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Ottobre-Dicembre 2013 • Vol. 43 • N. 172 • Pp. 215-224
immunologia pediatrica
Terapia con immunoglobuline: indicazioni,
modalità di somministrazione e meccanismi
d’azione
Alessandro Plebani, Vassilios Lougaris, Annarosa Soresina, Raffaele Badolato
Clinica Pediatrica Università degli Studi di Brescia e Spedali Civili di Brescia
Riassunto
I primi preparati di immunoglobuline sono stati impiegati a partire dal 1952 ed utilizzati come terapia sostitutiva allo stesso modo in cui l’insulina viene
utilizzata nei diabetici. La via di somministrazione inizialmente impiegata (intramuscolare) non consentiva la somministrazione di un volume (ovvero di
quantità di IgG) sufficiente a garantire un controllo soddisfacente degli episodi infettivi, ma questi preparati non potevano essere somministrati per via endovenosa che avrebbe consentito l’infusione di un volume maggiore, perché causavano gravi effetti collaterali. Pertanto un grande sforzo è stato compiuto
per produrre preparazioni sicure ed efficaci da somministrare per via endovenosa, modalità largamente impiegata a partire dai primi anni ’80. A partire dal
2006, la disponibilità di preparati ad hoc e di pompe di infusione tecnicamente avanzate, hanno permesso di rivalutare la via di somministrazione sottocutanea, che in molte nazioni è diventata la via preferenzialmente utilizzata anche per rispondere alle esigenze di una minore medicalizzazione dei pazienti.
A partire dai primi anni ’80 l’osservazione casuale che le immunoglobuline ad alte dosi erano in grado di normalizzare le piastrine nella porpora idiopatica
trombocitopenica ha dato l’avvio al loro impiego come terapia immunomodulante in molte altre malattie autoimmuni e/o infiammatorie. La terapia immunomodulante prevede la somministrazione di un dosaggio di immunoglobuline superiore rispetto a quello della terapia sostitutiva. Ma se vi è consenso sul
dosaggio, non ancora completamente definiti sono i meccanismi che stanno alla base di questa attività immunomodulante e in questo articolo ne vengono
discussi quelli ipotizzati. In questi ultimi anni si è assistito ad un consumo mondiale progressivamente crescente delle immunoglobuline (si è passati da
7.400 kg nel 1984 a 94.860 kg nel 2010). Il consumo per la terapia immunomodulante (spesso per patologie in cui le immunoglobuline sono considerate
una terapia off-label) ha di gran lunga superato quello per la terapia sostitutiva, richiamando l’attenzione degli organi competenti sulla formulazione di una
scala di priorità per il loro impiego basata sui livelli di evidenza di efficacia.
Summary
The first preparations of immunoglobulins were introduced in 1952 and were used as a replacement treatment, similarly to the use of insulin in patients with
diabetes. The initial route of administration (subcutaneous/intramuscular) did not allow the administration of a sufficient volume to guarantee a satisfactory control of infectious episodes. Moreover, those early preparations could not be administered intravenously due to severe adverse reactions. Therefore,
significant effort was made in order to produce immunoglobulin preparations that were both safe and efficacious for intravenous administration, a route
that was largely used starting from the 80’s. Since 2006, the availability of specific immunoglobulin preparations and technically advanced infusion pumps
has allowed to reconsider the subcutaneous route of administration. This approach was also meant to reduce patients’medicalization. Subcutaneous administration of immunoglobulins has since become the preferred route of administration in many countries. Starting from the early 80’s, the serendipitous
observation that immunoglobulin administration could restore platelet count in patients with idiopathic thrombocytopenic purpura (ITP), an autoimmune
disorder, led to broaden use of immunoglobulins in the treatment of various autoimmune and/or inflammatory disorders. In such cases, immunoglobulins
are not used as a replacement therapy, but rather as an immunomodulatory drug. Moreover, the dosage required to achieve immunomodulatory effects is
higher than used for replacement treatment.
The mechanisms underlying the immunomodulatory effect of immunoglobulins are still not clear; various hypotheses have been proposed and are discussed in this article. Importantly, in recent years the global consumption of immunoglobulins has raised significantly (from 7,400 kg in 1984 to 94,860
kg in 2010). The consumption of immunoglobulins as immunomodulatory therapy (in many cases still an off-label indication) has largely overtaken that of
replacement therapy. Therefore, formulation of a priority scale by the competent authorities for immunoglobulin usage is of paramount importance.
Parole chiave: immunoglobulina, terapia sostitutiva, terapia immunomodulante
Key words: immunoglobulins, substitution therapy, immunomodulatory effect
Introduzione: note storiche
L’impiego clinico delle immunoglobuline come terapia empirica risale a più di 100 anni fa quando Emil Von Behring le utilizzò per il
trattamento di malattie mediate da tossine (tetano e difterite), ma
solo nel 1952 le immunoglobuline sono state impiegate in terapia
sostitutiva con lo stesso criterio per cui l’insulina viene utilizzata
per il trattamento del diabete di tipo 1. È infatti in quell’anno che
Odgeon Bruton descrisse per la prima volta una forma di immunodeficienza primitiva, caratterizzata dall’assenza delle immunoglobuline
sieriche, che verrà poi denominata malattia di Bruton o agammaglobulinemia X recessiva (Bruton, 1952). In quel periodo i linfociti T
e i linfociti B non erano ancora stati identificati e non erano ancora disponibili metodiche per il dosaggio delle immunoglobuline nel
siero. La diagnosi di agammaglobulinemia fu posta da Bruton sulla
base dell’assenza del picco gamma all’elettroforesi delle proteine
sieriche, esame eseguito mediante l’apparecchio di Arne Tiselius.
Agli inizi degli anni ’40, Frederick Cohn e i suoi collaboratori del Dipartimento di Chimica Fisica della Harvard Medical School, avevano
allestito un sistema di frazionamento del plasma per la produzione
215
A. Plebani et al.
di emoderivati, mediante un procedimento di precipitazione a freddo
con etanolo. La frazione II di Cohn derivata da questo processo di
frazionamento e che era considerata un prodotto di “scarto”, conteneva la “frazione gamma”, quindi ricca di immunoglobuline sieriche.
Bruton, seguendo un’intuizione geniale, ha somministrato per via
sottocutanea la frazione II di Cohn, aprendo così la strada a quella
che sarebbe poi diventata una terapia elettiva e salvavita per molte
forme di immunodeficienza primitiva.
