CONTAMINAZIONI. DISCORSI, PRATICHE, RAPPRESENTAZIONI

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CONTAMINAZIONI. DISCORSI, PRATICHE, RAPPRESENTAZIONI
ACTA HISTRIAE • 22 • 2014 • 4
Received: 2013-10-28
Original scientific article
UDC 930:316.7
CONTAMINAZIONI.
DISCORSI, PRATICHE, RAPPRESENTAZIONI
Claudio POVOLO
Università Ca’ Foscari Venezia, Dipartimento di Studi Umanistici, Dorsoduro 3484/D, 30123 Venezia, Italia
e-mail: [email protected]
SINTESI
Il saggio si sofferma sulle varie implicazioni sociali e culturali del concetto di contaminazione nelle diverse epoche storiche e nell’ambito di società e di gruppi contraddistinti sia dalla necessità di intrattenere relazioni economiche e sociali, ma anche dall’esigenza di mantenere le proprie caratteristiche e specificità. Il concetto di contaminazione
introduce nelle distinzioni tra sacro e profano, tra interno ed esterno, tra il fisico e il
simbolico, tra il maschile e il femminile. Esso rivela non solo la nozione di rischio e di
timore da cui una società è attraversata, ma anche i suoi rapporti con il cibo, l’igiene,
la pulizia e, più in generale con il corpo umano. E segna la divisione tra ceti, classi e
gruppi; il valore assegnato a determinate professioni ed attività. Le sue implicazioni
culturali e sociali sono soprattutto importanti nei confronti delle distinzioni di genere. Il
tema della contaminazione assume un’importanza di rilievo laddove essa si prospetta nei
confronti di gruppi sociali provvisti di una loro identità o etnia ben precisa. L’inclusione
di soggetti dall’esterno (ad esempio con il matrimonio) è percepito come contaminante e
pericoloso per la stabilità del gruppo. Sul piano linguistico-culturale la contaminazione
tra gruppi o etnie diverse riflette contiguità, esclusioni, sovrapposizioni, facilmente individuabili e identificabili ad esempio nella toponomastica di zone di confine oppure di aree
geografiche in cui per secoli convissero popolazioni di etnia diversa.
Parole chiave: contaminazioni, corruzione, purezza, riti, cultura
CONTAMINATIONS.
DISCOURSES, PRACTICES AND REPRESENTATIONS
ABSTRACT
The present essay intends to examine the diverse social and cultural involvements of
the concept of contamination during different historical periods and in the context of societies and groups of people characterised by the need of developing economic and social
relationships but also by the necessity to maintain their own peculiarities. The concept of
contamination entails the distinction between holy and secular, between internal and external, physical and symbolic, male and female. It reveals not only the notion of risk and
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the fears of the society, but also the relationships with food, hygiene, cleanness and, more
generally, with the human body. It marks the gap between social stratum, classes, and
groups; the value attributed to certain professions and activities. Its cultural and social
implications are particularly important with regard to gender specifications. The theme
of contamination becomes especially relevant where it regards well identified social or
ethnic groups. The inclusion of external subjects (for instance, through the marriage) is
perceived as contaminant and dangerous for the cohesion of the group. With regard to the
linguistic and cultural context the contamination between different ethnic groups reveals
proximity, exclusions, superimpositions that are easy to identify, for instance, in toponymy of border areas or in areas where different ethnic groups lived together for centuries.
Key words: contaminations, corruption, purity, rituals, culture
Sul piano semantico il termine contaminazione sembra riflettere una pluralità di significati apparentemente non interscambiabili. In senso fisico, con il sinonimo di inquinamento, il termine esprime la pericolosità di fenomeni che, soprattutto a partire dal secolo
scorso, di seguito alle scelte imprevidenti dell’uomo, hanno investito l’ambiente, minacciandone gli stessi equilibri. La nozione di pericolosità insita nel termine ha però pure
implicazioni sul piano simbolico e culturale, considerando che l’atto di contaminazione
segnala la minaccia condotta nei confronti dei valori morali o religiosi di una determinata società (Khare, 2002, 658–659). Alla pluralità di significati, va inoltre aggiunto,
corrisponde pure l’ambiguità del termine che, oltre alla sua più che evidente negatività,
esprime pure, con accezione quasi sempre positiva, la fusione di elementi di diversa provenienza nella composizione letteraria, testuale od artistica.
Nel 1966 apparve il testo di Mary Douglas Purity and danger. An analysis of the concept of pollution and taboo (Douglas, 2002). Un’opera che, muovendo da esempi tratti sia
da società semplici che complesse, indicava come l’ordine e la coesione sociale richiedano che i confini della purezza siano per lo più tracciati con chiarezza, mentre, all’incontrario, tutto ciò che socialmente si esprime con ambiguità ed incertezza e si pone in una fase
liminare, sia potenzialmente contaminante in quanto in grado di mettere in discussione
i valori predominanti. L’idea di contaminazione ha evidenti implicazioni culturali con le
distinzioni di genere e con i significati attribuiti alle relazioni sessuali e simbolicamente
si identifica in particolar modo nella figura della donna, nel controllo esercitato sul suo
corpo inteso come significativamente rappresentativo dei valori che contraddistinguono
l’insieme del corpo sociale.
