DIVERSITA` CULTURALI E CITTADINANZA

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DIVERSITA` CULTURALI E CITTADINANZA
DIVERSITÀ CULTURALI E CITTADINANZA
Napoli - 3 giugno 2015
Testi a cura di Giacomo Arnaboldi
MARIA DONZELLI - Introduzione
Il concetto di cittadinanza nello spazio euro-mediterraneo e la sua relazione con la
diversità culturale sono i temi di riflessione di questo incongtro. Questi temi sono cruciali per
il momento storico che stiamo vivendo e per l’intreccio complicato e complesso tra le culture
e le idee di cittadinanza presenti, o non presenti, nei vari paesi del Mediterraneo.
Nel dibattito che segue focalizzeremo l’attenzione su alcune questioni che riguardano la
cittadinanza nello spazio euro-mediterraneo: esistono dei valori fondamentali comuni in
questo spazio? E, se esistono, come si articolano, talvolta con estrema difficoltà, con i valori
culturali e la storia di ogni paese della regione mediterranea?
Per discutere e tentare di dare qualche risposta a queste difficili questioni, abbiamo
invitato a questa tavola rotonda i rappresentanti di 5 paesi del Mediterraneo, che vivono,
ciascuno a suo modo, delle situazioni difficili, ma anche molto interessanti, sul terreno delle
diversità culturali e dell’affermazione dell’idea di cittadinanza e che provano, ciascuno
nell’ambito specifico proprio, di produrre delle azioni efficaci per la conoscenza reciproca di
queste diversità e di finalizzarle alla costruzione di una comunità di popoli in una regione
attualmente segnata da contraddizioni politico-economiche, conflitti, migrazioni di massa, ecc.
Vi presento brevemente i nostri ospiti : Fredj Maatoug, prof. di Storia alla Facoltà di
Scienze umane e sociali dell’Università di Tunisi, che ha una formazione in Storia delle
relazioni internazionali, conseguita in Francia, e col quale si è sviluppata nel tempo una lunga
ed efficace collaborazione intellettuale, oltre che una solida amicizia; Vicente Garcés, già
deputato al Parlamento europeo per la Spagna, coordinatore generale dell’Assemblea dei
cittadini del Mediterraneo, animatore e membro del suo Consiglio consultativo; Hassan AlBalawi, rappresentante della Palestina a Bruxelles e membro del Consiglio consultativo
dell’ACM; Nikolaos Poutziakas, prof. all’Università della Tessaglia – Grecia – attualmente
assessore al Consiglio regionale della Tessaglia e membro del Consiglio Consultativo dell’ACM;
Giuseppe Giliberti, prof. al Dipartimento di Studi giuridici dell’Università di Urbino, esperto di
relazioni euro-mediterranee e membro attivo dell’Euro-Mediterranean University (EMUNI),
in Slovenia, che, tra i suoi scopi principali ha la formulazione di programmi di studio e di
ricerca focalizzati sulle diversità culturali; Giuseppe Cataldi, prof. di Diritto internazionale
all’Università l’Orientale di Napoli, responsabile della sede napoletana dell’Istituto di studi
giuridici internazionali del CNR, direttore del Centro di Eccellenza Jean Monnet sui Diritti dei
Migranti nel Mediterraneo, titolare della cattedra Jean Monnet ad personam per la “Tutela dei
diritti umani nell’Unione Europea” e membro attivo dell’Emuni.
Vorrei fare qualche riflessione sul tema prescelto, porre alcune questioni agli amici qui
convenuti e indicare qualche percorso pratico intrapreso dall’Associazione Peripli e dal
circolo di Napoli dell’ACM in collaborazione con alcuni partner euro-mediterranei.
Credo sia necessario partire dalla realtà, dalla sua conoscenza e da una sua lettura non
superficiale, capace di assumere come riferimenti il tempo della storia, o delle storie, il cui
senso è l’evoluzione o flusso – origine, attualità, fine e nuove prospettive, in altri termini,
passato, presente e futuro - ; ma anche il tempo della creatività e dell’azione. Questo è il tempo
specifico delle culture nelle loro diverse espressioni: le arti, la poesia, la filosofia, la storia, le
scienze, le religioni, il diritto, ecc. Insomma i patrimoni molteplici delle culture mediterranee,
che bisogna fare rivivere attraverso l’accettazione della responsabilità della creatività
individuale e collettiva.
Tuttavia, malgrado la coscienza della centralità delle culture per la costruzione di una
comunità dei popoli in quest’area, non possiamo sottrarci alla constatazione di un
cambiamento molto rapido nelle società dei paesi mediterranei e della difficoltà dovuta alle
guerre in corso, alla transizione difficile dei paesi del Sud e dell’Est mediterranei, alla crisi
finanziaria ed economica che afflige i paesi della riva Nord, alla crisi politica generale, al
cambiamento dei rapporti di forza nel bacino mediterraneo, ma anche nel mondo – nel suo
complesso.
