Intervista a Mario Thanavaro

Transcript

Intervista a Mario Thanavaro
Pace
Intervista a Mario Thanavaro
Amici che si tengono per mano
Vedo amici tenersi per mano, e dirsi
“Come stai?”.
Ma in realtà loro dicono “Ti amo”.
Sento bambini piangere, io li vedo crescere.
Loro impareranno molto più di quello che io so.
E penso tra me, che mondo meraviglioso.
Sì., penso tra me, che mondo meraviglioso.
Oh sì.
DEDICA
I donatori che hanno generosamente contribuito alle spese di pubblicazione di questo volume hanno voluto
dedicare la loro offerta:
A tutti i bambini e a tutte le bambine che hanno perso troppo presto i propri genitori;
possano essi trovare protezione, sostegno e amore per crescere senza troppo dolore.
‘What a wonderful world’
Louis Armstrong,
Spero che questo scritto possa
stimolare l’apertura di un dialogo.
Spero che sia d’incoraggiamento ad agire
con saggezza, compassione e amore
sui conflitti che da tempo si perpetuano
nella nostra vita.
CHE LA PACE REGNI SULLA TERRA
Mario Thanavaro
Prefazione
Con la Pace nella mente
“Per colui che comprende la vera natura della mente, guarire i conflitti individuali e guarire i conflitti politici nel
mondo è, in essenza, lo stesso processo. E' mio desiderio che il potere spirituale della Pace possa toccare la mente
di ogni persona su questa terra, creando una profonda pace all' interno delle nostre menti, per poterla irradiare,
poi, al di fuori, oltre le barriere politiche e religiose, oltre le barriere dell'ego, delle opinioni e dei concetti. Perché
ciò avvenga, il nostro primo lavoro come ‘portatori di pace’ è quello di pulire le nostre menti dai conflitti interiori causati dall'ignoranza, dalla collera, dall'avidità, dalla gelosia e dalla presunzione. Attraverso la purificazione delle nostre menti, noi impariamo la vera essenza del ‘mettere pace’. La pace interiore cui noi aspiriamo deve
essere assolutamente pura e così stabile da non poter essere corrotta dalla collera di coloro che vivono e traggono profitto dalla guerra1 o dall'avido egoismo, dalla paura dello scontro con il disprezzo, dall'odio e dalla morte.
Un’incredibile pazienza è necessaria per realizzare qualsiasi aspetto della pace nel mondo, e la fonte di tale
pazienza è lo spazio della pace interiore attraverso la quale noi riconosciamo con grande chiarezza che la guerra
e la sofferenza sono i riflessi esterni dei veleni interiori delle menti.
Se noi comprendiamo veramente che la differenza essenziale tra i sostenitori della pace e i sostenitori della guerra è che i primi hanno disciplina e controllo sulla collera egoistica, sull'avidità, sulla gelosia e la presunzione, mentre i secondi, nella loro ignoranza, manifestano nel mondo i risultati di questi veleni; se noi veramente comprendiamo questo, non ci troveremo mai ad essere sconfitti né dall'interno né dall'esterno.
guerra:Ha un fascino oscuro. La violenza seduce e istiga a distruzioni sempre più grandi. Sono in molti ad alimentarne il mito: romanzieri,
storici, cineasti, opinionisti, armatori, giornalisti, politici, Stati e molti altri ancora. C’è chi la presenta come “bella”. Chi ne spiega le ragioni e la ritiene di volta in volta inevitabile, indispensabile, necessaria, risolutiva, l’inizio di una nuova pace ecc. ecc… Chi la descrive come
“realtà mitica” fa leva sull’archetipo del guerriero. Chi è affascinato dalla sua natura tecnologica la presenta come un “videogame sterilizzato” e indolore (per chi non muore!). Chi ne analizza gli scenari storici spesso la rappresenta secondo la propria appartenenza ideologica e politica. Sono in tanti a coprirne la brutale e cruda realtà diffondendo menzogne e coprendone gli orrori. La reale sostanza della guerra rimane
oggi come in passato la distruzione e la Morte.
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Comprendere questa destinazione è indispensabile per sviluppare comprensione profonda. La maggior parte delle
persone non capisce che tutte le cose sono impermanenti e che vengono posseduti dalle stesse cose che essi pensano di possedere vivendo così nell’illusorio.
Ogni cosa, anche le nostre vite, scivola attraverso le nostre dita, e presto o tardi perderemo tutto. Quando noi
capiamo questa onnipresente sofferenza, questo grande disagio, questa insoddisfazione di tutti gli esseri, possiamo sviluppare un'aspirazione nella nostra pratica, realizzando qualcosa per il miglioramento di tutti gli esseri,
invece del semplice miglioramento di noi stessi. Questo contribuisce alla pace mondiale nel più nobile dei sensi.
Noi iniziamo e combattiamo guerre a causa di falsi concetti di realtà, invece di coltivare comprensione profonda
e pace a beneficio di tutti gli esseri. Se tu incontri i più potenti tra gli uomini di questo mondo, coloro che sono
al controllo dei meccanismi di guerra, guardali con forte equanimità. Convincili nel miglior modo che conosci e
nel far questo sii sempre consapevole del tuo stato mentale. Se inizi a sentire collera, ritirati. Ma se puoi continuare rimanendo calmo, può darsi che tu possa penetrare la terribile ignoranza che causa la guerra e tutte le sue
infernali sofferenze. Dal chiaro spazio della pace interiore la tua comprensione profonda si deve espandere fino
ad includere tutti coloro che sono coinvolti nella guerra: i soldati intrappolati nel crudele karma dell'uccidere,
quelli che sacrificano la loro vita, i generali e i politici che intendono far del bene ma causano invece distruzione
e morte, i civili uccisi, feriti, resi profughi. La vera compassione è completamente neutrale ed è sensibile alla sofferenza di ogni tipo, non è limitata da concetti di ‘torto e ragione’, ‘possesso e avversione’, perchè essa trae ener-
gia dal ‘semplice amore’ . Io guardo con fiducia al nostro continuo lavoro spirituale, fatto insieme per trovare
pace interiore, per creare pace nel mondo”.
Chagdud Tulku Rinpoche
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Amore: “Non dire troppe parole sull’amore perché se il terreno è arido non germoglieranno. Dà fertilità ai cuori facendoli vibrare alle
frequenze dell’amore”. Ermete (da Enzina Luce Franzese - Essere Amore, Essere Luce – Abbaterizzo Editore)
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karma: termine sanscrito (pali kamma) che significa ‘azione’. E’ usato in più tradizioni spirituali e religiose ed in ognuna è inserita in uno
specifico costrutto teorico e di pratiche che, pur nel rispetto della radice sanscrita, la arrichiscono di specifiche qualità. Ogni azione nasce
da una causa ed è, a sua volta, germoglio di una nuova azione. In quest’ottica nulla è mai definitivamente concluso e la vita, nel suo insieme come nella specificità dell’esperienza umana, non è che flusso perenne di cause ed effetti. Il Karma è inesorabile fluire di avvenimenti che
può diventare “coattivo”, “costrizione ad essere oggi quello che si è determinato ieri”. In modo più semplice si può dire che gli avvenimenti seguono un ritmo di causalità (germoglia quello che si è seminato) e vivere ad un livello in cui si è a contatto con la propria energia primaria, quella che ci plasma in ogni momento liberi da condizionamenti, fa in modo che il seme sia in ogni momento scevro da condizionamenti perché in ogni attimo intriso di energia creativa originaria. (da Enzina Luce Franzese - Essere Amore, Essere Luce – Abbaterizzo
Editore)
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pace: deriva dal latino pax. In questo lavoro questa parola viene usata spesso e necessita perciò di una esauriente spiegazione per salvaguardarne il significato originario e sganciarlo da strumentalizzazioni ideologiche, politiche e religiose. Il termine, per la sua natura poliedrica, presenta molteplici aspetti tutti degni di considerazione. Comunemente con il termine pace si intendono diverse situazioni: quella contraria allo stato di guerra; l’atto che sanziona la definitiva cessazione di uno stato di guerra; il simbolo di buon accordo e di concordia di
intenti, di quiete, o agio; il tramonto dei turbamenti sensoriali; l’assenza anche momentanea del dolore psicofisico o morale; uno stato di
tranquillità o di calma diffusa e riposante; lo stato di serenità e realizzazione spirituale.
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PACE
Queste parole del maestro Chagdud Tulku Rinpoche sono, a mio avviso, la premessa per spiegare la fondamentale funzione delle pratiche meditative al fine di eliminare il dualismo bene/male presente nell’individuo, così come
nella sfera sociale e politica. Dunque, impegnarsi a livello individuale in una disciplina meditativa e guarire i propri conflitti attraverso un percorso di crescita interiore equivale ad impegnarsi anche a livello sociopolitico ed
estendere a questo ambito l’elimi-nazione della contrapposizione violenta determinata da una visione dualistica.
Ognuno di noi aspira al raggiungimento della pace1. Secondo un sondaggio dell’UNICEF esiste uno stretto legame tra povertà ed infelicità: la conflittualità, o assenza di pace è dovuta molto spesso a situazioni di effettivo disagio che sono presenti nel nostro tessuto sociale e tale disagio è percepibile già nelle prime fasce d’età. Vivere nel
conflitto e nell’infelicità rende aridi perfino i bambini, i quali perdono la loro naturale e spontanea capacità di
dare, dal momento che è difficoltoso offrire il proprio contributo ad una società dalla quale si è ricevuto solo sofferenza. E’ opportuno riflettere a lungo su questo fatto. Il seme della pace deve necessariamente essere di nutrimento per le nuove generazioni e di sostegno per la crescita dell’individuo. Alcune tra le principali paure che
affliggono i bambini e gli adolescenti di molte società riguardano i comportamenti violenti in famiglia, l’insicurezza del proprio quartiere e l’esser costretti a subire violenze psicofisiche, pur nella piena consapevolezza del
proprio diritto a rivendicare l’assoluta libertà dai maltrattamenti. Sono molti coloro che pensano all’emigrazione
mentre nel profondo del loro cuore nutrono la speranza in un mondo di pace.
