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Usufrutto nelle società
Abuso
L’abuso dell’usufruttuario nel
diritto commerciale
di Riccardo Bencini
Viene affrontato il tema dell’abuso dell’usufruttuario nel diritto commerciale muovendo l’analisi
dalle origini dell’istituto dell’usufrutto, con una messa a fuoco dei rimedi previsti dall’art. 1015
c.c. Dopo aver segnalato i tratti marcanti dell’abuso dell’usufruttario nel diritto civile, questo viene esaminato sotto l’angolatura dell’azienda e delle società, con un richiamo finale alle imprese
a base familiare.
Qualche cenno storico
L’usufrutto è creazione della giurisprudenza romana.
Trae verosimilmente origine all’inizio del periodo
preclassico per opera dell’interpretatio dei giuristi,
convalidata dalla consuetudine e dai giudici (1).
Secondo la nota definizione del giureconsulto Paolo, poi ripetuta nelle Istituzioni giustinianee, è il
diritto di usare e godere beni altrui, salvaguardando
la loro sostanza (2). Il c.d. dominus proprietatis conservava la facoltà di disporre della cosa ed era tenuto ad evitare ogni atto che potesse menomare il
godimento del c.d. usufructuarius.
Nel diritto romano il trattamento di questa nuova
figura nei modi di acquisto, di estinzione e di difesa
giudiziaria era modellato su quello delle servitù,
primogenite fra gli iura in re aliena (3). Mancava
invece ogni riferimento alla sanzione della cessazione dell’usufrutto a causa dell’“abuso” compiuto a
danno del nudo proprietario (4).
(1) G. Pugliese, Usufrutto (dir. rom.), in Noviss. Dig. it., XX,
1975, 316; Id., Istituzioni di diritto romano, Torino, 1994, 354;
G. Grosso, Usufrutto e figure affini nel diritto romano, Torino,
1958, 15. Ricorda N. Scapini, Usufrutto (dir. rom.), in Enc. dir.,
Milano, 1992, XLV, 1008, che un punto di riferimento che consentirebbe di collocare l’origine storica dell’usufrutto al II secolo a.C. è rappresentato dalla disputa tra Manilio e Scevola da
una parte, e Bruto dall’altra, sulla questione se i parti della
schiava potessero considerarsi frutti. Sempre sotto un profilo
storico, giova rammentare che l’istituto veniva utilizzato in funzione di tutela della moglie dopo la morte del coniuge. Non
partecipando difatti la moglie alla successione del marito, le
veniva comunque assicurato un adeguato tenore di vita mediante la concessione in godimento di certi beni o dell’intero
patrimonio; con piena salvaguardia della posizione dei figli che
mantenevano la proprietà di quanto ereditato. Sul tema, cfr. R.
De Ruggiero, Usufrutto e diritti affini (c.d. servitù personali), Na-
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Questa modalità di estinzione ha trovato espressa
previsione soltanto nell’art. 618 del Codice Napoleone (5). Disposizione poi recepita dall’art. 516
del Codice civile del 1865 ed infine traslata nell’art. 1015 del Codice civile del 1942 il cui primo
comma, prevede appunto che: “l’usufrutto può anche cessare per l’abuso che faccia l’usufruttuario
del suo diritto alienando i beni o deteriorandoli o
lasciandoli andare in perimento per mancanza di
ordinarie riparazioni”.
L’abuso dell’usufruttuario: caratteristiche
essenziali
L’abuso perpetrato dall’usufruttuario determina
dunque l’estinzione dell’usufrutto. Trattasi di una
sanzione che viene disposta dall’autorità giudiziaria, a seguito della valutazione della condotta dell’usufruttario, con sentenza avente natura costitutiva (6). E può avere ad oggetto anche soltanto una
poli, 1913, 59; P. Bonfante, Corso di diritto romano, III, Diritti
reali, Roma, 1933, 59; M. Bretone, La nozione romana di usufrutto, I, Dalle origini a Diocleziano, Napoli, 1962, 20.
(2) Paul in D., 7, 1, 1: “usus fructus est ius alienis rebus utenti fruendi salva rerum substantia”.
(3) V. Arangio-Ruiz, Istituzioni di diritto romano, Napoli,
1994, 238.
(4) G. Venezian, Dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione, Torino, 1931, 60.
(5) Sull’evoluzione normativa dell’abuso dell’usufruttuario
cfr. T. Carnacini, Sull’abuso dell’usufruttuario, in Riv. trim. dir.
proc. civ., 1978, 466.
(6) Ricorda L. Luchini, Abuso dell’usufruttuario e responsabilità extracontrattuale, in Resp. civ. prev., 1998, 213 che, prendendo la sentenza effetto dal giorno della domanda, “l’usufruttuario è tenuto a restituire i frutti naturali e civili percepiti dopo
tale giorno. Per impedire che nel periodo intermedio tra la do-
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parte dei beni concessi in usufrutto se sugli altri
non si sono verificati gli abusi (7).
Il legislatore non specifica gli atti di uso e di godimento cui l’usufruttuario è abilitato, limitandosi a
prevedere ciò che egli non deve fare.
Se l’abuso, in linea generale ed in estrema sintesi,
rappresenta l’esercizio di un diritto o di un potere
oltre i limiti stabiliti dalla legge ovvero in contrasto con il suo scopo originario, nell’àmbito dell’usufrutto si sostanzia in una condotta antigiuridica
dell’usufruttuario che lede l’interesse del nudo proprietario (8).
