Eutekne.Info - Il Quotidiano del Commercialista

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Eutekne.Info - Il Quotidiano del Commercialista
QUADERN
/ LUNEDÌ, 20 MAGGIO 2013
ILCASODELGIORNO
PRIMOPIANO
Rivalutazione dei
terreni con effetti
sull’IMU
Società di comodo con doppio
binario
/ Arianna ZENI
L’art. 1, comma 473 della L. 24
dicembre 2012 n. 228 (legge di
stabilità per l’anno 2013) ripropone l’agevolazione fiscale introdotta e disciplinata dall’art. 7 della L.
28 dicembre 2001 n. 448, consentendo a persone fisiche, società semplici, enti non commerciali
e soggetti non residenti privi di
stabile organizzazione in Italia di
rideterminare il costo o valore di
acquisto dei terreni posseduti al
di fuori del regime d’impresa alla
data del 1° gennaio 2013.
La rivalutazione del costo o valore fiscale del terreno consente di
affrancare in tutto o in parte le
plusvalenze conseguite, ex art.
67, comma 1, lett. a) e b) del
TUIR, allorché i terreni vengano
ceduti a titolo oneroso.
A tal fine occorre che, entro il 1°
luglio 2013 (il termine normativo,
30 giugno, cade di domenica):
- un professionista abilitato (es.
geometra, ingegnere, ecc.) rediga
ed asseveri la [...]
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Se possiede partecipazioni in società di persone o fa parte di un
consolidato, il reddito da assoggettare all’aliquota IRES maggiorata
del 10,5% si divarica
/ Lelio CACCIAPAGLIA e Roberto PROTANI
Nel quadro RQ del modello UNICO 2013 SC
esordisce la Sezione XVII, deputata al calcolo e
versamento della maggiorazione IRES del
10,5%. In verità, anche lo scorso anno il modello UNICO SC prevedeva questa sezione per le
società non operative il cui periodo d’imposta
era a cavallo d’anno; tuttavia, per il 2012 sono
state apportate numerose modifiche, posto che
sono state sistemate alcune fattispecie non “intercettate” lo scorso anno.
Il rigo RQ62, in sostanza, è un quadro clone rispetto all’RN dove avviene il calcolo del reddito
da assoggettare all’aliquota del 27,5%. Esso contiene, infatti, il campo 1 in cui va indicato il reddito (in linea di principio quello già evidenziato
nel rigo RN1), i due campi per lo scomputo delle perdite pregresse (limitate e illimitate) collocati anche nel rigo RN4, il campo deputato ad
accogliere la detassazione ACE presente anche
nel rigo RN6 e, per differenza, il reddito che, nel
campo successivo, va moltiplicato per l’aliquota
del 10,5%. Va fatto presente che le istruzioni
precisano che perdite pregresse e ACE vanno
scomputate a prescindere dalla circostanza che le
stesse siano state adoperate, in tutto o in parte,
INEVIDENZA
Il fabbricato utilizzato durante i lavori non va tassato
come area fabbricabile
UNICO 2013 al test dell’IVAFE fissa
Studi di settore, attenzione alla coerenza
Per le società multidisciplinari, iscrizione nell’Albo in
base all’attività prevalente
L’amministratore può chiedere i compensi alla
controllante
per abbattere il reddito evidenziato nel quadro RN. Sembra una contraddizione, ma non
lo è, posto che il reddito – si ripete – è il medesimo sia nel quadro RN che nel rigo RQ62.
Talché dal medesimo reddito è legittimo
scomputare le stesse perdite e la stessa ACE.
Ciò detto, ci si potrebbe chiedere per quale
motivo non sia stato semplicemente previsto
un apposito rigo nel quadro RN dove fosse
evidenziata l’imposta relativa all’aliquota (aggiuntiva) del 10,5%. È presto detto: perché il
reddito da tassare al 27,5% potrebbe non
coincidere con quello da tassare al 10,5%.
L’ipotesi ricorre laddove la società dichiarante:
- possieda una partecipazione in una società
di persone;
- faccia parte del consolidato fiscale.
Si pensi all’ipotesi in cui, ad esempio, una srl
di comodo – e, dunque, soggetta alla maggiorazione IRES del 10,5% sull’intero “proprio”
reddito dichiarato – possiede una partecipazione in una società di persone che le imputa
il reddito di sua competenza per trasparenza.
Detto reddito, non essendo un [...]
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FISCO
Indagini bancarie
all’esame della Corte
Costituzionale belga
/ Alberto MARCHESELLI
Due recenti sentenze della Corte Costituzionale belga (Corte Cost. Belgio 14 febbraio 2013
n. 6/2013 e Corte Cost. Belgio 14 marzo 2013
n. 39/2013) sulla legittimità dei poteri di indagine della locale Amministrazione fiscale
sono molto interessanti per il difensore tributario italiano attento, sia nella prospettiva internazionale, sia per le possibili ricadute sulla
riflessione interna.
Esse sono un evidente “rimbalzo” della rinnovata politica di giusta [...]
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ancora
IL CASO DEL GIORNO
Rivalutazione dei terreni con effetti sull’IMU
Anche per l’IMU il valore venale non può che essere quello derivante dalla perizia
/ Arianna ZENI
L’art. 1, comma 473 della L. 24 dicembre 2012 n. 228 (legge di stabilità per l’anno 2013) ripropone l’agevolazione fiscale introdotta e disciplinata dall’art. 7 della L. 28 dicembre 2001 n. 448, consentendo a persone fisiche, società semplici, enti non commerciali e soggetti non residenti privi di
stabile organizzazione in Italia di rideterminare il costo o
valore di acquisto dei terreni posseduti al di fuori del regime d’impresa alla data del 1° gennaio 2013.