In base alle prime esperienze, sembrava che le immunodeficienze
primitive potessero rappresentare il gruppo di malattie per le quali la somministrazione di immunoglobuline trovasse l’indicazione
non solo più razionale, ma di fatto anche esclusiva. Tuttavia, tale
“esclusività” durò fino al 1981, anno in cui alcuni ricercatori svizzeri
osservarono che la somministrazione di immunoglobuline ad alte
dosi in due soggetti con ipogammaglobulinemia, che casualmente presentavano anche una porpora trombocitopenica idiopatica
(PTI), aumentava significativamente i livelli delle piastrine. Questi
dati furono in seguito confermati in una casistica più ampia (Imbach et al.,1981;Fehr et al.,1982) e hanno portato alla formulazione
del concetto di effetto “immunomodulante” delle immunoglobuline.
Per estensione, a partire dalla PTI , la terapia con immunoglobuline
è stata sperimentata, con risultati variabili, in molte altre malattie
autoimmuni incluse diverse malattie neurologiche per le quali le
opzioni terapeutiche sono limitate. Successivamente, l’utilizzo delle
immogobuline è stato esteso anche a malattie infiammatorie, sfruttando il loro effetto immunomodulante ed utilizzando un dosaggio
differente da quello impiegato nella terapia sostitutiva.
Evoluzione della preparazione dei prodotti
Nel tempo le modalità di preparazione e di somministrazione delle
immunoglobuline hanno subito notevoli variazioni, sia per quanto
riguarda il dosaggio che per quanto attiene la via di somministrazione. Contemporaneamente, sono state introdotte significative modifiche nei processi di preparazione delle immunoglobuline per uso
terapeutico, con notevoli miglioramenti di sicurezza ed efficacia dei
prodotti. Tali progressi si sono associati ad un significativo miglioramento delle prospettive e della qualità di vita dei pazienti trattati con
terapia a base di immunoglobuline.
Il primo prodotto impiegato da Bruton e somministrato per via sottocutanea, consisteva in un preparato di IGS (immune serum globulin)
alla concentrazione di 165 mg/ml, a pH 6.8, che andava conservato
a 5°C. In queste condizioni la soluzione nel tempo tendeva a formare aggregati responsabili di gravi effetti collaterali per via della
loro capacità di attivare il complemento, se il preparato veniva somministrato per via endovenosa. Quindi i primi prodotti commerciali
di immunoglobuline erano indicati esclusivamente per la somministrazione intramuscolare . Tuttavia era apparso subito evidente che
l’effetto protettivo delle immunoglobuline somministrate attraverso
queste vie era strettamente dipendente dal volume di preparato
somministrato e che il volume necessario per somministrare una
quantità protettiva di immunoglobuline sarebbe stato troppo elevato
per essere accettato dal paziente, anche per via degli effetti collaterali, soprattutto locali. Da qui la necessità di sviluppare prodotti da
somministrare per via endovenosa (IVIG). Il problema principale della
somministrazione endovenosa è stato quello di eliminare l’attività
anticomplementare. Tale obiettivo è stato perseguito mediante la
digestione enzimatica, metodica applicata nella preparazione della
formulazione dei primi preparati per via endovenosa (IVIG). Tuttavia
la digestione con pepsina determinava la formazione di un prodotto
contenente il frammento F(ab)2 e il frammento Fc, la digestione con
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Figura 1.
Rappresentazione schematica della molecola di immunoglobulina IgG. È
costituita da due catene pesanti legate da ponti disolfuro e da due catene
leggere ciascuna legata, sempre da ponti disolfuro, ad una catena pesante. Sia le catene leggere che quelle pesanti sono costituite da una parte
variabile (V) e da una parte costante (C). All’interno della molecola intera
si riconoscono la parte Fab e la parte Fc. La prima ha la funzione di legare
gli antigeni specifici, la seconda di legarsi ai recettori per il frammento
Fc (FcγRs) espressi sulle cellule del sistema immune. La digestione con
pepsina dà luogo ad un singolo frammento F(ab)2 e ad un frammento Fc,
mentre la digestione con papaina dà luogo a due frammenti Fab identici
e a un frammento Fc (da Radosevich e Burnouf, 2010).
papaina determinava la formazione di un prodotto contenente due
frammenti identici di Fab e il frammento Fc e questi preparati sono
risultati scarsamente efficaci (Radosevich e Burnouf, 2010) (Fig. 1).
Da qui la necessità di produrre preparati con la minor attività anticomplementare possibile, ma al contempo più efficaci, cercando
di mantenere intatta la struttura delle immunoglobuline, attraverso
metodiche che le modificavano chimicamente. A questo si è arrivati
tramite l’impiego di metodiche che facevano uso del trattamento
con beta-propiolattone (alchilazione e acilazione di alcuni amminoacidi) o con sulfonazione/alchilazione (rottura del legami disolfidrici
tra le catene leggere e quelle pesanti). Ma anche in questo caso il
risultato non era soddisfacente, dal momento che questi prodotti
chimicamente modificati avevano una vita media molto ridotta, venendo rapidamente eliminati dal sistema reticolo endoteliale.
Ai prodotti attualmente disponibili, che sono a molecola IgG intatta e
a scarso contenuto di aggregati, si è arrivati attraverso il trattamento
del precipitato grezzo di IgG, ottenuto mediante frazionamento alcolico (la frazione II di Cohn), con uno dei seguenti metodi: o con debole
trattamento acido (pH 4) in presenza di tracce di pepsina oppure con
precipitazione con polietilenglicole (PEG), oppure con purificazione
su resine a scambio ionico. Con questi trattamenti si ottengono i
prodotti oggi commercialmente disponibili, che sono efficaci e ben
tollerati dai pazienti (Tab. I). Per una più completa descrizione della
modalità di preparazione dei vari prodotti si rimanda alla bibliografia
(Radosevich e Burnouf, 2010).
Terapia con immunoglobuline: indicazioni, modalità di somministrazione e meccanismi d’azione
Tabella I.
Preparati di immunoglobuline umane normali, attualmente disponibili
in Italia (da www.codifa.it, settembre 2013).
Prodotti per via endovenosa
Prodotto
Ditta
Flebogamma
Instituto Grifols Poligono Levante S.A.
Gammagard
Baxter S.p.A.
Gamten
Octapharma Italy S.p.A.
Ig Vena
Kedrion S.p.A.
Intratect
Biotest Pharma GmbH
Keyven
Kedrion S.p.A.
Kiovig
Baxter AG
Octagam
Octapharma Limited
Pentaglobin
Biotest Pharma GmbH
Privigen
CSL Behring GmbH
Venital
Kedrion S.p.A.