Ognuno di noi, in quanto essere umano, è sensibile ed avverte il profondo disagio provocato dal conflitto. La guerra è il conflitto al suo punto di massima espressione, è il punto di rottura degli equilibri e soprattutto della comunicazione. In tempo di guerra, quando nella loro patria d’origine si verificano situazioni d’insostenibile drammaticità, è naturale che interi popoli cerchino salvezza in altre terre. Chi umanamente può vivere in un luogo nel
quale sicurezza e sopravvivenza non sono garantite, dove le persone vengono brutalmente uccise per strada, torturate, violentate o, comunque, derubate della propria dignità di esseri umani?
Il fenomeno dei profughi si è diffuso sempre più negli ultimi trent’anni. Io stesso, quando vivevo in Nuova
Zelanda, al tempo in cui ero monaco, ho avuto modo di sostenere nel mio piccolo tre comunità di profughi provenienti dal Vietnam, dal Laos, e dalla Cambogia, tre nazioni tremendamente martoriate dalla guerra.
La guerra del Vietnam che durò quattordici anni, dal 1961 al 1975, fu un conflitto di incredibile crudeltà, lungo e
sanguinoso. Ricordo che trascorsi la mia adolescenza sentendo al telegiornale le scarne notizie delle operazioni di
guerra provenienti dal paese asiatico. L’esercito americano martellò il Vietnam con 13 milioni di bombe e riversando 75 milioni di sostanze chimiche letali sul paese. Il conflitto che secondo alcune fonti provocò la morte di
60.000 soldati americani e di circa 6 milioni di vietnamiti si concluse con il ritiro dell’esercito americano.
Anche i Laotiani soffrirono molto durante la guerra del Vietnam. Il Laos per il semplice fatto di trovarsi in mezzo
all’Indocina, divenne paese di transito per i rifornimenti ai guerriglieri vietcong, supportati dai comunisti di
Hanoi, che combattevano nel Sud Vietnam. Tra il 1964 e il 1973 il Laos è stato uno dei punti più caldi della terra:
furono sganciate sul paese due milioni di tonnellate di bombe, più di quante vennero sganciate dagli alleati sull’intera Europa durante la seconda guerra mondiale. A causa di queste indicibili sofferenze, molti Laotiani lasciarono il loro bel paese.
Dopo la guerra del Vietnam e con l’instaurazione di un regime comunista, l’esodo di migliaia di vietnamiti via
mare, con ogni tipo d’imbarcazione, occupò le cronache per diversi anni.
Il conflitto fratricida in Cambogia, durante l’era di atrocità e terrore del dittatore comunista Pol Pot (dal 1975 al
1978, anno in cui la Cambogia fu invasa dai vietnamiti)causò due milioni di morti. Gli uomini di Pol Pot, i khmer
rossi, si macchiarono di uno dei più efferati genocidi della storia. Le sofferenze dei sopravvissuti si protrassero
ancora per anni prima che il paese potesse ritrovare una certa autonomia e autodeterminazione democratica.
Tutte e tre le comunità hanno conservato la memoria storica di anni di dolore e atrocità, memoria che viene tenuta viva attraverso i racconti delle persone anziane sopravvissute all’immane tragedia della guerra. Neppure ai più
giovani è stato risparmiato l’orrore del conflitto bellico. Mi sono state riportate delle storie raccapriccianti.
Persone costrette a camminare attraverso i campi minati, a centinaia, disposte in fila, con il loro cuore colmo di
emozioni contrastanti: la paura di morire ad ogni passo, la speranza di salvarsi e il lacerante dolore per aver assistito impotenti alla morte dei propri cari, grandi e piccoli. Molti hanno perso i propri figli, i genitori; hanno visto
morire altri uomini e donne, oltre gli animali e la devastazione del territorio.
Quando la guerra ci coglie di sorpresa, ci sentiamo veramente inermi ed impotenti, in totale balìa degli eventi. E’
difficile comprendere il motivo per cui siamo ancora vivi mentre altri, che camminavano a cinque o dieci centimetri da noi, sono morti. Molto spesso attribuiamo ciò che ci accade al destino, al fato, al karma, ma una riflessione profonda, saggia, ci dovrebbe chiamare in causa in prima persona. Ricordo le parole di un grande maestro
della spiritualità contemporanea, Krisnamurti, il quale diceva, in toni molto severi, che ognuno di noi, in qualsiasi contesto culturale o sociale si trovi, è responsabile della guerra, compresa la piccola guerra che avviene nelle
foreste amazzoniche, dove gli indios vengono sterminati dai mercenari assoldati dalle compagnie petrolifere.
Ognuno di noi è responsabile del conflitto che per anni avviene dietro la porta accanto e si conclude con l’uccisione del padre o della madre, della moglie, del marito o di entrambi,oppure con l’uccisione del proprio figlioletto e il suicidio di colui che per disperazione poi si butta dalla finestra.
Quando sento asserire, in modo così autorevole, un’affermazione di questo tipo, nasce spontanea una domanda:
“Ma in che modo io sono responsabile di questa conflittualità e delle guerre che si combattono in questo mondo?”.
Interrogandomi e riflettendo cerco di recuperare in me una maggiore capacità d’ascolto e di accettazione della mia
incapacità di risolvere la situazione dell’altro. Nella misura in cui io mi ascolto profondamente e sento tutta la mia
impotenza nel fare delle grandi rivoluzioni ecco che, nel mio piccolo, ritrovo il senso della mia appartenenza, della
mia responsabilità e della mia vicinanza agli altri. In questo modo sono chiamato in prima persona ad essere presente in coscienza a tutto ciò che accade, affinché la mia stessa ricerca di pace non significhi isolamento, non rappresenti un chiudersi le orecchie, un non voler vedere, un non voler sentire, un non voler essere informati. Io stesso ho vissuto la condizione di colui che non voleva essere disturbato, che preferiva uscire da questo mondo brutto e cattivo. Anche io, come tanti, ho ricercato la pace ritirandomi dalla relazione, dal confronto e in questo modo
ho provocato una maggiore alienazione all’interno del mio stesso essere. Conosco la via di coloro che affermano:
“Proteggi la tua pace, non curarti del conflitto. La tua responsabilità è quella di coltivare il tuo piccolo orto e, dunque, fai questo e fallo bene!”. Io non intendo negare la necessità ed il valore di un percorso evolutivo individuale, ma ritengo che esso assuma un valore ancora più ampio se funzionale ad un’apertura dell’individuo alla collettività. E’ prezioso che tutta la forza che l’individuo ha raggiunto venga messa a disposizione e al servizio degli
altri. Un qualsiasi percorso di crescita interiore, scelto da noi per raggiungere la pace, deve necessariamente passare attraverso il conflitto. E’ un fatto accertato, mentre la pace può essere molto lontana da noi, il conflitto e,
quindi la porta per entrare in uno stato di vera pace, è a noi molto vicino. Il lavoro che ognuno di noi può fare è
un lavoro quotidiano. La pace, intesa come astrazione utopica, si presenta come ultima chimera e mito della
libertà, libertà totale, libertà dal mondo, dalla condizione umana e sicuramente trova spazio anche nella letteratura religiosa: il paradiso, il nirvana e così via. E’ bello sognare, avere grandi aspirazioni, tuttavia rimane la difficoltà della gestione pratica del nostro vivere. Per fortuna siamo chiamati alla traduzione di questi grandi ideali nel
quotidiano, poiché solo calandoci più profondamente nel quotidiano potremmo avviare un vero e proprio processo di trasformazione interiore, ove gli stessi simboli, le stesse icone religiose, le stesse sacre scritture dovranno
essere messe in pratica e tradotte in azioni. Tra queste, quella che maggiormente ci viene richiesta, in una dinamica di conflitto, è sicuramente quella di non creare altra sofferenza. La capacità di non incrementare la conflittualità significa già di per sé, percorrere una via di pace. Dunque, ognuno di noi dovrebbe chiedersi: “Come posso
io, nel disagio quotidiano, nella conflittualità quotidiana, nell’insofferenza così dilagante, dare un contributo affinché ci sia più pace? Come posso uscire fuori dalla dinamica reattiva secondo la quale ad uno schiaffo ricevuto reagisco a mia volta con un altro schiaffo, alla prepotenza subita rispondo con un’altra prepotenza, ad un’offesa con
una vendetta e così via?”. Io penso che questo sia possibile solo attraverso l’attuazione di un salto di coscienza e,
per salto di coscienza, intendo un evento, un’esperienza che rendendo possibile l’interruzione della consueta dinamica mi consenta di uscire fuori dalla ciclicità di “botta e risposta”. Fare dei salti di coscienza si presenta oggi
come un evento planetario al quale molte persone sono chiamate. Il risveglio spirituale è strettamente connesso
sia alla coscienza che alla pace, nella misura in cui le persone avvertiranno, nella loro coscienza, il senso d’appartenenza, di fratellanza, potranno effet-tivamente uscire fuori dalle dinamiche conflittuali.
LA PACE E’ POSSIBILE
In tutte le guerre la verità è la prima a morire. Tuttavia come ci ha dimostrato il Mahatma Gandhi è possibile ristabilire la Pace perseguendo la verità,
la giustizia e la libertà degli individui in quanto “La verità e la non violenza sono antiche come le montagne”.
“Voi siete gli artefici della vostra condizione, passata, presente e futura. La felicità o la sofferenza dipendono dalla
mente, dalla vostra interpretazione , non dipendono dagli altri, da cause esteriori o da esseri superiori. Ogni problema e ogni soddisfazione sono creati da voi, dalla vostra mente”.
Con queste parole il Buddha Siddhartha Gautama, detto anche Sakyamuni, che visse circa 2500 anni fa, tra il VIV secolo a.C., nel nord dell’India, si rivolgeva al senso di responsabilità del singolo individuo affinché potesse
crescere interiormente ed esprimersi in modo positivo, con consapevolezza, generosità, altruismo, saggezza e
amore. Sono queste le qualità che ognuno di noi può manifestare nel mondo per renderlo migliore.