Il concetto di contaminazione, nei suoi molteplici risvolti sociali, volti a contraddistinguere le relazioni tra ceti o di genere, è stato ampiamente utilizzato dagli storici, attenti a definire le implicazioni simboliche e antropologiche della realtà sociale. E non a caso
la storia di genere, non più delimitata dalla semplificativa opposizione tra natura e cultura,
ha investito settori disciplinari di ricerca tendenzialmente ostili o restii all’utilizzo di un
approccio interdisciplinare.
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Il concetto di contaminazione condivide, quantomeno sul piano simbolico, alcuni
dei significati che connotano la sfera della corruzione e, forse non a caso, la diffusione
di pratiche sociali collegate alla corruttela sono state associate alla dicotomia di genere
maschile-femminile: razionale/irrazionale, pubblico/privato, cultura/natura, universale/
particolare. La personalità razionale, l’aderenza alle regole in molte culture sono viste in
contrasto con la dimensione femminile (e l’archetipo di Eva), di cui si colgono le potenzialità contaminanti e corruttrici. Come è stato osservato :
The masculine/feminine dichotomy has clear implications for several recurring homologies in corruption discourse: rational/irrational, public/private, culture/nature,
universal/particular. And if rational impersonality and rule-following are contrasted
with ‘feminine’ personalism and unruly dis-order, we easily pass to dissolute, feminine
corruptness, with Eve as its archetype, a female pollution of the public body. (HallerShore 2005, 237)
Ma, si diceva della pluralità dei significati che investe lo stesso termine di contaminazione. Sempre Mary Douglas in una sua opera successiva Risk and blame. Essays in
cultural theory (Douglas, 1992, 3–14) osservava in realtà come tra contaminazione simbolica e inquinamento ecologico ci fosse una stretta relazione, se solo si osserva come
la scienza e la tecnologia (come possibile e micidiale fonte di inquinamento) siano considerate una sorta di tabù; mentre la percezione del rischio conseguente al loro abuso è
ampiamente sottovalutato in ambienti politici e sociali rassicurati dalla loro preminenza
culturale e dalla sicurezza dei loro confini.
Il concetto di contaminazione, inteso soprattutto come strumento di rilevazione della
dimensione, della rigidità (o, all’inverso, della porosità) dei confini sociali e dei riti e delle
pratiche che segnalano il pericolo che questi possano essere infranti o superati (Eriksen,
2001, 236–237), mettendo in discussione i valori predominanti e gli assetti sociali costituiti, si rivela dunque utile per cogliere la dimensione storica di problemi tradizionalmente
considerati soprattutto nella loro caratterizzazione sociale, economica e politica.
Il concetto di contaminazione introduce infatti nelle distinzioni tra sacro e profano, tra
interno ed esterno, tra il fisico e il simbolico, tra il maschile e il femminile. Esso rivela non
solo la nozione di rischio e di timore da cui una società è attraversata, ma anche i suoi rapporti con il cibo, l’igiene, la pulizia e, più in generale con il corpo umano. E segna la divisione tra ceti, classi e gruppi; il valore assegnato a determinate professioni ed attività. Contrassegna taluni gruppi sociali come potenzialmente pericolosi. Definisce i termini stessi della
mobilità geografica e sociale. Caratterizza pratiche consuetudinarie non investite da regole
formali. Investe il genere maschile e soprattutto femminile di significati e di simboli, a
seconda della loro declinazione nell’ambito della famiglia e della comunità. Connota pure,
come è stato osservato, la nozione stessa di identità nazionale (Anderson, 2006, 11–12). E,
non a caso, il nazionalismo utilizza spesso un vocabolario religioso per enfatizzare il legame
tra rispettabilità genealogica e orgoglio nazionale (Herzfeld, 1987, 117).
Il sociologo americano Ian Miller si è soffermato sul rapporto tra la nozione di disgusto e quella di contaminazione, entrambe riflesso di nozioni culturali, ma variamente con-
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traddistinte nelle diverse realtà sociali (Miller, 1997). Proprio in virtù di tale associazione
il senso di disgusto è tale da incidere notevolmente nell’organizzazione della vita sociale
e individuale. La sensazione di disgusto e il timore delle implicazioni che essa comporta
sul piano della contaminazione si individuano soprattutto nel corpo e nei suoi orifizi,
che simbolicamente e fisicamente segnano il rapporto tra interno ed esterno, superiore
ed inferiore, e, in definitiva contrassegnano esclusioni sul piano delle relazioni sessuali,
famigliari, etniche e giuridiche (Nussbaum, 2004, 1–18).
La sensazione del disgusto, come osserva Miller, è connessa con quella di purezza,
in quanto interviene a segnalare immediatamente il contatto con l’impuro, anche se, comunque, le regole che definiscono lo stato di purezza sono soprattutto collegate al senso
di vergogna, di colpevolezza, al dovere o all’abitudine (Miller, 1997, 107). Ma il disgusto
si associa soprattutto al cibo e alle sue esclusioni culturali e simboliche, come ad esempio
appare manifestamente in molti sistemi culturali e religiosi il rifiuto nei confronti della
carne di maiale (Bromberger, Durand, 2001, 744–745). Le variazioni storico-culturali
della nozione di disgusto suggeriscono evidentemente, sul piano della distinzione e dello
status, variazioni assai rilevanti. Le regole di etichetta e di corte elaborate nel ‘500 indicavano indubbiamente la volontà di esclusione correlata alla distinzione e allo status,
ma comportavano pure il timore del rischio e della contaminazione sociale. All’inverso
l’ampia gamma di insulti e di bestemmie, associati spesso al nome di animali o alla coprolalia, tende a modellare relazioni e a definire confini segnalando le impurità sociali e
la mancanza di un ordine appropriato (Sabean, 1990, 337–339).
