Tesi Splatto

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Tesi Splatto
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Corso di Laurea in Fisioterapia
Direttore: Chiar.mo Prof. Antonino Surace
IL TRATTAMENTO RIABILITATIVO DELLA
SINDROME DEL PIRIFORME
Relatore: Prof. A. Surace
Correlatore: FT L. Frattini
Tesi di laurea
di: Platto Nicholas
Matricola 633665
Anno Accademico 2003/2004
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“ Considerate la vostra semenza:
fatti non foste per viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza ”
Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI
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IL TRATTAMENTO RIABILITATIVO
DELLA SINDROME DEL PIRIFORME
SOMMARIO
SOMMARIO ..............................................................................3
INTRODUZIONE .......................................................................4
1. MATERIALI E METODI .......................................................6
2. PRESUPPOSTI TEORICI: REVISIONE CRITICA DELLA
LETTERATURA...................................................................7
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
2.6
2.7
LA SINDROME DEL PIRIFORME: MITO O REALTA’ ? ................... 7
“OVERDIAGNOSED” o “UNDERDIAGNOSED”?.............................. 8
DIBATTITO SCIENTIFICO SUI FATTORI PREDISPONENTI ......... 9
EZIOPATOGENESI ................................................................................... 11
ORIGINE DEI SINTOMI .......................................................................... 13
VALUTAZIONE FUNZIONALE............................................................... 14
RASSEGNA DELLE MODALITA’ DI TRATTAMENTO .................... 18
3. PROTOCOLLO VALUTATIVO ............................................25
4. PROTOCOLLO RIABILITATIVO .........................................27
5. CASI CLINICI ...................................................................34
6. CONCLUSIONI .................................................................37
BIBLIOGRAFIA .......................................................................40
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INTRODUZIONE
La sindrome del piriforme, anche se raramente riconosciuta,
sembra essere una causa molto più frequente di quanto non si
creda, di dolore gluteo con irradiazione all'arto inferiore (Popelianskii, Bobrovnikova,1968). L'origine dei sintomi può essere di tipo
nervoso, conseguente alla compressione del nervo sciatico da parte del muscolo divenuto rigido e voluminoso a causa di insulti
meccanici di varia natura; oppure può essere di tipo muscolare
connessa cioè all’attivazione, nel muscolo, di punti trigger. La sintomatologia, tanto bizzarra quanto enigmatica, tende a simulare
altre patologie (spesso molto più gravi), cosicchè troppo frequentemente la ricerca clinica viene indirizzata verso strutture ben lontane dall'essere la causa reale del dolore.
Questo chiaramente comporta degli enormi sprechi di risorse
economiche: per indagini diagnostiche inutili e trattamenti terapeutici inconcludenti (Parziale e coll.,1996) ed inoltre per il fatto
che talvolta questa sindrome può essere così invalidante da limitare o impedire lo svolgimento delle normali attività lavorative con
conseguenti ingenti perdite produttive (Piralla, 1999).
Questo fenomeno, secondo Fishman (1992, 2002) è dovuto al
fatto che, in quasi mezzo secolo dalla "scoperta" della sindrome
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(Yoeman,1928) nonostante i progressi scientifici, non si è stati in
grado di raggiungere una univoca e consensuale definizione della
patologia e quindi neppure un preciso iter diagnostico e terapeutico.
In quest'ottica, il proposito della presente tesi è di definire,
attraverso una revisione degli studi più recenti, la sindrome del piriforme, nei suoi aspetti fisiopatogenetici e soprattutto in quelli
riabilitativi. In particolare si è cercato di elaborare un protocollo
riabilitativo dai tempi e dai costi contenuti, di facile e rapida applicazione, requisiti indispensabili in una realtà sanitaria sempre più
esigente nei risultati, ma sempre più accorta nell’impiego delle
scarse risorse disponibili (Pilotto, Tardivo 2004).
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1. MATERIALI E METODI
La ricerca bibliografica è stata condotta in internet, utilizzando le banche dati scientifiche: Medline , Embase e Cochrane
Library.
In particolare inserendo le parole chiave "piriformis syndrome", "low back pain", "sciatica" è stato possibile ottenere 101 articoli.
La ricerca ha tenuto conto dei seguenti criteri di inclusione:
•
Articoli o testi pubblicati tra il 1980 e il settembre 2004,
•
Articoli o testi in lingua inglese, italiana o francese,
•
Revisioni, o revisioni sistematiche provviste di abstract.
Tra gli articoli a disposizione sono stati esclusi quelli di interesse non strettamente riabilitativo; sono state privilegiate le pubblicazioni più recenti dei medesimi autori.
Infine alcuni articoli sono stati presi in considerazione, nonostante fossero anteriori al 1980, in quanto citati quali fonti bibliografiche in molti scritti, quindi degni di particolare attenzione.
In totale, per questo lavoro, sono stati utilizzati 30 articoli 4
libro di testo.
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2. PRESUPPOSTI TEORICI: REVISIONE CRITICA
DELLA LETTERATURA
Nella letteratura scientifica e nella realtà clinica esiste una
notevole confusione riguardo alla sindrome del piriforme: sono infatti numerose le diversità di vedute tra i differenti autori relative
ai principali aspetti del problema. E’ necessario esaminare, alla
luce dei più recenti contributi scientifici, se si è giunti a una maggiore chiarezza e ad un’uniformità di vedute in quanto ciò permetterebbe migliori risultati diagnostici e riabilitativi.