Più in particolare, l’atto determinante l’abuso deve
essere compiuto personalmente dall’usufruttario (9), con dolo o con colpa, ovvero da colui che
gli si è sostituito nel godimento (10).
Non rileva, inoltre, una situazione di mero pericolo (11) posto che l’atto abusivo deve causare un
grave danno alla proprietà (12), da intendersi per
tale quello non facilmente riparabile.
Non rileva, infine, una trasgressione unica e isolata
dovendo essere la condotta dell’usufruttuario ripetuta ovvero protratta nel tempo (13).
In breve, si configura una condotta abusiva quando
il diritto dell’usufruttuario è esercitato in modo
non più coerente agli scopi per i quali quel medesimo diritto è stato costituito dal nudo proprietario.
Conseguentemente, il comportamento abusivo dell’usufruttario viene sanzionato dal legislatore mediante la previsione di misure correttive di intensità variabile (secondo comma dello stesso art. 1015
c.c.) che culminano, appunto, nella cessazione meglio qualificata come decadenza - dell’usufrutto.
La decadenza dell’usufrutto per abuso
manda e la sentenza l’usufruttuario possa persistere negli abusi, aggravando il danno del nudo proprietario, è concepibile
che questi ottenga un sequestro giudiziario”. A sostegno di tale impostazione viene richiamata la decisione della Cass 26
giugno 1923, in Giur. it., 1923, I, 660.
(7) Così F. De Martino, Usufrutto, in Commentario ScialojaBranca, Bologna-Roma, 1961, 339.
(8) La letteratura sull’abuso del diritto è vasta. In argomento, autorevolmente, cfr. M. Rotondi, L’abuso del diritto, in Riv.
dir. civ., 1923, 105; U. Natoli, Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento giuridico, in Riv. trim. dir.
proc. civ., 1958, 18; P. Rescigno, L’abuso del diritto, in Riv. dir.
civ., 1965, 205; Id., Manuale del diritto privato italiano, Napoli,
1977, n. 61, 241. Più di recente, cfr. il fasc. n. 20 di NDS,
2014; A. Gentili, Il diritto come discorso, Milano, 2013, 401.
(9) A. Quaranta - R. Preden, Superficie, enfiteusi, usufrutto,
uso e abitazione, nel Commentario teorico-pratico al codice civile, diretto da De Martino, Novara, 1982, 17. In giurisprudenza,
Cass. 18 giugno 1971, n. 1878.
(10) Ricorda F. De Martino, Dell’usufrutto, cit., 339 che anche in questo caso occorre la colpa dell’usufruttuario. Da
escludere è invece la sua responsabilità per le colpe dei suoi
amministratori legali.
(11) Sul punto cfr. L.M.A. Di Cesare, Gli abusi dell’usufruttuario, in Vita not., 1991, 785; D. Barbero, L’usufrutto ed i diritti
affini, Milano, 1952, 526. In giurisprudenza, v. App. Genova 26
febbraio 1881, in Foro it., 1881, I, 637.
(12) Cfr. Trib. Nocera 6 aprile 2012, in Plurisonline.
(13) V. L. Bigliazzi Geri - U. Breccia - F. D. Busnelli - U. Natoli, Istituzioni di diritto civile, Genova, 1978, 275.
(14) V. T. Carnacini, Sull’abuso dell’usufruttuario, cit., 468
ove osservato che tale condotta è ritenuta “di gran lunga la
più grave giacché, per essere illecito, deve riguardare anche la
nuda proprietà ed implicare quindi il tentativo dell’usufruttuario di sottrarla al suo legittimo titolare”.
(15) Per L.M.A. Di Cesare, Gli abusi dell’usufruttuario, cit.,
786, rientrano in tale ipotesi anche la donazione, la permuta,
la datio in solutum, il conferimento.
(16) Ampia è la casistica giurisprudenziale: Cass. 18 giugno
1971, n. 1878; Cass. 19 maggio 1956, n. 1721; App. Cagliari 6
aprile 1962, in Rass. giur. sarda, 1962, 405; Trib. Brescia 29
marzo 1954, in Giur. it., 1954, 800. Più recentemente, Trib.
Reggia Emilia 9 gennaio 2004, in www.giuraemilia.it. A titolo
meramente esemplificativo: spaccare la legna da ardere direttamente in cucina danneggiando l’immobile; tagliare alberi di
alto fusto non destinati alla produzione di legna; lasciare inaridire terreni arborati e piante fruttifere…
(17) App. Firenze 10 dicembre 1957, in Giur. tosc., 1958,
32.
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Come anticipato, il primo comma dell’art. 1015
c.c. individua tre atteggiamenti dell’usufruttuario
che determinano il medesimo effetto.
La cessazione dell’usufrutto per abuso si verifica
cioè quando l’usufruttuario: i) aliena il bene; ii) deteriora il bene; iii) omette di eseguire le ordinarie
riparazioni così da far andare in perimento il bene.
La prima ipotesi è ritenuta la più grave (14) in
quanto l’usufruttuario compie, in modo ingiustificato, un atto traslativo (15) pur non essendo proprietario.
