Alpin 23.pub - ANA Gruppo Alpini Milano Centro
Transcript
Alpin 23.pub - ANA Gruppo Alpini Milano Centro
Anno V - Numero 5 - Settembre 2004 Fotocopiato in proprio da: Associazione Nazionale Alpini - Sezione di Milano - Gruppo Milano Centro “Giulio Bedeschi” Redazione: Via Vincenzo Monti 36 - 20123 Milano - Tel. 02 48519720 - Responsabile: Alessandro Vincenti - Inviato gratis ai Soci SENZA DI TE COSA FAREMO Gli amici ricordano l’avventurosa esistenza di Angelo Falliva IL PRIMO ADAMELLO NON SI SCORDA MAI Breve cronistoria sul presidente mulo rosso, l’elicottero e l’Adamello LE TUE LACRIME FINIRANNO LASSÙ, SULL’ORTIGARA Mariolina racconta il “suo” pellegrinaggio L’AMBIZIONE CHE UCCIDE I CADUTI di Bepi De Marzi 22 SETTEMBRE SAN MAURIZIO Ricordiamo il nostro santo Patrono di Paul Wilcke CONTRIN “MON AMOUR” Tanto per non perdere l’allenamento GLI ALPINI PER MILANO Castagnata in piazza Cairoli sabato 16 e domenica 17 ottobre Alpin del Domm – 1 FALLIIIIIIIIIIIIIVAAAAA!!!!!! L’ALPINO ANGELO Gli “extracomunitari”, come lui aveva argutamente definito il gruppo di cui si era autonominato Presidente, sono rimasti orfani. Oltre a loro, un gran numero di amici sinceri sentirà profondamente la sua mancanza e lo ricorderà con affetto ad ogni riunione e ad ogni futura sfilata, dato che l’Angelo è stato uno dei più fedeli ed assidui partecipanti ai raduni annuali, di cui conservava gelosamente in tasca la lista completa e sempre aggiornata con luoghi e date indicati con precisione. Non sentiremo più le sue barzellette, che tante volte ci hanno sollevato il morale e distratto dai nostri pensieri, strappandoci un sorriso, anche quando l’umore non era quello giusto per un peso sul cuore, un problema di salute, una preoccupa- anche un senso di inadeguatezza o impossibilità di comunicare e palesare il terrore, l’orrore, la disperazione, il dolore, che avevano realmente accompagnato quei momenti. Quando a Budapest un fragore assordante lo aveva reso consapevole che il ponte da lui appena attraversato era saltato in aria e, davanti ai suoi occhi, i vagoni venivano spezzati, accartocciati, scagliati in alto e le persone all’interno straziate ed ogni cosa, lamiere, sedili membra ricadeva in acqua per essere inghiottita dai gorghi. Quando, durante la fuga, mentre attendeva tremante di mostrare il documento irregolare ad una giovanissima sentinella, l’anziano graduato che lo precedeva, solo per un gesto di insofferenza, era stato freddato sul colpo dal militare, che, in quel contesto, era FALLIIIIVA……….….* zione familiare. Il confessore che non assolve ma fornisce inconsapevolmente indirizzi interessanti; il vetturino e l’incidente al passaggio a livello; il cliente della farmacia che gira il braccio sopra la testa per indicare l’effetto del medicinale placebo; il farmacista richiesto di preparare la lista nozze; il padre di Giotto che interroga i maestri del figlio: queste storielle avevano un impatto esilarante solo se raccontate da lui, che dell’attore nato e consumato possedeva i segreti: la dialettica fluente, anche in perfetto dialetto piacentino, che rendeva le storielle vive come uno scampolo di vita vissuta; lo sguardo sornione, furbescamente ingenuo e costantemente serio, senza nemmeno una scintilla di divertita partecipazione, la mimica facciale e l’abilità di interessare gli ascoltatori, anche quando non si trattava di una primizia, ma di una ripetizione. Non sempre era allegro. A volte esprimeva il desiderio di incontrarci per “parlare” ed in queste occasioni dava libero sfogo a quel groviglio di tragiche esperienze vissute durante la guerra, che avevano lasciato un segno profondo nel suo animo di ragazzo; esperienze che normalmente non amava raccontare perché troppo laceranti e perché i suoi coetanei che potevano capirlo non c’erano più ed i giovani erano distratti, superficiali, disinteressati o presi da altri problemi. Provava 10 2 – Alpin del Domm 11 la massima inappellabile autorità. E quando, durante la dura prigionia, impostagli a turno da ungheresi, russi e tedeschi, la forte emozione, unita alla debolezza, gli aveva causato un tremore alla mano proprio nell’occasione di dimostrare la sua abilità grafica in vista di una destinazione a responsabile dell’ufficio tecnico e della conseguente conquista di migliori condizioni di vita e, forse, della sopravvivenza. Ma da qualche anno aveva rivisto con emozione i figli di coloro che, in Ungheria, lo avevano nascosto, aiutato, protetto e, con loro, aveva potuto sfogarsi a ricordare, perché loro, anche se allora erano bambini, loro “c’erano”. Ma i suoi momenti di angosciose riflessioni non duravano a lungo. Eccolo in versione cuoco, grembiule e copricapo candidi, brandire con giusto orgoglio le graticole con le sue mitiche profumate fette di mortadella alte 5 centimetri, da lui stesso rosolate per 2 ore sul fuoco (ma non troppo vicino) in mezzo al verde del suo splendido accogliente rifugio; in versione vetrinista quando, nei giorni precedenti la Messa