2.1 LA SINDROME DEL PIRIFORME: MITO O REALTA’ ?
La risposta non è così scontata come si potrebbe immaginare. Questo ancora oggi risulta essere infatti un punto controverso.
Dall’interessante studio di Silver e Leadbetter (1998) emerge
infatti che su 65 medici intervistati il 7% ritiene che la sindrome
del piriforme non esista,
mentre il 21% non sa rispondere alla
domanda o manifesta perplessità a proposito della questione. Ciò
significa che circa un terzo dei medici intervistati diagnosticherà la
patologia con molti dubbi o non la diagnosticherà affatto.
Questo non è che uno degli aspetti che sono stati (e sono ancora) oggetto di dibattito scientifico.
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2.2 “OVERDIAGNOSED” o “UNDERDIAGNOSED”?
Le due posizioni contrapposte sono sostenute, rispettivamente, da Steiner (2003) e Fishman (2003).
Il primo ritiene che, troppo spesso, la diagnosi di sindrome
del piriforme venga utilizzata, nell’ambito medico, in modo scorretto, come se fosse un “contenitore” indifferenziato in particolare
per:
1) lesioni riguardanti zone prossime al nervo sciatico, ma
non attribuibili direttamente al muscolo piriforme (neoplasie maligne, tumori neurogeni, infezioni locali, ematomi da traumi diretti
sugli ischio-crurali e sul gluteo);
2) dolore gluteo e sciatalgia cronica in assenza di evidenti
danni nervosi;
3) sintomi a carico dell’arto inferiore non imputabili ad alcuna altra patologia.
Fishman (2003), al contrario, citando uno studio da lei stessa svolto nel 2002 rivela la presenza, nella realtà clinica, di un
certo pregiudizio nel diagnosticare la sindrome, naturalmente a
discapito di coloro che ne sono realmente affetti. Essa sostiene di
aver eseguito 3895 diagnosi di sindrome del piriforme in soggetti
che avevano presentato la sintomatologia per un periodo medio di
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6,2 anni e che avevano consultato una media di 6 medici diversi
senza che precedentemente gli venisse mai riscontrata da alcuno
la patologia in esame.
2.3 DIBATTITO SCIENTIFICO SUI FATTORI PREDISPONENTI
Beaton e coll.(1937) hanno ipotizzato che la variabilità anatomica di rapporto tra il piriforme e lo sciatico possa costituire, in
alcuni soggetti, un fattore predisponente allo sviluppo della sindrome: i risultati dello studio condotto su 1125 cadaveri sono riassunti in figura 1.
Simons e Travell (1983) ritengono che le variazioni 2 e 4, potenzialmente, rappresentino per il nervo sciatico un rischio maggiore di danno, in quanto sono maggiori le possibilità di un suo
ghigliottinamento tra i fasci del muscolo o di una sua compressione contro l’arcata ossea del grande forame ischiatico quando il
muscolo sviluppi una contrattura. Altri autori invece interpretano
la variante 4 come uno stratagemma “naturale” del muscolo per
proteggere la struttura nervosa. Pecina (1979) al contrario sostiene
che lo sciatico è maggiormente a rischio di compressione quando
attraversa il ventre muscolare. E’ da menzionare inoltre lo studio
di Petersilge e coll. citato da Rodrigue e Hardy (2001) nel quale
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viene contestato il ruolo delle varianti anatomiche nella patogenesi
della sindrome in quanto, nel campione analizzato, non è stata osservata alcuna differenza anatomica significativa tra soggetti sintomatici e asintomatici tale da giustificare una qualsivoglia teoria
in merito.
Fig.1 Variazioni anatomiche del rapporto tra
muscolo piriforme e nervo sciatico. (Tratto da
Travell JC e Simons DG Dolore muscolare diagnosi e terapia dei punti trigger. Volume III).
Suscita infine interesse la teoria avanzata da Hottalp (1990): egli
ipotizza che l'attività del piriforme sia più legata alla arcaica condizione quadrupedica dell'uomo che non a quella evoluta bipodalica. In sostanza, secondo questa teoria, la stazione eretta sottopone
le fibre muscolari a sollecitazioni di molto maggiori rispetto a quelle per le quali sono state ontogeneticamente programmate, costringendole così a meccanismi reattivi precoci ed esagerati.
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2.4 EZIOPATOGENESI
1) Piralla (1999) facendo riferimento agli studi di Steiner e
coll (1987), Sayson e coll (1994), Vandertop e coll (1991) afferma
che:
a) uno stato flogistico del piriforme in presenza di miofibrosite, artrite d’anca etc.
b) un trauma diretto, o microtraumi ripetuti alla regione
glutea causati ad esempio dalla posizione seduta ad anche addotte ed intraruotate,
può comportare la formazione di bande miofasciali fibrotiche e di
un deposito di tessuto cicatriziale in conseguenza dei microversamenti causando un palpabile indurimento del ventre muscolare,
una maggior resistenza meccanica allo stiramento, nonché un imbrigliamento del nervo ischiatico (Kendall 1988, Benson 1999)
2) Travell e Simons(1988) concentrano invece l’attenzione
sulla presenza nel piriforme di trigger points (d’ora in avanti
TP) quali cause della sindrome in conseguenza di:
a) ipersollecitazione intensa ed improvvisa del muscolo in stato d’allungamento nella fase di carico, (ad esempio quando si tenta di frenare troppo rapidamente
una rotazione interna dell’arto inferiore durante un cam-
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bio di direzione nel cammino o per trattenersi dal cadere,
o quando poggiando al suolo un peso si abducono e si
flettono le anche impegnando notevolmente il piriforme
in accorciamento);
b)sollecitazioni o stiramenti contenuti ma reiterati
come nel caso ad esempio di un cammino che si realizza
durante la fase di carico con un’eccessiva intrarotazione
relativa del femore rispetto al bacino a compenso ad esempio di un piede di Morton, oppure, come sostiene
Gagnon (2001), nel caso di una pronazione asimmetrica
del piede con affossamento della volta plantare che va a
determinare una “gamba corta funzionale” tale da indurre una rotazione antero-inferiore dell’articolazione sacroiliaca omolaterale con conseguente compressione dello
sciatico tra piriforme e legamento sacro-spinoso.