La nozione di disgusto e di contaminazione suggerisce simbolicamente i rapporti
esistenti tra natura e cultura e, non a caso, come ha notato Mary Douglas, si enuclea
in maniera significativa nel corpo umano e nelle regole, più o meno restrittive, che ne
classificano le funzioni e il rapporto verso l’esterno (soprattutto tramite gli orifizi). Ma è
in particolar modo il corpo femminile a suggerire le regole che più in generale classificano il corpo sociale, l’ideologia della parentela e gli stessi rapporti esistenti nell’ambito
della famiglia. In società patriarcali, ma in cui la donna svolge comunque un ruolo di
rilievo nell’ambito dei rapporti parentali e famigliari, l’idea di contaminazione assume
una funzione importante in quanto segna ambiguamente sia il pericolo che la donna può
subire dagli attacchi esterni che la pericolosità insita nella sua sessualità (Douglas, 2002,
125–129).
È emblematica, a questo proposito, la vicenda che negli anni 1831-1832 ebbe come
protagonista Lucia Graizzaro, un’avvenente giovane di un villaggio della Lessinia, sospettata di essere la mandante dell’uccisione del marito Giovanni Rama. I sospetti si
erano accentrati su di lei non solo per il disinvolto comportamento sessuale, ma soprattutto per il suo atteggiamento, che denotava un vero e proprio rovesciamento dei tradizionali ruoli di genere. Le numerose frequentazioni maschili, l’aggressività verbale e le
sue plateali incursioni nell’osteria del villaggio (compiute per irretire il mondo maschile
che l’attorniava) suscitarono l’aperta ostilità della comunità. Nonostante il tribunale non
avesse accertato il suo coinvolgimento nell’omicidio del marito, ella dovette comunque
abbandonare il villaggio a causa dell’ostracismo decretato nei suoi confronti dalla quasi
totalità dei suoi abitanti (Povolo, 2011, xxxv–civ). Il timore e l’ostilità nei confronti della
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donna e dei due fratelli sospettati di essere gli esecutori materiali del delitto furono ben
riassunti dal parroco del paese:
Il paese fonda il sospetto alle seguenti circostanze. La moglie dell’interfetto, Lucia
Graizzaro, è una donna scostumatissima, anzi l’unica che nella mia parrocchia offerse
motivi di gravissimi scandali, per cui da due anni circa ho fatto le mie rimostranze e
venne anche condannata all’arresto. [...] Replico che le turpi relazioni che passavano
fra i Dalla Bona e la moglie dell’interfetto Rama erano scandalosissime e tali che
muovevano i lagni e le querimonie universali di tutto il paese.
In molte culture dell’area mediterranea la donna in pericolo è la donna appartenente
ad un gruppo sociale chiuso e che soprattutto vuol mantenere intatti i suoi confini sociali.
In età moderna le donne dell’aristocrazia erano destinate sin da giovani ad essere educate
in un convento e qualora il loro stato di nubilato si fosse protratto erano percepite come
fonte di pericolo. E sono ben noti quei veri e propri reclusori di vergini che furono i monasteri femminili, in cui la famiglia aristocratica riversava le proprie figlie. Di certo per
strategie successorie e patrimoniali, ma anche per sterilizzare il pericolo insito nella figura
della donna il cui ruolo famigliare e sociale era ancora tracciato dagli ambigui confini del
nubilato. Non diversamente, la famiglia borghese ottocentesca modificò la sua ideologia
nei confronti della relazione esistente tra il corpo femminile e l’idea di contaminazione,
anche se evidentemente diverse furono le strategie difensive adottate. E’ probabile che la
maggiore porosità dei confini sociali conducesse, infine, all’intensificazione del controllo
nei confronti del genere femminile. A questo proposito Mary Douglas ha osservato:
When male dominance is accepted as a central principle of social organisation and
applied without inhibition and with full rights of physical coercition, beliefs in sex
pollution are not likely to be highly developed. On the other hand, when the the principle of male dominance is applied to the ordering of social life but is contradicted by
other principles such as that of female indipendence, or the inherent right of women
as the weaker sex to be more protected from violence than men, then sex pollution is
likely to flourish. (Douglas, 2002, 143)
Aspetti che possono essere rilevati anche nella dimensione giuridica, come ad esempio nell’esercizio della potestà maritale sul patrimonio della donna sposata, prevista in
numerosi codici ottocenteschi (De Giorgio, 1996, 340–344). Oppure, come è stato osservato, nell’accentuazione della dicotomia natura-cultura individuabile nell’approccio
scientifico-biologico della scienza, soprattutto in riferimento alla distinzione di genere e
alla medicalizzazione del corpo femminile (Pomata, 1983, 1460–1469).