alpina natalizia, lo si poteva vedere inginocchiato nella sua vetrina, intento a sistemare un enorme paiolo, un cappello alpino o una bandiera, per evidenziare una sincera partecipazione a quella sentita ricorrenza; in versione anfitrione, quando, dopo la sfilata verso il Mo- 12 13 numento dei Caduti, si ritrovava con “il gruppo” alla pregiata pasticceria sull’angolo, indissolubile “dépendance” dell’oreficeria, per gli aperitivi ed i brindisi; in versione “Babbo Natale”, quando creava le occasioni per donare “coppe” appetitose, deliziosi cioccolatini, mazzolini di fiori, foto perfette e suggestive; in versione di orafo entusiasta, intento a realizzare preziosi gioielli dal gusto squisito e di appassionato collezionista di oggetti raffinati e particolari. Amava la musica; era intelligente, brillante e modesto. Accanto al sincero rimpianto con il quale lo ricorderemo, ci saranno sempre affetto e riconoscenza ed anche un sorriso, perché ci sovverrà dello scanzonato speciale saluto che lo accoglieva, che lui apprezzava e *dal cuore gentil, dacci un fior, dacci un fior! dal quale si sentiva gratificato; lui sarebbe contento così. Invece di una sterile tristezza, ci ha lasciato tanti, ma proprio tanti, bei ricordi. Ed è assolutamente vero ciò che ha affermato il celebrante: “se alla cerimonia funebre vi siete presentati così numerosi, accorrendo dalle varie località di vacanza e viaggiando nella notte di ferragosto o alle prime luci dell’alba, significa che lui qualcosa vi ha dato in umanità, generosità ed amicizia e che, di sicuro, era un uomo buono”. Ornella IL RAGAZZO... L’ho conosciuto bene, in occasione di un suo invito a Bettola per l’ inaugurazione della sede degli alpini del Gruppo locale. L’incontro avvenne nell’ospitalità della sua casa, in attesa della cerimonia ufficiale –oratore del caso era Peppino Prisco. Poi una grande giornata con gli alpini della zona, infine nella sua “tenuta” per concludere una giornata memorabile e indimenticabile. Un Amico, un Alpino sincero di stampo genuino, da ricordare anche per la sua generosità. Quel “ragazzo” - come tu mi chiamavi - ti ricorda con tanto affetto. Ciao Angelo. Giancarlo Ravizzotti 14 15 16 FALLIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIVA!!!!!!!!!! IL CAPO CALOTTA RICORDA Se ne è andato ... ad opera compiuta e dopo pochi giorni dalla abituale cena che aveva allietato, come sempre, con le sue incredibili, mitiche barzellette. Un'opera che a narrarla ne sortirebbe un avvincente romanzo infarcito di lavoro, dovere, generosità, di tanto accento piacentino rimastogli nella mente e nel cuore, come nella parlata, di coerenza al motto "siamo come siamo e va bene così" che la sezione di Piacenza fa sfilare a tutte le adunate. Per tali sue caratteristiche, al fine di contrastare il predominio di Peppino Prisco, capocalotta degli avvocati alpini, lo avevamo nominato, all'unanimità ed al grido cantato di "Falliva.....,Falliva.....", presidente degli extracomunitari: tutti gli 1 2 3 LETTERA AD UN AMICO Mio caro Angelo, da tempo sento il desiderio di scriverti due righe, perché mi sono accorto che qualche cosa è cambiato in te da qualche tempo, presumibilmente dal dicembre di tre anni fa. Chi ti conosce in maniera un po’ superficiale, frequentandoti solamente in occasione dei nostri incontri conviviali, soprattutto in quelli degli “avvocati alpini” o “alpini avvocati”, nei quali tu a buon diritto eserciti la tua funzione di Presidente degli Extracomunitari, ti ritiene forse sempre allegro, spensierato, giocherellone, pronto a raccontare l’ultima barzelletta. Avendo la fortuna ed il piacere di incontrarmi con te anche al di fuori di questi consessi, mi sono accorto che, forse, questa è una patina, a volte anche un po’ forzata, che ricopre uno stato d’animo diverso. Si dice che i pagliacci siano le persone più tristi, sempre malinconici quando il “mestiere” non li costringe a far ridere gli altri. E, da un po’ di tempo a questa parte, mi pare che questa Malinconia emerga anche in te, quando il ruolo che ti sei creato non ti costringe ad accontentare i commensali che, per l’ennesima volta ti richiedono di rac- 17 18 altri alpini, non avvocati, partecipanti al fantomatico gruppo avvocati alpini. Il rapporto, conviviale e non, tra i due reduci, di carattere diversissimo, era diventato intenso e spesso esilarante. Fatti ed episodi di tutti i giorni, non solo della vita alpina, erano caratterizzati, anche con il supporto di cante non sempre ortodosse, da spensieratezza e commozione che facevano gustare di una frequentazione indimenticabile. Con gratitudine rivivo quindi il periodo dell'amicizia di Angelo e, con gli occhi della mente, vedo ancora il suo sorriso soddisfatto incrociarsi con il mio. Che il Signore delle cime gli serbi un angolo tranquillo, accanto a Peppino. AMICI DAL 1951 Ricordo l’amico Angelo come persona correttissima, dotata di un gusto raffinato non comune che suscitò la mia ammirazione fin dai tempi del