Prodotti per via sottocutanea
Prodotto
Ditta
Hizentra
CSL Behring GmbH
Subcuvia
Baxter AG
Vivaglobin
CSL Behring GmbH
Sicurezza dei preparati
I vari prodotti di IVIG vengono preparati partendo da miscele di plasma di migliaia di donatori. Questo consente di disporre di preparati
con elevati titoli anticorpali e ampio spettro di azione. Tuttavia, quanto più è elevato il numero dei donatori tanto più è elevata la probabilità che una donazione possa essere contaminata. Nonostante fosse
noto che il frazionamento alcolico fosse in grado di ridurre il rischio
di trasmissione di agenti virali, nel 1983 sono stati riportati diversi
casi di trasmissione di epatite non A-non B (quella che adesso noi
conosciamo con il nome di epatite C) occorsi in seguito alla somministrazione di diversi preparati di IVIG (Yap, 1996).
Nonostante non fosse stata accertata la causa di queste trasmissioni, si è ritenuto che fosse da ricercarsi nella procedure di preparazione di questi prodotti. Questi casi hanno portato a rivedere e a
migliorare i sistemi di controllo dell’inattivazione virale durante i processi di preparazione e ad estenderli su larga scala (Radosevich e
Burnouf, 2010). Al riguardo sono stati introdotti diversi metodi quali:
1. la pastorizzazione: si tratta di un trattamento a 60°C per 10 ore
che inattiva sia virus capsulati che non capsulati; al fine di evitare la formazione di aggregati vengono aggiunti degli stabilizzanti
(sucroso o sorbitolo) che vengono poi rimossi attraverso la nanofiltrazione;
2. un trattamento con solvente (tri-n-butilfosfato)/detergente (polisorbato 80 e/o triton X-100) per 1-6 ore a 20-35°C. I solventi/
detergenti vengono poi rimossi tramite cromatografia. Efficace
nella inattivazione dei virus capsulati;
3. un trattamento con acido caprilico per 1 ora a 20°C. Efficace
nella inattivazione dei virus capsulati;
4. la nanofiltrazione. Può essere eseguita utilizzando filtri con pori
differenti. Efficace nella rimozione di virus capsulati e non capsulati. Sembra efficace nella rimozione anche di proteine prioniche.
L’applicazione di una o più di queste metodiche ha significativamente aumentato la sicurezza dei prodotti attualmente disponibili per
quanto riguarda la trasmissione di virus.
In ogni caso il controllo della qualità dei preparati inizia con l’identificazione e la selezione dei donatori sulla base della valutazione della
storia clinica, tenendo anche in considerazione i dati di sorveglianza epidemiologica della popolazione di appartenenza. Ogni singolo
donatore deve risultare negativo per la presenza di anticorpi contro
l’HIV-1/2, l’HCV e per l’antigene di superficie dell’ HBV (HBsAg). Inoltre, su mini-pool di plasma, con sempre maggiore frequenza, viene
eseguita la ricerca degli acidi nucleici per HIV, HBV, HCV, HAV e per
parvovirus B19. Il pool di plasma finale da sottoporre alla procedura
di frazionamento deve risultare negativo per gli acidi nucleici dell’HCV, per gli anticorpi anti HIV e per l’antigene HbsAg. Diverse aziende, oltre a queste indicazioni di legge, eseguono la ricerca anche
degli acidi nucleici per l’HIV, l’HBV, il Parvovirus B19 e l’HAV. Tutte
queste misure contribuiscono a ridurre il carico virale nel materiale
di partenza.
Caratteristiche dei prodotti
Per essere efficace e il più possibile privo di effetti collaterali, il prodotto deve contenere livelli di IgG superiori al 95% con una fisiologica distribuzione delle singole sottoclassi delle IgG ed un ampio spettro di attività anticorpale, meno del 3% di aggregati di elevato peso
molecolare e livelli minimi di IgA, titolo di isoemoagglutinine (anti A
e anti B) <1/64, attività anticomplementare ≤1, concentrazioni di
attivatore della prekallicreina <35UI/ml. Infine, il prodotto non deve
contenere HBsAg né anticorpi anti HIV-1, HIV-2 e anti HCV. Una più
completa descrizione dei parametri internazionali che riguardano il
controllo di qualità dei preparati, secondo le Good Manufacturing
Practices si può avere consultando i seguenti siti: http://www.nibsc.
ac.uk/products/catalogue.html; http://www.who.int/bloodproducts/
catalogue/en/index.html). In Italia i prodotti di immunoglobuline
sono erogati dal Servizio Sanitario Nazionale, attraverso le farmacie
ospedaliere o le singole ASL. I prodotti ad oggi disponibili in Italia
sono elencati in tabella I.
Applicazioni terapeutiche e trattamento sostitutivo
Indicazioni
Il trattamento sostitutivo con Ig rappresenta la terapia elettiva e salvavita delle immunodeficienze primitive a prevalente difetto dell’immunità umorale, mentre per le forme di immunodeficienza combinata (umorale e cellulare) questo trattamento è di supporto al trapianto
di midollo osseo che rappresenta la terapia elettiva (Tab. II).
Il trattamento sostitutivo con Ig alle dosi considerate standard (vedere paragrafo successivo) ha significativamente ridotto la morbilità
e mortalità e migliorato la qualità di vita di questi pazienti (Maarschalk-Ellerbroek et al., 2011). Prendendo ad esempio l’agammaglobulinemia, dai dati della letteratura pubblicati nella metà degli
anni ’80 e ’90, la mortalità, principalmente di natura infettiva, era
circa del 18% (Smith e Witte, 1999). In una casistica più recente di
73 pazienti (Plebani et al., 2002), ma confermata in una casistica più
estesa di 180 pazienti registrati nella banca dati IPINET, la mortalità
è risultata del 5%. La differenza tra le casistiche degli anni ’80 e ’90
e quelle più recenti sta nel fatto che le prime riguardavano molti più
pazienti trattati a lungo con immunoglobuline intramuscolo e con
una diagnosi tardiva, mentre le più recenti contengono pazienti con
217
A. Plebani et al.
Tabella II.
Indicazioni all’impiego delle IVIG. Per la terapia immunomodulante,
lista abbreviata e formulata secondo le indicazioni dell’FDA (Gelfand,
2012).