c) Mitchell, Retzlaff e coll (1974) hanno osservato
che una tale rotazione dell’articolazione sacroiliaca potrebbe anche essere determinata da una contrazione
persistente delle fibre inferiori del piriforme che sono appunto in grado di esercitare su tale articolazione
un’importante forza obliqua, rotatoria e a forbice.
D’altro canto la dislocazione dell’articolazione sacro-iliaca può essere essa stessa la causa della patologia
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dal momento che va a modificare la fisiologica relazione
tra origine e inserzione del piriforme, costringendolo a
contrarsi partendo da uno stato di parziale allungamento
(o accorciamento) con conseguente aumentato rischio di
danno muscolare.
2.5 ORIGINE DEI SINTOMI
In letteratura vi è una concordanza di vedute riguardo alle
origini dei sintomi con le teorie classiche di Freiberg(1937) e Robinson(1947): il dolore gluteo e a decorso sciatico è da attribuirsi,
secondo gli autori, alla compressione delle strutture nervose ad
opera del muscolo in questione.
Travell e Simons(1988) hanno tuttavia perfezionato e approfondito il concetto distinguendo il dolore miofasciale, legato ad una
sofferenza isolata del muscolo, provocato dall’attivazione dei suoi
TP e quindi di solito circoscritto alla zona glutea, ma non di rado
irradiato alla parte posteriore della coscia, da un dolore da compressione vascolare e nervosa (Bauer, 2001) molto più di frequente irradiato all’arto inferiore posteriormente fino al piede (nervo
sciatico), talvolta irradiato in sede perineale (nervo pudendo) (PratPradal, 1995), quasi sempre associato ad altri segni neurologici
radicolari caratteristici. I due autori individuano infine un altro ti-
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po di dolore quello da disfunzione sacro-iliaca. L’unica posizione
che sembra discostarsi dalle linee di pensiero precedentemente
esposte è quella assunta da Steiner(1987) ripresa successivamente
da Indrekvam e coll, Shah e coll nel 2002.
Gli autori escludono che l’origine della sintomatologia sia legata ad una compressione nervosa, ritengono piuttosto che essa
sia da collegare all’infiammazione della guaina connettivale del
nervo indotta dai mediatori biochimici della flogosi (bradichinina,
istamina, prostaglandine E) rilasciati in conseguenza di microversamenti muscolari, o da un muscolo infiammato e contratto.
2.6 VALUTAZIONE FUNZIONALE
La letteratura è ricca di casi clinici sulla sindrome del piriforme dall’analisi dei quali tuttavia risulta chiara la mancanza di
un criterio e quindi di un percorso valutativo standard, univocamente riconosciuto e applicato in ambito clinico. Ciò nonostante
esistono aspetti della patologia che vengono comunemente ricercati da tutti, seppur con modalità diverse, per diagnosticare tale sindrome. Ad esempio tutti gli autori presi in considerazione ritengono il dolore scatenato dalla palpazione, sia essa esterna (in corrispondenza dei TP del muscolo, l’uno in prossimità del grande trocantere, l’altro nei pressi del bordo esterno sacrale che coincide col
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margine interno del forame ischiatico, Fig.2) (Travell, Simons
1996) sia essa interna (vaginale e rettale), un segno importante
per la definizione della diagnosi soprattutto se associato alla positività del test di Freiberg (Silver, Leadbetter,1998; Levin, 2000).
Robinson (1947) in particolare, ma successivamente anche gli
stessi Silver e Leadbetter (1998), descrive come “sausage-shaped
mass” la sensazione al tatto del piriforme contratto considerandolo
un ulteriore segno di rilievo.
Fig.2 Palpazione esterna per sollecitare la dolenzia di un
punto trigger nel muscolo piriforme. (Tratto da Travell JC,
Simons DG. Dolore muscolare diagnosi e terapia dei punti trigger. Volume III).