Numerose pratiche sociali, che si accompagnavano spesso a riti di purificazione, esprimevano il diffuso timore culturale nei confronti dello stato di pericolo in cui si trovava la
donna. In numerose comunità dell’area mediterranea lo spazio in chiesa era nettamente
suddiviso tra uomini e donne. E, molto spesso, a queste ultime era riservata una porta per
entrare nell’edificio sacro. Uno stato di pericolo e una forma di controllo indiretto. E, non
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a caso, le donne per lo più uscivano dalla chiesa parrocchiale solo dopo che gli uomini
erano usciti a loro volta. Pratiche sociali che segnavano volutamente la separazione di genere e che erano accentuate dai riti di purificazione associati al menarca e al parto. In molte aree europee e del Mediterraneo la donna che aveva partorito era esclusa dalla chiesa e
solo dopo quaranta giorni con il rito di purificazione e la benedizione sacerdotale poteva
accedere al luogo sacro. Un rito che è stato studiato approfonditamente per la Germania
del tardo medioevo (Karant-Nunn, 1997, 75–80). Riti di purificazione che accompagnavano pure la donna morta durante il parto. Lo stato di pericolo era strettamente associato
a quello di impurità e i riti di purificazione celebrati in chiesa sancivano il ripristino
dell’ordine. I registri parrocchiali del Settecento attestano, ad esempio, la benedizione e il
perdono impartiti in chiesa alle coppie che avevano celebrato un matrimonio clandestino.
Va pure aggiunto che la distinzione tra pratiche sociali e riti di purificazione (o di separazione) era spesso indistinguibile nel mondo consuetudinario contraddistinto da quella che
John Bossy ha individuato come religiosità della parentela (Bossy, 1985). La diffusione
in tutta Europa degli charivaris, veri e propri riti di degradazione o di derisione attesta la
necessità da parte di molti sistemi culturali di segnalare il pericolo insito in determinati
comportamenti e il loro potenziale effetto contaminante (Fabre, 1987; Fincardi, 2009).
Come ha sottolineato Mary Douglas, lo stato di pericolo incombente sulla donna era
rafforzato, in alcuni contesti sociali, dallo stato di pericolosità che accompagnava la stessa figura femminile. Vulnerabilità e pericolosità, dunque: e quest’ultimo valore culturale
è avvertibile nei gruppi sociali i cui confini non sono tracciati nettamente e in quanto
tali ambigui e potenzialmente contaminanti (Fardon, 1999, 94–95). La negatività (e l’esclusione) della donna contaminante e contaminata è avvertibile già nel corso dell’età
moderna nella figura della vedova, che non è sottoposta più al controllo delle parentela
originaria o acquisita (Pitt-Rivers, 1977, 45). Oppure della ragazza-madre che ha dimostrato le sue potenzialità contaminanti. O, ancora, nelle figure femminili appartenenti a
gruppi sociali non chiaramente definibili sul piano dei valori culturali come le ballerine
o le attrici. Figure tutte, che hanno trovato ampio spazio nella letteratura ottocentesca
(Wanrooij, 1990, 171–190).
Ambiguo nella sua concreta definizione, il concetto di legittimità, nel corso dell’Ottocento tende ad essere giuridicamente configurato in modo preciso. Una tendenza che
trova riscontro nel divieto della ricerca della paternità da parte di molti codici continentali. In realtà, come rivela la letteratura di fiction che fiorisce in Inghilterra nella seconda
metà dell’Ottocento (Finn, Lobban, Taylor, 2010) la realtà sociale esprimeva una forte
ambiguità del concetto di legittimità e l’inclinazione dei soggetti coinvolti ad utilizzarlo
strumentalmente per il proprio tornaconto economico.
Il tema della contaminazione è strettamente correlato a quello dell’onore, se solo si
riflette che quest’ultimo è radicato nelle società stabili, dedite all’agricoltura. E come le
pratiche sociali che implicano l’esclusione e la contaminazione, anche quelle collegate
all’onore non sono necessariamente definibili come morali, anche se talvolta intendono rafforzare i codici morali prevalenti. Come ha sottolineato Julian Pitt-Rivers (1977,
21–23) l’idioma dell’onore è provvisto sia di valori etici, che di valori strettamente associati all’ideologia di genere e in quanto tali presuntivamente ritenuti naturali. Nel genere
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maschile, ad esempio, la mascolinità corrisponde all’aggressività sessuale che denota il
valore di genere ma, indirettamente, anche la capacità di competere nel mondo materiale
per l’acquisizione di fama e ricchezze. Diversamente la virilità è associata ai valori etici
della famiglia, in cui, pure, come si vedrà, meglio si realizza il ruolo femminile. E in una
comunità sono proprio i valori della mascolinità ad attestare la presunta potenzialità della
virilità. Ma questa diversità o opposizione tra natura e cultura è avvertibile soprattutto
nelle società in cui è diffuso il rischio della contaminazione, se solo si osserva il loro
atteggiamento nei confronti di quella che può essere considerata la vittima. Questo ad
esempio è nettamente avvertibile nell’atteggiamento di ostilità che si diffonde nel corso
dell’età moderna nei confronti dei figli illegittimi e, conseguentemente, degli istituti destinati ad accoglierli. Ma anche nei riti di derisione (e di esclusione) diffusi nel mondo
popolare e contadino nei confronti dell’adulterio, considerato sia dalla chiesa che dalle
autorità secolari come un crimine. Gli charivaris o mattinate hanno l’obbiettivo di segnalare la donna contaminata e quindi contaminante che ha commesso l’adulterio e da
ciò si spiega la forte sottolineatura dell’adulterio femminile rispetto a quello maschile.