Terapia sostitutiva
• Immunodeficienze primitive
- Agammaglobulinemia X e autosomica recessiva
- Immunodeficienza comune variabile
- Immunodeficienza con Iper IgM
- Sindrome linfoproliferativa X recessiva
- Sindrome di Wiskott-Aldrich
- Difetto anticorpale nella atassia-telengiectasia e nella Del22
- Immunodeficienze combinate
• Immunodeficienze secondarie
- Infezione pediatrica da HIV
- Trapianto di midollo osseo alogeneico
- Trapianto di rene in ricevente con titoli anticorpali elevati o un
donatore ABO incompatibile
- Leucemia linfocitica cronica e mieloma
Terapia immunomodulante
• Approvata
- Porpora Idiopatica Trombocitopenica
- Polineuropatia infiammatoria demielinizzante cronica
- Malattia di Kawasaki
- Neuropatia motoria multifocale
• Approvata, ma se in presenza di alcune condizioni*
Malattie neuromuscolari:
- Sindrome di Guillain-Barrè
- Sclerosi multipla ricorrente
- Miastenia gravis
- Polimiosite refrattaria
- Poliradicoloneuropatia
- Miastenia di Lambert-Eaton
- Opsociono-Mioclono
- Retinopatia di Birdshot
- Dermatomiosite refrattaria
Malattie ematologiche:
- Anemia emolitica autoimmune
- Grave anemia da parvovirus B19
- Neutropenia autoimmune
- Trombocitopenia neonatale alloimmune
- Trombocitopenia HIV associata
- GVHD (Graft-versus-host disease)
- Infezione da CMV o polmonite interstiziale in pazienti che devono fare
trapianto di midollo
Malattie dermatologiche:
- Pemfigo volgare
- Pemfigo foliaceo
- Pemfigoide bolloso
- Epidermolisi bollosa
- Fascite necrotizzante
- Necrolisi epidermica tossica
* Diagnosi certa, fallimento o controindicazione ai trattamenti usuali, rapida progressione o ricaduta della malattia, miglioramento documentato dopo somministrazione di Ig.
218
diagnosi più precoce e che avevano iniziato il trattamento per via
endovenosa subito dopo la diagnosi. Questo dimostra che una diagnosi precoce, prima che siano instaurate complicanze (soprattutto
le bronchiectasie), associata ad un adeguato e tempestivo trattamento sostitutivo, sono le due condizioni essenziali per ridurre la
mortalità e la morbilità e per garantire a questi pazienti una qualità di
vita per molti versi simile a quella dei loro coetanei sani. Il follow-up
prolungato di questi pazienti ha anche consentito di dimostrare che,
mentre il trattamento sostitutivo controlla ottimamente le infezioni
gravi (sepsi, encefaliti da enterovirus, ecc.), non altrettanto ottimale
è il controllo delle infezioni a livello mucoso. Infatti durante il followup, a dispetto di un appropriato trattamento sostitutivo, le infezioni
più frequenti erano le gastroenteriti e le bronchiti e broncopolmoniti,
queste ultime responsabili dello sviluppo di pneumopatia cronica,
che rappresenta tuttora la maggior causa di morte di questi pazienti.
Questo dimostra che le immunoglobuline non raggiungono in modo
ottimale le superfici mucose dove dovrebbero svolgere il loro maggiore effetto protettivo. Per questo motivo è importante associare
alla terapia sostitutiva la fisioterapia respiratoria.
Oltre all’uso nelle immunodeficienze primitive, la terapia sostitutiva
con Ig è indicata anche in alcune condizioni che presentano un difetto anticorpale di tipo secondario come i tumori, l’infezione da HIV,
alcune malattie oncoematologiche, il trapianto di midollo o di organi.
Si tratta di indicazioni formulate in base al grado di raccomandazione ottenuto partendo dai livelli di evidenza di efficacia (Orange et
al., 2006; Nimmerjahn e Ravetch, 2008; Gelfand, 2012). Per quanto
riguarda l’impiego nei prematuri come prevenzione delle sepsi neonatali, una recente valutazione del Cochrane Neonatal Group riporta
che il loro impiego riduce del 3% gli episodi di sepsi e del 4% le
infezioni gravi, senza tuttavia incidere significativamente sulla mortalità (Soll, 2013).
Vie di somministrazione e dosaggio utilizzato
Le principali tappe riguardanti la via di somministrazione delle immunoglobuline sono riportate in Figura 2. È interessante notare
come la prima somministrazione di Ig praticata da Bruton sia stata
eseguita per via sottocutanea, via che in questi ultimi anni è stata
di molto rivalutata e praticata. Il dosaggio arbitrariamente scelto da
Bruton era di 3.2 g al mese (corrispondente a circa 100 mg/kg del
suo paziente). Sono stati Janeway e Gitlin poco dopo a proporre la
via di somministrazione intramuscolare, consensualmente accettata a livello internazionale. Tuttavia, il dosaggio proposto (100 mg/
kg/mese) risultava insufficiente a raggiungere livelli di IgG sieriche
considerati protettivi, che avrebbero richiesto la somministrazione
di volumi molto elevati, con conseguenti importanti effetti collaterali, soprattutto dolore locale, difficilmente accettabile da parte del
paziente, soprattutto se di peso elevato. Inoltre, sebbene questo dosaggio risultasse efficace nel ridurre gli episodi di infezioni gravi
(come la sepsi), non lo era nel controllare complicanze croniche a
lungo termine come le bronchiectasie. Da qui la necessità di sviluppare prodotti che potessero essere somministrati per via endovenosa consentendo la somministrazione di volumi più elevati e quindi di
raggiungere livelli sierici di IgG più efficaci. Questi prodotti si sono
resi disponibili nella seconda metà degli anni ’80 e hanno rapidamente soppiantato i preparati per via intramuscolare. Inizialmente
anche per i preparati per via endovenosa, il dosaggio raccomandato
era di 100 mg/kg/mese. Fu in seguito al lavoro di Roifman (Roifman
et al., 1987) che aveva dimostrato come il mantenimento di elevati
livelli sierici di Ig (> 500 mg/dl) riducesse le complicanze polmonari,
che la dose di 400 mg/kg/mese è stata considerata la dose standard. In ogni caso, il dosaggio può essere aggiustato secondo le
Terapia con immunoglobuline: indicazioni, modalità di somministrazione e meccanismi d’azione
Figura 2.
Terapia sostitutiva con immunoglobuline: principali tappe storiche.
varie necessità del paziente riducendo gli intervalli tra una somministrazione e l’altra o aumentando la dose. In questo secondo caso
è stato dimostrato che un aumento di 100 mg/kg/mese determina
un aumento di IgG sieriche di circa 120 mg/dl e che, ogni aumento
di concentrazione di 100 mg/dl, determina una riduzione del 27%
degli episodi infettivi. Ad esempio, la frequenza degli episodi di polmonite ad un dosaggio di IgG che mantiene i livelli sierici attorno
ai 500 mg/dl è 5 volte superiore a quella osservata ad un dosaggio
che mantenga i valori i IgG attorno ai 1000 mg/dl (Orange et al.,
2010). Questo dimostra che il controllo delle infezioni delle basse
vie aeree dipende principalmente dai livelli di IgG sieriche. Tuttavia,
tali considerazioni valgono per l’agammaglobulinemia, ma non per
l’immunodeficienza comune variabile, condizione che, a differenza
dell’agammaglobulinemia può associarsi alla presenza di IgA. Le IgA
presenti possono svolgere un parziale ruolo protettivo a livello delle
mucose, consentendo di controllare gli episodi infettivi anche con un
dosaggio inferiore di IgG (Quinti et al., 2011).