Un altro aspetto importante riscontrato in letteratura è la ricerca, da parte dei diversi autori, di specifiche manovre di stiramento (test di Freiberg,1937) e di particolari tests di contrazione
del muscolo retratto e indurito (test di Pace,1976 e test di Beatty,1994) in grado di riprodurre o accentuare la sintomatologia
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dolorosa e tali da identificare in maniera inequivocabile la patologia. Dei numerosi test esistenti, quelli a cui si è accennato più sopra risultano essere
i più utilizzati nell’ambito clinico: il primo
(test di Freiberg) consiste nell’allungare il muscolo con una intrarotazione forzata ad anca estesa, ginocchio flesso a 90° e il soggetto in posizione prona, manovra che Retzlaff e coll ritengono utile anche per un’analisi della dislocazione sacro-iliaca, oppure nella
variante a ginocchio esteso e soggetto in posizione supina; Saudek(1985) propone una modificazione di questo test ritenendo a
ragione che in decubito controlaterale, con l’anca e il ginocchio
flessi a 90°, addurre ed intraruotare passivamente il femore possa
testare in modo più analitico la tensione del piriforme e non quella
di tutti i rotatori esterni considerati nel loro insieme. Il secondo
test consiste invece nel far eseguire al paziente un’abduzioneextrarotazione
isometrica
delle
anche
contro
le
mani
dell’esaminatore dalla posizione seduta (test di Pace e Nagle); il
terzo nel chiedere al paziente, posto sul decubito laterale sano,
un’abduzione controgravità ad anca flessa dell’arto inferiore interessato. Anche la manovra di Laségue è considerata da parte di alcuni autori utile a fini clinici e diagnostici (Freiberg, 1937, Robinson, 1947); tuttavia è quantomeno lecito chiedersi quale reale specificità possa avere all’interno di questa valutazione. Infatti una
positività del segno di Laségue è compatibile con la sindrome del
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piriforme, ma anche ad esempio con una radicolite, con un ernia
discale (Pace, 1975). Per questo motivo Fishman e Zibert (1992) lo
considerano positivo solo quando l’escursione di movimento libera
dal dolore presenta una differenza di almeno 15° rispetto a quella
controlaterale o è inferiore a 65°.
Altri studiosi inoltre sostengono che sia necessario non sottovalutare anche l’osservazione del paziente, in quanto potrebbe
far emergere particolari alterazioni correlate alla patologia come ad
esempio, in decubito supino, l’extrarotazione di almeno 45°
dell’anca (Retzlaff e coll, 1974) e l’elevazione del bacino che va a
riprodurre una apparente asimmetria dell’arto colpito (Travell,1988; Rodrigue,2001) oppure la tendenza a modificare di frequente la posizione (specialmente in decubito seduto) e la difficoltà
ad accavallare la gamba sofferente sul ginocchio sano (Travell,1988; Benson,1999), oppure ancora un segno di Trendellemburg che si esprimerà nel cammino per la debolezza muscolare a
carico del muscolo in questione (Hallin,1983; Barton,1991; Rodrigue,2001). I deficit neurologici legati alla compressione dello sciatico o del pudendo, pur essendo compatibili anch’essi con una
diagnosi di sindrome del piriforme, per la maggior parte degli autori, non risultano essere di per sé caratteristici e potendo presupporre patologie più gravi o di altra natura necessitano in ogni ca-
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so di una indagine medica ben più accurata e precisa (Travel,1988).
L’importanza degli esami strumentali per la diagnosi della
sindrome costituisce invece una fonte di scontro scientifico: Barton (1991) li ritiene di importanza secondaria se non in casi specifici e selezionati; Fishman (2002) invece ritiene a tal proposito utile ed efficace l’analisi del riflesso H in posizione FAIR, e ne dimostra la validità in uno studio condotto con Zybert (1992) su 34 pazienti; la risonanza magnetica per evidenziare l’ipertrofia del muscolo è ritenuta importante dal punto di vista diagnostico da Rossi
e coll (2001), ma non da Prat-Pradal (1995) e Kouvalchouk e coll
(1996). Infine i tests infiltrativi anestetici sono un po’ da tutti considerati affidabili, ma di difficile esecuzione e di elevata pericolosità.
2.7 RASSEGNA DELLE MODALITA’ DI TRATTAMENTO
Il trattamento della sindrome del piriforme è un argomento
alquanto complesso e articolato. La letteratura scientifica analizzata distingue tra tre diversi tipi l’approccio alla patologia: il trattamento conservativo in senso stretto, la terapia iniettivainfiltrativa e l’intervento chirurgico. Ciascun approccio viene preso
in considerazione rispettando l’ordine sovraesposto in modo tale
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che ogni modalità terapeutica più aggressiva ed invasiva venga
proposta come ulteriore risorsa terapeutica solo al fallimento di
quella precedente (Gagnon 2001).
Gli
autori
presi
in
esame
individuano
nell’ambito
dell’approccio conservativo, tre principali tipologie di strumenti terapeutici: le tecniche manuali cinesiterapiche, le terapie strumentali e quelle farmacologiche.
Tra le tecniche manuali, la più utilizzata, in quanto parte
centrale ed essenziale del trattamento, risulta senza dubbio essere
quella di stiramento progressivo del muscolo (prima passivo e poi
attivo) in flessione-adduzione-intrarotazione d’anca in tutte le sue
varianti (Rodrigue e coll., 2001; Shah e coll., 2002). La variante a
paziente prono proposta da Lewit (1985) viene scartata da Piralla
per la sua scarsa specificità sul muscolo in esame e per la sua pericolosità sui tessuti molli dell’articolazione del ginocchio. A dimostrazione dell’efficacia delle tecniche di stiramento sono da citare
gli studi di Julsrud (1989) e Barton (1991) i quali affermano che
sedute ripetute ogni due ore per la durata complessiva di una settimana permettano la disattivazione dei TP, la scomparsa dei sintomi dolorosi e il recupero della fisiologica lunghezza del piriforme
(Piralla,1999). La facilità d’applicazione della tecnica, i ridotti tempi di trattamento, i risultati confortanti riscontrati in letteratura
hanno orientato la ricerca in questa direzione. Si sono resi neces-
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sari ciononostante degli approfondimenti soprattutto per affrontare il problema dell’eccessiva durata della singola seduta di trattamento che non è realizzabile nella comune pratica riabilitativa.