Nel secondo caso l’usufruttario peggiora ovvero riduce in cattivo stato (16) il bene, il quale perde
giocoforza valore. Al termine dell’usufrutto, il proprietario si vede restituire beni inutilizzabili oppure
danneggiati al punto tale da richiedere, per ripristinare la loro condizione di efficienza, una gravosa
attività.
Nella terza ed ultima ipotesi il perimento del bene
è conseguenza diretta della mancata riparazione ordinaria da parte dell’usufruttuario (17). La definizione di riparazione ordinaria si ricava in negativo,
essendo cioè il suo contenuto rappresentato da
quanto non ricade nella sfera della riparazione c.d.
straordinaria, che spetta al solo nudo proprietario.
Intendendosi come tale la riparazione non prevedibile a breve o medio termine, che impatta sulle
parti essenziali del bene e che presenta un costo
sproporzionato rispetto al reddito normale prodotto
dallo stesso.
Le ipotesi appena descritte previste dal primo comma dell’art. 1015 c.c., per unanime dottrina e co-
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stante giurisprudenza (18), non sono tassative. Per
cui le corti ritengono che anche l’arbitrario mutamento, da parte dell’usufruttario, della destinazione
economica del bene costituisca un gravissimo abuso (19) da sanzionare mediante l’estinzione dell’usufrutto.
I rimedi minori
Il secondo comma dell’art. 1015 c.c. enuclea, invece, una gamma di cc.dd. rimedi minori, alternativi
alla decadenza, da applicare in presenza di comportamenti dell’usufruttuario ritenuti dal giudice non
particolarmente gravi. Si tratta di quattro misure
che la Corte di legittimità (20) ha definito “cautelari” poiché a tutela preventiva del diritto del nudo
proprietario, essendo prive del carattere repressivo
e sanzionatorio proprio della cessazione dell’usufrutto.
In dettaglio, l’autorità giudiziaria ha il potere di: a)
imporre all’usufruttuario di prestare garanzia (21);
b) ordinare all’usufruttuario di locare il bene (22);
c) ordinare all’usufruttuario di porre il bene sotto
l’amministrazione di un terzo (23); d) attribuire il
possesso del bene al nudo proprietario con l’obbligo di pagare all’usufruttuario, annualmente, una
somma determinata (24).
Il magistrato è chiamato a valutare la misura da
adottare “secondo le circostanze”. Nell’ambìto della propria discrezionalità di valutazione, il giudice
deve considerare lo stato del bene all’inizio e du(18) L. Bigliazzi Geri, Usufrutto, uso e abitazione, in Trattato
dir. civ. e comm., diretto da A. Cicu - F. Messineo - L. Mengoni, Milano, 1979, XI, 1;F. De Martino, Usufrutto, cit., 311; G.
Pugliese, Usufrutto, uso e abitazione, in Trattato dir. civ., diretto
da F. Vassalli, Torino, 1956, IV, 591. Per la giurisprudenza, v.
Cass. 27 marzo 1970, n. 854; Cass. 12 ottobre 1958, n. 3230.
(19) Cfr. Cass. 22 ottobre 1958, n. 3400 che ha dichiarato
vietata la sostituzione di una piantagione all’altra se essa importa l’esercizio di una diversa attività economica. V. Cass. 19
maggio 1956, n. 1721; App. Bari 9 febbraio 1954, in Foro it.,
rep. 1954, voce Usufrutto, nn. 16-18; Cass. 30 luglio 1951, n.
2258 ove stabilito che l’usufruttario non può aprire nuove cave
o nuove torbiere, mentre può eseguire nuovi scavi poiché con
essi non altera la destinazione economica.
(20) Così Cass. 18 giugno 1971, n. 1878. Negli stessi termini v. Cass. 2 marzo 1976, n. 699.
(21) Rimedio conosciuto nel diritto romano: la c.d. cautio
fructuaria introdotta in età repubblicana.
(22) V. Trib. Milano 29 settembre 2005, in Imm. e prop.,
2006, 53.
(23) L’art. 529 del Codice civile per il Regno di Sardegna
promulgato nel 1837 così prevedeva: “beni sieno dati in affitto,
o anche provvedere, occorrendo il caso, perché sieno messi
sotto mano d’economo, salvo il godimento dell’usufrutto a chi
spetta”. Sul piano del diritto commerciale, il pensiero corre al
controllo giudiziario di cui all’art. 2409 c.c. in virtù del quale il
Tribunale, a seguito di apposita denuncia ed in presenza di ac-
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rante l’usufrutto, le sue caratteristiche e le capacità
produttive, nonché la gravità dell’evento dannoso.
Vale qui osservare che nel caso in cui venga ordinato di dare il bene in locazione ovvero di metterlo sotto l’amministrazione di un terzo, il possesso
prosegue in capo all’usufruttario, seppur intermediato dalla detenzione del conduttore o dell’amministratore (25).
Si tratta, come anticipato, di misure da applicarsi
alternativamente alla più grave sanzione della decadenza; senza però alcuna preclusione per il nudo
proprietario di rivolgersi nuovamente al giudice
qualora il rimedio in precedenza disposto si sia rivelato insufficiente a causa di una persistente condotta abusiva dell’usufruttuario (26). Vi è, al riguardo, chi sostiene (27) che l’intenzionalità del
comportamento lesivo dell’usufruttuario dovrebbe
comportare, anche in presenza di situazioni oggettivamente non gravi ma ripetute nel tempo, la sanzione della decadenza dell’usufrutto. Resta comunque inteso che l’applicazione dei cc.dd. rimedi minori non esclude la possibilità di ottenere, ai sensi
dell’art. 2043 c.c. ed eventualmente in via equitativa, il risarcimento del danno sofferto dal nudo
proprietario (28).