La rivalutazione del costo o valore fiscale del terreno consente di affrancare in tutto o in parte le plusvalenze conseguite, ex art. 67, comma 1, lett. a) e b) del TUIR, allorché i
terreni vengano ceduti a titolo oneroso.
A tal fine occorre che, entro il 1° luglio 2013 (il termine
normativo, 30 giugno, cade di domenica):
- un professionista abilitato (es. geometra, ingegnere, ecc.)
rediga ed asseveri la perizia di stima del terreno;
- il contribuente interessato versi l’imposta sostitutiva (4%)
per l’intero suo ammontare, ovvero (in caso di rateizzazione) limitatamente alla prima delle tre rate annuali di pari importo (l’imposta sostitutiva, infatti, può essere versata, a
scelta del contribuente (possessore del terreno), in un’unica
soluzione oppure in un massimo di tre rate annuali di pari
importo).
Si ricorda, inoltre, che è possibile rideterminare il costo o valore fiscale dei terreni per cui la rivalutazione sia già stata
esperita in passato e che il versamento dell’imposta sostitutiva avviene mediante il modello F24, con le modalità indicate nel capo III del DLgs. 9 luglio 1997 n. 241. È quindi possibile compensare l’importo dovuto a titolo di imposta
sostitutiva, in tutto o in parte, con crediti fiscali o
contributivi.
Quanto agli effetti della rivalutazione, il valore risultante
dalla perizia asseverata di stima redatta dal professionista, in
caso di cessione di un terreno rivalutato, può essere utilizzato in luogo del costo o valore di acquisto ai fini della determinazione delle plusvalenze immobiliari di cui all’art. 67,
comma 1, lett. a) e b) del TUIR.
A norma dell’art. 7, comma 6 della L. n. 448/2001, inoltre, il
valore indicato nella perizia di stima costituisce anche,
all’atto della cessione del terreno rivalutato, il valore minimo di riferimento ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale (circ. Agenzia delle Entrate 1° febbraio 2002
n. 15).
In materia di IMU, ai sensi dell’art. 5, comma 5 del DLgs. n.
504/92 (richiamato dall’art. 13, comma 3 del DL n.
201/2011, conv. L. n. 214/2011) la base imponibile di
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un’area edificabile è costituita dal valore venale in comune commercio al 1° gennaio dell’anno di imposizione. Così,
in relazione all’anno 2013, rileva il valore venale dell’area
alla data del 1° gennaio 2013.
I Comuni, peraltro, al fine di contenere l’insorgenza di contenzioso, possono stabilire (sia ai fini dell’ICI che a quelli
dell’IMU come evidenziato dalle Linee Guida del Ministero
dell’Economia e delle finanze dell’11 luglio 2012) i valori
venali delle aree fabbricabili in sede regolamentare, considerando congruo il valore dichiarato dal contribuente in misura non inferiore a quella fissata nel regolamento ed
autolimitando in tal senso il loro potere di accertamento.
Al riguardo, la circ. Min. Finanze 31 dicembre 1998 n. 296
ha chiarito che resta comunque fermo il principio statuito
dall’art. 5, comma 5 del DLgs. 504/92, in base al quale il valore delle aree fabbricabili è quello venale in comune commercio con la conseguenza che “il contribuente può ben dichiarare un valore inferiore a quello stabilito nel regolamento ed il comune ritenerlo congruo in quanto corrispondente
al valore di mercato”. Inoltre, se il contribuente ha dichiarato un valore inferiore a quello prefissato con regolamento,
l’accertamento del maggior valore effettuato dal Comune deve essere motivato facendo riferimento ai valori di mercato
e, quindi “può ben condurre alla determinazione di valori
diversi da quelli indicati nel regolamento”.
Tornando alla facoltà di rideterminare il valore delle aree
edificabili, seppur nella L. n. 448/2001 non vi sia un espresso rimando all’imposta comunale sugli immobili (all’ICI in
vigore fino al 2011 e all’IMU applicabile dal 2012) sembra
una inevitabile conseguenza quella per cui il valore del terreno rivalutato abbia effetti anche sulla determinazione
dell’IMU.
Impatto sulla base imponibile anche senza un espresso
rimando all’IMU
A stretto rigore, in virtù della norma per cui “Per le aree fabbricabili, il valore è costituito da quello venale in comune
commercio al 1° gennaio dell’anno di imposizione”, anche
per l’IMU il valore venale non può che essere quello derivante dalla perizia.
Conseguentemente, in sede di valutazione dei vantaggi e
degli svantaggi derivanti dalla rivalutazione dei terreni
edificabili deve essere considerato anche l’impatto, spesso
non di poco conto, che l’operazione avrebbe sul calcolo
dell’imposta municipale da versare al Comune.
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ancora
FISCO
Società di comodo con doppio binario
Se possiede partecipazioni in società di persone o fa parte di un consolidato, il reddito
da assoggettare all’aliquota IRES maggiorata del 10,5% si divarica
/ Lelio CACCIAPAGLIA e Roberto PROTANI
Nel quadro RQ del modello UNICO 2013 SC esordisce la
Sezione XVII, deputata al calcolo e versamento della maggiorazione IRES del 10,5%. In verità, anche lo scorso anno il modello UNICO SC prevedeva questa sezione per le
società non operative il cui periodo d’imposta era a cavallo
d’anno; tuttavia, per il 2012 sono state apportate numerose
modifiche, posto che sono state sistemate alcune fattispecie
non “intercettate” lo scorso anno.