dopoguerra, quando, ancora ragazzo, lavoravo nel laboratorio di orefice che serviva il suo negozio. Ci incontrammo qualche anno fa per ragioni di lavoro e in quell’occasione mi riconfermò la sua gentilezza e generosità donandomi un esemplare in oro di quel distintivo degli alpini che solo lui produceva. Piero Tassan Beppe Parazzini 4 5 6 contare, sempre uguale e sempre diversa, la storiella del Toblerone o quella del Papà di Giotto. E questa Malinconia emerge quando, sempre in questi vocianti consessi, ed incurante di risate ed urla, che quasi non Ti prendono sul serio, sapendoti sempre così allegro e giocoso, ci ringrazi tutti per l’amicizia che ti riserviamo, amicizia della quale avevi quasi una necessità fisica. E questa Malinconia, mista a tristezza e ad una certa stanchezza, emerge in alcuni nostri colloqui privati, magari davanti ad “un mezzo cappuccino” da Marchesi, quando mi parli del passato, dei tanti amici che “sono andati avanti”, e quando mi fai partecipe – e ti ringrazio – delle tue confidenze. Sono venuto a trovarti in negozio, rammenti, proprio due giorni prima che tu fossi ricoverato in clinica: mi hai riservato le solite calorose accoglienze, ti sei interessato di tutti i miei, come sempre, hai ancora ricordato il passato, ancora una volta mi hai ringraziato della amicizia che io e la mia famiglia ti riconoscevamo, quasi questo ci costasse uno sforzo e non fosse invece un sentimento assolutamente spontaneo. E in quella occasione, parlando dell’intervento che ti attendeva di lì a due giorni, mi hai confidato di essere tranquillo e fiducioso, per cui abbiamo parlato della convalescenza che ti a- 19 20! 7 8 9 spettava a Bettola e dei prossimi appuntamenti: addirittura avevi già programmato il prossimo, tradizionale incontro a Bettola per la prossima estate. Sono riuscito quindi a sentirti, in Ospedale, qualche giorno dopo l’intervento: qualche battuta sempre scherzosa, anche se percepivo la Tua stanchezza. Le notizie periodicamente sentite da Elena, poi….. Ed ora hai raggiunto i tuoi amici, che avevano un posto così importante nel tuo cuore e nei tuoi ricordi, primo fra tutti Peppino, che Ti avrà certamente accolto con il classico grido: “Falliva…..Falliva….”, con il nostro coro, da quaggiù, che, questa volta con tanta tristezza e forse con gli occhi un po’ umidi, intona il seguito, battendo ogni precedente record di invocazioni, che Tu, col Tuo coinvolgente sorriso, conti sulle dita. E, a dicembre, dopo la Messa, quando marceremo per Corso Magenta, che forse sarà meno imbandierato in mancanza dei tuoi interventi, ci gireremo, come di consueto, a sinistra, per ammirare comunque la vetrina che, sono certo, nel rispetto della tua tradizione, Elena allestirà come Tu hai fatto per tanti anni. Ciao, Angelo, con sincera, affettuosa amicizia . Sandro RECORD!!!!!! Alpin del Domm – 3 ADAMELLO 2004: DIO C’È … ED È GIUSTO Ogni anno il Pellegrinaggio in Adamello, che con l’Ortigara e Nikolajewka rappresenta l’evento più significativo della nostra vita associativa, è sempre uguale ed allo stesso tempo sempre diverso. Quest’anno da Condino (Trentino) e da Bagolino (Lombardia) varie colonne hanno raggiunto Monte Bruffione per la cerimonia in quota alla quale hanno preso parte numerosi vessilli e gagliardetti e tanti, tantissimi alpini. Era la prima volta che salivo al Pellegrinaggio nella veste di Consigliere Nazionale ed ero sicuro che avrei provato sensazioni fortissime, come già, del resto, mi era capitato in Ortigara. Tutto bene, dunque. Unico neo era stata la telefonata con il nostro Presidente Sezionale che mi comunicava che, per problemi di lavoro, non sarebbe riuscito a venire a Condino prima del pomeriggio del sabato. La telefonata mi era arrivata che ero già in viaggio e mi aveva procurato una sensazione di disagio. Subito ho chiamato Marchesi, che sapevo essere in viaggio per Condino, chiedendogli se avesse lui il vessillo sezionale, ma mi ero sentito rispondere che Urbinati non glielo aveva dato perché lo avrebbe portato di persona. Dunque il contrattempo di Urbinati avrebbe comportato l’assenza del nostro vessillo in quota e la cosa mi dava parecchio fastidio. La sera, a cena, il colonnello Roggero, sentendomi parlare con Edo Biondo sull’ assenza di Urbinati, si arrabbia un po’ perché Giorgio gli ha chiesto un posto in elicottero e non lo ha avvertito dell’assenza. Ed in quel momento ho capito che il vessillo a Monte Bruffione ci sarebbe stato. Urbinati, in buona sostanza, sapendo che lo avremmo massacrato se avesse confessato che sarebbe salito in elicottero, semplicemente ha preferito dirci che non sarebbe riuscito a venire, per poi apparire, come effettivamente è successo, la mattina del Pellegrinaggio in quota … fresco come una rosa (visto che il suo pellegrinaggio era consistito nei circa 100 metri dall’elicottero all’altare …). Naturalmente questo fatto non è certo passato inosservato ed ha comportato gli sfottò di tutti gli amici presenti. Ma si sa Dio c’è … ed è giusto. Ecco