L’abuso dell’usufruttuario d’azienda
Le riflessioni appena svolte intorno ai primi due
commi dell’art. 1015 c.c. consentono di meglio focalizzare l’abuso dell’usufruttuario nell’àmbito del
diritto commerciale.
certate gravi irregolarità gestionali, dispone la nomina di un
amministratore giudiziario. Sul tema, si vis, cfr. R. Bencini, I
sindaci tra denuncia di gravi irregolarità ed azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, in R. Alessi - N. Abriani U. Morera, Il Collegio Sindacale. Le nuove regole, Milano,
2007, 471.
(24) Si verifica così una trasformazione dell’usufrutto in rendita, con un debito di valore a carico del nudo proprietario. Sul
punto v. Cass. 16 maggio 1946, n. 598.
(25) Così L. Bigliazzi Geri - U. Breccia - F.D. Busnelli - U.
Natoli, Diritto civile, Diritti reali, Torino, 2003, 220.
(26) Rimane ferma la possibilità di agire anche in sede cautelare con ricorso ex art. 700 c.p.c. Sul punto, cfr. L. Montesano, I provvedimenti d’urgenza nel processo civile, Napoli, 1955,
59.
(27) L. Bigliazzi Geri, Usufrutto, uso e abitazione, Milano,
1979, 275.
(28) L.M.A. Di Cesare, Gli abusi dell’usufruttuario, cit. 790,
evidenzia che, in presenza della sanzione della decadenza, è
dibattuta in dottrina la possibilità di cumulare la richiesta di risarcimento del danno. Considerato l’arricchimento che deriva
al proprietario per l’anticipata estinzione dell’usufrutto, è ragionevole ritenere, ad avviso dell’A., che il risarcimento possa trovare ingresso soltanto nell’ipotesi in cui il vantaggio di cui profitta il proprietario dalla decadenza appaia in qualche modo insufficiente a riparare il danno.
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L’art. 2561 c.c., dedicato all’usufrutto d’azienda, richiama difatti l’art. 1015 c.c. che opera qualora l’usufruttuario violi gli obblighi di: i) esercitare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue; ii)
non modificare la destinazione dell’azienda; iii)
conservare l’azienda; iv) gestire l’azienda.
I primi tre obblighi rappresentano evidenti limitazioni all’operato dell’usufruttario il quale è vincolato a conservare l’identità dell’azienda proseguendola - al fine di salvaguardarne l’avviamento
- sotto la ditta del nudo proprietario, senza modificare, al contempo, il tipo di attività economica
che la contraddistingue. All’usufruttuario viene
però riconosciuto dal legislatore un amplissimo
potere di gestione, analogo a quello che spetta al
titolare dell’azienda, assumendo egli stesso la qualifica di imprenditore, con le conseguenti responsabilità.
Nel potere di gestione dell’azienda si riscontra,
allora, il primo radicale cambiamento di prospettiva rispetto alla disciplina dell’usufrutto ordinario modellato, come noto, sulla proprietà immobiliare. L’obbligo, in capo all’usufruttuario comune, di conservazione statica dell’identità fisica
del bene si traduce difatti, nel diritto commerciale, in un “illecito” ponendosi in contrasto con
la gestione dinamica dell’azienda, destinata, altrimenti, ad essere “tagliata fuori dal Mercato” (29).
In altri termini, l’usufruttuario, dal momento che
deve mantenere l’azienda in costante funzione, potrebbe dirsi “costretto” a svolgere l’attività gestoria.
Si tratta di un obbligo di fare indispensabile per garantire l’attitudine produttiva dell’impresa. Non vi
è dunque altra libertà per l’usufruttuario se non
quella di scegliere le effettive modalità di esercizio
del potere di gestione.
In quest’ottica è agevole comprendere anche il
connesso obbligo in capo all’usufruttuario, previsto dal comma secondo dell’art. 2561 c.c., di
“conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli
impianti e le normali dotazioni di scorte”. L’usufruttuario che opera in questo modo consente all’impresa di essere permanentemente idonea a
(29) In questi termini F. Martorano, L’usufrutto d’azienda:
poteri e obblighi dell’usufruttuario, in V. Buonocore (a cura di),
Manuale di diritto commerciale, Torino, 2005, 525.
(30) V. App. Bologna 24 febbraio 1949, in Foro it., 1950,
351 che considera abuso il fatto di non aver mantenuto le
scorte di un’azienda. V. anche Trib. Verona 28 maggio 1949, in
Mon. trib. 1950, 72.
(31) Il dibattito concernente la distinzione fra capitale fisso
(immobili, impianti) e capitale circolante (scorte e prodotti finiti) è da ritenersi ormai superato visto l’ampio potere di aliena-
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fronteggiare la domanda del mercato, rendendola
competitiva, nel pieno rispetto delle esigenze del
nudo proprietario.
L’inosservanza degli obblighi di conservazione e di
gestione integra, come osservato, un abuso (30) da
punirsi ai sensi dell’art. 1015 c.c.