Il rigo RQ62, in sostanza, è un quadro clone rispetto all’RN
dove avviene il calcolo del reddito da assoggettare all’aliquota del 27,5%. Esso contiene, infatti, il campo 1 in cui va
indicato il reddito (in linea di principio quello già evidenziato nel rigo RN1), i due campi per lo scomputo delle perdite
pregresse (limitate e illimitate) collocati anche nel rigo
RN4, il campo deputato ad accogliere la detassazione ACE
presente anche nel rigo RN6 e, per differenza, il reddito che,
nel campo successivo, va moltiplicato per l’aliquota del
10,5%. Va fatto presente che le istruzioni precisano che
perdite pregresse e ACE vanno scomputate a prescindere
dalla circostanza che le stesse siano state adoperate, in tutto
o in parte, per abbattere il reddito evidenziato nel quadro
RN. Sembra una contraddizione, ma non lo è, posto che il
reddito – si ripete – è il medesimo sia nel quadro RN che nel
rigo RQ62. Talché dal medesimo reddito è legittimo
scomputare le stesse perdite e la stessa ACE.
Il reddito da tassare al 27,5% può non coincidere con
quello al 10,5%
Ciò detto, ci si potrebbe chiedere per quale motivo non sia
stato semplicemente previsto un apposito rigo nel quadro
RN dove fosse evidenziata l’imposta relativa all’aliquota
(aggiuntiva) del 10,5%. È presto detto: perché il reddito da
tassare al 27,5% potrebbe non coincidere con quello da tassare al 10,5%. L’ipotesi ricorre laddove la società dichiarante:
- possieda una partecipazione in una società di persone;
- faccia parte del consolidato fiscale.
Si pensi all’ipotesi in cui, ad esempio, una srl di comodo –
e, dunque, soggetta alla maggiorazione IRES del 10,5%
sull’intero “proprio” reddito dichiarato – possiede una partecipazione in una società di persone che le imputa il reddito
di sua competenza per trasparenza. Detto reddito, non essen-
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do un reddito “proprio” della srl, non deve essere assoggettato all’aliquota IRES maggiorata del 10,5%. L’eventuale
circostanza che la società di persone sia a sua volta di
comodo non influisce su quanto ora detto, poiché le società
di persone non operative non sono soggette ad alcuna
maggiorazione di aliquota. Da qui la circostanza che, a
fronte di un reddito complessivo dichiarato dalla srl di 100 di
cui 20 imputatogli per trasparenza dalla società di persone,
soltanto 80 sarà soggetto all’aliquota maggiorata del 10,5%
da gestire nel rigo RQ62, mentre in RN confluirà l’intero
reddito dichiarato pari a 100 da tassare al 27,5%.
Proseguendo nel rigo RQ62, si incontrano appositi campi per
scomputare gli acconti IRES pagati nel 2012, le ritenute
d’acconto IRES subite nell’anno, i crediti IRES da quadro
RU. È evidente che, in questo caso, se detti importi sono stati (già) scomputati dall’IRES calcolata nel quadro RN, non
possono poi essere scomputati dall’IRES del presente prospetto. Solo l’eventuale eccedenza non utilizzata in RN
può essere utilizzata a scomputo dell’IRES del 10,5%.
All’attento compilatore del modello UNICO SC 2013 non
sarà poi sfuggito che nei successivi righi da RQ63 ad RQ66
vengono richieste tutte le informazioni per determinare la
quota di interessi passivi deducibili in base al 30% del ROL
di cui all’art. 96 del TUIR: trattasi, anche in questo caso, di
un clone rispetto al “Prospetto degli interessi passivi indeducibili” collocato in corrispondenza dei righi RF18 – RF 21.
La presenza del “Prospetto degli interessi passivi indeducibili” riferibili alle società di comodo è giustificata dal consolidato: come noto, l’eccedenza di interessi può essere trasferita alla consolidante ai fini IRES, mentre viene trattenuta dalla consolidata ai fini della maggiorazione del 10,5% poiché
la maggiorazione è solo a carico di quest’ultima. Da qui la
necessità del doppio binario. In RQ66, dove si individua al
termine del calcolo del ROL la quota di interessi passivi non
deducibile nel 2012, le istruzioni precisano che occorre “nettizzare” il relativo importo di quanto indicato in RF16 (interessi passivi indeducibili); ciò in quanto la quota indeducibile di interessi passivi da ROL viene determinata in questa
sezione del quadro RQ e, quindi, se il reddito da assoggettare
all’aliquota del 10,5% non fosse preso al netto di RF16, gli
interessi passivi eccedenti il ROL verrebbero resi
indeducibili due volte.
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ancora
FISCO
Il fabbricato utilizzato durante i lavori non
va tassato come area fabbricabile
Per la C.T. Reg. di Brescia, se non viene meno l’effettivo utilizzo, la ristrutturazione
non comporta lo spostamento della base imponibile
/ Antonio PICCOLO
La sentenza n. 59/63/13 pronunciata dalla C.T. Reg. di Brescia ha risolto una questione ICI che, nonostante la sua particolarità, interessa una pluralità di contribuenti e, dunque,
merita di essere segnalata anche per i riflessi nell’ambito
della disciplina dell’IMU.
La vicenda trae origine dall’impugnazione di tre avvisi di accertamento, con i quali il Comune competente ha preteso,
con riferimento a un’area fabbricabile, l’imposta dovuta
per le annualità dal 2005 al 2007.
I contribuenti sono due coniugi comproprietari al 50% di
un’area (quella oggetto di accertamento) occupata per una
minore superficie dalla loro abitazione principale (unità
censita nella categoria catastale A/3) e relativa pertinenza
(unità censita nella categoria catastale C/6). La restante superficie, di tre volte superiore a quella su cui insistono i fabbricati, costituisce area di pertinenza, essendo stata censita
congiuntamente all’abitazione e adibita a prato e giardino
della stessa.