che, verso la fine della S. Messa si scatena il finimondo: vento, fulmini, pioggia e grandine, consigliano il vescovo a tagliar corto ed a impartire velocemente la benedizione. Tutti i partecipanti, ripiegati vessilli e gagliardetti, si incamminano, quasi correndo, verso valle ove arriveranno circa un’ora più tardi bagnati all’inverosimile, nonostante le protezioni che gli zaini gelosamente e previdentemente custodivano. Certo chi era salito in elicottero tutte quelle protezioni non aveva ritenuto opportuno portarle. Ed allora ecco che un generale dei carabinieri deve affrontare la discesa, resa (… doppiamente) viscida dalla pioggia con la drop e le scarpette di cuoio, ed ecco che il nostro Urbinati (che per fortuna aveva gli scarponi) se ne arriva a Condino in condizioni che definire pietose è poco. Nonostante la notte in albergo, la mattina della domenica il nostro Urbinati era ancora bagnato fradicio e forse è la giusta remunerazione per la vanità aerea che lo aveva colto (remunerazione aggravata dalla citazione del fatto persino sul quotidiano locale …) Ma Dio è doppiamente giusto. Avevo appena finito di scrivere queste righe che sono partito per la Valsesia per partecipare al Premio Nazionale di Fedeltà alla Montagna. Sabato mattina trasferimento da Varallo sino all’alpeggio del socio Bonetta con elicottero. In quota, però, è noto che le condizioni meteorologiche siano mutevoli. Ed infatti quando si è avvicinata l’ora del rientro una fitta nebbia ha impedito all’elicottero di tornare a prendere i partecipanti. Dunque siamo ridiscesi a piedi; un’ora e mezza di discesa ripidissima e sconnessa. Niente di eccezionale, se non fosse che il sottoscritto, come tanti altri, calzava delle scarpette da città che gli hanno provocato delle vere e proprie lacerazioni ai piedi. Chi di spada ferisce … di spada perisce! Cesare Lavizzari San Maurizio, Patrono degli Alpini Il 22 settembre si festeggia san Maurizio, patrono dei soldati, degli armaioli e coltellai, dei commercianti, dei tintori, dei cappellai, dei tessitori, dei lavandai e dei pittori su vetro. dei cavalli e dei vitigni; lo si invoca nelle battaglie e in caso di malattia dei cavalli. In caso di ossessione, gotta e mal d’orecchie. Gli alpini possono dirsi contenti: 1) sono soldati (e quindi hanno a che fare con le armi e si tingono la faccia per camuffarsi); 2) hanno un particolare cappello; 3) hanno interesse alla salute dei vitigni (e alle diverse trasformazioni dei loro frutti); 4) sono ossessionati (in senso positivo!) dalla questione della leva e dai valori della Patria; 5) talvolta fanno finta di non sentire... (male comune, questo). Comunque: san Maurizio è stato canonizzato nel 962, da Papa Giovanni XII, sollecitato dall'imperatore Ottone I. Maurizio era ufficiale nella legione Tebana (cioè: i soldati provenivano dalla tebaide, regione egiziana presso Tebe: essendo scuretti di pelle erano mori o mauri, da cui “maurizio”) alpini cari, che vi devo dire: abbiamo un patrono extracomunitario!!! Lui e gli amici suoi erano cristiani ed essendosi opposti alla persecuzione di Massimiano (co-reggente con Diocleziano) e all’obbligo di sacrificare alle divinità romane, furono prima decimati, poi ridecimati, ancora decimati finché furono fatti fuori tutti. Questo nel 302 ad Agaunum (oggi St. Maurice, Confederazione Elvetica). si ricordano con Maurizio: Candido, Innocenzo, Essuperio, Costantino, Vitale. Ursino e Vittore che erano riusciti a sfuggire furono poi accoppati a Solothurn (sempre Confederazione Elvetica, che porti male?). del povero Maurizio furono ritrovate le ossa già nel 380. oggi sono sparse un po’ dappertutto (sarà questo il significato di chiesa “universale”?). Un braccio è ad Angers (Francia), la testa a Magdeburg (Germania) … A fianco foto del quadro di El Greco (1582) che si trova a El Escorial, presso Madrid. 4 – Alpin del Domm L’AMBIZIONE CHE UCCIDE I CADUTI Il pezzo che segue ci è stato inviato da Bepi De Marzi; riguarda il cimitero militare di Cesuna (Altipiano di Asiago) e quel che ne è stato fatto. Riguarda il modo di onorare i nostri caduti che non dovrebbe mai essere sguaiato. Riguarda la necessità della memoria … ma quella vera; riguarda il modo di raccontare la Storia che non è fatta di grandi sacrari ma di tanti, tantissimi piccoli cimiteri dove i sopravvissuti seppellivano gli amici caduti in azione. Credo che, per comprendere sino in fondo le parole di De Marzi, possa aiutare qualche passo di Gian Maria Bonaldi (La Ecia) che, come pochi altri, ha saputo raccontare il vero Spirito degli Alpini. “Adesso i cimiteri di guerra sono scomparsi ed i Morti li hanno messi nei grandi ossari di fondo valle e noi Veci è come se ci avessero portato via qualche cosa dal fondo del cuore. Perché andare a turbare i Morti, dopo tanti anni che riposavano sotto la terra, dove li avevano posti i loro compagni, ultimo servizio reso a Paìs che avevano versato il piastrino? … Li hanno messi nei grandi ossari di cemento e pietra, in