Da sempre l’essere umano come tutti gli altri esseri senzienti è alla ricerca della felicità. Nel perseguire questo
profondo desiderio di benessere l’uomo ha seguito un percorso storico che lo vede oggi nel XXI secolo protagonista del suo destino. La civiltà che questi ha prodotto riflette il suo innato desiderio di sicurezza, ma paradossalmente è anche la causa di nuovi sconvolgimenti sociali e naturali.
In questi giorni si parla molto di pace e di guerra. Sembra che tutti abbiano ragione. A chi credere?
Tutte queste opinioni e punti di vista, tutte queste discussioni e argomentazioni ci possono far riflettere ed osservare le nostre stesse reazioni agli avvenimenti quotidiani. Le parole, le immagini, i concetti e i pensieri, si proiettano nello spazio della nostra mente e lo riempiono. La loro forza, a volte irruente, genera e alimenta la violenza
dentro e fuori di noi. La nostra razionalità ci permette di fare ordine in un mondo sempre più complesso, ma se
non è supportata dai buoni sentimenti che nascono dal cuore la nostra vita e il mondo in cui viviamo sarà sempre più infelice. Abbiamo bisogno di tempo, abbiamo bisogno di fare spazio per la riflessione, con la meditazione, per il silenzio e per la contemplazione più profonda, perché finché saremo condizionati da pensieri coatti, que-
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sta nostra mente non sarà libera e felice. Quando i pensieri diventano rigide opinioni, argomentazioni sempre più
forti e contrapposte, il conflitto è inevitabile e così si giunge alla crudeltà della guerra.
Qualcuno ha detto che la guerra è una brutta bestia che gira gira e non si ferma mai. Molti affermano che la guerra è necessaria per assicurare la democrazia e la pace.
Certo! Esistono delle motivazioni che spingono l’essere umano a distruggere, forse possono essere ritenute da
alcuni giuste, al punto da corrompere le nostre intuizioni più profonde e la verità stessa, al punto da ritenere le
guerre, come l’unica risoluzione ai conflitti o comunque quella giusta, quella politicamente corretta, o morale.
A volte gli strumenti che noi usiamo per mantenere la pace, diventano la via per perpetuare la menzogna. Come
dice Chagdud Tulku Rimpoche, maestro di saggezza contemporaneo,è bene ricordare che: “Per colui che comprende la vera natura della mente, guarire i conflitti individuali e guarire i conflitti politici nel mondo è, in essenza, lo stesso processo”.
A mio avviso c’è bisogno di una presa di coscienza individuale e collettiva in grado di cambiare dal di dentro le
istituzioni. Oramai da più parti si leva la voce secondo la quale ciascuno Stato, anche il più democratico, deve
attuare una severa riforma della propria politica internazionale. Non dobbiamo dimenticare che la maggior parte
degli Stati membri dell'ONU non sono dotati di istituzioni democratiche e che violano palesemente e sistematicamente i diritti umani, malgrado la Dichiarazione Universale del 1948 e tutti i successivi Patti, Trattati e
Protocolli in materia. A mio avviso l'esercizio effettivo della democrazia non può ammettere l’uso della violenza
la quale non fa che alimentare l’aggressività,l'ipernazionalismo e l'odio.
La comunità internazionale ha il dovere di intervenire in difesa dei popoli, ma dovrebbe farlo con le armi della
diplomazia, della politica, delle pressioni e delle sanzioni economiche.
In altre parole, coloro che hanno il potere devono andare oltre i vecchi schemi che favoriscono i loro vantaggi economici e che risalgono a concezioni geopolitiche di tipo coloniale e anacronistiche. Dobbiamo sensibilizzarci e
sensibilizzare gli altri affinché le problematiche dell’intera umanità vengano affrontare con senso di responsabilità. E’ richiesto l’esercizio di tutti gli strumenti d’informazione affinché le nostre forze politiche diventino veramente democratiche. Non ci sarà vera democrazia se non ci sarà verità, giustizia e amore.
Dobbiamo forse accettare che la guerra sia un male necessario, strumento funzionale per assicurare la pace?
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Molte persone sono esaltate dalla guerra, alcune trascorrono il weekend nei pressi degli aeroporti militari per
osservare i bombardieri decollare e altre fanno un mercato della costruzione di questi dispendiosi strumenti di
morte e distruzione. La guerra fa fare affari, diventa una distrazione, un sottrarsi dalla propria problematica quotidiana, quella più piccola, quella in cui dobbiamo essere ancora più responsabili. Esistono persone completamente invase dalla brutalità delle guerre, le quali non riescono a trovare il necessario distacco per stare più attente a non alimentare la negatività di cui si nutre lo spirito della guerra. Non si può approfittare di una situazione di
per sé drammatica ed inumana, non ci si può nascondere dietro motivazioni che giustificano il conflitto ad oltranza, ignorando l’aspetto più disumano della guerra. Ognuno di noi è chiamato a dare una risposta coerente ai principi dell’Amore e della Libertà. Per fare questo dobbiamo scegliere la via della conoscenza e della pace. La nostra
pace deve essere forte, ma nello stesso tempo sensibile e ricettiva, dobbiamo essere capaci di affrontare la nostra
e altrui sofferenza, perché è questo il cammino che ci porta alla comprensione e all’amore per vivere in un mondo
migliore.
D. Spesso lavorare sulla risoluzione dei propri conflitti implica separazione, fisica o ideologica, da chi si
ama, ed è causa di ulteriore conflitto; come ci si deve comportare quando la vita ci pone di fronte a una
scelta difficile, quando il prezzo della nostra evoluzione crea inevitabilmente separazione e conflitto
intorno a noi?
R. Questo è un grande dilemma e se ne esce solo nel momento in cui siamo in grado di accettare la sofferenza
come evento funzionale alla crescita di tutti coloro che sono coinvolti nel rapporto. La mia scelta di intraprendere la vita monastica mi ha portato a trasferirmi all’estero e ad allontanarmi per 12 anni dalla mia famiglia. Mi fecero sapere che mio padre piangeva solo sentendo pronunciare il mio nome e si commuoveva ogni
volta il suo pensiero era rivolto a me. La separazione aveva causato in lui un forte strappo emozionale e la mia
lontananza gli procurava una profonda sofferenza causata dal senso di abbandono che provava. Ma non per
questo sono tornato sui miei passi venendo meno all’impegno preso con me stesso, perché è fondamentale che
ognuno di noi rivolga la propria vita a un’onestà di base, al riconoscimento di ciò che siamo e alla fedeltà a
noi stessi. Qualche anno prima che mio padre morisse, gli ho detto: “Papà, non hai capito proprio niente di
me”; queste parole sono state pronunciate in una situazione di reciproco non riconoscimento e dunque di contrapposizione, ma anche attraverso questo tipo di confronto, apparentemente negativo, è stato possibile per
entrambi recuperare il senso del nostro incontro e del nostro rapporto. In fin dei conti, anche se abbiamo vissuto distanti l’uno dall’altro, sia geograficamente che ideologicamente, data la diversità dei nostri valori,
abbiamo compiuto un percorso insieme. È bene ricordare che il non attaccamento passa anche attraverso l’accettazione della sofferenza e della disapprovazione di coloro che ci sono più cari. Anche Gesù fa riferimento
a questa situazione dice: "Beati coloro che sono perseguitati a causa della giustizia, perché di loro è il regno
dei cieli. Beati sarete voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni
sorta di male per causa mia. Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio nei cieli è grande, poiché così
hanno perseguitato i profeti che furono prima di voi" (Vangelo di Matteo 5:10-12).
"Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, io pure lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.
Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a mettervi la pace, ma la spada.
Perché io sono venuto a mettere disaccordo tra figlio e padre, tra figlia e madre, tra nuora e suocera, e i nemici dell’uomo saranno quelli di casa sua. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio
o figlia più di me, non è degno di me…" (Matteo 10:33-38).
Affermazioni come queste rivelano dei passaggi iniziatici che sono passaggi chiave nel percorso di crescita
spirituale. Prendendo di nuovo spunto dalla mia esperienza, trovo un passaggio molto significativo. Dopo aver
fatto di tutto per far valere e accettare la mia volontà di fare il monaco, affermando con convinzione che sarebbe stata una scelta per tutta la vita, mi sono ritrovato dopo diciotto anni ad alzare la cornetta del telefono per
dire a mio padre: “Sai, papà, ho deciso di lasciare l’Ordine”. La sua reazione fu comprensibilmente di sconcerto, lo mandai letteralmente in tilt, perché ormai, e da tempo, aveva accettato la cosa. Mi aveva visto su
diversi quotidiani nazionali, mi aveva sentito parlare alla radio; mi aveva visto al telegiornale e in alcuni programmi televisivi; aveva seguito il mio incontro con il Papa e, in quella circostanza si sarà sentito fiero di suo
figlio, avrà sicuramente pensato, “Questo figlio non è uno straccione, dopo tutto”. Andava in giro con i ritagli
di giornale e li faceva vedere al farmacista, al sacerdote, a tutti i suoi amici e conoscenti, dicendo “Guarda,
mio figlio si è realizzato”. Poi, dopo diciotto anni, una mattina mi sveglio e dico: “Sai, papà,ho deciso di
lasciare l’Ordine”. Giustamente, la sua reazione alla notizia fu la saggia raccomandazione di essere cauto nel
prendere una tale decisione, che avrebbe di nuovo stravolto la mia vita. “Pensaci bene”, mi disse, “ma se lo
devi proprio fare, fallo nel modo più giusto, più impeccabile possibile”. Infine, per concludere il mio pensiero, posso solo affermare che la vita è cambiamento e come tale va accettata.
D. Io cerco con tutto me stesso di attuare un percorso di crescita e se mi volto indietro riconosco di aver
compiuto importanti e profondi cambiamenti nel corso della mia esperienza, tuttavia mi capita molto
spesso di non saper accettare le scelte di mio figlio e i cambiamenti da lui impostimi. Mi può dare qualche consiglio su come risolvere la rabbia che, forte, si scatena in me quando noi due entriamo in conflitto?
