. Christof Heimpel, C.O. di Heidelberg
Deputato della Confederazione per l’Area di lingua tedesca
Sprecher der Deutsche Föderation des Oratoriums des Hl. Philipp Neri
Roma, 5 ottobre 2008
Reverendo e carissimo Padre,
desidero ringraziarLa, di ritorno dal mio viaggio in Germania, per l’invito a visitare gli Oratori
di Leipzig nel primo centenario della Liebfrauenkirche, di Heidelberg nel quarantesimo di
fondazione, di Dresden-Schmochtiz e di München.
La sua fraterna compagnia e la perfetta organizzazione delle giornate hanno reso ancor più
gradito questo incontro con i confratelli e con le realtà ecclesiali in cui essi operano.
Per Suo tramite li ringrazio sentitamente, assicurando che porto nel cuore e nella preghiera il
ricordo dell’amicizia e dell’esperienza vissuta.
Come ho avuto modo di dire nel saluto rivolto ai sacerdoti ed ai fedeli nella Liebfrauenkirche
di Leipzig, prima di partire da Roma ho riletto con interesse alcune pagine in cui P. Joseph Gülden
descrive l’esperienza che ha dato origine l’Oratorio in Germania: quella di un gruppo di giovani
seminaristi i quali, durante i corsi di Teologia al “Canisianum” di Innsbruck, all’inizio degli anni
’20 del secolo scorso, lucidamente coscienti della situazione di scristianizzazione della società,
cercarono, alla scuola di grandi maestri quali Romano Guardini, in un profondo rinnovamento della
vita spirituale e dell’azione pastorale le soluzioni che parevano più idonee a riportare Cristo al
centro della vita del cristiano.
La testimonianza di P. Gülden, consegnata a quegli scritti di tanti anni fa, non solo conserva
intatta la sua carica di profezia, ma stupisce per la sua attualità.
«I più provenivano dalle grandi città della Germania occidentale e meridionale. Nelle
vacanze si rendevano conto, a casa, nelle loro migrazioni o come operai nelle fabbriche o
nelle miniere, che per migliaia di esseri umani, specialmente appartenenti alla
“intellighenzia” e alla classe lavoratrice, la Chiesa era ormai una cosa vana. Essi sentivano
anche su di sé il risucchio della grande città secolarizzata. Vedevano la scarsa fecondità di
taluni industriosi metodi della vita ecclesiastica ed erano diffidenti nei confronti di molto fra
quello che era decantato come “nuovi mezzi nella cura d’anime” o anche come rimedio
universale. Vedevano anche la difficile situazione del prete secolare che, vivendo isolato,
difficilmente poteva soddisfare da solo alle molteplici e specializzate esigenze della cura
pastorale e che si trovava, con il venir meno delle fonti di energia intellettuale e spirituale da
cui attingere, nel pericolo di disperdersi nel molteplice o di svuotarsi interiormente,
rimanendo sterile ad onta della attività più zelante.
Essi dissero: non potrebbe essere un aiuto per noi stessi, per la città, ed anche per i
preti isolati, vivere una vita comune di preti secolari che si dedicano in pieno ai loro compiti
giornalieri ma attingendo energia profonda dalla vita e dalla preghiera comune e dal
reciproco aiuto? E proprio in una grande città della diaspora ci pareva utile una tale
esperienza di ricchezza intellettuale e spirituale, di reciproco aiuto nell’azione pastorale.
Ci siamo messi a disposizione del Vescovo di Meissen, per la sua diocesi della diaspora,
di recente erezione; venimmo a Leipzig-Lindenau, nel sobborgo industriale della grande città.
La fecondità della comunione si mostrò nell’affrontare i compiti del momento, nel
curare un servizio liturgico nel quale il popolo sia parte attiva (“actuosa participatio”).
La cooperazione di ingegni diversi, la reciproca correzione ed il reciproco
completamento di differenti punti di vista e la necessità di immediata prova e conferma
preservarono i nostri esperimenti da unilateralità e soggettivismi (che condussero molti
tentativi in vicoli ciechi o su strade false) e li fecero apparire anche ad altri utilizzabili.