La pretesa fiscale è sorta a seguito di un intervento di ristrutturazione sull’abitazione, in virtù del quale l’ente locale, a norma del comma 6 dell’art. 5 del DLgs. n. 504/1992
(decreto ICI), ha assoggettato a tassazione – fino alla data di
ripristino dell’originaria destinazione del fabbricato – anche
l’area su cui è ubicata l’abitazione stessa. I ricorrenti hanno
invece sostenuto, con apposita documentazione, che l’intervento edilizio ha soltanto migliorato le caratteristiche
abitative dell’edificio.
Esso, infatti, è consistito nella sistemazione di alcune parti
interne e nel rinnovo degli impianti tecnologici, senza alcuna sostituzione di parti strutturali, né altri interventi che ne
abbiano impedito l’utilizzo dell’abitazione. Peraltro, sottolineano i ricorrenti, durante l’esecuzione dei lavori la funzione abitativa degli immobili non è venuta meno, giacché la
famiglia ha continuato a dimorare abitualmente e a risiedere
anagraficamente nella casa.
Con sentenza n. 129/08/10, i primi giudici bresciani hanno
accolto i ricorsi dopo averli riuniti. Essi hanno ritenuto che
l’opera eseguita dai contribuenti non ha comportato né demolizione né sostituzione di parti strutturali del fabbricato
abitativo, come invece sostenuto dal Comune, ma non han-
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no accertato l’esatta natura dell’intervento, se di manutenzione ordinaria o straordinaria oppure di recupero ai
sensi dell’art. 31, primo comma, lett. c), d) ed e), della L. n.
457/1978 (ora art. 3 del DPR n. 380/2001), nel qual caso
l’operato dell’ente impositore non farebbe una grinza.
I giudici del riesame, nel confermare la sentenza impugnata,
hanno invece fornito un’altra chiave di lettura, più interessante dell’esegesi del Collegio provinciale.
Essi, infatti, hanno ritenuto pacifico che si sia trattato di ristrutturazione del fabbricato, cioè di intervento di recupero a norma del citato art. 31 della L. n. 457/1978, che comporta lo spostamento della base imponibile dal valore
dell’edificio a quello dell’area di sedime, come stabilito dal
comma 6 dell’art. 5 del decreto ICI.
Tale spostamento cessa non solo con l’ultimazione dell’intervento, ma, se antecedente, con l’effettivo utilizzo del fabbricato oggetto dei lavori di ristrutturazione. Poiché nel caso
di specie – questo l’aspetto interessante della sentenza in
rassegna – la funzione abitativa dell’immobile non è mai
cessata, lo spostamento della base imponibile non può
operare, come si desume chiaramente dalla locuzione
legislativa “comunque utilizzato”.
Per il Collegio regionale sembra quindi che la “finzione giuridica” di cui al comma 6 dell’art. 5 del DLgs. n. 504/1992,
applicabile anche ai fini dell’IMU “sperimentale” (art. 13 del
DL n. 201/2011 convertito dalla L. n. 201/2011), non possa
mai operare qualora il fabbricato ristrutturato sia stato utilizzato dal contribuente anche durante l’esecuzione dei lavori,
come se fosse sufficiente il concreto utilizzo a evitare la regola “eccezionale” che in via transitoria ha istituito una
sorta di regime tributario sostitutivo del “fabbricato” che,
senza un’ordinaria redditività, va considerato “area fabbricabile”.
In buona sostanza, non siamo completamente convinti della
bontà della decisione, a meno che non si sia trattato di un intervento di manutenzione straordinaria (art. 31, primo comma, lett. b) della L. n. 457/1978). La Cassazione ha già fornito lumi, ai fini dell’applicazione dell’ICI, sugli interventi
di recupero del patrimonio edilizio esistente (per tutte,
sentenza n. 19651 del 17 luglio 2008).
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ancora
FISCO
Indagini bancarie all’esame della Corte
Costituzionale belga
Perforare il segreto bancario significa entrare nella sfera privata, ma in date
circostanze la deroga alla riservatezza è legittima
/ Alberto MARCHESELLI
Due recenti sentenze della Corte Costituzionale belga (Corte
Cost. Belgio 14 febbraio 2013 n. 6/2013 e Corte Cost. Belgio 14 marzo 2013 n. 39/2013) sulla legittimità dei poteri
di indagine della locale Amministrazione fiscale sono molto interessanti per il difensore tributario italiano attento, sia
nella prospettiva internazionale, sia per le possibili ricadute
sulla riflessione interna.
Esse sono un evidente “rimbalzo” della rinnovata politica di
giusta attenzione all’efficace riscossione dei tributi che sta
attraversando, sostanzialmente, tutto il mondo occidentale.
Le due sentenze riguardano, essenzialmente, il segreto bancario e sono sollecitate in riferimento a una serie di questioni e, in particolare:
- se la riservatezza sui dati bancari rientri nel più ampio
spettro della tutela della vita privata;
- se e in quale misura la riservatezza della vita privata debba
cedere rispetto agli interessi finanziari dello Stato;
- se e in che misura il contribuente possa opporre alle indagini il suo diritto al silenzio.
Le sentenze osservano innanzitutto che dai dati bancari, specie alla luce dell’attuale diffusione di forme di pagamento
tracciabili, risultano sicuramente informazioni estremamente penetranti sulla vita privata del contribuente e, quindi, perforare il segreto bancario significa entrare nella sfera privata.
Ciò, tuttavia, è consentito se:
- avviene in base a disposizioni di legge che consentano di
evitare l’arbitrio incontrollato;
- avviene in situazioni e con modalità che possano ritenersi
proporzionate.