Insomma, il nostro mare è oggi condizionato dai fenomeni di crisi e di trasformazione
che caratterizzano la nostra epoca: sulla riva Nord del Mediterraneo – l’Europa mediterranea
– il dominio del capitale finanziario sulle politiche degli Stati, e la crisi economica, sociale e
politica che ne deriva, mettono in discussioe il progetto politico dell’Unione e la tenuta dei
valori culturali sui quali questo progetto è stato edificato; sulla riva Sud, i popoli dell’Africa del
Nord, dopo le rivolte e le lotte per provocare i cambiamenti necessari al recupero della loro
dignità di soggetti politici e sociali, vivono oggi dei processi di transizione molto complicati,
dovuti a molteplici fattori, tra i quali quello di natura culturale mi sembra centrale, poiché la
ricerca di uno sbocco democratico esige un livello alto e diffuso di istruzione, ed esige la
coscienza della propria storia, oltre che quella di una religione che non deve trasformarsi in
ideologia radicale; sulla riva Est del Mediterraneo, ai conflitti storici che si perpetuano e si
rinforzano – vedi quello tra la Palestina e Israele – si aggiunge la guerra in Siria e in Libano,
l’emergenza dell’ISIS e della guerra sanguinaria che esso provoca fino in Libia, la
destabilizzazione di tutta l’area del Medio Oriente, trasformato in terreno di guerra
permanente, la destabilizzazione di alcuni paesi dell’Africa sb-sahariana, ecc. Questa
situazione provoca anche dei flussi migratori senza precedenti e lo spostamento di masse
umane sottomesse alla criminalità organizzata e a un potere economico e politico locale e
internazionale non sempre trasparente. Sappiamo che una buona parte delle persone che si
spostano per tentare di sopravvivere, trovano la morte nel nostro mare, che è diventato un
“cimitero liquido”. Dunque noi assistiamo a una tragedian umana quotidiana senza precedenti.
Lo scenario evocato è complesso. Ma quali sono le conseguenze di questa situazione sul
piano culturale, sull’integrazione/interazione tra le culture nel Mediterraneo e
sull’affermazione d’una coscienza di cittadinanza pur nella diversità delle situazioni storiche
dei paesi impicati?
Indicherò qui di seguito solo qualche esempio dei problemi che complicano l’interazione
tra le culture e rendono ancora più difficile l’incontro, lo scambio, la cooperazione e la pratica
dell’interculturalità, che vorremmo realizzare come base solida di una cittadinanza cosciente
in ogni paese.
- Il patrimonio artistico. In questo settore, si constata la sparizione di una
buona parte del patrimonio artistico nelle zone di guerra e la volontà,
spratutto della parte più radicale della lotta islamica, di distruggere le
tracce della memoria storica e dell’interazione delle culture svoltasi nei
secoli. La sparizione di queste tracce ci addolora e ci coinvolge tutti, poiché
la conservazione di biblioteche, di musei, di parchi archeologici, di
documenti storici, ecc. dei paesi del Mediterraneo ci permette di
testimoniare l’esistenza di un patrimonio storico comune. D’altra parte, la
crisi economica e culturale dell’Europa investe anche il patrimonio artistico
dei paesi come l’Italia e la Grecia: molti monumenti crollano per la
mancanza di manutenzione (penso per es. a Pompei, e non solo). Anche qui
si tratta della disparizione di testimonianze della storia comune, senza
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contare quello delle storie locali, delle interazioni culturali del passato e
della collaborazione istituzionale e culturale del presente. La storia non è
un’opzione, ma il punto necessario di partenza dell’avvenire di ciascuno e
delle sue relazioni con gli altri.
Istruzione e Formazione. La diffusione dell’istruzione di base, soprattutto
nei paesi che aspirano a costruire forme democratiche di governo, legate,
ovviamente, alla storia e alle condizioni di ogni paese interessato, è uno dei
pilastri per costruire la coscienza di cittadinanza e per la partecipazione di
ogni cittadino alla gestione della cosa pubblica, compresa la consultazione
elettorale. L’istruzione superiore è un passo avanti per la realizzazione di
una società capace di divenire competitiva e di assumere le trasformazioni
tecnologiche della “società mondo”. La relazione tra la formazione e il
lavoro implica un progetto studiato di società. L’investimento delle risorse
economiche ed umane in questi settori sono l’indice della volontà politica
degli stati a creare le condizioni essenziali per uno sviluppo economico,
politico, sociale e culturale delle loro società.
Religioni. I rapporti tra le religioni, le culture e le società hanno subìto una
trasformazione importante dovuta alla perdita dell’idea stessa del “sacro”,
al declassamento della condizione umana, alla perdita del valore dell’uomo
in quanto tale e della sua vita, alla riduzione di ogni relazione umana al
mercato e al profitto, ecc. Oggi assistiamo alla trasformazione delle religioni
in ideologie sanguinarie, mentre gli uomini sembrano avere bisogno sempre
più di ritrovare il senso della loro esistenza, anche attraverso il messaggio
originario delle religioni di riferimento. Assistiamo alla cancellazione dei
rapporti tra le culture e le religioni e alla perdita da parte delle religioni
della loro spiritualità.