tanti loculi tutti uguali, tutti freddi sotto le grandi arcate ricche di bronzi, di fregi, di emblemi, di motti tutti orpelli ancor più inutili e più freddi. Quando nevica e gli abeti sono più neri nel gelo grande, fa meno freddo sotto, perché la terra tutti abbraccia e accoglie nel suo grembo materno. … No: i Morti stavano meglio là in cima! … I Morti non avranno mai avuto tanto freddo! …” GAVIA 1954 da Ponte di Legno al Passo, rimasero vittime di un tragico incidente. A causa del cedimento del bordo della strada il mezzo che trasportava i militari precipitò in un dirupo di 150 metri. Si salvarono solo un sottotenente e il secondo autista che si trovavano in cabina e si gettarono fuori dell’abitacolo, e un maresciallo che, essendo seduto sulla sponda anteriore, fu sbalzato sulla carreggiata rimasta integra. Per gli altri diciotto Alpini fu una fine terribile. Dopo il doloroso recupero delle salme, orribilmente mutilate, venne allestita la camera ardente in una chiesetta alle porte del paese. Ricevetti ordine di comandare un piccolo gruppo di Alpini che vegliasse sulle salme e ricevesse e confortasse i parenti dei defunti. Al ricordo di questo triste evento si aggiunge il senso di colpa per la grave mancanza di non aver rispettato appieno un ordine. Ci trovavamo di guardia alle salme dei nostri amici nella sacrestia, sconvolti e distrutti dall’accaduto, cercando inutilmente di dormire un po’, quando venne a In occasione del 41° pellegrinaggio sull’Adamello, organizzato dal Gruppo di Condino al Monte Bruffione, al quale ho partecipato, mi è tornata alla memoria una tragedia avvenuta cinquant’anni fa. Nel 1954, ultimato il 4° Corso ASC della Scuola Militare Alpina presso la Caserma Chiarle di Aosta, fui trasferito a Vipiteno nel Battaglione Bolzano, VI Alpini, 141a Compagnia sotto il comando del Capitano Violetta. Da Vipiteno partii per il campo estivo. Ogni compagnia doveva percorrere un itinerario diverso per poi confluire al Passo del Tonale per un’esercitazione congiunta del Battaglione. Eravamo accampati in prossimità del Passo sul versante altoatesino in attesa di raggrupparci il giorno seguente per concludere l’esercitazione. Fu allora che ci giunse la notizia che due squadre di pionieri della Compagnia Comando che doveva simulare un campo minato sul Passo Gavia, durante il tragitto a bordo di un camion Caro ho una giornata orrenda ma ti scrivo ugualmente... e ti racconto di Cesuna in Val Magnaboschi dove, davanti a un severo e struggente cimitero inglese tuttora ben tenuto e curato con l’erbetta di 14 millimetri e il profumo di tabacco da pipa, c’era un cimitero di fanti italiani con circa duecento caduti sotto povere e poetiche croci di legno d’abete. Poi hanno costruito l’orrendissimo ossario di Asiago e li hanno portati là. Lo spazio di Val Magnaboschi è rimasto recintato con sassi antichi e la gente, in questi 70 anni, vi sostava per passare qualche ora nelle passeggiate e i bambini vi giocavano serenamente, tenendo in conto del luogo e della sua tremenda storia. Poesia del ricordo e poesia della vita che scorre. Ma ecco che i fanti di Vicenza con il presidente Mantovani, un vanesio ambizioso malato di sesso e sempre arrapato come D’Annunzio, hanno inventato il ricupero dell’area sacra. Lavorando tutta una stagione hanno tolto gli sterpi e anche l’erba, per piantare duecento paletti verniciati di bianco e di rosso tagliati trasversalmente come a significare alberi mozzi col sangue che sgorga. E l’hanno inaugurato con una sfilata aperta dalle patronesse del fante con drappelle sulle tette e sulla pancia e davanti due ragazze stangone in minigonna e stivali e guanti bianchi e pennacchi a reggere uno striscione “per non dimenticare”. Io ho scritto a loro “ per non dimenticare la mona ” e sui giornali ho parlato di offesa alla memoria dei fanti. Ho ricevuto un centinaio di lettere piene di insulti quasi tutte anonime da Vicenza e dintorni ma anche dall’altipiano. Le ho fotocopiate e le ho mandate alla sezione vicentina, puoi immaginare con quale commento. In quella estate di qualche anno fa hanno imbrattato la colonna mozza dell’Ortigara. “È stato l’eretico De Marzi” hanno gridato qua e là, specialmente da Asiago, facendo gongolare le patronesse e i fanti con la bustina di traverso. Ora lo spazio di Cesuna accoglie tutto il ciarpame reducistico, con simboli da fiera e c’è perfino un vialetto di ghiaia dipinta in biancorossoverde. Nessuno vi può entrare e la memoria è doppiamente cancellata … come i caduti sono definitivamente caduti. Bepi De Marzi farci visita, in tarda serata, il padre di Domenico Monti (mio compagno di corso e amico appena trasferito in un altro Battaglione), per portarci un po’ di conforto. Resosi conto del nostro stato emotivo, insistette affinché lasciassimo per qualche minuto il nostro dovere per andare a prendere in un bar vicino … un po’ di coraggio. Ritornammo dopo 15 minuti e trovammo ad attenderci un Capitano. Cercai di giustificarmi prendendomi al