Questa parte delle decisioni è molto interessante, anche nella prospettiva italiana: è evidente che le questioni sottese sono esattamente le medesime che si stanno agitando in Italia,
per esempio, rispetto alla legittimità del “nuovo” redditometro e proprio in rapporto al diritto alla vita privata.
Le sentenze valorizzano, per ritenere legittimo il sistema, le
seguenti circostanze:
- l’ingresso nella sfera privata è agganciato a presupposti individuabili stabiliti dalla legge: la sussistenza di indizi di
frode fiscale o comunque un tenore di vita che faccia ragionevolmente sospettare evasione fiscale;
- tali indizi trovano un’ampia, anche se non esclusiva, esemplificazione nei lavori preparatori della legge;
- il contribuente, salvo il motivato e individuato pericolo
d’insolvenza fraudolenta, deve essere preventivamente
sentito;
/ EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 20 MAGGIO 2013
- il contribuente ha diritto di rivolgersi immediatamente a
un giudice che verifichi la fondatezza degli indizi che devono giustificare l’indagine;
- sugli atti acquisiti deve essere mantenuto il segreto;
- che il sistema bancario fornisca tali dati non costituisce un
aggravio sproporzionato della sua attività e, anzi, una doverosa collaborazione.
In presenza di tali circostanze, la deroga alla riservatezza è
legittima.
È interessante osservare che, spostandosi nella prospettiva
italiana, devono rilevarsi due differenze.
La prima è che né l’indagine bancaria né la raccolta sui dati
della spesa sono, in Italia, ricollegati a indizi di frode o evasione desunta aliunde (ma possono essere fonti di innesco
dei controlli). La seconda è che è fortemente discusso che
esista la possibilità di agire in via urgente e in via inibitoria per la tutela dei diritti del contribuente nell’istruttoria. In
effetti, la giurisprudenza della CEDU lo ammette (caso Ravon), ma il riconoscimento di tale possibilità è stato finora
isolato (cfr. la nota ordinanza 21 febbraio 2013 del Tribunale
di Napoli, sezione di Pozzuoli, in tema di redditometro).
Non solo, dai lavori preparatori della legge belga si desume
una casistica molto analitica e concreta dei possibili presupposti delle indagini fiscali, del tutto assente in Italia, ove i
lavori preparatori delle leggi hanno spesso una sconfortante
povertà tecnica. Se questi sono i presupposti di legittimità
condizionanti la proporzionalità dei poteri del Fisco, la situazione italiana si presenta piuttosto critica e lacunosa. Il profilo merita adeguata riflessione. Non viene, invece, sviluppato
un ulteriore profilo: quello se il contribuente possa opporre
alla indagine tributaria il suo diritto di tacere. Ciò per il
fatto che i dati di cui si discute vengono, in effetti, richiesti
alla banca (e non al contribuente), cui l’interessato li ha
conferiti senza costrizione.
Per quanto non rilevante nella fattispecie, il problema è, invece, grave e serio: secondo la giurisprudenza CEDU, è da
ritenersi illegittima ogni norma che faccia conseguire delle
sanzioni alla condotta di chi ometta di collaborare con l’Autorità, quando la sua collaborazione contribuirebbe alla propria incriminazione. Non mancano, in effetti, norme (ad
esempio, quelle sulle conseguenze della omessa o mendace
risposta ai questionari o adempimento alle richieste di
trasmissione di atti e documenti) che appaiono in possibile
contrasto con tali principi e che, verosimilmente, torneranno
all’attenzione dei giudici, interni ed europei.
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ancora
FISCO
UNICO 2013 al test dell’IVAFE fissa
L’Agenzia delle Entrate è intervenuta sulle modalità di compilazione del modello UNICO
/ Salvatore SANNA
A partire dal 2012, l’applicazione dell’IVAFE in misura
fissa, attualmente pari a 34,20 euro, riguarda tutti i conti
correnti e i libretti di risparmio detenuti all’estero da soggetti residenti in Italia.
Infatti, la Legge di stabilità per il 2013 ha espunto dalla
norma la previsione per la quale l’imposta in misura fissa si
applicava solo ai conti ed ai libretti detenuti in Paesi
dell’Unione europea o in Paesi aderenti allo Spazio
economico europeo, che garantiscono un adeguato scambio
di informazioni.
In sostanza, quindi, con la modifica in commento – operata
dal comma 518 dell’art. 1 della L. 228/2012 al comma 20
dell’art. 19 del DL 201/2011 – viene equiparato il trattamento fiscale dei conti correnti e dei libretti di risparmio ai
fini dell’IVAFE con quello previsto dall’imposta di bollo di
cui all’art. 13 della Tariffa allegata al DPR 642/72.
Su tali attività finanziarie si applica, dunque, la stessa misura di imposta a prescindere dal luogo di detenzione delle
stesse da parte dei soggetti che sono fiscalmente residenti in
Italia, evitando una potenziale restrizione alla libera
circolazione dei capitali di cui all’art. 63 del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea (TUFE).
L’imposta in misura fissa non è dovuta qualora il valore medio di giacenza annuo, risultante dagli estratti conto e dai libretti, sia non superiore a 5.000 euro. A tal fine, la
circolare n. 28 del 2 luglio 2012 dell’Agenzia delle Entrate
ha chiarito che occorre tener conto di tutti i conti o libretti
detenuti all’estero dal contribuente presso il medesimo
intermediario, a nulla rilevando il periodo di detenzione del
rapporto durante il periodo di imposta.