Il diritto. La centralità di questo settore per l’esistenza delle società è
incontestabile. Ogni tentativo di creare una comunità, una società,
un’associazione, ecc. passa attraverso l’assunzione delle regole, delle leggi,
cui tutti devono sottomettersi. L’uguaglianza di ogni persona di fronte alla
legge è uno dei principi fondamentali di una comunità civile. Ogni popolo
può esprimere la propria volontà di darsi una legge piuttosto che un’altra,
ma è evidente che oggi la definizione e l’affermazione di una legge non
garantisce la sua applicazione. Assistiamo per es. alla violazione sistematica
dei diritti dell’uomo in molti paesi e situazioni. Un dibattito sulla certezza
del diritto e sulla sua applicazione si impone in ogni paese del Mediterraneo
e s’impone anche un confronto e una comparazione tra le differenti
applcazioni in questi paesi. Delle azioni concrete in questa direzione
dovrebbero doversi promuovere sia da parte delle istituzioni pubbliche che
di quelle private.
La cittadinanza. E’ questo il focus principale di questo nostro incontro e
qui pongo la questione del senso che volgiamo dare alla cultura della
cittadinanza. Se la partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica
costituisce la condizione essenziale della realizzazione effettiva di un
sistema democratico, la precondizione di questa partecipazione è la
coscienza del significato della cittadinanza: che significa essere o voler
essere dei cittadini? Quali sono i diritti, gli obblighi, le responsabilità legati a
tale condizione? Che significa vivere in una comunità politica? Quali
vantaggi ne derivano?
Credo che queste questioni basilari si pongono sia nei paesi dove la democrazia
si è affermata, malgrado le sue patologie e il suo declino, sia nei paesi che aspirano
a creare delle forme di vita comune pacifica e civile.
Per provare a passare dalla teoria alla pratica, l’Associazione “Peripli” e il
Circolo di Napoli dell’ACM hanno proposto ed elaborato due progetti da presentare
alla Comunità Europea per i programmi “L’Europa per i cittadini” e “l’Erasmus
plus”. Entrambi i progetti hanno come protagonisti i giovani, hanno un
partenariato mediterraneo e sono rivolti all’educazione, alla formazione e
all’azione di una cittadinanza attiva e consapevole. La collaborazione con le scuole,
le università, le istituzioni dell’amministrazione pubblica, delle imprese, ecc.
presenti sui territori dei paesi partner è prevista proprio per rinforzare lo spirito
comune di una cittadinanza attiva.
Ma, è possibile la costruzione di una comunità dei popoli del Mediterraneo per
un avvenire comune? E’ questo un tema molto dibattuto nell’ambito
dell’Assemblea dei Cittadini del Mediterraneo, ma che, a mio avviso andrebbe
affrontato in molte istituzioni pubbliche e private della società civile in ogni paese
di questo spazio che ci raccoglie tutti.
E’ possibile costruire una coesistenza pacifica tra le culture e le società in
Europa e nei paesi mediterranei?
Quali azioni i cittadini possono intraprendere per aiutare l’evoluzione dei
processi interculturali e della pace nella regione?
Qual’è il posto della comprensione reciproca della diversità culturale in questi
processi auspicabili?
Qual’è il ruolo del diritto, dell’economia, dell’educazione, ecc.?
Pongo queste questioni agli amici che animeranno queso dibattito e li invito a
comunicarci la loro esperienza personale e l’esperienza dei loro paesi in merito ai
temi e alle questioni evocate.
FREDJ MAATOUG – Tunisia
Affronterò il tema della cittadinanza a partire dall’esperienza come ricercatore e
cittadino in Tunisia, in particolare a partire dalla transizione democratica inaugurata dalla
primavera araba.
La complessità del paesaggio tunisino, la presenza importante della donna e la forza
della società civile sono caratteristiche che rendono vicina la Tunisia ai paesi della costa nord
del Mediterraneo. L’articolo 1 della costituzione della Seconda Repubblica (Gennaio 2014),
facendo eco alla costituzione del 1959, afferma che la Tunisia è uno stato libero, indipendente
e sovrano, uno stato che ha l’Islam come religione, l’arabo come lingua e la repubblica come
regime di governo; benché ancorata all’identità arabo-musulmana, questa costituzione, frutto
di una sofferta elaborazione animata da accesi dibattiti e confronti, è al contempo aperta agli
ideali moderni e illuministi di libertà, civiltà e cittadinanza.
A partire dal 1957, un anno dopo l’indipendenza, la Tunisia ha adottato un codice civile
che riconosce un nuovo spazio di uguaglianza alla donna (abolizione della poligamia, ecc.). La
Tunisia stava realizzando la visione di una élite tunisina proiettata verso il futuro cui aderì
volontariamente la totalità dei rappresentanti politici del popolo.