Fu manifesta la fecondità della vita comune quotidiana nel regolare lavoro teologico,
nella lettura biblica in comune, nell’elaborazione di piani e di attività, nell’impegno di
conoscere e valutare la situazione del momento. Le cognizioni teologiche si poterono tradurre
nel linguaggio dell’annuncio per la gente semplice come per speciali sfere di studenti e di
accademici, e viceversa si elaborarono spiritualmente le osservazioni, le difficoltà e i
problemi dell’esperienza pratica.
Questa fecondità presuppone che nell’Oratorio l’interiorità sia custodita. Qui sta il
segreto della riuscita.
Occorreva ritrovare sempre nuovamente l’equilibrio fra le esigenze, di anno in anno
crescenti, che da fuori giungevano ai singoli ed alla comunità e la necessità di rendere anche
visibile e palpabile la comunanza nella preghiera e nella vita fraterna e familiare. Incombente
è sempre il pericolo di un errato desiderio di indipendenza e di isolamento del singolo nella
propria attività, con la conseguenza che la comunità fraterna resta, semmai, una
organizzazione a scopo di cura d’anime. L’Oratorio avrebbe con ciò perduto la propria
vocazione e la propria grazia di stato ed, insieme, la specifica fecondità e vivezza. Misura per
l’assunzione o meno di compiti anche allettanti o importanti, nella Congregazione
dell’Oratorio, dev’essere sempre la conciliabilità con la vita comune; la giustificazione di un
rifiuto si può vedere soltanto nell’appartenenza all’Oratorio che è vera vocazione religiosa».
(In “L’Oratorio di S. Filippo Neri”, Roma, 1963, 1, pp.1-2; 1962, 12, pp. 1-2) .
Pregando a Leipzig sulle tombe dei Padri Theo Günkel, Joseph Gülden e dei loro compagni
nella fondazione di quell’Oratorio; a Bautzen su quella di P. Otto Spülbech, divenuto vescovo di
Meissen; a München su quella dei Padri Heinrich Kalefheld, Philipp Dessauer, Ernest Tewes, poi
vescovo ausiliare della grande arcidiocesi bavarese, e di tanti altri insigni oratoriani tedeschi della
prima generazione, ho chiesto al Signore che si custodisca negli Oratori della Germania ciò che di
quella fervida stagione delle origini è essenziale.
Le forme, infatti, anche le più care, possono cambiare in relazione alle nuove situazioni dei
tempi ed alle nuove sensibilità; esse – per dirlo con una convincente immagine di Victor Hugo –
sono foglie; l’essenziale è costituito dalle radici e dal tronco: «Guardate una quercia in primavera:
tronco secolare, vecchie radici, vecchi rami; foglie verdi, fresche e nuove. La tradizione è la novità:
la tradizione produce la novità, e la novità è sorgente della tradizione».
Nella vita della Chiesa, e quindi dell’Oratorio, l’essenziale è Gesù Cristo: Gesù Cristo
contemporaneo di ogni uomo, perché presente nella storia come la realtà che più corrisponde alle
esigenze del cuore umano; l’amico che svela l’uomo a se stesso; il Signore della Chiesa, di cui si
può fare reale esperienza in un rapporto che coinvolge e salva la vita dell’uomo nella sua totalità.
Fede in Cristo è dire “sì” a questo incontro misterioso e reale con la Sua Presenza hic et nunc;
annuncio del Vangelo è trasmissione di questa esperienza, come sottolineava un grande cristiano
“sulla soglia della Chiesa”: «Le parole di vita, le parole vive non si possono che conservare vive,
calde in un cuore vivo, non ammuffite in piccole scatole di legno o di cartone»; ed aggiungeva:
«Come Gesù ha preso corpo per pronunciare queste parole, così noi – che siamo carne – dobbiamo
approfittare della carne per conservarle» (Charles Péguy).
Nelle solenni celebrazioni di Leipzig e di Heidelberg ciò che ho voluto esprimere è questa
fondamentale verità, che costituisce pure il cuore dell’impostazione data da Padre Filippo
all’Oratorio: «Chi cerca altro che Cristo, non sa quello che cerca… Cristo mio, Amore mio! Chi
vuol altro che Cristo, non sa quello che vuole»: una verità che Romano Guardini – tanto vicino
all’esperienza oratoriana in Germania da scegliere di riposare nel piccolo cimitero dei Padri di
München, quando, il 1 ottobre 1968, chiuse la sua vita terrena – esprimeva splendidamente con
queste parole: «Il cristianesimo non è una teoria della verità o una interpretazione della vita. E’
anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo essenziale. Questo nucleo è costituito da
Gesù Cristo, dalla sua concreta esistenza, dalla sua opera, dal suo destino, cioè da una personalità
storica. Tutto si attua attraverso la persona amata; essa è contenuta in tutto, tutto la fa ricordare, a
tutto essa dà senso. Nella esperienza di un grande amore, tutto il mondo si raccoglie nel rapporto
Io-Tu, e tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito».