In questi ultimi anni, vi è stato un ritorno alla somministrazione delle
Ig per via sottocutanea. Ciò è stato reso possibile dalla commercializzazione di prodotti specificamente preparati per la somministrazione
attraverso questa via. La disponibilità di pompe da infusione di dimensioni sempre più piccole e più efficaci, la possibilità di somministrare
questi preparati a livello domiciliare, la farmacocinetica più fisiologica
di questi preparati rispetto a quelli per via endovenosa (livelli costantemente stabili senza picco iniziale), il desiderio dei pazienti di essere
meno medicalizzati e di programmare e adattare la terapia alle proprie
necessità anche professionali, la pressocché assenza di effetti collaterali gravi, hanno contribuito, in questi ultimi anni, alla aumentata
diffusione di questa via di somministrazione nella maggior parte delle
nazioni. Inoltre analisi di farmacoeconomia hanno dimostrato che la
somministrazione domiciliare sottocutanea è economicamente vantaggiosa per il servizio sanitario nazionale, consentendo di risparmiare
sui costi dell’ospedalizzazione (Haddad, 2012).
Il dosaggio utilizzato per la via sottocutanea è di 100 mg/kg/settimana, equivalente al dosaggio di 400 mg/kg/mese del preparato per
via endovenosa. L’FDA americana, considerata la diversa biodisponibilità delle Ig per via sottocutanea rispetto a quelle per via endovenosa, raccomanda che il dosaggio delle IgG per via sottocutanea
sia aumentato del 37% rispetto a quello per via endovenosa. Questa
raccomandazione non è invece prevista nelle disposizioni europee,
perché non da tutti gli autori condivisa.
Trattamento immunomodulante
Indicazioni
Come precedentemente accennato, il riscontro di un aumento delle
piastrine in un soggetto con PTI e ipogammaglobulinemia in seguito
alla somministrazione di immunoglobuline indicate per la sua condizione di immunodeficienza ha dato l’avvio al loro impiego in molte
altre forme di malattie autoimmuni/infiammatorie, postulando che
le IgG agissero in questo caso con un effetto immunomodulante. In
tabella II sono riportate le malattie per le quali le immunoglobuline
sono utilizzate per questo effetto (Gelfand, 2012). Solo per poche
malattie il loro uso è stato approvato; per la maggior parte il trattamento è ancora considerato off-label, oppure è suggerito sulla base
di esperienze sporadiche, ma non esistono tuttora studi clinici controllati. Peraltro ci possono essere differenze tra le varie agenzie per
quanto riguarda la classificazione off-label di alcune patologie (es. la
Guillain-Barré approvata in Europa non lo è da parte dell’FDA) e per
quanto riguarda la valutazione dei livelli di evidenza di efficacia delle
IVIG tra le varie forme considerate off-label riportate nei vari lavori
della letteratura, ai quali si rimanda per un maggiore approfondimento (Orange et al., 2006; Nimmerjahn e Ravetch, 2008, Gelfand,
2012). In ogni caso, l’orientamento attuale degli organi competenti
è di autorizzare singoli prodotti per singole malattie, nelle quali sia
stata dimostrata l’efficacia.
Il dosaggio comunemente utilizzato come immunomodulante è di
2g/kg/dose per via endovenosa, in un intervallo di tempo che va
dalla somministrazione in sole 12 ore fino anche a frazionare il do-
219
A. Plebani et al.
Tabella III.
Meccanismi dell’attività antiinfiammatoria e immunomodulante delle
IgG.
Attività mediata dal frammento Fab
- Soppressione o neutralizzazione degli autoanticorpi
- Sopressione o neutralizzazione delle citochine
- Neutralizzazione dei componenti derivati dall’attivazione del
complemento
- Network idiotipo-antidiotipo
- Blocco del legame con le proteine di adesione
- Effetto su specifici recettori cellulari
- Modulazione della maturazione e funzione delle cellule dendritiche
Attività mediata dal frammento Fc
- Blocco dell’FcRn
- Blocco degli Fcγs attivatori
- Aumentata espressione di FcgRIIB con attività inibitoria
- Immunomodulazione attraverso la componente glicosilata delle IgG
saggio in 4-5 giorni. Recenti trial hanno dimostrato l’efficacia anche
della somministrazione per via sottocutanea nel trattamento di malattie neurologiche (Markvardsen et al., 2013).
Meccanismi di azione
Tuttora poco noti sono i meccanismi attraverso i quali le IgG ad alte
dosi risultano essere efficaci. In particolare, è difficile comprendere,
in special modo per le malattie causate da autoanticorpi, come una
miscela policlonale di IgG possa sopprimere l’attività dello stesso
isotipo di immunoglobulina che riconosce autoantigeni (autoanticorpo), fenomeno definito come “paradosso delle IgG endovena”. A
complicare ulteriormente il quadro interpretativo vi è l’osservazione
che questo trattamento si è dimostrato efficace anche per malattie
che non sono mediate da autoanticorpi. Sulla base delle osservazioni cliniche e dei dati sperimentali disponibili, in modo particolare nel
modello murino, sono state formulate varie ipotesi e costruiti modelli
interpretativi che prendono in considerazione meccanismi mediati,
da una parte, dalla porzione F(ab)2, e dall’altra, dalla porzione Fc
delle IgG (Tab. III); il ruolo predominante comunque viene svolto dal
frammento Fc. Inoltre non va trascurato l’effetto di altre molecole,
non correlate alle immunoglobuline, che possono essere presenti
nei diversi preparati. Sarebbe troppo lungo elencare le varie malattie
nelle quali l’effetto immunomodulante si ipotizza venga svolto dalla
porzione F(ab)2 o dalla porzione Fc della molecola immunoglobulinica; al riguardo rimando a eccellenti lavori di review che sono stati
pubblicati sull’argomento (Nimmerjahn e Ravetch, 2008; Schwab e
Nimmerjahn, 2013). A scopo esemplificativo citerò due dei possibili
meccanismi attraverso i quali la porzione F(ab)2, svolge funzione immunomodulante: 1. la sua capacità di legare e quindi neutralizzare
il C3a e il C5a che hanno una potente attività proinfiammatoria; 2. la
presenza nel prodotto di anticorpi specifici per molecole del “self”
(citochine, parte variabile delle IgG [anti-idiotipo], CD95, CD95L,
BAFF, APRIL, ecc.) coinvolte nella risposta infiammatoria. In merito a
questo secondo punto, è importante citare l’esempio della necrolisi
epidermica tossica (TEN: toxic epidermal necrolysis), patologia indotta da farmaci e che è caratterizzata dal distacco dell’epidermide
dal derma per apoptosi dei cheratinociti, causata dall’interazione del
220
CD95 (FAS) con il suo ligando (CD95L). La presenza nei preparati di
immunoglobuline di anticorpi diretti contro il CD95 blocca questa interazione. Studi in vitro hanno infatti dimostrato che l’eliminazione di
questi anticorpi dal preparato ne determinano la perdita di efficacia.