La tecnica definita “stretch and spray” illustrata già da Travell e Simons nel 1988, sembra essere un efficace mezzo per la risoluzione definitiva dei TP, nonché per un innalzamento della soglia del dolore e quindi una dilatazione del punto di massimo allungamento muscolare. Essenzialmente la tecnica consiste in uno
stiramento passivo associato all’applicazione intermittente con
passate a linee parallele di ghiaccio o di uno spray refrigerante.
Steiner e coll. consigliano l’uso del cloruro d’etile al posto del fluorimetano per il suo effetto refrigerante più rapido. Tuttavia la tecnica isolatamente considerata presenta dei limiti: innanzitutto è
lecito chiedersi come uno stiramento passivo e quindi non corticalizzabile possa permettere degli effetti terapeutici a lungo termine;
in secondo luogo non sono documentati in letteratura i tempi necessari per ottenere quei risultati che comunque la tecnica è in
grado di garantire. Travell e Simons sostengono che bisogna insistere fino a quando non si ottengono degli apprezzabili progressi; è
facile però rendersi conto che questo non può soddisfare in alcun
modo il terapista.
A tal fine alcuni autori in associazione alle metodiche sopracitate consigliano l’utilizzo delle tecniche di facilitazione neuromu-
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scolare e di rilasciamento miofasciale quali utili strumenti terapeutici per favorire la riduzione del tono, il rilasciamento muscolare e
quindi per un più rapido ripristino della completa lunghezza del
piriforme; inoltre richiedendo una maggiore partecipazione attiva
da parte del paziente possono permettere una memorizzazione a
distanza dei risultati ottenuti. Retzlaff e coll. (1974) tra le diverse
tecniche consigliano l’inibizione reciproca facendola seguire ad un
allungamento passivo massimo. Lewit e Simons (1985,1988) propongono invece la tecnica di rilasciamento post-isometrico mentre
Voss e coll. la contrazione-rilasciamento. Gagnon (2001), per potenziarne l’efficacia combina le diverse tecniche: il rilasciamento
post-isometrico abbinato allo stiramento passivo e successivamente l’inibizione reciproca. Piralla(1999) ritiene che possa essere sufficiente anche un solo trattamento per disattivare bandelette muscolari iperalgesiche (i TP secondo Travell e Simons) recenti e moderatamente attive attraverso delle compressioni ischemiche sul
muscolo tenuto in allungamento, quelle descritte da Travell nel
1952 e previste nell’approccio di TePoorten (1969) mentre sostiene
che sono necessarie più sedute ripetute nel corso di almeno 2 o 3
settimane per TP cronici ed irritati. Da qui si deduce ancora di più
l’importanza di una individuazione e di un trattamento precoce
della sindrome se l’obiettivo è quello di una risoluzione rapida del
problema.
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La pressione digitale è dagli autori preferibile rispetto quella
prodotta con il gomito perché permette all’operatore di avere una
maggiore sensibilità e diminuisce i rischi di danneggiamento del
nervo sciatico. In associazione alla digitopressione Cash (1996),
utilizzando l’approccio Cyriax, suggerisce lo “scollamento” delle
microscopiche aderenze cicatriziali presenti con energiche frizioni
eseguite trasversalmente alla direzione delle fibre del muscolo anche in questo caso tenuto in posizione allungata. Le procedure terapeutiche sovraesposte eseguite in sequenze di 2-3 ripetizioni
possono venire intervallate, secondo Travell e Simons, con
l’esecuzione di movimenti ampi e attivi, l’applicazione di impacchi
caldo-umidi o in alternativa con la somministrazione di diatermia
ad onde corte o ad impulsi.
Steiner(1983), Barton(1991) e Fishman(2001)
preferiscono
invece addestrare il paziente all‘autoallungamento in modo tale da
non limitare il trattamento alla sola durata della singola seduta.
Tra le altre tecniche utilizzate sono da ricordare quella di quella di
Thile(1982) che descrive gli ottimi risultati ottenuti con il massaggio transrettale del muscolo piriforme. Tuttavia Rodrigue(2001),
pur riconoscendo l ’efficacia di tale tecnica, ne critica l‘eccessiva
invasività, che potrebbe rendere il trattamento scarsamente accettato dal soggetto.
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Infine alcuni autori (Travell,1988; Parziale,1991; Rodrigue,2001) considerano una parte importante del trattamento la
correzione della alterazioni biomeccaniche, in quanto fattori causali o perpetuanti della sindrome del piriforme.
Per quanto riguarda il trattamento tramite le terapie fisiche,
il lavoro condotto da Hallin(1983) ha ricevuto notevole consenso:
in due settimane ha alleviato il dolore di undici soggetti affetti da
sindrome del piriforme con l’applicazione quotidiana di ultrasuoni.
A seguito di tale risultato Barton(1991) ne consiglia l’utilizzo in associazione alle tecniche di stiramento.
L’utilizzo di farmaci per trattare la sindrome è alquanto diffuso. In particolare tutti gli autori analizzati, nella pratica clinica,
fanno ampio uso di FANS e miorilassanti (sempre in associazione
al trattamento fisiocinesiterapico), ma soprattutto di corticosteroidi e analgesici per via intramuscolare. Tuttavia Travell(1988), pur
riconoscendone l’efficacia nel controllo dell’infiammazione e del
dolore, ne critica l’uso: sia perché l’iniezione richiede l’esperienza
del somministratore (esiste infatti il rischio di infiltrare erroneamente il nervo sciatico, bloccandone temporaneamente l’attività
nervosa), sia perché i risultati hanno breve durata.