R. Secondo me ognuno si deve far carico del proprio fardello. Se la mia modalità è quella di arrabbiarmi, perché
mio figlio non fa quello che gli dico io di fare, questa è una mia responsabilità, è un mio carico, cioè sono io
e non mio figlio a dover crescere. Penso che nessun figlio abbia fatto al cento per cento quello che i genitori
vogliono che i figli facciano. La responsabilità ricade sempre e solo sulla coscienza del singolo. E’ fondamentale guardarsi, specchiarsi nell’altro; è questa la vera maturità, la vera crescita di cui gli adulti dovrebbero essere degli esempi e dei modelli in quanto principali e primari educatori dei propri figli. La profonda e
radicale trasformazione dell’individuo si realizza nella continua azione di guardarsi dentro, altrimenti non
saremo mai in grado d’influenzare positivamente i nostri figli, né tanto meno un intero popolo o nazione.
Mi viene in mente il caso della Romania. Il regime totalitario finì per mezzo di una rivolta popolare violenta,
il 22 dicembre 1989. La dittatura personale di Nicolae Ceaucescu, aveva provocato nel suo popolo, torchiato
all’estremo da un regime poliziesco, una ribellione. A Timisoara – dove si registrano scontri tra le forze armate - i media di tutto il mondo parlano di una repressione selvaggia, che avrebbe fatto migliaia di morti. Si scoprirà in seguito che le immagini dei morti della presunta strage erano di gente comune defunta in ospedale.
Nella confusione generale, creata ad arte dagli ex amici del dittatore, questi ultimi lo fanno sparire e lo fucilano . Ricordo di essere rimasto molto colpito dalle immagini che riprendevano Ceaucescu durante la visita
medica che precedette la sua esecuzione. E’ la solita storia di un dittatore terribile eliminato dai suoi stessi col-
laboratori. Certo è che quell’uomo con le sue stesse azioni ha segnato la propria drammatica fine.
D. Rispetto alle notizie delle cose terribili che accadono nel mondo, reagisco o con assoluta indifferenza, o
con sofferenza e depressione. Vorrei tanto fare qualcosa, ma la sensazione prevalente è quella d’impotenza, perchè è così difficile credere di poter contribuire a cambiare le cose. Come posso uscire dal mio
ristretto ed egoistico mondo, e qual è il giusto atteggiamento nei confronti di chi, pur rivestendo cariche
pubbliche di alta responsabilità, agisce con la violenza contro il bene comune?
R. La capisco! Io stesso, da ragazzino, dopo aver letto sul giornale qualche orribile tragedia, mi sdraiavo sul letto
in preda alla depressione, ma ormai non siamo più ragazzini, siamo cresciuti ed è giunto il momento di alzarsi ed agire. Dobbiamo prenderci la piena responsabilità del nostro sentire. Molto spesso viviamo in relazioni
di ricatto per cui attribuiamo all’altro la responsabilità delle nostre sofferenze, insicurezze, etc… ci appoggiamo troppo agli altri e non dovremmo farlo, perché questa limita la nostra evoluzione e quella degli altri. E’
importante mantenere un certo equilibrio per poter percorrere una strada. La scelta di percorrere la via della
pace si presenta come impegno individuale, perché altrimenti è pura astrazione utopica. Ci sono molti testi che
indicano diverse modalità di percorrere il cammino evolutivo che conduce ad una pace duratura, ma se la
persona non trova in sé stessa gli strumenti per acquisire forza ed equilibrio non potrà mai crescere ed
imparare a camminare.
INTERVISTA A MARIO THANAVARO
Di Valentina Brandazza
D. Che cos’è la pace?
R. È un senso di profonda armonia, che ci permette di avere una corretta relazione al nostro interno e che, di
riflesso, costruisce una società armonica.
D. La pace individuale, quindi, è l'inizio di una pace globale?
R. Non ci può essere pace globale senza una pace individuale. Ecco perché nel buddhismo si dà molta importanza al riconoscimento di un eventuale conflitto interno e alla risoluzione, al proprio interno, di questo
conflitto.
D. Come si risolve un conflitto individuale in una prospettiva buddhista?
R. Guardandosi e accettando il conflitto come opportunità di riflessione e possibilità di un profondo cambiamento.
D. Perché ci risulta così difficoltoso uscire da una situazione o da una relazione conflittuale?
R. Tutti noi sappiamo che uscire da una situazione conflittuale non è facile. E’ importante comprendere che la
difficoltà di uscirne fuori dipende dalla nostra incapacità di rimanere dentro al conflitto in ascolto di ciò che
sentiamo e di ciò che dinamizziamo attraverso la comunicazione e la relazione. Queste sono le domande che
ognuno di noi dovrebbe porsi: che cosa sento dentro di me? Come reagisco al conflitto? Che cosa sono capace di comunicare all’altro? x\Ognuno di noi porta dentro di sé un disagio più o meno grande, la cui pressione
interna trova nella relazione con l’esterno, (gli altri), una modalità di sfogo che non conduce alla vera risoluzione del conflitto personale, ma lo rende maggiore e complesso.
Nella dinamica relazionale di conflitto che si viene a creare tra noi e l’altro, è importantissimo riconoscere e
comunicare con onestà e verità le proprie paure e i propri disagi. Partendo da questa onestà si potrà cominciare
a lavorare per l’eliminazione o per l’elaborazione del conflitto.
D. Com’è possibile evitare la sofferenza che nasce dalla separazione e dal conflitto?
R. Evitare la sofferenza non è sempre possibile, essa, insieme al conflitto che la causa, va accettata ed elaborata
per poter essere superata e rivolta a beneficio della nostra evoluzione.
Secondo il pensiero del Venerabile Ajhan Chah, si conoscono due principali tipologie di sofferenza: la prima
che conduce all’estinzione totale della stessa ed una seconda che induce, invece, ad ulteriore sofferenza.
Personalmente ritengo che la storia dell’umanità pur essendo pregna di tanta sofferenza, sia un percorso per
giungere alla fine della stessa; la distinzione delle due tipologie di sofferenza, sopra enunciata, può aiutarci ad
abbreviare i tempi per la risoluzione dei conflitti che opprimono il cuore.
D. Secondo quanto da lei affermato riguardo alla sofferenza che può nascere da relazioni conflittuali è fondamentale comunicare all’altro il nostro sentire, ma come stabilire se sia più efficace il perdono o la vendetta, il porgere l’altra guancia o “l’occhio per occhio, dente per dente”? Può indicarci quale sia la via
migliore per non alimentare altra sofferenza sia a livello individuale che relazionale?
R. Purtroppo non abbiamo a nostra disposizione un manuale d’istruzioni per l’uso che ci indichi la modalità vincente, spetta ad ognuno di noi ricercare una risoluzione interna non dimenticando mai la stretta relazione interno/esterno. Come vi ho già ricordato, il maestro Chagdud Tulku Rinpoche afferma che, “per colui che comprende la vera natura della mente guarire i conflitti individuali e guarire i conflitti politici nel mondo è in
essenza lo stesso processo”. Ci sono persone che operano nel campo sociale o politico, e coloro i quali sono
dediti al volontariato: ogni tipologia d’impegno è egualmente valida. Ciò che conta non è tanto l’ambito d’azione scelto,il punto di partenza del nostro percorso, quanto il percorso stesso e il cambiamento che avviene,
attraverso di esso, dentro e fuori di noi, grazie a noi. Vi saranno coloro che partendo da una maggiore introspezione dedicheranno il loro impegno ad un’analisi attenta di quello che esperiscono al proprio interno; oppu-
re vi saranno altri che offrendo il proprio operato al servizio della collettività concentreranno la propria attenzione all’esterno. Bene, i due diversi atteggiamenti rappresentano entrambi una valida modalità in quanto
conducono e convergono in un unico punto comune, nella misura in cui, queste persone, veramente, stanno
risolvendo i propri conflitti.
Il non incrementare altra sofferenza dentro e fuori di noi sarà proporzionale alla nostra capacità di risolvere la
situazione di conflitto, mettendo in pratica, agendo quotidianamente al fine di non ripetere gli stessi errori e
rompere così quelle dinamiche conflittuali che portano separazione e sofferenza.
R. Sicuramente la guerra non è la risoluzione di un conflitto individuale o nazionale e tanto meno di un conflitto
su larga scala come quello che sta emergendo nella situazione geopolitica attuale.
D. Come possiamo cambiare lo stato delle cose?
R. Se vogliamo che le cose cambino dobbiamo divenire protagonisti. Io ritengo di aver fatto qualcosa nella mia
vita per migliorarmi come individuo ed offrire il mio contributo alla collettività. Sono certo che molti di voi
avranno, a loro modo, fatto qualcosa per la propria vita senza aver dovuto ammazzare nessuno. Purtroppo ci
sono ancora troppe persone che vivono ed agiscono nella convinzione che la loro sofferenza dipenda dagli
altri, che si sentono autorizzati ad usare la violenza solo perché, essi sostengono, “il fine giustifica i mezzi”.
Che cosa, dunque, impedisce a tutti noi di uccidere qualcun altro? Il riconoscere che, effettivamente, l’altro
agisce nell’ignoranza, a causa di una profonda sofferenza interna sulla quale sarebbe necessario lavorare.
Secondo una visione più ampia, laddove esiste un dittatore, dall’altra parte c’è il popolo. Si tratta di una situazione karmica che riguarda la collettività. Si sono nel tempo create dinamiche per cui il dittatore sta in alto e
il popolo sottomesso a lui oppure, ad un certo momento, viceversa, il popolo si ribella e giustizia il dittatore.
E’ una questione d’equilibrio di forze e il cambiamento della situazione è funzionale al risveglio della col-lettività,risveglio che può realmente avvenire solo attraverso il risveglio delle singole coscienze.