In merito all’applicazione dell’IVAFE in misura fissa, in un
precedente intervento (si veda “IVAFE fissa al test della soglia di 5.000 euro” del 20 marzo scorso) era stato osservato
come fosse dubbio il modo corretto di compilare i righi
RM33 e RM34 in presenza di più conti correnti detenuti
presso lo stesso intermediario, che, presi singolarmente, non
superano il limite di giacenza media di 5.000 euro, ma lo
superano se sommati tra loro.
Infatti, le specifiche tecniche per la trasmissione telematica
dei modelli di dichiarazione non consentono di liquidare
l’imposta fissa se la colonna 1 del rigo RM33 (valore medio
di giacenza annuo risultante dagli estratti e dai libretti di
risparmio) presenta un valore inferiore a 5.000 euro.
Sul tema, è intervenuta la circolare n. 12 del 3 maggio 2013
dell’Agenzia delle Entrate. In questo documento si afferma
che, al fine di semplificare le modalità di compilazione del
/ EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 20 MAGGIO 2013
quadro RM del modello UNICO 2013 PF, occorre adottare un comportamento conforme a quello dell’esempio che
segue.
Il calcolo del limite di 5.000 euro, in presenza di più conti
correnti o libretti di risparmio tenuti presso lo stesso intermediario, deve essere effettuato:
- sommando il valore medio di giacenza di tutti i conti;
- considerando solo la quota di possesso e a nulla rilevando
il periodo.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, quindi, in presenza di tre
conti presso il medesimo intermediario:
- conto A: possesso 100%, periodo (365 giorni), valore medio 2.000 euro;
- conto B: possesso 50%, periodo (365 giorni), valore medio 5.000 euro (valore medio pro quota 2.500);
- conto C: possesso 25%, periodo (100 giorni), valore medio 4000 euro (valore medio pro quota 1.000).
Il valore medio di giacenza annua risulta pari a 2.000 +
2.500 + 1.000, ossia 5.500 euro. Considerato che il valore
medio di giacenza complessivo è superiore a 5.000 euro,
l’imposta è dovuta.
Si indica in ogni rigo la giacenza media
In questo caso il contribuente, nel modello UNICO 2013,
dovrà compilare tre distinti righi del quadro RM, sezione
XV-B, calcolando per ogni rigo la relativa imposta in relazione al periodo e alla quota di possesso riportando:
- in colonna 1 il valore medio di giacenza annua, ovvero
5.500 euro (in tutti e 3 righi);
- in colonna 2 la quota di possesso (100 nel primo rigo del
modulo 1), (50 nel secondo rigo del modulo 1), (25 nel primo rigo del modulo 2);
- in colonna 3 il periodo (365 nel primo rigo del modulo 1),
(365 nel secondo rigo del modulo 1), (100 nel primo rigo del
modulo 2);
- in colonna 4 l’imposta calcolata (34 nel primo rigo del modulo 1), (17 nel secondo rigo del modulo 1), (2 nel primo rigo del modulo 2).
La colonna 7, poi, dovrà essere barrata in tutti e tre i righi.
Dopo avere calcolato l’imposta dovuta per ogni rigo (colonna 6 = colonna 4 - colonna 5), si dovrà riportare il totale imposta dovuta (sommando gli importi determinati nella colonna 6 di tutti i righi compilati della sezione XV-B di entrambi
i moduli) nel rigo RM35 colonna 1 del modello UNICO.
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ancora
FISCO
Studi di settore, attenzione alla coerenza
Tale condizione deve sussistere per tutti gli indicatori di coerenza e di normalità
economica previsti dallo studio di settore
/ Paola RIVETTI
Nell’attesa degli strumenti necessari all’applicazione degli
studi di settore, può essere utile fornire un quadro riepilogativo delle misure la cui operatività è direttamente connessa
al comportamento tenuto dal contribuente in sede dichiarativa.
Ci si riferisce, in particolare:
- alle disposizioni a carattere sanzionatorio (per omessa allegazione della comunicazione ad UNICO o infedele indicazione dei dati rilevanti);
- al regime “premiale” per congruità e coerenza, di seguito
esaminato.
I soggetti che dichiarano, anche a seguito di adeguamento,
ricavi o compensi pari o superiori a quelli risultanti dagli
studi di settore (congruità), beneficiano delle seguenti misure:
- preclusione nei loro confronti degli accertamenti basati
sulle presunzioni semplici;
- riduzione di un anno degli ordinari termini di decadenza
per l’attività di accertamento;
- aumento ad un terzo della soglia che consente di
procedere ad accertamento sintetico.
Per poter beneficiare di tali misure, occorre che:
- il contribuente sia a tutti gli effetti soggetto agli studi di
settore, non presentando cause di inapplicabilità o di esclusione;
- il contribuente abbia regolarmente assolto gli obblighi di
comunicazione dei dati rilevanti, indicando fedelmente tutti i dati previsti;
- sulla base dei dati indicati, la posizione risulti coerente con
gli specifici indicatori previsti dai decreti di approvazione
dello studio di settore applicabile.
Al riguardo, il Provvedimento attuativo n. 102603 del 2012
aveva chiarito che il requisito della fedeltà dei dati dichiarati non viene meno se risultano errori od omissioni che non
comportano la modifica dell’assegnazione ai cluster o del
calcolo dei ricavi o dei compensi stimati, oppure del
posizionamento rispetto agli indicatori di normalità e di
/ EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 20 MAGGIO 2013
coerenza, a fronte delle risultanze dell’applicazione degli
studi di settore sulla base dei dati veritieri.
Relativamente alla coerenza, viene precisato che questa deve sussistere per tutti gli indicatori di coerenza e di normalità economica previsti dallo studio di settore. Al riguardo, non è stato chiarito se possano beneficiare del regime anche i contribuenti che siano risultati non coerenti rispetto ad
uno o più degli indicatori di normalità economica, ma abbiano sanato tale condizione adeguandosi in dichiarazione ai
maggiori valori stimati da GE.RI.CO.