Tuttavia, come già accennato, è l’interazione del frammento Fc con
i vari recettori (FcgRs) espressi sulla superficie cellulare a svolgere la gran parte del ruolo immunomodulante attribuito alle IVIG. Va
comunque sottolineato che i dati sperimentali al riguardo non sono
sempre facilmente interpretabili e diversi meccanismi sono stati
ipotizzati.
I FcgRs sono una famiglia di diversi recettori con funzioni differenti
(Fig. 3) e che sono largamente espressi, anche se a densità differente, sulle cellule del sistema immune, inclusi i basofili, gli eosinofili,
le mastcellule, i monociti e i macrofagi. Diverse sono le ipotesi, non
mutualmente esclusive, sul ruolo degli FcgRs nel condizionare l’effetto immunomodulante delle IgG (Schwab e Nimmerjahn, 2013) che
sono di seguito riportate.
Ruolo di FcRn (neonatal Fc receptor).
Questo recettore appartiene alla famiglia delle molecole HLA di
Classe I, regola la vita media delle IgG sieriche ed è espresso da una
ampia varietà di cellule incluse le cellule endoteliali e i macrofagi.
Modelli murini che mancano di questa proteina o della b2-microglobulina, presentano valori di Ig molto ridotte, come conseguenza della
riduzione della loro vita media. La funzione di questo recettore è di
legare le Ig sieriche, fagocitarle e reimmetterle in circolo dopo averle
riespresse sulla superficie cellulare (Junghans e Anderson, 1996). In
sua assenza questo processo non avviene e quindi le IgG vengono
eliminate in poche ore con significativa riduzione della vita media (Li
et al., 2005). Il ruolo immunomodulante delle IgG infuse ad elevate concentrazioni, consiste nella competizione con gli autoanticorpi
circolanti del paziente per il legame con l’FcRn. In questo modo gli
autoanticorpi sono esclusi dal processo di fagocitosi e reimmissione
in circolo e pertanto vengono velocemente eliminati (Fig. 4, modello
1). Tuttavia questo modello è stato messo in discussione da un recente lavoro nel quale si dimostra che il miglioramento della PTI in
seguito all’infusione di IgG si verifica anche in topi difettivi per FcRn
(Crow et al., 2011).
Ruolo degli FcgRs
Partendo dal concetto che gli FcgRs svolgono un ruolo centrale
nel mediare i meccanismi effettori anticorpo-dipendenti della risposta infiammatoria, è apparso ragionevole ipotizzare che il ruolo
immunomodulante delle IgG infuse fosse di limitare l’accesso agli
FcgRs attivatori degli immunocomplessi circolanti. Questa ipotesi
era supportata dall’osservazione che la clearance dei globuli rossi
opsonizzati con anticorpi anti D radiomarcati era ritardata nei pazienti con PTI trattati con IgG (Fehr et al., 1982). Ipotesi che in parte
contraddice quella del modello precedente, perché se il ruolo delle
IVIG è quello di bloccare l’FcRn, gli immunocomplessi radio marcati
avrebbero dovuto essere eliminati più rapidamente. Tuttavia, alcuni
studi hanno dimostrato che la somministrazione di anticorpi anti Rh
(D) in pazienti con PTI Rh (D) positivi, (con conseguente formazione
di immunocomplessi) aveva lo stesso effetto della somministrazione
di IVIG (Crow e Lazarus, 2008). Questi lavori hanno quindi rafforzato l’ipotesi che l’attività immunomodulante delle IgG infuse dipenda
dalla capacità di inibire, per competizione, il legame degli immunocomplessi circolanti agli FcgRs attivatori presenti sui macrofagi
(Fig. 4, modello 2). Secondo questo modello, l’effetto immunomodulante delle IVIG viene svolto dagli immunocomplessi (aggregati)
presenti negli stessi preparati. Questo può in parte spiegare perché
Terapia con immunoglobuline: indicazioni, modalità di somministrazione e meccanismi d’azione
Figura 3.
Famiglia degli FcγRs dell’uomo. L’FcRn appartiene alla famiglia delle molecole HLA di classe I e controlla la vita media delle IgG. Gli altri recettori
sono in grado di legare la parte Fc delle IgG e il loro coinvolgimento controlla la risposta cellulare. La molecola DC-SIGN è in grado di legare la
componente glicosilata delle IgG e svolge attività antiinfiammatoria (da Schwab e Nimmerjahn, 2013).
siano richieste elevate concentrazioni di IVIG per avere l’effetto immunomodulante.
Ruolo di FcgRIIB
L’osservazione che non sempre la somministrazione di anticorpi anti
Rh(D) in pazienti con PTI Rh(D) positivi era efficace nel controllare
i livelli di piastrine e che la presenza di dimeri o aggregati nei vari
preparati di anticorpi anti Rh(D) non determinava un effetto terapeutico (Schwab e Nimmerjahn, 2013), ha portato a ipotizzare altri
meccanismi, oltre a quello del blocco degli FcgRs. L’osservazione
che topi difettivi in FcgRIIB, o topi nei quali questo recettore era stato bloccato con l’uso di Ab monoclonali – utilizzando sempre come
modello la PTI – non rispondevano al trattamento con IVIG (Samuelsson et al., 2001), ha fatto ipotizzare che l’FcgRIIB, considerato un
recettore con attività inibitoria, potesse giocare un ruolo significativo
sull’effetto immunomodulante delle IVIG. Tale ipotesi è stata confermata da studi successivi condotti su modelli murini e umani, che
hanno dimostrato che, in seguito alla somministrazione di IVIG, si
ha un’aumentata densità di espressione di FcgRIIB sulle cellule della
linea mieloide o un aumento del numero delle cellule mieloidi che
esprimono questo recettore. (Tackenberg et al., 2009). Si avrebbe
inoltre una redistribuzione dei recettori FcgRs con aumento degli
inibitori rispetto agli attivatori. Gli immunocomplessi circolanti si legano quindi preferenzialmente a FcgRs con attività inibitoria. (Fig. 4,
modello 3).