J. Toda dice:“Una grande rivoluzione nel carattere di un solo uomo permetterà di realizzare un cambiamento
nel destino di una nazione e condurrà infine ad un cambiamento nel destino di tutta l’umanità”
D. Dal punto di vista buddhista, da parte di un insegnante di Dharma3, come si contatta la pace, quali sono
le modalità di pratica?
R. Prima di tutto attraverso il non nuocere. Attraverso la corretta osservazione della propria parola, dei propri pensieri e della propria azione, evitando di creare altra sofferenza. Si inizia con il soffermarsi su questi livelli dell’esperienza, quello della mente, quello delle modalità espressive, della parola, e quello dell’azione.
D. Quindi un auspicio, in una situazione come quella che stiamo vivendo in questi giorni, potrebbe essere
una riflessione accentuata su quello che la guerra potrebbe causare?
D. La pace, a prescindere dal fatto che sia auspicabile, è possibile?
R. La pace è presente, non è una possibilità remota, è presente; quello che dobbiamo fare è contattarla e usare la
nostra energia per attivare una buona volontà. Si dice infatti che gli uomini, ovviamente intendendo uomini e
donne, di buona volontà sono in grado di contattare questa pace e di vivere in pace.
3
dharma: termine con radice sanscrita ed anch’essa, pur se ancora usata nel suo significato originario, ha assunto diverse sfumature e
può essere letta a vari livelli. La radice “Dhar” può essere tradotta con parole come “sostenere” o “mantenere” ed alla parola Dharma
possiamo dare il senso di “sostenere i vari elementi di un insieme in una forma” o “mantenere in una forma le varie parti di un insieme”. E’ quindi l’Ordine intrinseco che plasma la forma. Il Dharma è energia che plasma, che forma e lo stato di vita-coscienza ad esso
connesso è quello più profondo, quello della scelta consapevole che con la sua forza dirompente può spezzare la catena della causalità
facendoci essere oggi non più il risultato dell’ieri ma di nuovo forma prima e pura cioè non condizionata dalle azioni del passato. Ho
visto questa parola essere tradotta anche semplicemente con “abito” o ”forma” ma le ho visto mantenere sempre il senso di “giusto
accostamento delle parti” e quindi di “corretta forma” e “corretto uso della forma”. Per questa ragione è stata anch’essa usata per
esprimere principi, norme e regole di vita in contesti spirituali e religiosi. Nei vari livelli di lettura diventa: Morale, Retta Azione, Legge
Cosmica, Rettitudine, Dovere. Le parole Karma e Dharma nella loro più semplice accezione sono correlate non perché esse indicano
opposti che si negano a vicenda ma perché esse intendono due diversi livelli di vita e di consapevolezza che si integrano nella polarità
che governa l’esistenza. Il Karma è il risultato dell’azione e la causa dell’azione, il Dharma è la forma prima, originaria che non ha condizionamenti ed è quindi libera da “coazioni a ripetere” che in un ciclo di causalità diventa inevitabile. (da Enzina Luce Franzese Essere Amore, Essere Luce – Abbaterizzo Editore)
Ovviamente, questa è solo la premessa per un’azione altruista, amorevole e compassionavole, secondo cui si
va verso l’altro per aiutarlo nelle sue difficoltà. Sicuramente non lo si può fare con la violenza. Non lo si può
fare nemmeno in breve tempo; il cammino buddhista è lungo, può durare vite. Siamo tutti nella stessa vita,
ognuno di noi si può impegnare nel momento presente per attivare le forze della pace. Noi ci ostiniamo a seguire modelli discutibili e inefficaci, crediamo che la lotta sia uno strumento valido per la risoluzione del
conflitto, ma la lotta non fa che generare altro odio che si ripercuote sulle generazioni future. A mio avviso, e
secondo molti maestri di diverse tradizioni spirituali e non solo, questa non può essere la via per la pace.
D. La tradizione buddhista è in se stessa profondamente permeata di pace; pensando che uno dei precetti
fondamentali è quello di non nuocere a nessuno, immaginiamo che un praticante debba essere impegnato nella pace personale e altrui più di un praticante di altre religioni.
R. Mi auguro che i veri praticanti di tutte le tradizioni religiose siano inclini alla pace, altrimenti avrei dei dubbi
rispetto alla loro fede religiosa. Per me questo va da sé.
D. Ma storicamente il buddhismo è l’unica religione che non abbia mai avuto delle guerre sante.
R. Sicuramente i buddhisti non hanno mai avuto delle problematiche così forti, di vera contrapposizione, ma
anche nel corso della storia buddhista proprio perché il buddhismo è all’interno di un percorso
storico e quindi politico ci sono stati contrasti e conflittualità non risolte. Le indicazioni dei religiosi sono però
quelle di praticare e promuovere la pace.
D. Premetto di non aver letto il suo libro “Non creare altra sofferenza”. Può fornirci qualche indicazione
su come sia effettivamente possibile evitare di creare sofferenza agli altri?
R. Tempo fa ho avuto la fortuna d’incontrare il Pontefice Giovanni Paolo II e gli ho portato in dono il libro ‘Non
creare altra sofferenza’. Tradi-zionalmente i regali vengono ben confezionati mentre io gliel’ho portato senza
averlo incartato, perché volevo essere sicuro che leggesse almeno il titolo.
Precedentemente a questo incontro il Pontefice si era trovato ad affrontare una situazione molto imbarazzan-
te per la diplomazia vaticana a causa di un capitolo del suo libro-intervista ‘Alle soglie della speranza’, nel
quale ci si riferiva alla religione buddhista in modo impreciso ed approssimativo. La cosa comportò una reazione di chiusura da parte di diversi paesi buddhisti alla vigilia del suo viaggio in Sri Lanka; nessun rappresentante di rilievo del Sangha (la comunità monastica buddhista) si presentò ad accoglierlo e furono addirittura organizzate delle manifestazioni di protesta di piazza a testimonianza del forte dissenso nei suoi confronti e dell’evidente conflitto venutosi a creare. La comunità buddhista mondiale si era sentita offesa nel proprio
sentimento religioso e il Pontefice, persona di grande e profonda sensibilità, comprese di aver commesso qualche errore. In seguito l’U.B.I.,che rappresenta le Comunità Buddhiste in Italiana, di cui ero allora
rappresentante ufficiale in veste di presidente, decise di fare un gesto di riconciliazione. Io ebbi così la fortuna di presentarmi al Pontefice e non mi lasciai sfuggire l’occasione di lasciargli un messaggio. Intendevo invitarlo a riflettere sull’importanza di prestare maggiore attenzione nel diffondere opinioni o giudizi su altre religioni, nello specifico, quella buddhista, una religione di tradizione millenaria ingiustamente discriminata sulla
base di presupposti teologici troppo datati e non attendibili. Non ritengo che il Pontefice abbia agito in malafede, tuttavia egli era responsabile di ciò che a suo nome era stato pubblicato. Con molta probabilità il
Buddhismo gli era stato presentato in modo errato o ne aveva comunque fatta la conoscenza attraverso letture risalenti al tempo dei suoi studi da seminarista. Successivamente, tramite un sacerdote cattolico studioso di
Buddhismo Tibetano che frequentava l’ambiente vaticano, venni a conoscenza di un commento del Pontefice
relativo alla delicata situazione diplomatica che si era venuta a creare, affermò: “La prossima volta che dovrò
diffondere qualcosa mi rivolgerò a dei consiglieri più saggi, a degli studiosi o a chi sia maggiormente informato sull’argomento.”.
Spero di aver chiarito, tramite questo esempio, in che senso sia possibile non accentuare la sofferenza causata dalle
incomprensioni o dalle varie diversità, sociali, culturali, politiche e religiose, affinché queste non accrescano il
senso di separazione e non ci portino alla contrapposizione, al conflitto,alla violenza e all’orrore della guerra.
A tal fine è necessario non innalzarsi al di sopra di altri ritenendosi detentori della Verità.
D. Come si vive la pace da un punto di vista strettamente buddhista, come la vive Lei nella vita
quotidiana?
R. Attraverso la riflessione, ovviamente attraverso la pratica della meditazione e attraverso l’azione amorevole,
altruistica e generosa. Cioè in modo semplice. Alla ricerca di un rapporto pacifico con tutti gli esseri viventi e
l'ambiente che li comprende, nel massimo rispetto.
D. Lei ha fatto una scelta di vita particolare.
Crede che in una vita normale, inabissata nella quotidianità, sia possibile fare una scelta di non conflitAppellarsi al patriottismo del ‘popolo’ e ricorrere alla retorica moralista del Bene e del Male fa parte della strategia mediatica di chi
detiene il “potere”. Attraverso la demonizzazione dell’avversario il ‘presidente’ e il ‘tiranno’ di turno (Jeorge Bush e Saddam Hussein)
si confrontano con le parole per persuadere la maggioranza delle nazioni della veridicità delle loro affermazioni. La giustificazione ideologica per attaccare l'Iraq si fonda sul sospetto che Saddam Hussein sia realmente in possesso di armi di distruzione di massa. Il bombardamento mediatico ai quali veniamo sottoposti per mesi sortisce i suoi effetti: una buona parte dell’opinione pubblica americana
viene convinta che l’Iraq di Saddam Hussein è una reale minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti e del mondo intero. 4D’altra parte
si moltiplicano gli appelli alla Pace in tutto il mondo attraverso interventi, cortei e manifestazioni senza precedenti per la grande partecipazione popolare. Alle ore 19 del 15 Febbraio 2003 si concluse a Roma la più imponente manifestazione per la Pace del mondo,
con più di 3 milioni di persone giunte da ogni parte del paese.