Nel 2011 la rivoluzione tunisina si presentò come un cambiamento storico che attingeva
il suo spirito agli ideali universali di libertà, dignità, giustizia e democrazia, mostrando così
che Islam e democrazia non erano due nozioni incompatibili. La nozione di cittadinanza in
Tunisia si disegna infatti su questa connessione tra identità arabo-musulmana e valori
universali condivisi.
Rispetto agli altri paesi arabi, la Tunisia è il popolo arabo più omogeneo, sia dal punto di
vista linguistico che religioso. Esiste tuttavia una diversità culturale tra la gente della città
(della capitale) e la gente dell’entroterra da cui partì di fatto la rivoluzione.
Il principio della diversità è normalmente presentato e difeso come un diritto alla
differenza, come una forma di lotta contro il processo di uniformizzazione culturale; l’UNESCO
lo considera una forza motrice capace di attenuare la povertà e d’operare in vista di uno
sviluppo duraturo e sostenibile. La diversità non è quindi da concepirsi tanto tra le culture ma
quanto, invece, da considerarsi inerente all’idea stessa di cultura, costitutiva delle culture in
genere.
In Tunisia si è assistito a una vera e propria eruzione della presenza cittadina, dei
tunisini e in particolare dei giovani. Il World Social Forum – organizzato due volte in Tunisia
(2013 e 2015) – è stata un’iniziativa per venire incontro a questa Tunisia; essa ha al contempo
permesso la partecipazione di molti giovani tunisini che non potevano viaggiare all’estero a
causa delle difficoltà inerenti all’ottenimento dei visti. A differenza delle restrizioni civili
vissute sotto il regime di Ben Ali e dettate ufficialmente da ragioni di sicurezza, vi è stata
allora, invece, un’esplosione della presenza civile nelle piazze: i giovani hanno invaso le strade
facendo teatro, suonando, cantando e danzando, mostrando con questo che essi erano là, che
erano liberi. Si è cominciato a parlare di klem cheraa, “parola della strada”, una maniera di
parlare con la quale si osa esprimere ciò che si vuole.
Essere cittadino significa essere membro di una comunità, avere dei diritti e dei doveri.
Oggigiorno, nel 21° secolo, i tunisini hanno compreso e assunto questa idea di cittadinanza
con grande sete e gioia (“un uomo, una donna, un voto, una voce”).
HASSAN AL-BALAWI - Palestina
Ci sono delle persone che concepiscono le rivoluzioni arabe come un complotto condotto
dal mondo occidentale per controllare il mondo arabo, così come accadde, di fatto, con gli
accordi di Sykes-Picot. In effetti, sia in Maghreb che in Mashreq, lo stato nazionale arabo sorse
da una divisione geografica arbitraria derivata da tali accordi, oltre che dal colonialismo
francese, inglese ed italiano. La regione araba era però stata, per molti secoli, un solo “stato”: il
califfato, l’impero ottomano, una continuità geografica, politica, religiosa e culturale.
Con il sorgere degli stati nazionali arabi per ogni stato nazionale s’impose così il
problema di affermare e preservare la propria sovranità in contrasto con gli stati vicini.
Questo portò a una situazione di conflitto territoriale che giunge sino ai nostri giorni (si pensi
al Marocco con il Sahara, al Libano, alla Siria, ai Paesi del Golfo, all’Iraq e al Kuwait). Tutti i
regimi sorti con lo stato nazionale arabo volevano affermare la propria esistenza attraverso
un partito unico, un media unico e un sistema unico. In seguito ci furono dei regimi che si
definirono progressisti (Libia, Algeria, Siria, Iraq, Yemen) e che dicevano di considerare
prioritarie questioni quali l’unità araba, lo shairismo, il progresso, la ripartizione della
ricchezza. A questo quadro bisogna aggiungere la questione palestinese, la quale, dal 1948,
mette sotto sopra tutto il mondo arabo.
Lo stato nazionale arabo era dunque preso da tali questioni e non dalla necessità di
riconoscere e considerare la diversità, la sua ricchezza culturale. Nella maggior parte dei paesi
arabi era chiaramente presente una forte diversità culturale, ma lo stato nazionale arabo che
nacque con l’indipendenza tentò di seguire l’esempio francese.
La costruzione dello stato francese durante la terza repubblica perseguì un processo
d’instaurazione di una sola lingua – il francese – di contro alle molte lingue presenti all’epoca
sul territorio. Oggigiorno queste lingue sono riconosciute, ma nello stato francese della terza
repubblica la diversità culturale era vietata. Allo stesso modo lo stato nazionale arabo, in
Maghreb e Mashreq, ha cercato di far prevalere una sola lingua – l’arabo –, vietando le altre
lingue.