Detti obblighi sono, a loro volta, strettamente
connessi al potere di disposizione (31) dei beni
che formano l’impresa. Nel dinamico contesto in
cui viene ad operare, l’usufruttario è libero di
alienare, in modo discrezionale, i singoli beni, sostituendoli con altri: ciò, beninteso, a presidio
dell’interesse aziendale. Sovente, a seguito soprattutto degli sviluppi tecnologici, non sono sufficienti a mantenere in efficienza l’azienda le semplici riparazioni dei macchinari ed i parziali ammodernamenti degli impianti: è, invece, necessario intervenire mediante radicali sostituzioni degli stessi.
Al fine, però, di evitare di incorrere nell’abuso rappresentato dall’alienazione arbitraria del bene, l’usufruttuario è chiamato ad assumere una condotta
diligente, nel pieno rispetto del mantenimento della destinazione economica dell’azienda (32) e reintegrando ciò che viene, di volta in volta, alienato.
Pur nella consapevolezza che, al momento della
cessazione dell’usufrutto, rileva non tanto la restituzione di cose quanto quella di valori attraverso il
regolamento in denaro delle differenze tra le consistenze di inventario all’inizio ed al termine dello
stesso (33).
Gestione, conservazione e disposizione dei beni
rappresentano tre punti di una linea unitaria di
condotta dell’usufruttuario improntata alla salvaguardia dell’azienda del nudo proprietario ed all’accrescimento del suo valore.
L’abuso dell’usufruttuario di
partecipazioni sociali
Indubbiamente problematica è l’individuazione
dell’abuso dell’usufruttuario nelle società di persone atteso il vuoto normativo nel vigente codice civile.
zione riconosciuto all’usufruttuario, a condizione della reintegrazione del bene ceduto.
(32) L’espressione “senza modificarne la destinazione economica” va interpretata, osserva correttamente F. Martorano,
L’usufrutto d’azienda: poteri e obblighi dell’usufruttuario, cit.,
525, come allusiva di un cambiamento qualitativo dell’oggetto
dell’attività, cioè dell’area di rischio (non ad un cambiamento
quantitativo).
(33) In questi termini F. Ferrara - F. Corsi, Gli imprenditori e
le società, Milano, 2006, 152.
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Ancora oggi è discussa in dottrina ed in giurisprudenza la natura giuridica della quota di società di
persone (34) e, conseguentemente, la possibilità di
attribuire o meno la qualifica di socio all’usufruttuario (35).
Soltanto sulla costituzione del diritto di usufrutto
vi è unanimità di pensiero: non è reputato sufficiente l’accordo tra socio proprietario e usufruttuario poiché, trattandosi di una modificazione del
contratto sociale, è ritenuto necessario il consenso
di tutti i soci.
Secondo parte della dottrina l’usufrutto su una
quota di società di persone si risolverebbe nell’usufrutto parziario d’azienda (36). In quest’ottica, poiché all’usufruttuario d’azienda incombe l’obbligo di
gestione, viene sostenuto che, allo stesso modo, all’usufruttario di una quota di società di persone
spetterebbe il potere di amministrare la società.
Potrebbe così applicarsi, in via analogica, l’art.
2561 c.c. Questa tesi non appare, tuttavia, esente
da critiche (37) sol considerando ora l’autonomia
soggettiva delle società di persone che escluderebbe la presenza di patrimoni separati in comunione
fra i soci, ora la mancanza di un riferimento normativo che estenda i poteri gestori dell’usufruttuario dalla singola quota all’intera società. Spostandoci sul piano delle società di capitali l’istituto dell’usufrutto forma invece oggetto di una espressa
previsione: stabilisce infatti il legislatore nell’art.
2352 c.c. (richiamato per la S.r.l. dall’art. 2471 bis
c.c.) che l’esercizio del diritto di voto spetta, di regola, all’usufruttario (38).
La Corte di Cassazione ha da tempo chiarito che
l’usufruttario quando vota esercita un diritto suo
proprio e non in nome e per conto del nudo proprietario (39). L’abuso non può quindi desumersi
dal solo discostarsi del voto dai desiderata di quest’ultimo (40).
L’esercizio del diritto di voto non può tuttavia prescindere dal rispetto del principio di buona fede e
correttezza, nonché dall’osservanza degli obblighi
dell’usufruttuario vuoi di godere della cosa usando
la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1001
c.c.), vuoi di salvaguardare la destinazione economica del bene (art. 981 c.c.) (41).
É ormai assodato che gli effetti della condotta abusiva sono circoscritti ai soli rapporti interni fra proprietario e usufruttuario, sicché la deliberazione assunta col voto determinante di quest’ultimo (42)
resta in ogni caso stabile e produttiva di effettivi.
Si può rintracciare un abuso ogniqualvolta il voto
sia utilizzato per scopi del tutto “egoistici”, che
non coincidono con l’interesse sociale, né con
quello del nudo proprietario. Si verifica, altresì,
un’ipotesi di abuso quando il voto viene esercitato
dall’usufruttuario in modo da compromettere tanto
la conservazione del valore economico della partecipazione sociale (43), quanto l’attività gestoria al
(34) Per una panoramica sulla natura delle quote di società
di persone, v. A. Pagliani, Usufrutto su quota di società personale: contrasti di opinione, in questa Rivista, 1997, 928; A Ruggeri Cannata, Sull’ammissibilità dell’usufrutto di quota di società
personali, in Vita not., 1998, 857. Più recentemente, G. Cottino
- M. Sarale - R. Weigmann, Società di persone e consorzi, in
Trattato di dir. comm., diretto da Cottino, Padova, 2004, 240; F.