5
Oggi sappiamo che l'intervento militare di una coalizione di Stati, guidata dagli Usa e dall'Inghilterra, contro Saddam Hussein c’è stato
e ha ignorato il desiderio di pace espresso da milioni di persone in tutto il mondo. Il 24 Marzo 2003 alle 15:37 (in Italia) iniziarono i
bombardamenti su l’Iraq. Dopo sette anni di conflitto con l’Iran, dopo la prima guerra del Golfo (nel 1991) in risposta all’occupazione
del Kuwait, dopo 12 anni di embargo e dopo lo scoppio della ‘guerra preventiva’ degli anglo-americani, l’Iraq oggi è un paese in ginocchio. E’ diventato il terreno ideale per ogni tipo di attacco terroristico, il popolo iracheno è martoriato da uno stillicidio quotidiano,
angosciato da una tragica e disperata quotidianità di sangue e morte e ora più che mai è diventato il centro di una spirale di odio. Dopo
l'impegno militare Usa in Afghanistan il presidente George Bush non ha avuto la minima esitazione a lanciare il suo paese nella guerra contro l'Iraq e benché di questi due conflitti non si veda ancora la fine già si parla di un possibile intervento armato contro l’Iran
sospettato di volersi dotare di ordigni nucleari. Qualcuno ha detto: “La storia si ripete”. Che cosa possiamo fare? Come dice il Buddha,
il compito di ognuno di noi è “restare liberi dall’odio anche in mezzo a chi odia, questa è vera felicità”. Solo così avremo pace e saremo portatori di pace.
6
to nei confronti di qualsiasi essere vivente?
R. La scelta di non conflitto non è non riconoscere la presenza del conflitto, non è evitarlo a tutti i costi, ma significa viverlo con attitudine saggia.
Allora il conflitto diventa la via per la trasformazione dell’energia e quindi esso stesso funzionale a un risveglio della coscienza. Una vita senza conflitti, onestamente, mi sembra molto lontana. Ben venga il conflitto se
le nostre risposte sono sagge e in grado di risolverlo; ecco perché contesto le attuali posizioni delle diverse
correnti politiche. Non vedo in questo tipo di risposta, cioè la guerra che è alle porte, la risoluzione di questo
conflitto.
D. Ritiene sia possibile trovare una soluzione che sia al di sopra delle parti, cioè né con Bush né con
Saddam, una soluzione pacifica?
R. Questo sarà possibile nella misura in cui tutti, Bush5, Saddam e i popoli rappresentati dai loro politici, manifesteranno questa volontà. Ma senza un’espressione collettiva del desiderio di pace, questo non sarà possibile.
D. Una risposta collettiva c’è, si sono mobilitate moltissime persone in Europa e anche in America ci sono
state molte manifestazioni; che cosa succede quando la gente vuole la pace e non la ottiene, come si risolve un conflitto così evidente?
R. È importante la libera espressione delle proprie idee e del proprio pensiero4, e fintanto che ci sarà la possibilità di esprimere questo pensiero, le possibilità di vivere in pace saranno maggiori. Dunque ritengo molto positivo quanto sta accadendo, anche perché i buoni e i cattivi non sono necessariamente tutti da una parte. Si tratta di vivere con saggezza e penso che ci siano molte persone sagge che hanno modo di disapprovare scelte non
sagge di chi ha a disposizione potenti strumenti di informazione e macchine mostruose, cioè gli strumenti della
guerra.
D. La saggezza quindi è un’espressione, un attributo della pace?
R. Sì, una persona saggia è una persona in grado di promuovere la pace, di vivere la pace.5
D. Come si coltiva la saggezza sul sentiero buddhista?
R. Si inizia fondamentalmente con il riconoscimento del bisogno dell’altro, per cui se riconosciamo la difficoltà
dell’altro, ci adoperiamo in ogni modo per portarlo verso la corretta visione e dunque a scelte sagge. Ma questo si fa sempre con strumenti ragionevoli e pacifici.
D. Quanto è importante la meditazione nello sviluppo della saggezza e quindi della pace?
R. Per meditazione intendiamo soprattutto la capacità di osservare quanto si manifesta al nostro interno e all’esterno: questa capacità di riflessione è fondamentale. Al contrario l’azione coatta, o condizionata, ci porta alla
reattività e non ci permette di vedere in modo corretto la situazione, di valutare i pro e i contro di determinate scelte e decisioni.
D. Ci può raccontare di un insegnamento del Buddha sulla pace che sente particolarmente caro?
R. In una particolare circostanza c’erano gli abitanti di due paesi che si contendevano un corso d’acqua e in
quella situazione il Buddha fu in grado di intervenire per evitare una guerra, indicando loro il modo di
sfruttare queste risorse idriche con un’alternanza nell’uso dell’acqua. Dovremmo entrare nella logica della
condivisione dei beni, e questo vale per tutte le risorse del mondo. Senza questo tipo di condivisione delle
materie prime, sicuramente vedremo altre guerre e altri conflitti.
D. Crede che sia possibile, al livello in cui siamo arrivati oggi, senza contemplare necessariamente un punto
di vista religioso, raggiungere una completa armonia?
R. Si dice che la speranza sia l’ultima a morire. Ho ascoltato diverse persone, competenti e in posizione di responsabilità e di potere, che hanno questa visione più pacata - più diplomatica, se vogliamo chiamarla così - rispetto a questo momento di crisi, per cui io mi auguro che ciò possa avvenire anche in questo caso.
D. Lei ha un’esperienza molto lunga alle spalle, anche come monaco: quando ha scoperto la pace nella sua
vita?
R. Non posso dire che ci sia stato un momento specifico, come un’illuminazione, o un’esperienza particolare. I
miei maestri mi hanno insegnato a osservare il respiro e osservando il respiro sono in grado di contattare la
pace. Ogni volta che richiamo alla mente questa indicazione, la pace fa parte della mia esperienza, passata e
presente. Basta applicarla.
D. Una pace che non è dunque un momento di alienazione, ma è vissuta e applicata in ogni momento?
R. Sì, è una pace nella propria esistenza, nella propria vita, nel respiro, nella relazione con se stessi e con gli altri.
D. Lei cerca di trasmettere questi insegnamenti agli allievi che vengono ad ascoltarla e a meditare con Lei?
R. Questa è la mia motivazione, anche dell’essere ritornato al mondo laico. Credo che questi insegnamenti siano
di particolare attualità per la società moderna e secolare la quale ha perso il senso di un percorso spirituale
oppure l’ha delegato solo ai religiosi, e questa non è una cosa buona.
D. Che cos’è la spiritualità?
R. È ciò che siamo; ogni cosa è spirituale22.
D. Come è possibile accostarsi in questo modo a noi stessi in una società così compulsiva, così piena di
obiettivi e traguardi da raggiungere?
R. È possibile, basta fermarsi un poco, anche in occasione di questa effervescenza, di questa eccitazione caratterizzata dal desiderio di guerreggiare e dalla paura di cadere in questa trappola. Dovremmo fermarci un po’ e
Ogni cosa è spirituale: Invito tutti a porsi questa domanda. Una mia allieva di nome Maria Pia mi ha scritto: “La spiritualità è lo spazio
tra le cose, è negli interstizi ove le forme emergono. E’ l’armonia del verde del prato con l’ocra del terreno. E’ l’eco della campana che si
propaga nello spazio; è il gioco di ombre e di luci. E’ il mio occhio riposato e contemplante. La spiritualità è il sostare mentre tutto intorno
vortica incessantemente. E’ ciò che attrae. Nell’attimo sfuggente lo cogli, col silenzio nel cuore lo contempli, nella solitudine ti ci immergi,
nel puro Amore ti unisci ad Essa”.
22
riflettere, meditare: questo ci aiuterebbe.
D. Lei ha nominato la paura e il desiderio: che cosa sono dal punto di vista buddhista?
R. Sono il motore dell’esistenza. Noi ci troviamo presi da queste forze che, se non vengono comprese e gestite,
creano confusione, conflittualità e distruzione. Siamo dunque chiamati a comprendere bene queste emozioni,
queste forze, proprio per agire in modo corretto.
D. Sempre attraverso la meditazione e la pratica del Dharma, la Legge Eterna5, che non è finalizzata esclusivamente a questo, ma diventa un vero modus vivendi?
R. La vera pratica è la vita, cioè come noi siamo nella vita. Dunque siamo chiamati a fare questo tipo di operazione al nostro interno, onde evitare ulteriori guai.
D. E qual è il fine del buddhismo?
R. Il fine del buddhismo è la liberazione dalla sofferenza, per il singolo e per la collettività.
D. La sofferenza, quindi, è una chiave di volta anche per la comprensione della pace?
R. Sicuramente la sofferenza può essere funzionale al risveglio della saggezza, altrimenti diventa solamente
distruttiva e crea ulteriore oscuramento della coscienza.
D. Ci sono sofferenze necessarie, guerre necessarie, violenze necessarie al fine di ottenere una pace più
stabile?
Dharma, La Legge Eterna: In questo contesto il termine Dharma (sanscrito; in páli Dhamma) va inteso non solo come l’insegnamento
del Buddha, ma anche nel suo significato di Verità Ultima, Imperitura. Nei testi antichi della tradizione buddhista, infatti, ricorre sovente la definizione Asankhata Dhamma, ‘la Verità Incondizionata’, o Amata Dhamma, la ‘Verità Immortale’. Questa è rappresentata dal
principio espresso dal Buddha: “Evita di fare ogni male; coltiva ciò che veramente è bene; purifica il cuore. Questa è la via di tutti i
Risvegliati”.“Dhammapada”, verso 183
4
R. La sofferenza è parte della vita, la stessa nascita di un essere umano avviene nella sofferenza. Però dovremmo
fare di tutto per alleviare il dolore di una partoriente, perché dia la vita senza un eccesso di sofferenza. Dunque
il nostro operato va verso il contenimento della sofferenza naturale e dobbiamo adoperarci per non accrescere questo tipo di sofferenza inevitabile con altre sofferenze create dall’ignoranza dell’essere umano. I terremoti, le alluvioni, l’innalzamento delle acque fanno già la loro parte (anzi sarà sempre maggiore) e le sofferenze da essi prodotte saranno sempre più percepibili nelle società. Dunque la guerra, in questo momento e per
il nostro futuro, non è che un eccesso di sofferenza che non può che fare male.