Glicosilazione delle IgG
Le IgG sono glicoproteine che contengono una catena glucidica legata al residuo di asparagina in posizione 297 di ciascuna catena
del frammento Fc. L’importanza della catena glucidica sull’effetto
immunomodulante delle IgG è dimostrata dal fatto che questo effetto viene eliminato se le IVIG sono deglicosilate. L’effetto terapeutico
è mediato dalla parte glicosilata dell’Fc e non da quella del F(ab)2. È
stato inoltre visto che l’attività immunomodulante viene abrogata in
seguito alla rimozione di acido sialico terminale; viene al contrario
potenziata se la catena glucidica viene arricchita in acido sialico.
Recentemente sono state identificate diverse proteine, appartenenti
alla famiglia delle molecole SIGLEC (sialic acid-binding Ig-like lec-
tins) (Pillai et al., 2012), espresse sulla superficie delle cellule del
sistema immune e che hanno la capacità di legare molecole che
contengono residui terminali di acido sialico. Trattandosi di proteine
che presentano nella parte intracellulare della molecola sequenze
con attività inibitoria (ITIMs: immunoreceptor tyrosine-based inhibitory motif) è ragionevole pensare che anche queste molecole possano contribuire all’effetto immunomodulante delle IVIG. Inoltre, la
dimostrazione che in topi deficitari della molecola SIGNR1 (ICAM-3
grabbing non-integrin-related 1) o trattati con anticorpi monoclonali
diretti contro questa proteina veniva eliminato l’effetto immunomodulante delle IVIG (Anthony et al., 2008), ha permesso di attribuire
a questa molecola un ruolo nei meccanismi della immunomodulazione. Si tratta di una proteina espressa da varie cellule del sistema
immune con capacità di legare le glicoforme di IgG ricche in acido
sialico. Agendo da recettore per le IgG glicosilate svolge una funzione simile a quella degli FcgRs. L’equivalente umano di SIGNR1 è
DC-SIGN, espresso sulle cellule dendritiche, anch’esso in grado di
legare le glicoforme di IgG ricche in acido sialico. In seguito a questo legame viene attivata la produzione di IL33 e IL4. Quest’ultima
aumenta l’espressione del recettore FcgRIIB con attività inibitoria e
riduce l’espressione di FcgRs con proprietà attivatorie sulle cellule
macrofagiche; pertanto, gli immunocomplessi circolanti si legano
preferenzialmente ai recettori inibitori evitando di svolgere attività
infiammatoria (Antony et al., 2011). Recentemente è stato dimostrato che l’interazione delle IVIG con DC-SIGN determina anche espansione delle cellule Treg, mediata dalla produzione di prostaglandine
E2 da parte delle cellule dendritiche (Trinath J et al., 2013). Secondo
queste osservazioni sperimentali l’attività immunomodulante delle
IgG dipende quindi anche dal contenuto in acido sialico delle varie
glicoforme di IgG presenti in un preparato.
Le ipotesi sopradescritte sono state formulate sulla base di protocolli sperimentali differenti ed è verosimile che ciascun protocollo
metta in evidenza solo un aspetto del puzzle, peraltro complesso e
non completamente chiarito, di come le IVIG svolgano l’effetto immunomodulante. In realtà è molto probabile che i vari meccanismi
soprariportati concorrano, integrandosi l’uno con l’altro alla realizzazione di questo effetto.
221
A. Plebani et al.
durante le prime somministrazioni del preparato o quando il paziente ha in corso un’infezione.
Dopo qualche somministrazione dello stesso prodotto solitamente questi eventi tendono a scomparire, ma il 10-20% dei pazienti
possono presentare reazioni anche dopo un periodo variabilmente
lungo di trattamento ben tollerato. Da qui la necessità di monitorare
sempre attentamente questi pazienti.
Reazioni avverse gravi (anafilassi, crisi d’asma, sindrome di Stevens-Johnson, trombosi, citopenia, emolisi, convulsioni, meningite
asettica, ecc.) sono fortunatamente più rare. Tra le complicanze rare
è stata segnalata anche l’insufficienza renale, per lo più associata a
prodotti contenenti stabilizzanti a base di zuccheri (saccarosio, maltosio glucosio). Pertanto, prodotti che contengono zuccheri vanno
evitati nei pazienti con problemi renali per l’aumentato rischio di
complicanze renali e nei pazienti diabetici al fine di evitare brusche
variazioni dei livelli glicemici. L’osmolarità del preparato e la presenza di fattori procoagulanti vanno tenuti in considerazione per i
pazienti con problemi cardiovascolari, disfunzione renale e rischio
tromboembolico.
Il passaggio alla somministrazione per via sottocutanea riduce il rischio di reazioni gravi e le reazioni avverse sono solitamente lievi e
locali (rossore, gonfiore, ecc.).
Considerazioni sull’uso appropriato della terapia
con immunoglobuline
Figura 4.
Modelli che spiegano il ruolo immunomodulante delle IVIG mediato dal
frammento Fc. a. Solitamente il recettore FcRn espresso dalle cellule
endoteliali capta le IgG sieriche, le fagocita e le riesprime di nuovo in
superficie, consentendone la loro reimmissione in circolo. È questo processo che determina la vita media delle IgG sieriche; quelle che non
passano attraverso questo meccanismo vengono eliminate nel giro di
qualche ora. Nel caso in circolo ci siano numerosi immunocomplessi,
formati da autoanticorpi che legano l’autoantigene specifico, questi si
legheranno ai recettori sia attivatori che inibitori, espressi sulle cellule
del sistema immune (macrofago) e, a seconda della densità di espressione di questi recettori, si svilupperà il quadro infiammatorio. b. Sono
illustrati i tre possibili modelli attraverso i quali si esplica l’effetto immunomodulante delle IVIG ad alte dosi. Modello 1. Le IVIG somministrate
saturano i recettori FcRn, portando quindi alla rapida eliminazione degli
autoanticorpi. Modello 2. Le IVIG competono con gli immunocomplessi
circolanti per il legame con gli FcγRs presenti sui macrofagi. Modello 3.