Tassinari - A. Candini, L’usufrutto di partecipazioni sociali, in
A.A.V.V., Trattato Società di persone, a cura di Preite - Busi, Milano, 2015, 2461 ss. Per la giurisprudenza, cfr. Cass. 3 novembre 1989, n. 4603; Trib. Trento 6 settembre 1996, in Giur.
comm., 1999, 189; Cass. 30 gennaio 1997, n. 934; Cass. 2 febbraio 2009, n. 2569.
(35) Sostengono che l’usufruttuario non sarebbe socio di
società di persone, essendo riservata tale qualifica al nudo
proprietario: Trib. Bologna 24 aprile 2001, in questa Rivista,
2002, 497; Trib. Parma 19 gennaio 1998, in Giur. it., 1998,
1199; Trib. Firenze 26 gennaio 1959 in Giur. tosc., 1959, 760.
In dottrina v. A. Asquini, Usufrutto su quote sociali e di azioni,
in Scritti Giuridici, III, Padova, 1961, 193. Contra, Cass. 12 settembre 1970, n. 1401. In dottrina, F. Gradassi, Pegno, usufrutto, affitto, sequestro e pignoramento di quote di società in nome
collettivo, in Contr. e impr., 1992, 1126.
(36) M. Ghidini, Società Personali, Padova, 1972, 204. In
giurisprudenza, Trib. Parma 19 gennaio 1998, cit., 1999.
(37) Sul punto, cfr. E. Timpano, Questioni in tema di usufrutto su quote di società di persone, in Riv. not., 2009, 1593.
(38) In ordine all’esercizio del diritto di voto di azioni in usufrutto, in giurisprudenza cfr. Trib. Saluzzo 28 giugno 2000, in
Gius, 2001, 258; App. Bologna 30 ottobre 1993 in Gius, 1994,
3, 127. In dottrina, recentemente, cfr. Briolini, sub art. 2352
c.c. in Delle società - dell’azienda, della concorrenza, a cura di
D.U. Santosuosso, in Commentario del codice civile, diretto da
E. Gabrielli, Milano, 2015, 951; Id, sub art. 2352 c.c. in Le Società per azioni, Codice civile e norme complementari, diretto
da P. Abbadessa - G.B. Portale, a cura di M. Campobasso - V.
Cariello - U. Tombari, Milano, 2016, 601 ss. ove richiamata amplissima bibliografia in materia.
(39) Cfr. Cass. 26 maggio 2000, n. 6957.
(40) V. Trib. Bologna 12 luglio 2001, in questa Rivista, 2002,
592.
(41) Contra A. Angrisani, Il mancato rispetto della destinazione economica del bene concesso in usufrutto: l’abuso del diritto
e la sua decadenza, in www.comparazionedirittocivile.it, il quale
ritiene che “l’usufrutto di un bene particolare come l’azienda a differenza delle altre fattispecie - contiene anche la facoltà di
cambiarne la destinazione economica, a condizione, però, che
la stessa venga esercitata per soddisfare l’interesse tipico di
tale ultimo diritto, ovvero quello di gestire un’attività per sua
natura produttiva e dinamica”.
(42) V. App. Bologna 30 ottobre 1993, in Gius, 1994, 127,
secondo cui l’abuso commesso dall’usufruttuario in sede di
esercizio del diritto di voto rileva esclusivamente nei rapporti
inter partes, mentre, nei confronti della società, rimane del tutto irrilevante.
(43) V. Cass. 19 agosto 1996 n. 7619 ove è statuito che il
diritto di voto nell’assemblea di società a responsabilità limitata spetta, per le quote concesse in usufrutto, all’usufruttario, il
quale però non deve votare in modo da compromettere il valore economico della partecipazione nella società: in caso contrario, il voto espresso è valido, ma egli risponde dei danni e
l’usufrutto può estinguersi per l’abuso. Nello stesso senso,
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Usufrutto nelle società
La temporaneità contraddistingue il funzionamento
dell’istituto dell’usufrutto attribuendosi, in capo a
due soggetti distinti, l’utilizzo del bene e la sua proprietà. Ed è proprio il tempo, pensato quale “dimensione del comportamento” (46), a costituire
sovente la principale causa di conflittualità fra nudo proprietario ed usufruttuario. Nelle società a base familiare il ricorso all’istituto dell’usufrutto rappresenta, solitamente, un tentativo di programmare
il passaggio generazionale d’impresa dal fondatore
ai suoi successori (47). Per questi ultimi, che di regola rivestono il ruolo di nudi proprietari, il tempo
sembra scorrere troppo lentamente se costretti ad
assistere, spesso per decenni, ad una gestione condotta dal genitore-usufruttuario per lo più in via
esclusiva e non condivisa.
Come confermato anche dalle più recenti evidenze (48) l’imprenditore preferisce difatti procrastinare il momento del passaggio del governo societario
riservandosi, sino a tarda età, la carica di amministratore unico oppure nominando nel consiglio di
amministrazione membri di sua assoluta fiducia,
così da assumere, a livello numerico, un peso determinante sulla bilancia decisionale.