C’è voluto molto tempo perché fosse riconosciuta l’esistenza legittima di lingue differenti
(si pensi al caso del berbero [amazigh] in Marocco). Di fatto vi è sempre stata una diversità
linguistica e culturale costantemente misconosciuta, e ciò stesso a causa dell’adozione di quel
modello di stato nazionale secondo il quale doveva esserci una (e una sola) lingua nazionale
assieme a una (e una sola) religione ufficiale. Non c’e stato mai riconoscimento della pluralità,
perché la priorità era un’altra, e anche perché le minoranze culturali erano percepite come un
prolungamento dell’occupante colono. In alcuni paesi arabi i cristiani vennero infatti
considerati come il prolungamento stesso della Francia. Ogni interesse manifestato
dall’occidente nei riguardi delle minoranze nel mondo arabo era avvertito come un indebito
intervento negli affari interni del paese (si pensi, per esempio, all’Egitto e al Libano). Al
contempo, però, queste minoranze erano sfruttate come strumenti politici di lotta nel conflitto
tra stati o nel conflitto tra Occidente e stati nazionali arabi.
Uno dei problemi maggiori, nel mondo arabo, deriva dunque dal fatto che per decenni la
ricchezza culturale e linguistica non è stata tenuta in considerazione, e oggigiorno se ne
vedono chiaramente le conseguenze. Si pensi ai molti conflitti di divisione e frammentazione
che caratterizzano paesi come Libia, Siria, Egitto, Iraq. Se al giorno d’oggi vi sono delle
dinamiche di frammentazione e separazione (a carattere culturale, linguistico, religioso) è
perché lo stato nazionale arabo non ha tenuto in debita considerazione questi elementi. Tali
dinamiche si possono perfino riscontrare nei Paesi del Golfo, in Arabia Saudita.
I problemi presenti in tutto il mondo arabo, relativi alla questione della cittadinanza,
derivano dal fatto che le politiche sociali, culturali, linguistiche ed economiche intraprese in
passato non hanno mai considerato la pluralità e la diversità.
Per quanto riguarda la Palestina, essa rappresenta forse un caso unico, e ciò per il fatto
di trovarsi al centro geografico tra Africa ed Asia costituendo al contempo un luogo santo per
tutte le tre religioni monoteiste. Questo ha fatto sì che essa fosse presa in una rete di
molteplici poteri, conquiste e invasioni, visitata da numerose culture ancora oggi presenti
grazie alle popolazioni colà rimaste; tutto ciò ne ha determinato la peculiare ricchezza.
Non solo tutte le tre religioni monoteiste sono legate intimamente a questa terra, ma
essa è stata dominata da vari imperi: persiano, romano, greco (...). Gran parte di ciò che è
avvenuto all’umanità ha lasciato le sue tracce in Palestina, dando come risultato una ricchezza
sopravvissuta fino ai giorni nostri. Si pensi anche alle crociate, e ai molti popoli europei che
sono venuti e sono rimasti in questa terra divenendo parte integrante della popolazione
palestinese. Per non parlare poi di altri popoli: a Gerusalemme vi è un quartiere che si chiama
“quartiere dei magrebini” e allo stesso modo vi è anche un quartiere indiano, pakistano,
persone venute dall’Asia, dai Balcani... Si tratta di una ricchezza culturale impressionante che
determina la forte diversità inerente al popolo palestinese.
L’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) ha avuto un progetto politico
nazionale forte perché è riuscita a capire questa specificità culturale palestinese. Nelle sue
schiere si trovano persone di tutte le religioni e di molte provenienze nazionali.
Una volta fecero una domanda a Yasser Arafat in merito alla sua cultura ed egli disse di
essere ebreo, cristiano e musulmano, che vi era un filo di prolungamento tra queste culture e
che si sentiva appartenente a tutte queste tre culture.
Negli anni ’70, quando ci fu la guerra civile in Libano, in seno all’OLP c’erano libanesi di
ogni confessione (sciiti, sunniti, drusi...) e tra di essi lo scrittore Elias Khouri (direttore
oggigiorno della rivista letteraria al-Nahar); questi partì per Beirut intorno all’anno ’75,
mettendosi alla testa di una forza di Fatah per proteggere il quartiere ebraico di Abu Jamil; e
ciò valga ad esempio dell’importanza che per l’OLP deteneva l’integrazione della ricchezza
culturale palestinese.
Oggigiorno l’occupazione israeliana cerca in tutti i modi di trasformare il conflitto in uno
scontro religioso ebreo-musulmano, isolando la componente cristiana e la ricchezza culturale
in generale presente. Israele tenta in tutti i modi di far prevalere l’idea che tutto il patrimonio
di questa terra è esclusivamente ebraico, mentre noi, diversamente, riconosciamo la presenza
e l’esistenza della cultura ebraica come una parte e una componente della cultura palestinese.
A Gerico, per esempio, il Ministero palestinese del Turismo e delle Antichità ha protetto una
sinagoga ebraica perché parte del patrimonio palestinese.
La diversità culturale è quindi un elemento fondamentale della cittadinanza che
dev’essere valorizzato e non lasciato alle mercé e alla strumentalizzazione dei gruppi
estremisti (si pensi, a proposito, al caso dell’Iraq).
