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Dieci...
di Giulia Proietti Timperi
“Dieci. Si. A quest’ora saranno tutti intenti a spremersi il cervello cercando di scrivere un
racconto che abbia a che fare con il dieci” pensava tra sé. Ma no, lei non ci riusciva. A lei
stavano stretti i limiti. Anche questo, così semplice, le bloccava la mente. E così succedeva
anche con tutte le altre cose della sua vita: la sua testardaggine e la sua imprudenza
l’avevano sempre spinta ad uscire dai margini, a superare i confini. Posò la penna, si alzò
dalla scrivania e si mise davanti allo specchio. Questo era il suo limite: Una semplice lastra di
vetro. Non riusciva a guardare oltre. Lo specchio era l’amaro giudice delle sue giornate, il
verdetto di se stessa. E lei si processava continuamente. “Che schifo” diceva, toccandosi il
braccio. Ma lei non si accorgeva che era quasi come quello di un bambino. Era stata
condannata a questo, e ciò la rendeva rabbiosa. Aveva un fuoco dentro: passione, ira e
dolore insieme le abitavano il petto. Diede un forte calcio allo specchio e si sedette.
In quel momento la madre entro in camera sua: “Allora, l’hai scritto o no quel racconto sul
dieci?” “no mamma, non ho l’ispirazione. E poi mi è passata la voglia”. “Figlia mia, non puoi
sempre lasciare le cose a metà: coltiva le tue passioni, applicati amore, guarda oltre il tuo
naso”. “Ecco. Il solito discorso da genitore in vena d’insegnamenti. “Il problema è che io oltre il
mio naso non vedo proprio niente” penso tra sé. Era così: era troppo concentrata a valutarsi,
a misurare la sua persona. Non con le sue capacità, ma con una stupida bilancia. Le
occasioni della vita le passavano davanti come treni veloci e lei nemmeno se ne accorgeva.
La realtà è che lei aveva paura. Una paura fottuta. Paura dei cambiamenti, paura delle
emozioni, paura di crescere. Paura della paura. Avrebbe voluto anche lei fare un patto con il
diavolo, proprio come il suo personaggio preferito Dorian Gray, per rendere la sua immagine
eternamente giovane e bambina, e poter osservarne il cambiamento su una piccola tela.
“Dieci… ma cosa posso dire sul dieci?non ho fantasia. Forse potrei cominciare così: <<era il
dieci maggio duemiladieci…>>. No. Tutti sicuramente scriveranno cose simili a questa e allora
sarà solo un racconto come gli altri, passerà inosservato”. Lei non sopportava di passare
inosservata. Aveva paura di essere dimenticata.
Chiuse per l’ennesima volta il suo blocchetto verde e tornò di fronte al nemico specchio. A
volte passava le ore così: Si metteva in tutte le posizioni cercando quella che la facesse
sembrare più snella, ma i suoi occhi non vedevano altro che grasso. E così era in continua
lotta con sé e il suo riflesso. Tornò di nuovo sul letto e riaprì il blocchetto.
Intanto la madre, da dietro la porta, catturava con gli occhi i movimenti frenetici di sua figlia:
era lei, che dormiva ancora con una piccola lucetta blu accesa, che rideva in un modo un po’
sguaiato, che arrossiva per un nonnulla. Sua figlia vedeva tutte queste particolarità come i
suoi più gradi difetti. Invece erano le sue migliori qualità, la rendevano una ragazza fuori dal
comune. Ma questo lei non l’avrebbe capito mai.
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D’improvviso, la ragazza si svegliò di soprassalto come da un sonno disturbato: senza
nemmeno accorgersene aveva scritto pagine e pagine sul suo quaderno. Aveva scritto, il suo
racconto era finito. Non si era accorta di nulla, era come se tutto fosse avvenuto in una sorta
di trance. Rilesse tutto dall’inizio alla fine e accennò un sorriso. Poi, corse dalla madre e
disse: ”Mamma, ho finito quel racconto”. La donna alzò gli occhi aspettando che sua figlia
cominciasse. “Inizia così: <<Dieci. Si. A quest’ora saranno tutti intenti a spremersi il cervello
cercando di scrivere un racconto che abbia a che fare con dieci ” pensava tra sé. Ma no, lei
non ci riusciva…>> e continuò fino alla fine. Al termine del racconto, sul volto della madre
scorrevano lacrime: aveva capito che per la prima volta dopo anni sua figlia aveva svelato al
mondo una piccola parte di sé. Stava cominciando ad uscire dal guscio. Poi si asciugò volto, e
ridendo disse: “Beh, io…ti darei un dieci”. “Davvero simpatica mamma” disse con aria ironica
la ragazza. Poi si lasciò andare ad un riso liberatorio.
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