D. Come si può alleviare la sofferenza degli altri?
R. Sostenendoli, aiutandoli, indicando loro modi diversi di vivere e di gestire la propria vita, istruendoli, permettendo loro di esprimersi e di acquisire le forze necessarie per un cammino di riscatto, anche sociale.
D. Con tutte le conflittualità presenti, anche di tipo religioso, c'è la possibilità di trovare una via che vada
anche oltre l’appartenenza a una fazione?
R. Siamo chiamati ad adoperarci in un processo unitario, dobbiamo necessariamente lasciare gli attaccamenti alle
varie posizioni ideologiche o di fede, per comprendere il senso della vita come relazione tra appartenenti all’umanità intera, dunque come fratelli e sorelle nella sofferenza così come nella felicità.
D. Questo insegnamento sottolinea l'interdipendenza di tutti gli esseri umani e quindi la sterilità del
considerarci singoli individui distinti.
R. Questo senso di separazione è l’effetto dell’ignoranza, dell’incapacità di vedere l’interconnessione che c’è in
tutte le esperienze e in tutti gli esseri. Dobbiamo assolutamente recuperare questo senso di appartenenza all’altro e quindi adoperarci affinché non ci sia un aumento della sofferenza nell’altro, inteso come individuo, nazione, popolo, cultura e pianeta. Spesso sulle pagine dei giornali, soprattutto ultimamente, si parla di occidente
contrapposto all’Oriente, considerato meno evoluto, meno istruito, meno capace di vivere una vita che noi riteniamo saggia, giusta e corretta. Ma in realtà, da questo punto di vista, apparteniamo tanto all’Oriente quanto
all’Occidente. Queste sono ulteriori separazioni concettuali. La realtà è che siamo tutti di un unico pianeta, con
problemi e questioni che devono essere risolti collettivamente e l’Occidente, proprio perché ha oggi maggiore disponibilità, deve fare uno sforzo maggiore, deve dimostrare un impegno maggiore per dare direttive sagge
e aiutare altri Paesi a non rifare gli stessi errori. La società industriale e la tecnologia hanno sicuramente alleviato il disagio di intere popolazioni, ma dobbiamo analizzare questo sviluppo in modo critico, non esportare
modelli che ci hanno creato problemi, e trovare altre soluzioni, nel rispetto di altre popolazioni e di altre culture.
D. Si parla spesso di pace da un punto di vista politico, sostenendo che la posizione dei pacifisti è inattuabile, inapplicabile. Nessuno ha pensato alla pace da un punto di vista religioso, come inclinazione interiore delle persone che credono in una via spirituale. Perché si deve stare da una parte o dall’altra ?
R. Perché siamo scollati, si pensa che la politica sia una cosa e la religione un’altra. Di fatto tutti noi, anche i religiosi, siamo delle persone che hanno una posizione politica; esprimere le proprie idee, avallate da una fede
religiosa, è fare politica, ed è una politica altrettanto valida e degna di considerazione.
D. I praticanti buddhisti sono diventati anche qui in Italia più che una minoranza religiosa; perché così
tanti si rivolgono a questa tradizione, che risposte ha da dare?
R. Penso che sia una tradizione che rivolga una particolare attenzione all’essere umano e dunque ci riporta alla
responsabilità pratica, al fine di attuare un cambiamento reale della persona. È una fede pragmatica, nel senso
che, attraverso la riflessione, ci rendiamo conto che siamo chiamati in prima persona a mettere in atto un
cambiamento.
Achaan: Il termine thailandese Achaan (si legge ‘Acian’) deriva dal sanscrito acariya e significa ‘maestro’. E’ un appellativo usato per
i monaci con almeno dieci anni di anzianità. Viene trascritto sia con Achaan che con Ajahn, più comune su scala internazionale e in questo testo usato solo nei riferimenti bibliografici dell’autore.
4
D. Che cosa può dire delle persone che Le chiedono di insegnare loro il Dharma, che cosa stanno
cercando?
R. Stanno cercando strumenti validi per la risoluzione delle loro difficoltà, ma stanno cercando anche la via
spirituale con una metodologia libera dal condizionamento culturale in cui sono cresciuti.
D. E a chi dice che le persone che si rivolgono alle tradizioni orientali in realtà cercano solo l’esotico, cosa
risponde?
R. Io non offro più l’esotico, non sono più un monaco buddhista. Se cercano questo, dico loro di andare altrove.
D. Da che cosa si identifica un buddhista, come si riconosce, chi è?
R. Penso che non lo si riconosca affatto. Forse dalle sue parole emergono idee riconducibili all’insegnamento del
Buddha. Altrimenti penso che sia una persona ordinaria.
D. Si riconosce però nella pace.
R. Si riconosce sicuramente per una sua compostezza interiore.
D. Che spesso si riflette nell’esteriorità: osservando i monaci e le persone che hanno a che fare con il
Dharma si nota una lentezza, una maggiore attenzione a quello che di sé si porta verso gli altri.
R. Penso che sia vero, certo mi riesce difficile vedermi con gli occhi di un altro. Io sono circondato da persone
abbastanza comuni e non so se mi distinguo come buddhista. Non vado in giro dicendo “sono buddhista”, sono
quello che sono. Penso sia importante uscire dagli ‘ismi’, dalle definizioni di fede e, pur avendo fatto una lunga
esperienza all’interno della tradizione buddhista, non ritengo significativo definirmi in alcun modo.
Io sono stato battezzato, sono cresciuto come cattolico e ho fatto diverse esperienze di ricerca interiore nell’ambito del percorso proposto dalla Chiesa cattolica. La stessa vocazione alla vita monastica è avvenuta grazie agli scritti di Thomas Merton che era cattolico, un monaco trappista. Tuttavia ho sentito l’esigenza di un
contesto nuovo per fare la mia esperienza di fede e l’ho trovato nella tradizione buddhista, lasciando l’Italia e
incontrando persone che sono state per me significative lungo questo percorso di ricerca.
D. Tra i suoi maestri, chi Le ha trasmesso l’idea di pace più vigorosa e che ancora ricorda?
R. Indubbiamente il mio maestro Achaan Sumedho,che è di origine americana, il suo maestro, il Venerabile
Achaan4 Chah, il maestro cinese Hsuan Hua e un maestro tibetano che è il Dalai Lama. Queste persone, un
americano, un thailandese, un cinese e un tibetano, sono persone di pace, in grado di incontrarsi, di dialogare
e lasciar andare i contrasti che sono propri delle correnti politiche di ciascuna di queste nazioni. Dunque è possibile appartenere a culture e tradizioni diverse e al tempo stesso essere portatori di pace.
D. Ricorda un insegnamento di ognuno di loro, o di uno di loro, che vuole raccontare?
R. Achaan Sumedho era solito incoraggiare i suoi discepoli a osservare il respiro e a sviluppare la consapevolezza, perché la consapevolezza è la via per l’immortalità, mentre l’indolenza e l’ignoranza sono la via della
morte. Questa è una raccomandazione che ho preso molto a cuore.
Achaan Chah raccomandava di fare molta attenzione a come si nutrono i sensi, non solo la bocca attraverso il
cibo, ma tutti i sensi: perché i nostri sensi, la vista, l’udito, il tatto, l’odorato, il gusto e la mente, ci possono
far crescere nella pace o nell’ignoranza e dunque nel conflitto. Il Dalai Lama dice molto spesso di considerare i propri nemici come grandi maestri e di non alimentare l’odio ma la compassione75. Il Venerabile Hsuan
Hua diceva spesso di non guardare alle colpe degli altri, ma piuttosto alle proprie manchevolezze e di lavorare sul proprio cuore e sulla propria mente per migliorarsi.
D. E Lei che cosa raccomanda agli studenti, alle persone che vengono qui a imparare qualcosa?
R. Raccomando di essere pienamente se stesse e di alimentare il sentimento dell’amore.
D. Ha parlato dell’insegnamento di Achaan Chah sui sensi: pacificare i sensi e le sensazioni che ne derivano significa pacificare la mente?
R. Sicuramente. La mente è il ricettacolo degli input sensoriali, per cui la nostra pratica di consapevolezza deve
essere attenta all’effetto inevitabilmente prodotto dal tipo di nutrimento sensoriale al quale siamo soggetti.
Ecco perché gli avvenimenti di guerra, il contrasto ideologico, i talk-show dove si esprime e si alimenta la
contrapposizione seppur di pensiero, non ci trasmettono cibo salutare. In questo senso abbiamo la responsabilità di irradiare qualcosa di positivo e dunque di non alimentare il conflitto.
D. Che cos’è invece l’illuminazione, una forma di pace assoluta o una sospensione anche dalla pace?
R. Direi che è riconoscere ciò che ci troviamo a vivere nel presente, è un pieno riconoscimento della realtà del
presente, ed è al tempo stesso una liberazione dalla realtà del presente. Significa calarsi pienamente alle radici della coscienza e dunque superare ogni barriera di forma e di tempo.
D. Si dà molta importanza al presente nella tradizione buddhista; noi lo sospendiamo tra il passato e il
futuro, in realtà cos’è?
R. Potremmo chiamarlo uno ‘stargate’, un passaggio, possiamo chiamarlo un passaggio per arrivare alle stelle.
D. Quindi una pace nel presente assicura una pace nel futuro?
R. Nel presente noi possiamo spargere i semi della pace o quelli dell’odio, ed è quello che sta accadendo adesso.
Noi abbiamo la grande possibilità di seminare bene, in questo momento.
D. Vuole dirci un’ultima parola sulla pace, un suggerimento o un augurio?
R. Coltivate semi di Pace. Siate felici.
Vorrei concludere con una poesia di un mio amico monaco di nome Claudio Lobsang Tzondrù
Compassione: Dal latino “Cum-patio” che può essere tradotto “Sento con”, “Partecipo al sentire dell’altro”. Nella nostra lingua la parola “Compassione” ha acquisito il senso parziale di “Aver pena” ma il suo significato etimologico e più generale, di “Empatia”,
“Comprensione per l’altro”. (da Enzina Luce Franzese - Essere Amore, Essere Luce – Abbaterizzo Editore)
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“ Che la Pace ci avvolga “
Che la pace ci avvolga
come un velo di nebbia leggera
in un mattino d’estate.