Il mondo arabo deve lavorare molto sull’integrazione, la ricchezza e la diversità culturale.
Anche l’Europa, però, deve tenere in seria considerazione la pluralità culturale del suo
territorio e saper riconoscere i cittadini d’origine arabo-musulmana, con i loro doveri e i loro
diritti, senza abbandonarli nelle mani delle organizzazioni salafiste. In altre parole, è
necessario che anche l’Europa nelle sue dichiarazioni, nelle sue leggi e nelle sue politiche
sociali assuma la diversità culturale e riconosca anche la cultura arabo-musulmana quale
parte integrante della propria identità culturale.
NIKOLAOS PUTSIAKAS - Grecia
La nozione di cittadinanza nasce nell’antica Atene. Il cittadino (polites) è l’uomo libero,
non schiavo, e le donne non godono dei diritti di cittadinanza. La Grecia passa sotto il
controllo dell’impero romano, dell’impero bizantino e infine di quello ottomano fino alla
rivolta del 1821, quando si torna alla lingua greca e si afferma la continuità con la Grecia
antica.
Il quadro della diversità culturale in Grecia era ed è certamente variegato. In una prima
categoria potremmo annoverare il popolo degli albaniti, un popolo discendente dalle
popolazioni dell’Albania del nord, da diversi secoli installato in Grecia, e che giocò un ruolo
importante nella rivolta greca; oltre a questi anche i valacchi, che parlavano una lingua
neolatina, e una popolazione slavofona che abitava al Nord.
In una seconda categoria potremmo includere la minoranza musulmana; e a proposito
bisogna ricordare il trattato di Losanna (1923) che stabilì i confini della Grecia e determinò
uno scambio di popolazioni (tra cui l’arrivo di molte persone dall’Asia Minore e l’emigrazione
di parte dei musulmani in Turchia). La minoranza musulmana concentrata in Tracia fu
dichiarata minoranza religiosa e oggigiorno ancora applica la shari’a; al suo interno troviamo
una maggioranza turca, una componente bulgara (i pomacchi) e una rumena. Le persone di
questa minoranza si rivolgono al mufti per risolvere questioni giuridiche.
Vi è poi la comunità ebraica – molto ridotta dopo la seconda guerra mondiale ma con un
ruolo economico importante – e i cattolici.
A queste minoranze bisogna aggiungere una terza categoria rappresentata dalla
popolazione rumena che si trova in Grecia fin dall’epoca bizantina e che in un certo qual modo
gode solo di una cittadinanza di “secondo grado” (patendo in effetti condizioni problematiche
rispetto alla casa, alla sanità, al lavoro e all’educazione).
Per la prima categoria, la politica seguita dalla Grecia fu una politica di assimilazione – e
ciò per evitare di mettere in discussione l’omogeneità dello stato greco –, alla seconda
categoria si è applicato il trattato di Losanna, mentre alla terza non è applicata una vera e
propria politica d’integrazione.
A partire dall’anno 1990 cominciarono le grandi immigrazioni in Grecia provenienti
dall’ex-URSS; per queste popolazioni furono messe in atto dei dispositivi di accoglienza. In
seguito cominciarono a esserci altri flussi migratori provenienti dall’Asia e dall’Africa.
Gli immigrati costituiscono oggi circa il 20% della popolazione greca. Ad essi non furono
riconosciuti pari diritti politici se non a partire dal 2010 quando il governo decise di
concedere loro il diritto di voto e dare la cittadinanza ai figli nati in Grecia oltre a coloro che
avevano compiuto sei anni di studi nel paese. Con la crisi economica e il governo tecnico
conseguente questa chiara volontà politica d’integrazione degli immigrati non solo è venuta
meno, ma è stata sostituita da un regresso legislativo (2014) tramite la revoca del diritto di
voto e del diritto di cittadinanza. Successivamente possiamo testimoniare l’emergere di un
nuovo approccio della sinistra: essa è particolarmente sensibile a questo tema, ma al
contempo impotente, nei fatti, a causa delle enormi restrizioni imposte dall’Unione Europea.
Da un punto di vista generale, lo stato greco non ha messo l’accento sul valore della
diversità culturale, ma ha piuttosto trattato la questione dell’immigrazione come un problema,
come un fenomeno dalle ripercussioni negative. Tuttavia è recentemente sorta una fitta rete
associativa di ONG che promuovono iniziative di appoggio e solidarietà, la qual cosa dà la
possibilità d’essere più ottimisti rispetto al futuro.
VICENT GARCÉS - Spagna
Ci scusiamo per la parzialità della seguente sintesi dovuta alla cattiva qualità di
registrazione dell’intervento
Se esiste una cittadinanza mediterranea, essa è fondata sulla differenza. La nostra
identità è la nostra diversità. La relazione storica dei popoli mediterranei è fatta di scambi e
conflitti al tempo stesso. Per costruire un nuovo avvenire è necessario comprendere che
bisogna accettare la diversità, perché essa è la forza della nostra identità.
(...)