Ma i riti di derisione non si rivolgono mai a colui che ha commesso l’adulterio (che in
realtà ha dimostrato la sua mascolinità) ma verso il marito tradito che l’ha subito e che
pur essendone vittima risulta palesemente contaminato e che è apparso non in grado di
difendere l’onore della propria donna (Pitt-Rivers, 1971, 172–173). Un atteggiamento
che per secoli ha avuto rilevanti conseguenze giuridiche, in quanto sia il diritto comune
che molti codici dell’area mediterranea hanno considerato l’adulterio un delitto privato,
un reato cioè non perseguibile se non su iniziativa della vittima. La correlazione tra onore
e contaminazione è avvertibile pure nelle sue implicazioni genealogiche e parentali. Basti
pensare alla categorica giuridica di età medievale e moderna dello stupro volontario o del
rapimento volontario in cui il consenso della donna viene ritenuto irrilevante di fronte alla
contaminazione subita dalla famiglia cui ella appartiene (Povolo, 1996, 33–38).
Una rilevanza genealogica che è soprattutto avvertibile in taluni riti di degradazione
praticati nel mondo contadino. Ad Orgiano, nel Basso Vicentino, un’aggressiva mattinata
viene condotta agli inizi del Seicento nei confronti di un esponente della comunità locale
(Povolo, 1997, 369–370). L’aggressività sembra essere rivolta nei confronti della moglie
dell’uomo, ma le offese e gli insulti rinviano esplicitamente alla madre di quest’ultimo,
della quale si evocano i trascorsi amorosi. L’obbiettivo simbolico è chiaro per tutta la
comunità: in quanto contaminato dal comportamento della madre egli ne ha ereditato
l’impurità e non è dunque in grado di difendere l’onore della propria moglie dagli attacchi esterni. L’adulterio è contaminante e pericoloso soprattutto per l’uomo che non ha
saputo difendere l’onore della propria donna; ed appare tanto più deflagrante nell’ambito
della famiglia se si esprime nella figura della madre. Appare evidente che tali pratiche
di derisione si definiscano in realtà come veri e propri riti che hanno l’obbiettivo di segnalare la pericolosità genealogica di taluni individui e, conseguentemente, la necessità
di escluderli dalla comunità per evitare ogni forma di contaminazione. E, sullo sfondo,
esprimono l’estrema pericolosità della sessualità femminile nei confronti dell’uomo, della famiglia e della stessa struttura sociale. Chiaramente l’ideologia comunitaria collimava
con le norme ecclesiastiche dell’adulterio solo in riferimento alla figura femminile, ma
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non nei confronti dell’uomo che l’aveva subito (Gowing, 1994, 28, 33). Una diversità che
potrebbe essere spiegata con l’esigenza da parte della Chiesa di difendere l’unità famigliare, minacciata profondamente da un reato come l’adulterio.
L’idioma dell’onore è dunque strettamente associato al concetto culturale di contaminazione, anche quando esso tende a classificare in maniera fortemente negativa talune figure che, come nel caso degli omosessuali e delle prostitute, si situino al di fuori
di quell’area marginale e liminare che può più direttamente minacciare i valori sociali
predominanti. La prostituta, non ha alcuno dei tratti, ancorché naturali che classificano
il genere femminile, mentre l’omosessuale è decisamente privo di quei tratti di mascolinità necessari ad ipotizzare la presunta virilità maschile. Ma si tratta infatti di figure che
proprio in quanto non possono rientrare in alcuna classificazione di genere, ne rafforzano
indirettamente i valori culturali. In uno studio condotto sulla Baviera della prima età moderna (Strasser, 2004, 57) è stato paradossalmente sostenuto come in realtà la prostituta e
la monaca, lungi dal porsi ai poli opposti della società, si situino sullo stesso piano culturale, anche se tendono ad essere classificate sul piano di classe e di genere. Entrambe le
figure mirano infatti a ricreare un ordine pubblico nuovo definibile stato di verginità. E
laddove la prostituta finisce nel corso del tempo per raccogliere in sé i tratti della figura
femminile sessualizzata appartenente alle classi sociali inferiori e il cui corpo minaccia di
contaminare la comunità, la monaca, all’inverso è destinata a rappresentare la vergine appartenente alle classi superiori; e con la sua purezza e classe rappresenta simbolicamente
la stessa comunità e la sua capacità di opporsi ad ogni forma di contaminazione sessuale
e sociale.