tempo stesso tutta la responsabilità e, dopo un breve rimprovero, tutto finì. Il giorno dopo ci furono i funerali ed ebbi l’onore di comandare il picchetto armato durante le esequie celebrate nella Chiesa Parrocchiale di Ponte di Legno. Fu una cerimonia molto sentita da tutti noi, che vide anche la partecipazione di civili residenti e villeggianti. Terminata la funzione religiosa, sul sagrato aspettavano 18 mezzi militari per portare le bare dei caduti, avvolte nel Tricolore, nei loro rispettivi paesi d’origine. Avevamo vent’anni. Sergio Capelli Alpin del Domm – 5 MONTE MARRONE: VALORE ALPINO Un manipolo di soci, tra cui il sottoscritto,Cesare Lavizzari, Zanoccoli, Izzi e Guerino, hanno presenziato a Rocchetta al Volturno (Isernia) alla celebrazione del sessantesimo anniversario della battaglia di Monte Marrone vittoriosamente sostenuta dagli alpini del battaglione”Piemonte”. Una trasferta un poco faticosa, data la lontananza, ampiamente ricompensata dalla commovente e partecipata cerimonia svoltasi praticamente ai piedi di Monte Marrone in una cornice naturale a dir poco splendida. Al termine della cerimonia con alcuni fuoristrada siamo stati condotti sulla vetta del Monte nel punto conquistato dagli alpini, sulla quale campeggia la bella croce dello scultore bresciano Piotti. Erano naturalmente presenti i nostri grandi veci e reduci di quella battaglia: il generalissimo Morena (non LASSÙ SULL’ORTIGARA Me l’avevano detto … me l’avevano detto tutti: le tue lacrime finiranno lassù, sull’ Ortigara … non ne avrai più neppure una, neppure quando ti servirà. È stato così, in un certo senso … anche se non mi avevano detto tutto, eh no! Perché, in fondo, le parole per raccontare quel che lassù vive uno spirito alpino, credo non le abbiano ancora inventate. È il linguaggio che parlano gli occhi, che conta lassù … sono i battiti dei cuori silenziosi degli oltre ventimila alpini che tra quei monti, si odono ancora. Una quiete che sa di eternità. Senza fiato ho pregato davanti alla Madonnina, che a guardarla occorre alzar la testa all’insù e allora la si vede bianca e cara, lei che li vede tutti, uno per uno, i suoi Alpini morti. E senza fiato ho ascoltato le parole del nostro Presidente, piene di Alpinità … parole che si susseguivano l’una in fila all’altra, con una tal 6 – Alpin del Domm c’era una zanzara nel raggio di un chilometro) e il nostro atleta (malgrado l’età) Sergio Pivetta (sergente AUC. nel b tg . Pie mo nt e , dall’autunno 1943, promosso S.Ten. sul campo per meriti speciali). Nel ricordo di quegli eventi, viene da sé una riflessione importante: gli alpini, a prescindere dal fronte serbatogli dal destino, guerra di liberazione piuttosto che Repubblica Sociale, hanno saputo dimostrare sul campo e sempre di quale stoffa sono fatti. A tale proposito assai appropriate le parole di Sergio Pivetta: “Il btg. Piemonte del Corpo Italiano di Liberazione, una massa di sbandati, stanchi della guerra e di fare la guerra. Ma piano, piano viene fuori la grinta di quella penna che portavano sul cappello: strane uniformi … ma tanto spirito. Una maturazione lenta ma tenace, dal disarmo morale al senso del dovere, dallo sbandamento al desiderio di affermare la dignità di uomini che non temono di affrontare rischi mortali per dimostrare a se stessi ed agli altri che se si cade nel fango occorre risollevarsi, e presto”. Il sabato sera, poi, e la domenica, visto che già ci trovavamo ad Isernia abbiamo avuto il piacere di partecipare al raduno della Sezione ANA del Molise che ci ha accolto in maniera veramente superba e di ciò dobbiamo ringraziare il Presidente Sezionale Capone e tutti gli alpini molisani. Gianluca Marchesi forza, con un tal impeto che non sembrava quasi possibile potessero provenire da una così, all’apparenza, mite persona. E pioveva … piangevano anche da lassù e solo Dio sa quanto. È la magia dell’Ortigara. La magia che racconta quella chiesetta e quell’ ossario, con i ripiani zeppi di ricordi arrugginiti che ti gelano il sangue e ti chiudono la gola: Senza fiato, l’ho vissuta così, anche quando sulle parole di fede di un prete di montagna, il cielo si è aperto, terso e azzurro e il sole, che fino a pochi attimi prima, sembrava non esistere più, è apparso caldo e luminoso, come la speranza. E così è rimasto fino alla fine, a dar luce viva alla nostra Preghiera, piena di storia, di dolore e di verità. Dinnanzi a tutto questo, parola mia, ho pianto fino all’ultima lacrima. E mentre discendevo incerta e sgomenta la montagna, pensavo a che regalo prezioso fece al mondo Dio quando un giorno di lassù, pensò a crear gli Alpini. Mariolina (Gruppo di Bareggio) 19442004 IL RICORDO DI UN REDUCE DELLA DIVISIONE ALPINA MONTEROSA DELLA R.S.I. La guerra aderiva alle montagne come un grande sudario nero, anche la prima neve dell’inverno non riusciva a cambiare granché perché non si posava ma turbinava fra le alture, pungente come il fumo delle esplosioni trascinato dal vento che fischiava infilandosi