In Spagna si discute da secoli sulla nostra diversità culturale. La questione è come
costruire uno stato rispettoso della diversità culturale. Non si è ancora trovata una soluzione a
tale questione. Si pensi al movimento d’indipendenza della Catalogna: una parte enorme della
popolazione vuole l’indipendenza dallo stato spagnolo. L’aspetto principale su cui poggia
questa volontà d’indipendenza proviene dalla diversità linguistica e dal desiderio di
preservare l’identità culturale legata alla lingua catalana. Si pensi anche alla popolazione
basca (...).
I valori che è necessario riaffermare e difendere sono: accettazione della diversità,
tolleranza, giustizia e difesa della dignità dell’alterità. Bisogna inoltre tenere in conto la
disuguaglianza economica tra Nord e Sud del Mediterraneo, l’ineguaglianza sociale inerente a
ogni paese, il divario tra dimensione della sicurezza e della libertà in seno allo spazio
mediterraneo, infine, la contraddizione tra le politiche di pace e le politiche di guerra.
É necessario inaugurare politiche di tolleranza e iniziative di dialogo che sostengano lo
sviluppo della rete cittadina del Mediterraneo e assicurino un nuovo futuro per questo spazio
comune di convivenza.
GIUSEPPE GILIBERTI - Italia
La questione euro-mediterranea – ossia le relazioni politiche, economiche e culturali tra i
paesi dell’Unione Europea e i paesi mediterranei del sud con cui vige partenariato – ha
riacquistato nuovo peso e rilevanza dall’anno 2010. Cosa significa, oggi, parlare di una
cittadinanza euro-mediterranea?
Lo spazio mediterraneo gioca un ruolo capitale nella questione della definizione
dell’identità europea. In questo spazio d’incontro confluiscono i patrimoni culturali del mondo
classico e quello della tradizione giudeo-cristiana. L’Europa sorse da questa frattura del
Mediterraneo in due parti, la parte di Maometto e quella di Carlo Magno diceva Henri Pirenne
(1937). Il Mediterraneo è attualmente una frontiera d’acqua che separa due mondi una volta
uniti, la possibile sorgente di uno scontro tra civiltà (S. Huntington). Vi sono però anche delle
politiche che cercano di invertire questa nefasta profezia, quali il partenariato euromediterraneo nato nel 1995, la politica di vicinato adottata nel 2003 e la creazione dell’Unione
per il Mediterraneo avvenuta nel 2008. Si tratta di sforzi limitati ma anche ambiziosi, tesi alla
costruzione di una zona geopolitica mediterranea condivisa e sulla base di un’identità
culturale comune.
La Dichiarazione di Barcellona del 1995 implicava tre dimensioni: la collaborazione a
livello politico e cittadino, favorire il libero scambio e lo sviluppo congiunto dell’Europa e dei
paesi del partenariato (creazione di una zona euro-mediterranea di libero scambio), istituire
infine un partenariato sociale, umano e culturale (collaborazione nel campo dell’educazione,
della ricerca, della formazione professionale e della sanità) teso a intensificare gli intercambi
culturali e il dialogo tra le società civili.
L’investimento europeo non è stato ancora capace di contrastare l’incremento della
distanza economica tra sponda nord e sud del Mediterraneo, i paesi mediterranei del
partenariato non hanno risposto in maniera costruttiva (ad eccetto forse della Tunisia) e gli
scambi meridionali sono rimasti estremamente deboli.
Oggigiorno il Mediterraneo non è solo un termine geografico, ma una regione geopolitica
ove emergono reti collaborative e di dialogo.
Questo progetto emergente richiede forse l’elaborazione o il riconoscimento di
un’identità mediterranea condivisa? Esiste un’identità culturale mediterranea o euromediterranea? O non è altro che un mito comune?
Vi sono molti intellettuali che difendono l’idea che le radici della cultura europea sono al
contempo ad Atene, Gerusalemme e Roma, ossia nella scienza, nella religione e nella cultura
giuridica. Questa semplificazione comporta però il rischio che l’Europa aumenti le proprie
distanze rispetto ai paesi del Mediterraneo meridionale e orientale: l’Europa non è autosufficiente dal punto di vista culturale, essa ha radici anche nel mondo arabo, e ad esso è
debitrice. Vi è una reciproca implicazione tra il mondo arabo e l’essere-europeo.
Probabilmente non esiste una vera e propria identità comune mediterranea, ma
certamente esiste la possibilità di sviluppare dei terreni di dialogo culturale. Il
“mediterranismo” nato in Francia e in Spagna, e difensore dell’esistenza di un’identità
culturale mediterranea, debuttò negli anni ’30 come reazione orientalista a una cultura araba
percepita come decadente e incompatibile con la modernità. Oggi si preferisce parlare di un
umanesimo comune alle culture mediterranee, un umanesimo che si trova alla base
dell’identità culturale europea, ma anche di quella araba, e in entrambi i casi fondato sul
valore centrale della dignità – concetto che fu anche lo slogan della rivoluzione tunisina.