I dissidi fra i familiari nudi proprietari (figli o nipoti) e usufruttuario (il fondatore dell’impresa) traggono origine da una diversa interpretazione del fascio di diritti, poteri e doveri loro spettanti e si manifestano principalmente in sede di programmazione ed attuazione delle scelte di indirizzo dell’azienda. Conflittualità questa multiforme e continua
che tende ad accentuarsi soprattutto se emerge una
situazione di grave crisi dell’impresa che spinge i
suoi gestori ad assumere rischi anche anomali, a
volte finanche irragionevoli (49). In questo conte-
Cass. 26 maggio 2000, n. 6957. In dottrina, osserva efficacemente F. Ferrara - F. Corsi, Gli imprenditori e le società, cit.,
442, che “non può ammettersi che l’usufruttario od il creditore
pignoratizio del pacchetto azionario possano impunemente
deliberare il mutamento dell’oggetto o la trasformazione della
società. L’inattaccabilità del voto non esclude la responsabilità
dell’usufruttario per inosservanza dell’obbligo di mantenere
salva rerum substantia”.
(44) V. Trib. Marsala 21 luglio 2005, in questa Rivista, 2006,
1023, che configura abuso di usufrutto di quote sociali il contributo causale e consapevole ad una situazione di paralisi dell’assemblea ritenendo tale condotta eziologicamente in grado
di determinare una causa di scioglimento della società e il conseguente venir meno del bene quota concesso in usufrutto.
(45) Contrasti fra nudo proprietario e usufruttuario potrebbero emergere in relazione all’esercizio del diritto: i) all’impugnativa delle delibere assembleari (la legittimazione spetta, in
riferimento all’ipotesi di annullabilità della delibera, al solo usufruttuario per Trib. Messina 28 dicembre 1985 in Foro it., 1987,
I, 602; spetta all’usufruttuario ed al nudo proprietario in ipotesi
di nullità della delibera per Trib. Milano, 10 aprile 1989, in questa Rivista, 1989, 1050) o consiliari lesive dei diritti dei soci; ii)
di recesso; iii) di prendere visione del progetto di bilancio; iv) di
denunciare le gravi irregolarità degli amministratori; v) di prendere visione della documentazione informativa inerente ad
operazioni straordinarie; vi) di nominare il liquidatore. Sui questi aspetti, cfr., autorevolmente, G. Niccolini, Interessi pubblici
e interessi privati nella estinzione delle società, Milano, 1990,
491.
(46) L’espressione è di P. Spada il quale nelle Conclusioni
alla Giornata di Studio del 20 aprile 1999, tenutasi in Macerata, dal titolo “La rilevanza del tempo nel diritto commerciale”,
156, i cui atti sono stati raccolti a cura di U. Morera - G. Olivieri
- M. Stella Richter jr, Milano, 2000, 185, ricorda che: “il tempo
può essere utilmente pensato come una dimensione del comportamento: se è vero, come è vero, che l’esperienza giuridica
è esperienza di comportamenti regolati, il tempo è per essa rilevante nella misura nella quale esso sia dimensione dell’iner-
zia o dell’azione e dunque di stati del comportamento individuale”.
(47) In ottica di passaggio generazionale d’impresa, l’istituto dell’usufrutto viene ancora oggi di gran lunga preferito rispetto al patto di famiglia per l’impresa, introdotto con L. n. 55
del 14 febbraio 2006 e disciplinato dagli artt. 768 bis ss. c.c.
Da una disamina dei dati forniti dal Ministero della Giustizia
nel periodo 1° gennaio-31 marzo 2015 emergono soltanto n.
104 procedimenti di mediazione in tema di patti di famiglia per
l’impresa, di cui n. 30 definiti. Sul punto, cfr. B.L. Mazzei, Mediazione per “taglie” piccole, in Lex 24 del 24 agosto 2015, 4.
(48) Cfr. G. Riva, Agrati, multinazionale familiare per i bulloni
hi tech della Giulia, in Repubblica, Affari e Finanza, 18 gennaio
2016, ove si legge che “a inizio settembre il 98enne presidente, Luigi Agrati, ha lasciato l’incarico al nipote per andare a ricoprire la carica di presidente onorario”.N. Abriani, in Diritto
societario e successione d’impresa: alcune riflessioni conclusive,
in A. Bucelli - R. Bencini (a cura di), Imprese a base familiare.
Strumenti di successione, in www.personaemercato.it, 2015,
95, ricorda l’amara considerazione del Maestro Berardino Libonati: “in Italia gli imprenditori sono soliti pensare alla successione generazionale un istante prima dell’estrema unzione;
talora un istante dopo: per scaramanzia”. Non a caso osservava G. Bocca, Innocenti: come si uccide una fabbrica, in Repubblica, 14 gennaio 1976, 7: “Luigi Innocenti conferma la regola
che nelle imprese familiari si deve saltare la seconda generazione, quella del complesso paterno”.
(49) A. Zoppini, Emersione della crisi e doveri degli amministratori (spunti dalla teoria dell’emerging insolvency), in Orizzonti di dir. com., 2014, 37, ricorda che, in tale situazione, “si
determina una distorsione del rapporto tra principal e agent, sì
che l’esistenza di un fallimento - in termini giuseconomici non solo nel contratto di società, ma anche nel contratto con i
creditori, giustifica l’interrogativo in ordine alla necessità di un
correttivo. Proprio perché si determina una situazione nella
quale la discrezionalità di chi agisce non può essere disciplinata ex ante, il modello di correzione postula in capo all’agent doveri ulteriori rispetto a quelli iscritti nel contratto. Ciò, tipica-
punto da provocare la messa in liquidazione della
società (44).