Che la pace ci unisca
oltre il roveto delle parole graffianti e delle invidie,
oltre i giudizi e i pregiudizi.
Che un vomere di fuoco bruci le nostre debolezze.
Che una spada ardente tagli i nodi
dell’ignoranza e le travi
che accecano il nostro sguardo
mentre cerchiamo pagliuzze
su occhi altrui.
Che la vita sia dolce,
così come dovrebbe.
Che il nostro sorriso sia dolce
sempre e ovunque
e sempre ci accompagni la dolcezza
perché è di questa che gli esseri
hanno bisogno e non della durezza
dei nostri cuori.
Che la pace ci avvolga
e ci stringa in un abbraccio
fino a sentire il calore dei
corpi di tutti gli esseri
e le loro paure ed il loro
dolore, fino a sentire il
calore e la tenerezza del
nostro cuore e le sue
paure e lo struggente dolore di tutte
le sue ferite.
Che la pace ci baci
con le sue labbra silenziose
e sciolga con il suo amore
i ghiacciai dell’anima.
Che la pace ci unisca
anche se percorriamo sentieri diversi
perché siamo tutti in cammino
verso la stessa meta
e nessun essere, proprio nessuno,
è migliore o peggiore
di un altro,
e nessun sentiero, proprio nessuno,
è migliore o peggiore
del sentiero di chi
ti cammina accanto.
MEDITAZIONE GUIDATA
SULLA PACE
Sedetevi pure comodamente.
Assicuratevi che la schiena sia diritta ma non rigida.
Potete chiudere delicatamente gli occhi o tenerli socchiusi; così facendo vi sarà più facile entrare in ascolto
profondo.
Respirate pure profondamente; il respiro è vita.
Ascoltando il movimento respiratorio entrerete in un processo di riequilibrio energetico e di guarigione profonda.
Inspirando ed espirando rimanete in ascolto.
Inspirando ed espirando.
Inspirando ed espirando.
Entrate in ascolto delle sensazioni che provate nel corpo. Immaginate il pianeta, nostra Madre Terra, e ripetete
mentalmente:
‘Che la pace regni sulla terra.
Ricordatevi:
“Per colui che comprende la vera natura della mente, guarire i conflitti individuali e guarire i conflitti politici nel
mondo è in essenza lo stesso processo.”
Un antico proverbio cinese dice:
“Se c’è consapevolezza nel cuore,
ci sarà bellezza nel carattere;
se c’è bellezza nel carattere,
ci sarà armonia nella casa;
se c’è armonia in casa,
ci sarà ordine nella nazione.
Quando c’è ordine in ciascuna nazione,
ci sarà la pace nel mondo.”
Portate dunque l’attenzione sul vostro cuore.
Portate pure le mani all’altezza del cuore; poggiatele semplicemente sul torace ed entrate in ascolto.
Ascoltate la voce del cuore.
Il cuore ha un linguaggio, ha un suo ritmo.
Il suo battito può essere armonico oppure può presentare delle aritmie, delle dissonanze che evidenziano il subbuglio interiore.
Queste sono il sintomo di un conflitto.
La serenità del cuore richiede comprensione, saggezza e amore. Seguire la via del cuore richiede la buona volontà;
se vogliamo veramente la pace è importante esercitare la volontà di smettere di combattere.
La resa totale del cuore è l’abbandono alla grazia, alla presenza dell’amore nel cuore umano.
Inspirando ed espirando rimanete in ascolto.
Inspirando ed espirando.
Inspirando ed espirando.
Lasciamo che la vita, il prana, l’energia cosmica, l’energia vitale riequilibri il nostro sistema energetico.
Ci apriamo alla preghiera ed alla profonda meditazione fino a giungere alla contemplazione del Divino dentro di
noi.
Inspirando ed espirando rimanete in ascolto.
Inspirando ed espirando.
Inspirando ed espirando.
Lasciate pure andare tutte le tensioni, le preoccupazioni e gli affanni.
Inspirando ed espirando rimanete in ascolto.
Inspirando ed espirando.
Inspirando ed espirando.
Lasciate pure andare i pensieri, smettete di alimentare il conflitto;
smettete di aggiungere al problema un altro problema, semplificate la vostra vita.
Inspirando ed espirando rimanete in ascolto.
Inspirando ed espirando.
E piano piano potete estendere la mani ai vostri lati.
Se c’è qualcuno al vostro fianco, a destra e a sinistra, date le vostre mani. In caso contrario immaginate che ai
vostri fianchi ci siano altre persone che si tengono per mano.
Date pure le vostre mani.
Inspirando ed espirando rimanete in ascolto.
Inspirando ed espirando.
Inspirando ed espirando.
Portate la consapevolezza nel cuore.
Portate un raggio di luce nel cuore.
Portate il sorriso nel cuore.
Lasciate che attraverso il contatto delle mani sia possibile anche una comunicazione vera da cuore a cuore.
Uniti nella volontà di smettere di combattere affinché la pace regni su questa terra, nelle nostre famiglie, nella
nazione, in tutte le nazioni del mondo.
Forse per alcuni, la preghiera “che la pace regni sulla terra” sembrerà un’utopia, un sogno, semplici parole irreali, astratte.
Ma a piccoli passi, nei piccoli gesti d’amore, nel nostro piccolo, nel quotidiano, attraverso il pensiero, la parola e
l’azione gentile ed amorevole, tutti noi possiamo contribuire a questa pace.
Inspirando ed espirando rimanete in ascolto.
Inspirando ed espirando.
Inspirando ed espirando.
Inspirando ed espirando rimanete in ascolto.
Inspirando ed espirando.
Inspirando ed espirando.
Una volta entrati in contatto con i vostri cuori, in piena consapevolezza ritrovate la capacità di comunicare.
Portiamo nel nostro cuore queste parole:
Inspirando ed espirando rimanete in ascolto.
Inspirando ed espirando.
Cenni biografici su Thanavaro
Thanavaro (Mario, Giuseppe Proscia) nasce in Friuli nel 1955. Motivato da un grande interesse per le arti, fin da
giovanissimo studia judo, musica, danza e recitazione. A diciotto anni si reca in Inghilterra per seguire la sua aspirazione di musicista. Dopo otto mesi trascorsi a Londra, torna in Italia per gli obblighi di leva. Qui inizia un intenso periodo di introspezione, sia attraverso la fede cristiana, sia attraverso la scoperta del buddhismo, di cui gli
parla un commilitone discepolo di un maestro tibetano. La sua ricerca spirituale diviene più urgente dopo il terremoto in Friuli del 1976, in cui perdono la vita circa mille persone. In seguito, leggendo un libro di Christmas
Humphreys, viene a conoscenza di centri buddhisti in Inghilterra. Così, all’età di ventidue anni, torna in
Inghilterra dove incontra Ajahn Sumedho, maestro e monaco buddhista. Nell’ottobre del 1977 diventa anagarika
(senza dimora) a Londra, e l’anno successivo diventa samanera (novizio). Riceve la piena ordinazione (upasampada) nel 1979 su un’imbarcazione del Tamigi dal suo precettore Saddhatissa Maha Thera, divenendo il primo
monaco occidentale del lignaggio di Ajahn Chah ordinato in Inghilterra. Il suo nome sarà d’ora in poi Thanavaro
(Fondazione Eccellente). Riceve gli insegnamenti di Ajahn Sumedho, e come monaco itinerante visita la Svizzera,
la Thailandia, la Birmania, l’Australia, la California, l’India, il Nepal, lo Sri Lanka, la Germania ed Israele.
Incontra altri maestri che lo ispireranno profondamente, tra i quali lo stesso Ajahn Chah, il XIV Dalai Lama, il
XVI Karmapa, Ajahn Buddhadasa, Mahasi Sayadaw, Krishnamurti, Namkhai Norbu Rinpoche e Hsuan Hua. La
sua ricerca spirituale lo porta a contatto con altre tradizioni e a interessarsi del tema dell’educazione. Dopo dodici anni di vita trascorsi principalmente in Inghilterra e Nuova Zelanda, dove contribuisce alla fondazione e allo
sviluppo di alcuni monasteri, nel 1990 torna in Italia e fonda il primo monastero Theravada. Nel settembre del
1995, durante una suggestiva cerimonia al monastero Mahayana dei Diecimila Buddha, in California, riceve la
trasmissione dei precetti di bodhisattva. Dopo diciotto anni di vita monastica, di cui gli ultimi sei impiegati come
abate, insegnante di meditazione, presidente dell’Unione Buddhista Italiana e membro della Fondazione Maitreya,
decide di ritornare allo stato laicale, aspirando a una ricerca spirituale meno formalizzata e più immersa nella quotidianità. Continua a insegnare meditazione, ispirato da un approccio olistico e intertradizionale. Assieme alla
Dottoressa Enzina Luce Franzese, psicologa e psicoterapeuta, è fondatore dell’Associazione Amita Luce Infinita
per il risveglio delle coscienze. Come amico e guida spirituale conduce incontri e ritiri di meditazione in varie città
d’Italia. È autore dei libri “Non creare altra sofferenza”, “Verso la luce”, “Da cuore a cuore”, “Uno sguardo dall’arcobaleno”, “Meditiamo insieme”, tutti pubblicati da Ubaldini. Per la collana Spiritualità Sperimentale della Promolibri
Magnanelli ha pubblicato “La via del pellegrino - Visita ai luoghi sacri del Buddha”. Per la collana Amita ha pubblicato “In memoria di Ajhan Chah” e “Quando un fiore si apre”.
"II dono del Dharma supera ogni altro dono”
Questo libro non è in vendita.
I costi di questa pubblicazione sono stati coperti da una libera donazione.
E’ stato pubblicato nella speranza che possa essere di beneficio a chi desidera riflettere sui grandi temi del vivere e vuole intraprendere un cammino di ricerca interiore.
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Stampato da IMPRIMO s.a.s. - Fonte Nuova (Roma)