In tal senso Fishman(2004) e Lang(2004) stanno sperimentando l’utilizzo della tossina botulinica per indurre la paralisi mu-
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scolare del piriforme e ottenere così una riduzione dei sintomi più
duratura.
Qualora il trattamento conservativo si dimostrasse fallimentare, la totalità degli autori studiati concorda che, se la patologia
fosse disabilitante per il soggetto, si rivelerebbe necessario il release chirurgico. L’intervento consiste, sulla base delle descrizioni
classiche di Freiberg(1937) e Robinson(1947), nella parziale asportazione del muscolo piriforme ,così da decomprimere le strutture
nervose interessate.
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3. PROTOCOLLO VALUTATIVO
Prima di presentare il protocollo di valutazione è necessario
sottolineare che il processo diagnostico è una esclusiva prerogativa del medico e non del riabilitatore. Tuttavia si può considerare il
seguente protocollo un valido strumento per entrambe le figure
sanitarie: il clinico potrebbe così rapidamente diagnosticare la patologia in esame mentre il terapista potrebbe “informare il medico,
collaborando a fornire elementi utili sia per un eventuale approfondimento diagnostico sia per la definizione di un più appropriato
programma terapeutico” (art.11 codice deontologico) qualora il
trattamento impostato non abbia dato i risultati attesi o abbia
prodotto risposte non coerenti.
Il protocollo valutativo è stato costruito sulla base dei diversi
approcci alla patologia proposti dagli autori presi in considerazione. In particolare si è posta l’attenzione sui test e sulle manovre
per le quali c’è concordanza d’opinione in letteratura e che hanno
come requisiti:
• la facilità e rapidità di applicazione;
• la specificità;
• l’assenza di rischi per il paziente;
• il contenimento dei costi.
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ANAMNESI
Nome:
Cognome:
Età:
Professione:
Attività particolari:
Eventi Traumatici:
Sintomatologia Dolorosa: scala di VAS (segnare una croce in corrispondenza del dolore percepito)
grafico del corpo (segnare le aree interessate dal dolore)
0
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VALUTAZIONE
•
Positivo
Stazione eretta / deambulazione
- Asimmetria arti inferiori (apparente)
- Segno di Trendellemburg
- Piede di Morton / iperpronazione
•
Decubito seduto
- Tendenza a modificare spesso la posizione
- Difficoltà ad incrociare le gambe
•
Decubito supino
- Asimmetria arti inferiori (reale)
- Segno del piriforme (extrarotazione d’anca >45°)
- Test di Fabere (per la dislocazione dell’articolazione sacro-iliaca)
•
Decubito laterale
- Palpazione TP piriforme (FAIR positon)
- Segno di Saudek
- Segno di Beatty
•
Deficit neurologici
- Stenia dei muscoli innervati dallo sciatico
- Alterazione della sensibilità nei dermatomeri corrispondenti
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Negativo
4. PROTOCOLLO RIABILITATIVO
Le tecniche scelte per il trattamento sono quelle rispondenti
ai requisiti precedentemente considerati: durata e costi ridotti e la
non pericolosità o rischio per il soggetto, a questi si è aggiunta inoltre la necessità di avere risultati riabilitativi rapidi, evidenti e
duraturi in tempi brevi.
Inoltre protocollo riabilitativo è in linea con la tendenza della
medicina moderna a preferire un approccio conservativo rispetto
ad un approccio chirurgico, il quale è costoso, invasivo e generalmente poco gradito dal paziente.
Protocollo riabilitativo: Sindrome del piriforme
Durata : n.5 sedute ( n.1 ora ogni seduta )
™ Solo alla prima seduta :
¾ Correzione delle eventuali alterazioni biomeccaniche emerse nella valutazione
- Utilizzo di spessori per un’asimmetria degli arti inferiori o
per un’oscillazione medio laterale del piede (o piede di Morton);
- Utilizzo di plantari per l’iperpronazione del piede;
27
- Utilizzo
di
manovre
osteopatiche
per
la
dislocazione
dell’articolazione sacro-iliaca.
La mancata correzione di tali alterazioni comporta, con
buona probabilità, il fallimento del trattamento in quanto non
vengono eliminati i fattori causali della sindrome.
¾ Addestramento all ’autoallungamento
- Paziente supino. L’arto affetto è flesso addotto intraruotato
(d’ora in poi FAIR position), il piede è appoggiato a fianco
dell’arto non affetto. La mano controlaterale spinge, facendo
presa sul ginocchio omolaterale verso il basso, adducendo
ulteriormente l’arto e stirando il piriforme (Fig 3).
Fig.3 Autoallungamento del muscolo piriforme destro.(Tratto da Travell JC, Simons
DG. Dolore muscolare diagnosi e terapia dei punti trigger. Volume III).
28
- Paziente in decubito laterale. FAIR position con il ginocchio
fuori dalla superficie di appoggio. Il paziente controlla la discesa del ginocchio.
- Paziente in decubito laterale. FAIR position. Il paziente, fissando il ginocchio sulla superficie, cerca di ruotare il tronco
controlateralmente al lato affetto.