Le tensioni tra pericolosità della contaminazione e perfezione della purezza ritrovano
a livello comunitario un riscontro significativo nel culto della Vergine e dell’immacolata
concezione che esprimeva lo stato esemplare di purezza e la preservazione da ogni peccato. Un culto che si diffuse a partire dal Medioevo e trovò sanzione definitiva da parte
della Chiesa intorno alla metà dell’Ottocento. Un culto che nel mondo cattolico trovò
ampia diffusione in ambito popolare, nel quale la figura della Vergine si identificava con
quella di madre, ma che divenne pure rappresentativo dell’immagine stessa della Chiesa
(Benko, 2004, 18–19). Sul piano pittorico e artistico1 l’immagine dell’Immacolata esprime una concezione della madre calata nei rapporti complessi che si instaurano nell’ambito della famiglia e soprattutto dei suoi membri maschili (Accati, 2009). La gravidanza
passiva di Maria Vergine sembra allontanare ogni forma di contaminazione sessuale veicolata dal matrimonio ed enfatizzare l’evento della nascita. Si tratta di rappresentazioni
simboliche che ebbero una grande portata sul mondo popolare. E del resto le correlazioni
tra immagini religiose e le loro potenzialità corruttrici sono attestate dalla diffidenza delle
autorità ecclesiastiche nei confronti di concezioni antropomorfiche della deità, che potevano inibire la visione del soprannaturale e della spiritualità (Clark, 2007, 167).
Le interrelazioni complesse tra l’idioma dell’onore e la purezza sono rappresentate
dal concetto di grazia. Un concetto che, non a caso, è stato associato all’onore femmini1
Sulla contaminazione nelle arti vedi alcuni interessanti spunti in: Zlatkov, 2008; Saftich, 2012; Lombardo,
2014; Vescovo, 2014; Mantoan, 2014.
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le, in quanto presume una rinuncia alla competizione famigliare e, una volta acquisito,
non può che essere difeso e non accresciuto. E la diffusione del culto mariano e delle
feste ad esso collegato esprime tutta la complessità di tali interrelazioni (Di Bella, 1992,
162–164).
Diversamente, la figura della strega si pone più decisamente sul piano dell’ambiguità e può rivelare nella sua elaborazione concettuale e culturale la pericolosità di taluni
comportamenti femminili e, comunque, la necessità di un controllo più marcato da
parte maschile e della comunità nei confronti del ruolo svolto dalla donna nell’ambito
della famiglia. È stato notato come la donna, in virtù del suo stato maritale, sia posta
a parte dalle altre donne e come sia privilegiato il rapporto con il marito (Douglas,
1970, 112–113). Una sorta di status, quello matrimoniale, che rinvia, a sua volta, alla
distinzione importante tra celibi e sposati e alla sua diversa implicazione sul piano del
ruolo sociale e della separazione tra i due sessi (Medick, 1984). Lo status privilegiato
della donna sposata, della donna di casa, è sottolineato soprattutto dalla sua capacità
di modificare la natura in cultura, come ad esempio per i prodotti agricoli, che il suo
lavoro trasforma in cibo. Un’attività che suggerisce, come è stato notato, l’ordine e la
purezza contrapposti al disordine e alla contaminazione (Purkiss, 1996, 97–98). E il
lavoro domestico rappresenta per eccellenza l’ordine della casa, luogo in cui si esercitano al massimo grado le responsabilità della donna e che simbolicamente, con i suoi
confini, ne rappresenta il corpo e le virtù (purezza, castità). All’incontrario la donna non
virtuosa è associata al disordine e alla disponibilità sessuale. E la strega, prima ancora
di essere colei che si contrappone ai valori della Chiesa o al ruolo dell’uomo, è colei
che, in virtù dei suoi poteri soprannaturali, oltrepassa i confini della casa, contamina e
pone in disordine ciò che la donna di casa ha creato con il suo lavoro. Con la creazione
della figura della strega il potere di contaminazione si può estendere sino a minacciare
la stabilità stessa di una comunità. E la sua costruzione narrativa non può prescindere
dal gossip e dai rumors che attraversano la comunità (Stewart, Strathern, 2004, xi–xiii).
Una figura che raccoglie in sé tensioni ed ansie irrisolte e che esprime al massimo grado i valori culturali che individuano nel genere femminile e nel corpo della donna una
potenziale minaccia alla stabilità sociale.
Se a definire la complessa distinzione tra sacro e profano sta soprattutto ciò che si
pone simbolicamente come separazione tra naturale e soprannaturale (luoghi, persone,
oggetti), appare evidente che tutto ciò che minaccia la dimensione del sacro è potenzialmente contaminante (Bahr, 2006, 1562–1565). I luoghi di culto, innanzitutto, che nel corso dell’età moderna sono intesi come uno spazio da cui devono essere interdette pratiche
sociali collegate alla vita di ogni giorno (come ad esempio le assemblee di comunità). Ma
la chiesa e il luogo di culto si pongono anche come uno spazio che può proteggere dalle
intromissioni esterne, come nel caso di coloro che pur avendo commesso taluni crimini
possono trovarvi un sicuro rifugio. L’ampio settore delle immunità ecclesiastiche suggerisce la complessità dello spazio del sacro e della protezione che esso esige da ogni forma
di contaminazione (Shoemaker, 2011, 167–173) .
Si diceva comunque delle potenzialità di contaminazione e di minaccia esercitate da
coloro che vivono in aree marginali. Aree che sono spesso occupate da una popolazione
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Fig. 1: Tiziano Vecellio: Amor Sacro e Amor Profano, 1514 (Galleria Borghese, Roma),
dettaglio.