Le IVIG somministrate inducono un’aumentata espressione di recettori
inibitori (FcγRIIB), che annullano l’effetto infiammatorio degli immunocomplessi circolanti (da Nimmerjahn e Ravetch, 2008).
Tollerabilià e scelta del prodotto
I prodotti oggi disponibili sono in genere ben tollerati. Dai numerosi
studi della letteratura riportati, risulta che i più comuni eventi avversi
sono di lieve entità (dolore addominale, lombare, cefalea, nausea,
vomito, rash orticarioide, mialgia, asma lieve, febbre di media intensità). Tali eventi avversi si verificano nel 5-15% dei pazienti e, in
genere, sono controllabili con l’interruzione del trattamento o con la
riduzione nella velocità di somministrazione. La somministrazione di
antiinfiammatori non steroidei e/o antiistaminici, può essere utile;
qualora la risposta sia scarsa è indicata la somministrazione di steroidi (idrocortisone 10 mg/kg/dose). Le reazioni sono più frequenti
222
In queste ultime decadi si è assistito ad un considerevole allargamento delle indicazioni all’impiego terapeutico delle immunoglobuline tanto che il loro consumo ha significativamente superato quello
di altri emoderivati come l’albumina, i fattori della coagulazione,
ecc. Il mercato mondiale delle Ig è passato da 7.400 kg nel 1984 a
94.860 nel 2010. Questo aumento è dovuto ad una richiesta sempre
maggiore del loro utilizzo come terapia immunomodulante e quindi
ad uno spettro sempre più ampio di malattie (autoimmuni, infiammatorie, neurologiche, cutanee, ecc.) nelle quali le immunoglobuline sono state e vengono utilizzate. Tuttavia, per quanto riguarda
queste malattie, è interessante osservare che solo il 40-50% delle
immunoglobuline è stato utilizzato per il trattamento di malattie per
le quali esiste un consenso generale; per il rimanente 60-50% il
trattamento è off-label. Spesso il loro impiego è guidato da sporadiche segnalazioni della letteratura piuttosto che da robuste evidenze
clinico-sperimentali; certo, in ogni caso si riferiscono a pazienti per i
quali le opzioni terapeutiche classiche si erano rivelate fallimentari.
Un eccessivo e ingiustificato loro utilizzo per malattie considerate
off-label potrebbe riportare ad un esaurimento della disponibilità
del prodotto, creando dei problemi per quelle patologie per le quali
questo trattamento è di prima scelta, come si è verificato a partire
dal 1997. Allora un insieme di fattori avevano portato ad una crisi
di disponibilità di Ig, tra i quali la crescente domanda e la diminuzione dell’offerta per i problemi legati alla diffusione dell’AIDS e
della malattia di Creutzfeldt-Jakob (vCJD). Questi ultimi hanno imposto una serie di misure precauzionali per assicurare la massima
sicurezza degli emoderivati, che hanno influito sulla disponibilità di
materiale: test di screening più specifici e sensibili, estensione e
applicazione dei metodi di inattivazione virale, maggiori controlli sui
donatori, ritiro dei prodotti provenienti da donatori a rischio di vCJD,
divieto, per un determinato periodo di tempo, di usare plasma da
sangue intero raccolto in Inghilterra e in altri paesi europei. Queste
limitazioni costrinsero l’industria del plasma ad effettuare delle ristrutturazioni, alcune aziende chiusero, altre si fusero. Si arrivò nel
Terapia con immunoglobuline: indicazioni, modalità di somministrazione e meccanismi d’azione
1998 ad una riduzione della produzione e ad una grave carenza di
immunoglobuline. Negli USA la crisi fu così grave che il Congresso,
in seguito alla sollecitazione della Immune Deficiency Foundation,
emise una serie di provvedimenti volti ad aumentare la produzione
di immunoglobuline. A partire dal 2006 produzione e fabbisogno si
bilanciarono. A questo si è arrivati anche attraverso la formulazione,
da parte di società scientifiche, di linee guida nelle quali le raccomandazioni all’impiego delle immunoglobuline erano definite sulla
base di evidenze scientifiche (Orange et al., 2006). L’applicazione di
queste indicazioni associate al monitoraggio del consumo delle IVIG
rappresentano un importante strumento di controllo per ottimizzare
l’utilizzo e garantire la disponibilità delle IVIG.
Box di orientamento
Cosa si sapeva prima
Il primo impiego delle immunoglobuline come terapia sostitutiva è datato 1952, e coincide con la descrizione della prima immunodeficienza primitiva,
caratterizzata dall’assenza delle immunoglobuline sieriche. Successivamente, questo trattamento è stato esteso anche ad altre forme di immunodeficienze primitive, per le quali costituisce il trattamento elettivo e salvavita. I primi prodotti utilizzati presentavano un’efficacia limitata per via della
modalità di preparazione e della via di somministrazione; inoltre erano gravati da un maggior numero di effetti collaterali.
Cosa sappiamo adesso
I notevoli progressi tecnologici sviluppati verso la fine degli anni ’70 hanno consentito di produrre preparati di immunoglobuline somministrabili per
via endovenosa più efficaci e sicuri. La via endovenosa, permettendo di somministrate quantità elevate di questi prodotti, ha dimostrato, inizialmente
in modo del tutto casuale, l’efficacia della somministrazione delle immunoglobuline anche in malattie autoimmuni e/o infiammatorie, sfruttando il loro
effetto immunomodulante. Ora sappiamo molto sui meccanismi attraverso i quali le immunoglobuline svolgono questo ruolo immunomodulante.
Quali ricadute sulla pratica clinica
La somministrazione di immunoglobuline come terapia sostitutiva per via endovenosa, e più recentemente per via sottocutanea, ha radicalmente migliorato la morbilità e la mortalità, nonché la qualità di vita dei pazienti con difetti dell’immunità. Il notevole consumo delle immunoglobuline, derivato in
parte dal loro non giustificato impiego in un numero sempre maggiore di malattie autoimmuni e/o infiammatorie (per molte delle quali il trattamento è
tuttora considerato off-label), può creare problemi di approvvigionamento nel tempo, a scapito di malattie considerate prioritarie. Da qui la necessità di
un loro impiego basato sui livelli di evidenza di efficacia, formulate da competenti commissioni. Inoltre la conoscenza più approfondita dei meccanismi
attraverso i quali le immunoglobuline esplicano il loro effetto immunomodulante, consentirà di produrre prodotti più efficaci e mirati.
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Corrispondenza
Alessandro Plebani, Clinica Pediatrica, Università degli Studi di Brescia, Spedali Civili, P.le Spedali Civili, 1, Brescia. Tel.: 030 3995715.
E-mail: [email protected]
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