senza requie tra valli e canaloni. Pesava sulle fanterie nostre e tedesche rannicchiate in posizione di vedetta sulle pendici più avanzate, a spiare in mezzo alla bufera con occhi stanchi e orlati di rosso. Gli altri - americani o erano ancora brasiliani? - appostati su altre pendici ugualmente nude e spoglie. Penetrava nei bunker, nelle buche, nelle trincee che crivellavano le cime dell'Appennino ricadeva con la polvere dei tetti di cemento che tremavano sotto i bombardamenti; volava con l'urlo di proiettili; vi fluttuava il denso fetore della balistite che sapeva di morte e di paura. Eravamo arrivati dopo quattro giorni di treno, ma sarebbe meglio dire quattro notti, perchè di giorno si restava rintanati nelle gallerie per sfuggire agli aerei in continuo andirivieni sulla riviera. Centoventi uomini, quattro pezzi anticarro e tutto quanto serve al caravanserraglio di Notizie di colore dall’Ortigara Lasciando alla Mariolina il “pezzo forte” sull’Ortigara, riporto alcune note di colore su piccoli avvenimenti che hanno allietato il pellegrinaggio di quest’anno. La salita alla Colonna Mozza: partiti di buon mattino da Asiago, abbiamo parcheggiato al piazzale Lozze. Per fortuna (nostra, non dei campeggiatori) aveva un po’ piovuto, e quindi ci siamo risparmiati la polvere della strada, finissima e terribile e bianca che di solito penetra ogni poro e vestito. Di buon passo – con una buona e ritmica respirazione facilitata dalle basse temperature – abbiamo preso il sentiero per salire alla colonna. Persino Luca, che non ha certo l’aria del montanaro, è venuto su spedito, dando un 5-6 minuti a Caterina che invece ha un allenamento spaventoso! La nebbia dava un tocco di mistero e di sacralità ai luoghi della battaglia. Come tante ombre gli Alpini che volevano assistere alla prima delle due S. Messe silenziosamente salivano al colle. Su in cima (un’ora di anticipo!) ci ha colti il freddo intenso: sui cappelli alpini l’umidità si tramutava in fiocchi, vestendoli di una soffice peluria. A poco a poco arrivano anche quelli che si son fatti trasportare dalle Jeep. I Gagliardetti e i Vessilli si una batteria, compresi i cavalli per le dodici pariglie. Tutto quanto fu scaricato sotto una pioggia che chiudeva gli occhi. Nel buio si intravide un cartello "Aulla" - mai sentita nominare - ma era il capolinea. Poi furono una quarantina di chilometri a piedi - armi e bagagli - seguendo nel buio e nella pioggia chi ti stava davanti. Malgrado i rumori della colonna in marcia si andava in una cupa solitudine - forse perché ogni voce si era man mano zittita accompagnata solo dal mormorio della pioggia fredda e sottile che aveva continuato a cadere fin dal giorno prima. Poi d'improvviso un bagliore rosso illuminò la valle là in fondo e le creste dei monti e quasi non aveva suono, se non di un brontolio come di un temporale lontano che non ti riguarda. Ma andavamo lentamente verso quel bagliore che si accendeva e spegneva a ritmi regolari e allora lui cominciò a tremare. Forse era la pioggia che con qualche rivolo si faceva strada fin sulla belle o che altro? Si fermò un attimo a respirare profondamente ma non riuscì a far cessare il tremito. Allora capì che se ne sarebbe andato quando avesse avuto bisogno di esser saldo. Quando cessò il tremito sapeva già che sarebbe successo. Da sotto La Spezia fino alla pianura, gli Appennini erano stati trasformati per chilometri e chilometri in fortificazioni mon- tane. Molti paesi nascondevano nidi d'acciaio e di filo spinato, altri - ed erano la maggior parte - erano stati fatti saltare per lasciare posto a mortali campi di fuoco. Sulle pendici più basse, al posto dei fiori di montagna, si nascondevano campi di mine e ogni volta che un uomo o un animale vi incappava, si seminavano di nuovo. Le posizioni più avanzate erano state scelte e mimetizzate con straordinaria abilità, grazie agli accorgimenti studiati da uomini che conoscevano per amara esperienza la superiorità dell’aviazione e dell'artiglieria degli alleati: alcune erano niente più che buche nel terreno, rivestite di cemento e servite da due uomini che dalle strette feritoie dove passavano le canne delle loro MG, scrutavano la vallata. Più dietro tra gli alberi i pezzi anticarro avevano rinunciato alla loro nudità e ricchi di fronde e rami interravano le loro radici per ottenere un campo di tiro sull'unica strada che s'arrampicava tutta curve, sterrata e senza ripari a risalire la valle. Di giorno si restava al coperto nei bunker, salvo vedette e osservatori, perché bastava poco – un luccichio, un movimento nel bosco ceduo - per scatenare lo spreco delle loro artiglierie. Di notte era come rivivere. Era una guerra di poveri contro i ricchi, ma di lì non sarebbero passati. Tito Dagrada stringono al Labaro. Sembriamo tanti pinguini che si ammassano per proteggersi dal freddo. Infatti comincia a grandinare … Un lieto incontro: alla chiesetta mi fermo per ascoltare il discorso (notevole!) del Presidente Perona. Mi