Anche in caso di risposta positiva, non v’è dubbio che
l’aspetto maggiormente limitativo alla fruizione del regime
sia rappresentato dall’irregolarità agli indicatori di coerenza, posto che il dato negativo espresso da GE.RI.CO. non è
in alcun modo sanabile.
Incoerenza non sanabile
A fronte dei benefici, per coloro che soddisfano la posizione di congruità e coerenza, vengono previsti controlli più rigidi per coloro che risultano non congrui e/o non coerenti
agli studi di settore.
In particolare:
- i soggetti non congrui sono destinatari di specifici piani di
controllo, articolati su tutto il territorio e basati su specifiche
analisi del rischio di evasione, che tengono anche conto delle informazioni relative alle operazioni finanziarie presenti
nell’apposita sezione dell’Anagrafe tributaria;
- per i soggetti non congrui e non coerenti, i controlli sono
svolti prioritariamente con l’utilizzo dei poteri riconosciuti
agli uffici per le indagini finanziarie.
Il sopra citato Provvedimento attuativo aveva anche individuato gli studi di settore che erano ammessi al regime premiale, ma limitatamente al periodo d’imposta 2011. Pertanto, ci si attende che, prossimamente, venga ridefinito o confermato l’ambito applicativo del regime per il 2012.
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PROFESSIONI
Per le società multidisciplinari, iscrizione
nell’Albo in base all’attività prevalente
I soci possono individuarla nello statuto o nell’atto costitutivo
/ Roberta VITALE
L’art. 10 della L. 12 novembre 2011 n. 183, come già rilevato su Eutekne.info, ha espressamente previsto la possibilità di
costituire società tra professionisti per l’esercizio delle attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico. La
disciplina attuativa di determinati aspetti di dettaglio sulle
nuove società tra professionisti è stata demandata ad uno
specifico regolamento approvato con il DM 8 febbraio 2013
n. 34.
In particolare, secondo l’art. 10, comma 8 della L. 183/2011,
la società tra professionisti può essere costituita anche per
l’esercizio di più attività professionali.
Tale previsione è stata ripresa dal regolamento attuativo
all’art. 1, comma 1, lett. b), che definisce appunto la “società multidisciplinare” come “la società tra professionisti
costituita per l’esercizio di più attività professionali ai sensi
dell’articolo 10, comma 8, della legge 12 novembre 2011, n.
183”.
Vi è, poi, l’art. 6, comma 1 del regolamento, che estende anche alla società multidisciplinare il regime di incompatibilità sulla partecipazione del socio a più società tra professionisti (art. 10, comma 6 della L. 183/2011).
Il successivo art. 8, comma 2 del DM specifica che, per la
società multidisciplinare, occorre l’iscrizione nella sezione
speciale dell’albo o del registro dell’Ordine o Collegio professionale relativo all’attività individuata come prevalente
nello statuto o nell’atto costitutivo (oltre che l’iscrizione
nella sezione speciale del Registro delle imprese). In questo
caso, dunque, la prevalenza dell’attività determina
l’individuazione dell’unico albo della società professionale.
Come precisato dalla Relazione illustrativa al regolamento,
residua peraltro “la possibilità che i professionisti non connotino un’attività dell’ente in misura prevalente, cosicché resta aperta l’opzione di una plurima iscrizione con conseguenti regimi concorrenti” (si veda “Doppio regime di iscrizione per la STP” del 9 aprile 2013).
Pertanto, è stato sostenuto che, in assenza di specifica indicazione circa la prevalenza dell’attività, la società multidisciplinare andrà iscritta in ogni Ordine o Collegio corrispondente alle varie attività professionali esercitate (così la Fon-
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dazione Studi Consulenti del lavoro, nella circ. 22 aprile
2013 n. 1092).
Aperta l’opzione d’iscrizione plurima con conseguenti
regimi concorrenti
Sul piano del regime disciplinare, secondo l’art. 12 del regolamento, il professionista-socio rimane tenuto all’osservanza del codice deontologico dell’Ordine o Collegio al quale è iscritto, la società è soggetta al regime disciplinare
dell’Ordine al quale risulti iscritta. La responsabilità disciplinare del socio, anche se iscritto ad un Ordine o Collegio
diverso da quello della società (“quindi, nell’ipotesi della
STP multidisciplinare”, così la Relazione illustrativa al regolamento), concorre con quella della società solo se la
violazione deontologica commessa è direttamente ricollegata
a direttive impartite dalla società al socio.
In merito, è intervenuto il Centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri (nota maggio 2013), a parere del quale,
sotto il profilo logico-sistematico, la società multidisciplinare dovrebbe essere iscritta a tutti gli albi relativi alle professioni esercitate, in modo da “consentire un’equa applicazione delle regole deontologiche e del regime disciplinare tipico (e per questo non fungibile con quello di altre professioni)
dell’attività professionale esercitata”.
Ciò in quanto – ha precisato il Centro Studi – le regole deontologiche, anche se corrispondenti a valori fondanti univoci,
sono proprie di ciascuna professione e, dunque, non sarebbe
ammissibile che la loro violazione da parte di una società
multidisciplinare possa essere valutata e eventualmente sanzionata da un Ordine o Collegio afferente alla tutela dei valori di altra attività professionale rispetto a quella per la
quale è stata evidenziata un’ipotetica violazione. Ove si
aggiunge – continua ancora il Centro Studi – la “prevalenza”
non è valutata sul piano sostanziale ma in base a quanto
eventualmente indicato dai soci professionisti nello statuto o
nell’atto costitutivo e, dunque, in base alla libera
determinazione dei sottoscrittori.