- Paziente in stazione eretta. Il paziente esegue delle rotazioni
caute del tronco, impedendo il movimento delle gambe. Gli
arti superiori sono lasciati rilassati.
Ogni posizione è mantenuta da 5 a 30 secondi, dipendentemente dal dolore, e da ripetersi ogni 2 o 3 ore circa. E’
importante che il dolore rimanga entro la soglia di sopportazione, per evitare di generare spasmi muscolari riflessi.
™ Dalla prima alla quinta seduta :
¾ Applicazione di ultrasuoni
La potenza varia da 0,5 W/cm2 a 2,5 W/cm2, ricordando
che il dolore deve rimanere entro i limiti di sopportabilità. Il
manipolo viene passato con moto circolatorio in prossimità
del TP.
Durata: 5 minuti per ciascun TP attivo.
29
¾ Massoterapia
Costituisce, per il paziente, un’importante approccio psicologico al trattamento. E’ la fase preparatoria, quindi, si consigliano tecniche di massaggio non aggressive, quali “sfioramenti” e “frizioni”, queste ultime solo se caute.
Durata: 10 minuti.
¾ Tecnica di “stretch and spray” combinata con tecniche di
facilitazione neuromuscolare e rilasciamento miofasciale
Tecnica descritta da Travell(1988):
- Posizionare il paziente come in figura 4;
- Applicare passate parallele di spray in un'unica direzione,
coprendo l’intera area interessata dal dolore;
- Richiedere l’abduzione dell’anca, applicando una resistenza
tale da impedire il movimento (contrazione isometrica), dopo
alcuni secondi invitare il paziente e cessare la contrazione;
- Allungare il muscolo, trazionando la cresta iliaca, fino al
punto di “disagio tollerabile”;
- Ripetere 2/3 volte quindi applicare impacchi caldo/umidi
per riscaldare la cute e rilassare il muscolo;
- Ripetere l’intero ciclo fino al completo allungamento del muscolo;
30
- Richiedere movimento attivo completo.
Durata : 25 minuti.
Fig.4 Posizione di stiramento e distribuzione del freddo intermittente
per i TP nel muscolo piriforme destro. (Tratto da Travell JC, Simons
DG. Dolore muscolare diagnosi e terapia dei punti trigger. Volume III).
¾ Compressione ischemica
- Posizionare il paziente come in figura 5;
- Stirare il muscolo fino a raggiungere il punto di disagio tollerabile;
- Individuare il TP percorrendo con i pollici il ventre muscolare
lungo tutta la sua lunghezza;
- Una volta individuati, esercitare una pressione (con i pollici
oppure con il gomito) graduale, a seconda che il dolore aumenti o si riduca.
Questa tecnica è particolarmente dolorosa per il paziente,
quindi
è
fondamentale
cercare
la
sua
collaborazione.
Richiede sensibilità in quanto una pressione eccessiva potrebbe ir-
31
ritare maggiormente il TP. Ogni pressione va mantenuta da 30 a
60 secondi per ottenere delle alterazioni vascolari.
Durata: 15 minuti.
Fig.5 Compressione ischemica con pressione dei due pollici per
inattivare un TP del muscolo piriforme destro. (Tratto da Travell
JC, Simons DG. Dolore muscolare diagnosi e terapia dei punti
trigger. Volume III).
¾ Massoterapia
Si utilizzano nuovamente le tecniche di “sfioramento” e “frizione”. E’ la fase di chiusura del trattamento ed ha lo scopo di “scaricare” il muscolo e rilassare il paziente.
Durata: 5 minuti.
Il protocollo di trattamento, essendo di durata relativamente
breve, prevede un approccio molto aggressivo e, per il paziente, alquanto doloroso. Quindi, in fase di valutazione, è necessario sondare la reale motivazione del soggetto e informarlo, in quanto una
32
partecipazione non assidua al trattamento comporta inevitabilmente un netto fallimento dello stesso.
Al completamento del protocollo è utile ripetere la valutazione iniziale, così da verificare nuovamente le condizioni del paziente.
Se l’approccio conservativo fallisse infatti potrebbe delinearsi
l‘ipotesi di un approccio più aggressivo alla patologia, ossia
l’iniezione intramuscolare o l’intervento chirurgico. Queste tecniche non sono state descritte in quanto di non diretto interesse del
terapista.
33
5. CASI CLINICI
CASO CLINICO N.1
R.S.,
33
anni
impiegato
bancario,
giungeva
presso
l’ambulatorio riferendo dolore lombare e gluteo con modesta irradiazione fino al terzo medio della coscia destra in tutto il territorio
di pertinenza dello sciatico. Dall’anamnesi emergeva che la sintomatologia era sopraggiunta in seguito ad un sollevamento in torsione verso destra di un carico pesante. Il medico curante aveva
diagnosticato, disponendo di RX e di una RMN lombare, una protrusione lombare L5-S1. Il trattamento è stato quindi impostato
sulla base di tale diagnosi.
Dopo un ciclo di 10 sedute il paziente riferiva la scomparsa
del dolore lombare, mentre il dolore gluteo e l’irradiazione persistevano; sia la stazione eretta che la posizione seduta evocavano,
se mantenuti per periodi anche relativamente brevi, dolore intenso.