«No, non una formula ci salverà – diceva Giovanni Paolo II nella “Novo Millennio ineunte”,
al termine del Giubileo del 2000 – ma una Persona e la certezza che essa ci infonde: “Io sono con
voi” » (N. M. I., 29).
Gesù Cristo è vivo e presente.
Non vive nel nostro ricordo come un fatto del passato, ma è Persona che entra oggi
misteriosamente nella nostra vita come entrava, due mila anni fa, nella vita della gente di Palestina.
La sua Parola ci è cara perché il Verbum consegnato alla Sacra Scrittura è Lui: Lui che parla;
l’Eucarestia ci è cara perché è Lui presente e vivo; la comunità che noi formiamo ci è cara perché
non è fondata sulla nostra decisione di stare insieme, ma sulla Grazia di una vita nuova donata da
Cristo agli uomini e alle donne che fanno esperienza della Sua amicizia e della possibilità di
realizzare pienamente la loro umanità.
Scriveva Vladimir Solov’ëv in un’opera pubblicata all’inizio del secolo XX, l’epoca in cui i
Padri fondatori dell’Oratorio in Germania vivevano le loro prime esperienze: «Quello che noi
abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che ci viene da Lui,
giacché noi sappiamo che in Lui abita corporalmente tutta la pienezza della Divinità»,.
Queste parole sono la grande risposta, messa sulle lebbra di un monaco, al Capo degli allora
immaginari “Stati Uniti d’Europa”, il quale, nell’intento di rendere i cristiani felici e sottomessi,
aveva promesso ai Cattolici, sensibili all’impegno nella storia, la preminenza nel dirigere la società
attraverso la morale e le opere di carità; agli Ortodossi, attentissimi alla santa tradizione, un Museo
universale dell’archeologia cristiana; ai Protestanti, impegnati nella libera ricerca sulla Sacra
Scrittura, la creazione di un Istituto universale di scienze bibliche.
Nell’assopimento generale dei cristiani, quel monaco levò la voce per affermare che solo la
realtà della presenza di Cristo, accolta ed amata, è l’essenziale; e che morale, tradizione, scrittura
santa sono care soltanto perché sgorgano della presenza di Gesù Cristo nella vita dei discepoli.
Lo ha ripetuto oggi nella celebrazione di apertura del Sinodo dei Vescovi sulla “Parola di Dio
nella vita e nella missione della Chiesa” Papa Benedetto XVI: «L’annuncio del Vangelo, ragione
d’essere della Chiesa e sua missione, alla scuola di Cristo ha come suo contenuto il Regno di Dio
(cfr Mc 1,14-15), e il Regno di Dio è la stessa persona di Gesù, che con le sue parole e le sue opere
offre la salvezza agli uomini di ogni epoca».
*
Grazie, carissimo P. Christof, per la convinzione con cui Ella svolge il Suo incarico nella
Deputazione Permanente e nella Federazione degli Oratori di Germania. Ho potuto constatare,
durante la mia visita, quanto la Sua dedizione all’incontro fraterno sia ripagata dalla stima e
dall’affetto dei confratelli, e quanto la Sua opera favorisca la crescita di una più organica
comunione tra gli Oratori di Germania.
Grazie anche per l’attenzione che nella Federazione è riservata a quella realtà che in varie
occasioni ho chiamato “Famiglia Oratoriana”: la comunione di spirito e di esperienze cristiane che
riunisce, in molte Nazioni, i Padri delle Congregazioni confederate, le Suore appartenenti ad Istituti
di ispirazione filippina, i Laici degli Oratori Secolari e quelli comunque sensibili alla proposta di
Padre Filippo.
Con il più fraterno abbraccio
in Corde Christi et P. N. Philippi
Edoardo Aldo Cerrato, C.O.
Procuratore Generale