Fig. 1: Tiziano Vecellio: Amor Sacro e Amor Profano, 1514 (Galleria Borghese, Rome),
a detail.
Sl. 1: Tiziano Vecellio: Amor Sacro e Amor Profano, 1514 (Galleria Borghese, Rim),
detajl.
(Public domain: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Tiziano_-_Amor_Sacro_y_
Amor_Profano_(Galer%C3%ADa_Borghese,_Roma,_1514).jpg)
che è caratterizzata dalla mobilità (come ad esempio i vagabondi e gli zingari), oppure da
persone che la comunità ritiene devianti rispetto alle norme prevalenti (Beier, 1985, 109–
122). E coloro che possono essere definiti i guardiani della comunità (come ad esempio
i poliziotti o altre figure analoghe) hanno il compito di tenere questi gruppi a distanza
di sicurezza, oppure fuori della vista delle attività che pervadono la vita quotidiana. La
devianza liminale non corrisponde necessariamente con il crimine, anche se le previsioni
statutarie medievali esprimono in molti casi le potenzialità contaminanti di taluni comportamenti (Dean, 2007, 88–94). Le pene infamanti dell’età medievale riflettono i valori
comunitari e in quanto veri e propri riti di esclusione individuano il valore contaminante
di taluni soggetti che devono essere espulsi dalla collettività. Ma nel corso dell’età moderna sono soprattutto i comportamenti (crimini) ad essere oggetto della nuova forma di
giustizia punitiva e anche alcune pene tradizionali (come ad esempio il bando o la colonna
infame) finiscono per divenire veri e propri riti di degradazione (Povolo, 1997, 175–178;
Stuart, 1999, 25–26). E le nuove forme di giustizia punitiva procedono nell’ambito di un
processo di disciplinamento e di definizione di comportamenti ritenuti disonorevoli. E
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chi, come lo sbirro o il boia opera nell’ambito delle nuove pratiche repressive è percepito
negativamente e come un soggetto contaminante.
Il tema della contaminazione ha forti implicazioni economiche e sociali soprattutto
a partire dal Cinquecento, quando i confini tra i diversi ceti sociali e corporazioni sono
contraddistinti in termini più precisi e da una definizione di status, di distinzione e di
onore-precedenza. Molti mestieri cominciano ad essere percepiti come disonorevoli. Un
fenomeno che si può cogliere in tutta l’Europa della prima età moderna e che procede
di pari passo alla definizione del concetto di nobiltà. I nuovi confini tracciati segnano
innanzitutto esclusione, ma anche le potenzialità contaminanti di soggetti legati a determinate professioni e mestieri. Un fenomeno strettamente associato alla vita cittadina. La
campagna è potenzialmente contaminante, anche per il nobile che vi risiede stabilmente
e che inevitabilmente è invischiato nei valori del mondo contadino (Donati, 1998). La
lenta sparizione di pratiche culturali come il concubinato ancillare sono indicative della
progressiva distanziazione tra città e campagna. Il nobile o il borghese che nella tarda età
moderna hanno relazioni sessuali con donne contadine non sono soggetti al alcuna forma
di derisione (mattinate) in quanto sono percepiti come esterni alla cultura popolare (PittRivers, 1977, 37–38).
Il tema della contaminazione assume un’importanza di rilievo laddove essa si prospetta nei confronti di gruppi sociali provvisti di una loro identità o etnia ben precisa.
L’inclusione di soggetti dall’esterno (ad esempio con il matrimonio) è percepito come
contaminante e pericoloso per la stabilità del gruppo. Ad esempio tra gli zingari la difesa
della propria identità era affidata a veri e propri tabù, la cui violazione implicava l’espulsione dal gruppo (Okely, 1983, 77–78). Ma in aree geografiche contraddistinte dalla forte
mobilità geografica e sociale l’inclusione e l’esclusione di soggetti provenienti dall’esterno svolgevano spesso una funzione polivalente che non si esauriva con l’esigenza
difensiva nei confronti dei valori etnici o di gruppo. Come ad esempio è stato rilevato per
il Mediterraneo orientale per l’età medievale (Epstein, 2006, 6–8). La solidarietà interna
del gruppo (come nel caso degli ebrei) era tanto più forte quanto più si percepiva la pericolosità degli attacchi esterni. Ma l’inclusione di tali gruppi in comunità più ampie era
spesso accompagnata dall’esigenza da parte di quest’ultime di contraddistinguere tramite
gli abiti la presenza dei diversi (come ad esempio il berretto imposto agli ebrei). La solidarietà etnica e religiosa si raffrontava con il timore del rischio e della contaminazione
(Levinson, 1994, 75–78).
Esigenze difensive o demografiche condussero nel corso dell’età moderna a spostamenti di interi gruppi e comunità da un luogo all’altro. Come avvenne, ad esempio, nel
mondo mediterraneo nei territori che appartenevano alla Repubblica di Venezia. A tal
proposito il caso istriano è di estremo interesse. L’immissione dei cosiddetti morlacchi in
Istria nel corso dell’età moderna produsse forti tensioni tra le nuove popolazioni e i già
residenti, ma implicò pure scambi economici, culturali e giuridici non indifferenti (Ivetic,
2000, 288–320). Il tema della contaminazione associato allo spostamento di gruppi consistenti di popolazione assume un aspetto del tutto particolare nelle grandi città. Come
ad esempio a Venezia, che in età moderna si può definire una vera e propria città cosmopolita abitata da etnie e nazioni tra le più diverse. La dimensione politica e sociale di una
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grande città favoriva evidentemente la compresenza di gruppi religiosi e di etnie anche
profondamente diversi.