passa davanti un cappello con una nappina fucsia. Grido. “Iseo!” L’Alpino si arresta. È Coltorti, non lo vedevo dal 1993. Commozione e ab- Solo una casa costruttrice inglese può pensare di alloggiare il cric nel cofano del motore, e di posizionare la levetta per aprire il cofano a fianco della portiera destra … I tecnici al lavoro 2: Cesare dirige i lavori di sostituzione della ruota. “Luca, porta dietro la ruota forata”. Luca è perplesso. Cerca ciò che ancora non c’è, il teletrasporto! “Luca! Allora!” “Ma mi sporco …” I tecnici al lavoro 3: gli amici di Bareggio hanno posteggiato la Mercedes in una pozza di fango. Più si cerca di uscirne, più si affonda. Inoltre, nel girare a vuoto, la macchina si sposta pericolosamente verso quella posteggiata a fianco. Completamento della sfortuna: dietro alla Mercedes c’è una Panda a bloccare l’uscita. Questo problema viene alpinamente preso di peso e risolto velocemente. A trarre dagl’impicci e dall’orribil mota i bareggesi ci pensa ancora una volta il neo-consigliere nazionale che nel suddetto gippone ha un cavo per il traino. Nella foto a pag. 6 osservate lo sguardo soddisfatto dell’opera di salvataggio compiuta. Ah, se non ci fosse lui, come faremmo … I tecnici al lavoro 4: in questo caso la tecnica consiste nel muovere le mandibole. Grazie Aldo dell’Albergo Valbella di Gallio per l’accoglienza. E per il vino … Paul Wilcke bracci alpini. So che mi potete capire … I tecnici al lavoro 1: dopo la seconda S. Messa, Luca dorme della grossa nel gippone del neo-consigliere nazionale. Si sveglia di soprassalto sentendosi osservato. Ma chi vuoi che ti guardi! Non ti sei accorto che c’è una ruota a terra? Si cerca di sostituirla. C’è la buona volontà, mancano gli attrezzi. Alpin del Domm – 7 Il nostro Stefano Volpato dà mostra d’essere un grande sommelier … salvo poi scambiare un Dolcetto d’Alba per un Nebbiolo … Stefano ricordati che devi ancora pagarlo! Il vescovo di Bergamo visita “el buen retiro” del nostro Bruno. Stupito di trovare un alpino meneghino, così attacca: “Ma voi a Milano avete gli alpini?” E il decano, per nulla intimorito, così ribatte al presule: “Ma voi a Roma avete i preti?” Milano – Roma (in trasferta a Bergamo) 1 a 0. TRENI STORICI Piaciuta la lettura dell’estate? Se vi è anche venuta voglia di fare un viaggio su di un treno storico ne stiamo organizzando uno per la primavera: Tirano, Lecco, Monza, Milano Porta Genova, Mortara, sosta in un ristorante tipico e ritorno. Sul ristorante garantisce il gourmet Roberto. 50° Gruppo di Bollate 9 – 10 ottobre 2004 Partecipate numerosi. Programma esposto in Sezione Brevi note dal Contrin Come ogni anno alla fine di giugno ci aspetta il Contrin (grazie Andrea per l’ospitalità). Molte volte ne abbiamo ormai scritto. Ogni volta è una emozione che si rinnova. L’erta rampa iniziale cui segue un falso piano ed infine la salita che porta al rifugio sono una preparazione alla S. Messa: una piccola penitenza cui segue una grande gioja. Gioia che si completa nel ritrovare di anno in anno gli amici degli altri Gruppi e delle altre Sezioni con i loro gagliardetti e vessilli. Non che sia importante, ma ritrovarsi in molti, e provenienti da così tanti posti, dà una certa soddisfazione. Quest’anno è poi stato fatto un grande applauso ad un Alpino ultranovantenne che ancora una volta ha fatto la salita, e di buona lena. A proposito di salita, e di buona lena: a metà della rampa abbiamo incontrato (in un momento di pausa...) il Presidente Sezionale Urbinati (con famiglia) con il quale poi abbiamo passato momenti lieti durante il pranzo. Vessillifero per Milano il buon Daniele Gariboldi. Accompagnato dalla fedele pipa, Giuseppe Borella, come ogni anno. Paul Questa foto panoramica mostra la vista che si gode dalla funivia Campitello – Col Rodella. Si distinguono bene il Sasso Lungo, il Passo Pordoi, il Gruppo del Sella e la Marmolada. I volovelisti hanno dovuto soprassedere a causa di pericolosi turbini di vento. (Foto Wilcke, elaborazione Geronutti) Prossima cena di Gruppo 16 e 17 ottobre 2004, Piazza Castello (MM Cairoli) Giovedì 14 ottobre 2004 Chi non prenota non mangia! Sono programmate “lezioni di canto alpino” per allietare le prossime cene e le altre manifestazioni del Gruppo. Si terranno ovviamente il mercoledì sera in Sezione, ai tavoli della Corvée. Le due immagini sopra riportate dovrebbero essere sufficientemente evocative! Oltre ad invitarVi tutti a consumare … sollecitiamo i soliti volonterosi (ed anche qualche nuovo volonteroso, perché no?) a dare la loro disponibilità per aiutare la Sezione nella buona riuscita della FESTA D’AUTUNNO. Adesioni presso la segreteria sezionale 02.48519720. Facciamo vedere a tutti che anche a Milano ci sono gli Alpini, e che amano la loro città! 8 – Alpin del Domm MOLTI SOCI NON SI SONO RICORDATI DI RINNOVARE L’ADESIONE PER L’ANNO SOCIALE 2004! NON SI STUPISCANO SE NON VEDONO PIÙ ARRIVARE L’ALPINO E VECI E BOCIA. POSSONO FARSI UN NODO AL FAZZOLETTO PER IL 2005.