Sospettando la presenza di una sindrome del piriforme, il paziente è stato valutato mediante il protocollo di valutazione elaborato. Sulla base dei dati ottenuti si è consigliato al soggetto di rivolgersi al proprio ortopedico per una ulteriore indagine: la diagnosi è stata modificata in protrusione lombare con irritazione del
nervo sciatico da compressione degli extrarotatori dell’anca. Al pa34
ziente è stato nuovamente prescritto il trattamento fisioterapico. In
ambulatorio è stato applicato il protocollo riabilitativo per la sindrome del piriforme. Al termine, la rivalutazione evidenziava che vi
era stata una considerevole riduzione del dolore gluteo e la totale
scomparsa dell’irradiazione all’arto destro.
Il soggetto ha potuto riprendere le proprie attività quotidiane.
CASO CLINICO N.2
M.P., 39 anni dipendente di un’impresa di pulizie, giungeva
presso l’ambulatorio riferendo dolore gluteo e sciatalgia all’arto sinistro. Dall’anamnesi emergeva che il dolore si era presentato sul
luogo di lavoro, a seguito di una rapida flessione con successiva
abduzione delle anche nel tentativo di evitare la caduta di un
grosso peso. Inizialmente la sintomatologia, limitata al solo dolore
gluteo,
veniva
tenuta
sotto
controllo
dalla
paziente
con
l’assunzione di comuni farmaci antidolorifici.
Al presentarsi della sciatalgia la paziente si rivolgeva al proprio medico curante, che la inviava al fisiatra. Quest’ultimo le diagnosticava una sindrome del piriforme e le prescriveva un ciclo di
fisioterapia e dei farmaci antinfiammatori non steroidei.
La paziente è stata trattata seguendo il protocollo riabilitativo
precedentemente esposto. Alla fine del trattamento la sciatalgia
35
era scomparsa, ma persisteva, seppure ridotto, il dolore gluteo. Si
è quindi deciso di proseguire il trattamento per altre cinque sedute.
La rivalutazione evidenziava la scomparsa della sintomatologia, ad eccezione di un fastidio al gluteo qualora manteneva la posizione seduta per lunghi periodi di tempo.
36
6. CONCLUSIONI
Dall‘analisi letteraria condotta emerge che la sindrome del
piriforme è una patologia alquanto complessa e articolata, specialmente per ciò che riguarda diagnosi e trattamento.
Quasi tutti gli autori considerati concordano che la sintomatologia tipica della patologia è da attribuirsi al muscolo piriforme
che, divenuto rigido e voluminoso, comprime le strutture nervose
adiacenti. Le spiegazioni di Kendall, Benson e Steiner costituiscono le uniche “alternative” a quanto detto.
La complessità del problema è evidente quando la trattazione
riguarda gli aspetti diagnostici e, specialmente, terapeutici della
sindrome: infatti, sulla base dei testi analizzati, è chiara la mancanza, tra gli autori, di un metodo comune, uniforme e standardizzato. Questo costituisce un grosso limite.
Ogni clinico, non potendo ricorrere a test certi per la sindrome del piriforme, utilizza dei metodi d’indagine propri e ricerca
tutte le evidenze patologiche che, soggettivamente, considera più
significative. Questo atteggiamento ha portato ad avere molteplici
test, manovre e criteri di valutazione differenti, ma spesso inefficaci e non specifici per la patologia in esame.
Il protocollo valutativo elaborato nel presente lavoro, tenta di
costituire una linea comune tra le modalità di indagine proposte
37
dagli autori, preferendo tra queste quelle rispondenti ai requisiti di
rapidità e facilità di applicazione, di ridotta richiesta di risorse ma
soprattutto di specificità. Difatti un test non specifico, comporta
solamente sprechi in termini di tempo e risorse, sia per il paziente
che per il clinico.
Per quanto riguarda il trattamento, gli autori, pur non riconoscendo un protocollo comune, concordano “nell’aggredire” (Fishman,2001) la patologia, prima, farmacologicamente (corticosteroidi e analgesici intramuscolari) poi, solo successivamente, con
tecniche fisiocinesiterapiche (stiramento, compressione ischemica…) e con terapie fisiche (ultrasuoni).
Il protocollo riabilitativo elaborato in questo scritto invece utilizza, solamente, tecniche manuali e terapie fisiche (la cui efficacia sia stata ovviamente dimostrata e accertata in letteratura),
concentrando l’intero trattamento in cinque sedute; la terapia iniettiva-infiltrativa non è stata considerata in quanto, oltre a presentare un discreto margine di rischio, richiede una elevata competenza tecnica ed esperienza professionale.
Per valutarne l’efficacia, entrambi i protocolli sono stati utilizzati su due pazienti.
Nel primo caso il soggetto era in trattamento per protrusione
lombare, ma con il sospetto di una sindrome del piriforme. Il protocollo valutativo ha permesso di acquisire elementi utili ad infor-
38
mare il medico per un’ulteriore approfondimento diagnostico
(Art.11 codice deontologico). Una volta diagnosticata la sindrome
del piriforme è stata trattata con il protocollo riabilitativo precedentemente esposto.
Nel secondo caso, dal momento che la paziente era giunta
con la diagnosi di sindrome del piriforme, ci si è limitati ad applicare il protocollo di riabilitazione, utilizzando quello di valutazione
come verifica del trattamento stesso.
I risultati si sono rivelati quanto mai incoraggianti, in quanto c’è stata una buona risoluzione in ambedue i casi della sintomatologia.
Tuttavia, affinché entrambi i protocolli possano avere validità
scientifica, si rende necessaria la loro sperimentazione su un numero significativo di soggetti.
39
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