Anche in ordine all’esercizio dei cc.dd. diritti amministrativi minori (45) - attribuito in via disgiunta dal comma sesto dell’art. 2352 c.c. al socio ed
all’usufruttuario - potrebbe configurarsi un abuso,
sottoposto alle sanzioni stabilite dall’art. 1015 c.c.
La rilevanza del tempo nel conflitto fra
usufruttuario e nudo proprietario nelle
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Usufrutto nelle società
sto, ormai sempre più frequente nella realtà odierna, si denota un comportamento dell’usufruttarioamministratore orientato - nell’ottica appunto di
consentire la sopravvivenza dell’impresa da lui stessa fondata - ad assumere iniziative economiche
molto rischiose, con una elevata probabilità di ritorno negativo; il tutto a scapito dei soci nudi proprietari che appaiono spesso recalcitranti a dar fondo alle personali risorse patrimoniali per far fronte
ai pur necessari aumenti di capitale; e ciò nonostante il pervicace desiderio di evitare il rischio di
fallimento per non veder dispersa la propria parte
di “eredità” societaria.
Dette opposte tendenze si sviluppano con virulenza
tale da trovare solitamente sfogo (e definizione)
nelle aule di giustizia (50). Da una disamina della
giurisprudenza che nell’ultimo decennio si è occupata di risolvere questo tipo di contenzioso è però
possibile osservare il frequente rigetto delle denunce depositate dai nudi proprietari sul presupposto
di un comportamento abusivo dell’usufruttuario.
Nella gran parte dei casi il lamentato abuso dell’usufruttuario nella società viene cioè ritenuto insussistente dall’autorità giudiziaria, affiorando al più
un “abuso di longevità” (51).
Al giudice della sezione specializzata in materia di
imprese è allora affidato il compito delicatissimo di
scandagliare, spesso in situazioni ove si discute della sopravvivenza dell’azienda, il reale comportamento dell’usufruttuario (52), sceverando i casi di
uso da quelli di abuso del diritto (53). Ed in sede di
decisione dovrà essere soppesato non soltanto l’interesse di ciascuna parte in conflitto ma anche
quello, da ritenersi primario, all’efficienza gestionale dell’impresa (54).
mente, pone il problema dell’insorgere di doveri fiduciari in capo agli amministratori”.
(50) Cfr., amplius, R. Bencini, La conflittualità nelle imprese a
base familiare, in A. Bucelli - R. Bencini (a cura di), Imprese a
base familiare. Strumenti di successione, cit., 80 ss.
(51) F. Galgano, Gli strumenti offerti dal nuovo diritto societario, in Contr. impresa, 2004, 227, ricorda che: “ho avuto ed ho
ancora in corso alcune esperienze di genitori che si ostinano a
non morire e di figli impazienti che attendono con ansia, ma
anche con malagrazia, il momento in cui si potrà finalmente
consolidare l’usufrutto”. Per la giurisprudenza, cfr. Trib. Bologna 6 dicembre 2000, in questa Rivista, 2001, 865.
(52) Si dovrebbe tenere a mente che l’usufrutto è, in sostanza, “un altro modo di possedere”. Queste le parole, a proposito di reliquie di assetti fondiari collettivi, di Carlo Cattaneo,
Su la bonificazione del Piano di Magadino a nome della Società
promotrice, ora in Bertolino (a cura di), Scritti economici, Firenze, 1956, 187: “[questi assetti collettivi della piana ticinese]
non sono abusi, non sono privilegi, non sono usurpazioni: è un
altro modo di possedere che, inosservato, discese da remotissimi secoli sino a noi”. L’espressione menzionata è posta ad
intitolazione del fondamentale studio monografico di P. Grossi,
Un altro modo di possedere. L’emersione di forme alternative di
proprietà alla coscienza giuridica postunitaria, Milano, 1977.
(53) Frequenti le ipotesi di inosservanza, da parte del fondatore-usufruttuario, delle formalità imposte dalla legge e dallo
statuto. Ricorda, al riguardo, A. Gentili, Il diritto come discorso,
cit., 471, che “anche chi con ragione ricorre all’abuso lo fa,
consapevole dello strappo alla legalità formale, per assicurare
il trionfo del diritto sostanziale. Ma, come ammoniva il dottor
Johnson, ci vuole prudenza, perché gli uomini ne sanno troppo poco dei rapporti tra le cause e gli effetti per potersi permettere di fare il male a fin di bene”.
(54) Segnala A. Toffoletto, Note minime a margine di Laudato sì, in questa Rivista, 2015, 1208 che, ad avviso del Pontefice, l’impresa deve essere “cellula feconda del sistema economico a condizione che i suoi obbiettivi non siano limitati al profitto e le modalità gestionali tengano conto degli effetti sul sistema e dei relativi costi”. Certo ciò presuppone, come ricorda
giustamente l’A., “un cambiamento culturale profondo in chi
assume ruoli di responsabilità nella conduzione delle imprese”.
In argomento, v. P. Montalenti, Interesse sociale, interesse di
gruppo e gestione dell’impresa nei gruppi di società, in La riforma del diritto societario dieci anni dopo, Milano 2015, 180.
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