Sul piano linguistico-culturale la contaminazione tra gruppi o etnie diverse riflette
contiguità, esclusioni, sovrapposizioni, facilmente individuabili e identificabili ad esempio nella toponomastica di zone di confine, oppure di aree geografiche in cui per secoli
convissero popolazioni di etnia diversa.
La dimensione giuridica incorpora il concetto di contaminazione in molti degli istituti previsti, in quanto riflette significativamente la complessità sociale e le forze sociali
che mirano a monopolizzare il diritto (Friedman, 1978). E taluni sistemi giuridici come
ad esempio lo ius commune medievale incorporavano al loro interno una pluralità di
ordinamenti che interagivano tra loro. Sistemi giuridici aperti o sistemi giuridici chiusi,
possono dimostrare un atteggiamento diverso nei confronti dell’innovazione o comunque
una maggiore o minore propensione a mascherare ogni forma di contaminazione tramite
la finzione giuridica o il legalismo.
Sul piano letterario ed artistico il tema della contaminazione si presta ad analisi formali, storiche ed antropologiche ed è ovviamente inscindibile dagli scambi di cultura.
E spesso sul piano letterario il concetto di contaminazione è inscindibile da quello di
innovazione, in quanto si configura come una sorta di manipolazione di tradizioni già
acquisite, oppure come fonte di nuovi generi.
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KONTAMINACIJE.
RAZPRAVE, PRAKSE, PREDSTAVITVE
Claudio POVOLO
Univerza Ca’ Foscari v Benetkah, Oddelek za humanistiko, Dorsoduro 3484/D, 30123 Venezia, Italija
e-mail: [email protected]
POVZETEK
Besedilo Purity and danger Mary Douglas, ki se je pojavilo leta 1966, je imelo velik
vpliv na različna področja raziskovanja, ki so v naslednjih letih pokazala večjo občutljivost pri sprejemanju spodbud in opažanj iz antropologije. Ta je dejansko z ene strani
dala pogon mnogim področjem, da so prekoračila lastne tradicionalne omejitve, z druge
pa je koncept kontaminacije, kot ga je predstavila znana raziskovalka, glede na njegove
posamezne komponente, spodbudil raziskovalce, da so izvedli dejansko rekonstrukcijo
tistih kulturnih in družbenih stereotipov, ki imajo močan vpliv na interpretativnem nivoju.
Delo se osredotoči še posebej na preučevanje vplivov koncepta kontaminacije na zgodovinopisnem nivoju. Koncept kontaminacije ima očitno politično in družbeno uporabnost,
že če se opazuje njegova interpretativna podobnost z analognim konceptom korupcije, ki
navaja na cel niz kulturnih nasprotovanj in ločevanj. Nevarnost, ki je vgrajena v kontaminacijo, med drugim usmerja proti dejanskim tabujem, ki jih je danes mogoče najti, na
primer, v podcenjevanju političnega in družbenega okolja nasproti nevarnostim nekaterih
znanstvenih in tehnoloških pojavov.
Koncept kontaminacije je kazalec poroznosti ali obratno, togosti družabnih meja in
predvsem vrst; in – ne slučajno – uvaja razlike med sakralnim in profanim, med fizičnim
in simboličnim, med moškim in ženskim. Poleg tega označuje razlikovanje med družbenimi sloji, skupinami in razredi, pri čemer označuje nekatere kot nevarne in kot takšne,
potrebne marginalizacije. Predvsem pa koncept kontaminacije razlikuje moški spol od
ženskega, pri čemer vpliva na družinsko in družbeno zgradbo.
Občutki, kot sta gnus in nečistost, se navezujejo na hrano, na telo ali se na splošno
nagibajo k poudarjanju vključevanja in izključevanja na področju družbenih, družinskih
in odnosov med spoloma. Še posebej ženskemu telesu so dodeljene vrednosti in simboli, ki
na nasproten način razločujejo njegovo nevarnost, vendar tudi grožnjo nevarnosti, kateri
je izpostavljen ženski spol. Številne družbene prakse in rituali očiščevanja potrjujejo nevarnost kontaminacije, še posebej v družbi, v kateri družbene omejitve niso ostro začrtane. Vrednote kot so čast, čistost in sramežljivost so močno povezani s kulturno dimenzijo
kontaminacije in so v zgodovini pomembno vplivali pri definiciji negativnosti likov, kot
sta prostitutka ali čarovnica.
Esej poudarja različne družbene in kulturne implikacije koncepta kontaminacije v
različnih zgodovinskih obdobjih in v družbenem okolju skupin, ki se razlikujejo tako po
potrebi vzdrževanja ekonomskih in družbenih odnosov, kot tudi po težnji vzdrževanja lastnih značilnosti in posebnosti.
Ključne besede: kontaminacije, korupcija, čistost, rituali, kultura
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