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ancora
IMPRESA
L’amministratore può chiedere i compensi
alla controllante
A tali fini è necessario che la controllante abbia determinato, in violazione dei criteri di
corretta gestione, la lesione del patrimonio della controllata
/ Maurizio MEOLI
In assenza di determinazione statutaria o assembleare, i compensi dell’amministratore, quale diritto soggettivo perfetto,
possono essere richiesti al giudice, eventualmente anche
chiamando in causa la società controllante che, agendo in
violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale, abbia leso l’integrità del patrimonio sociale
della controllata con conseguente danno nei confronti dei relativi creditori.
Sono queste le indicazioni fornite dal Tribunale di Milano
nella sentenza 25 febbraio 2013 n. 2610.
La pretesa di un amministratore al compenso per l’opera prestata ha natura di diritto soggettivo perfetto, sicché, ove la
misura di esso non sia stata stabilita dall’atto costitutivo o
dall’assemblea, può esserne chiesta al giudice la determinazione (cfr., tra le altre, Cass. 9 agosto 2005 n. 16764, Trib.
Milano 29 dicembre 2010 n. 14848 e Trib. Roma 12 settembre 2012 n. 17050). A tali fini, il giudice è dotato di notevole discrezionalità.
Occorre, peraltro, considerare che, pur essendo il compenso
un diritto, generalmente, la misura è fissata in modo unilaterale dai soci in una norma organizzatoria (sia essa
statutaria o definita per il tramite dell’intervento
dell’assemblea) destinata a valere, sino ad eventuale
modifica, per tutti coloro che si succederanno nella carica.
Il compenso costituisce promessa unilaterale
Il compenso, quindi, non è oggetto di un contratto, ma semmai costituisce promessa unilaterale (art. 1987 c.c.) che
l’amministratore può prendere in considerazione per accettare o meno la nomina. Ne deriva che il giudice, nel fissare il
compenso in mancanza di altra determinazione, svolge una
funzione di integrazione contrattuale, ex art. 1374 c.c., rispetto alla volontà unilaterale dei soci, non rispetto al mutuo consenso dei soci e degli amministratori.
Sulla base di tali rilievi, il Tribunale di Milano ritiene corretto determinare il quantum da liquidare tenendo conto dello
stato economico-patrimoniale della società e della sua
produttività nel periodo di svolgimento della carica. Non
utilizzabile, invece, è reputato il criterio (proposto
dall’amministratore/attore) dell’utilizzo delle indicazioni del
CCNL relative agli emolumenti dovuti ai dirigenti di prima
categoria.
Il pagamento dell’importo così determinato può essere chiesto anche alla società controllante quale condebitore solidale.
/ EUTEKNEINFO / LUNEDÌ, 20 MAGGIO 2013
Occorre, però, accertare l’esistenza dei seguenti elementi costitutivi previsti dall’art. 2497 c.c.:
- qualità di creditore in capo all’attore (l’amministratore);
- effettività del ruolo di controllante in capo alla società
convenuta;
- esercizio illecito dell’attività di direzione e coordinamento
(ovvero svolgimento dell’attività nell’interesse proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e
imprenditoriale della controllata);
- lesione all’integrità del patrimonio sociale della controllata;
- nesso di causalità tra esercizio illecito dell’attività di
direzione e coordinamento e lesione al patrimonio sociale.
A tali requisiti normativi occorre poi aggiungere la necessità
che la lesione all’integrità del patrimonio sociale sia tale da
determinare un danno ai creditori. Ed infatti, solo se il patrimonio della controllata risulti incapiente, la mala gestio
della controllante diviene rilevante rispetto ai creditori,
determinando l’impossibilità di soddisfarli tutti
integralmente (causazione dell’insufficienza patrimoniale) o
solo un abbassamento della percentuale di soddisfazione
(ulteriore depauperamento patrimoniale).
Di centrale importanza, comunque, risulta essere la prova
dell’esercizio, da parte della controllante, del potere di direzione e coordinamento in violazione dei corretti criteri di
gestione societaria ed imprenditoriale.
Circostanza che, nel caso di specie, si ritiene dimostrata dal
momento che la controllata risultava essere una mera filiale
italiana di una società estera, che svolgeva la propria attività
con un impegno notevolissimo, in termini di impiego di
energie e di costi, e ad esclusivo vantaggio della controllante, ma senza riconoscimento di alcun corrispettivo in
alcuna forma. Condizioni che, in breve tempo, avevano
condotto la società italiana verso una rilevante erosione delle
risorse economico-finanziarie e patrimoniali, senza che la
controllante, evidentemente non più interessata, provvedesse
alla necessaria ricapitalizzazione.
Una struttura come quella descritta – osservano i Giudici milanesi – può certamente trovare giustificazione sul piano
economico in ragione del risparmio dei costi, delle sinergie e
delle facilitazioni informative e comunicative che può procurare, ma non può essere condotta ad esclusivo vantaggio
della controllante, trasformandosi in un unilaterale
sfruttamento.
Questo sfruttamento, infatti, quando è portato oltre la soglia
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ancora
dell’insufficienza patrimoniale, si risolve, oltre che nel depauperamento del patrimonio sociale e nel conseguente abbattimento del valore delle partecipazioni dei soci (in particolare, di quelli di minoranza), in un danno per i soggetti
che, come l’amministratore del caso di specie, vantano un
credito nei confronti della società e non possono più essere
pagati o, quanto meno, non possono essere pagati per intero.
Direttore Responsabile: Michela DAMASCO
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