Questo tema della dignità umana rimanda all’idea della perfettibilità, della possibilità d’autoperfezionarsi tramite la ragione, tramite la conoscenza e l’educazione – idea comune alla
cultura araba, ebraica ed europea. Si tratterebbe allora di mettere alla base del concetto di
cittadinanza questa idea di dignità che implica anche il rispetto dei diritti della persona. É
necessario così tornare allo studio di tale concetto sul piano filosofico, storico, letterario,
individuando gli elementi che possono aiutare a definire un vocabolario essenziale per il
dialogo.
Esistono due modi di concepire il concetto di cittadinanza. Secondo un’accezione
giuridica esso indica il fatto di condividere dei diritti e dei doveri. Secondo un’accezione socioeconomica indica piuttosto la condizione di libertà e protezione effettiva di un soggetto
specifico all’interno di una società. La questione è dunque quella di scegliere che tipo di
cittadinanza vogliamo promuovere: una di tipo politico o una economico-sociale che
promuova l’accettazione reale delle altre culture, l’integrazione degli immigrati, ecc.
Uno degli strumenti principali per sostenere questa idea di una cittadinanza
mediterranea plurale è l’idea progettuale di uno spazio comune di collaborazione e ricerca nel
campo dello studio e della scienza. Nel 2007 i ministri dei paesi europei e dei paesi del
partenariato mediterraneo decisero di sospingere verso sud il progetto Socrate. Una delle
conseguenze di tale decisione fu la creazione della EMUNI, l’Euro-Mediterranean University.
Infine, bisogna riconoscere la fondamentale importanza della rivoluzione tunisina quale
esempio per il Mediterraneo e per il mondo intero. Essa rappresenta la presa di coscienza, da
parte del mondo arabo-musulmano, di una necessaria e fiera aspirazione a una società
democratica rispettosa della dignità della persona.
INTERVENTI E DOMANDE
Primo intervento
La Dichiarazione di Barcellona avanzò due proposte programmatiche principali. Una
economica: aprire un grande mercato euro-mediterraneo; questa ha completamente fallito
per l’incapacità di cambiare il tipo di relazioni tra paesi del Nord e del Sud e perché di fatto i
paesi occidentali hanno conservato l’egemonia sul mercato dell’energia. Una culturale, invece,
che ha raggiunto risultati rilevanti grazie alle associazioni volontarie e alle ONG.
Per proseguire sulla strada della cittadinanza mediterranea è necessario, a mio avviso,
affrontare anche l’irrisolta questione di disparità e disuguaglianza economica. Per poter
veramente dialogare tra pari è senza dubbio necessario un approccio plurale anche sulle
questioni economiche così come rispetto ai modelli di business (attualmente di tipo
occidentale ed esportati al Sud).
Dal punto di vista del partenariato culturale, invece, si sono fatti dei notevoli passi in
avanti, per esempio rispetto alla mobilità permessa ai giovani in direzione dei paesi del sud
del Mediterraneo.
Alcune questioni:
1) come interpreta l’Europa le primavere arabe rispetto alla questione euromediterranea? Se guardiamo alla questione dell’energia (come il gas in Libia) l’Europa non è
forse rimasta ancorata a un’interpretazione eurocentrica?
2) cosa fa l’Europa rispetto all’immigrazione?
3) l’Europa ha avanzato una nuova posizione rispetto alla questione palestinese di due
stati e due popoli o non è forse rimasta su delle posizioni altamente ambigue?
4) l’Europa si sforzerà a capire le ragioni complesse della guerra o aspetterà che essa
giunga nel proprio territorio?
Secondo intervento
Vorrei porre una questione al sig. Maatoug e al sig. Al-Balawi: dato che avete parlato
molto del mondo arabo, si può dire che esiste ancora un’identità araba unita e coerente? É la
Lega Araba rappresentativa di questa identità?
Risposte
FREDJ MAATOUG
É certamente ambiguo parlare di un’identità araba, ma quando si parla a questo
proposito si usano piuttosto termini quali “personalità arabo-musulmana”, “cultura arabomusulmana”. Il mondo arabo è vasto. Tra Marocco e Kuwait vivono tra 350 e 400 milioni di
persone. In Maghreb, per esempio, la lingua e l’etnia divide (data la presenza del berbero), ma
in Medio Oriente l’arabità unisce, mentre invece a dividere è la religione (si pensi all’Iraq).
Nel mondo arabo vi sono almeno tre quattro grandi gruppi linguistici. Vi sono i curdi in
Iraq, in Siria. In Maghreb il berbero (amazigh). Questa ricchezza è stata però mal gestita. Poco
fa Hassan al-Balawi parlava di tale errore, di questa fragilità degli stati indipendentisti nel
volere costruire uno stato-nazione. Il Sud del Mediterraneo non è l’Europa. Per quanto
riguarda gli attuali movimenti d’indipendenza bisogna tenere conto che siamo oramai in
un’altra epoca, differente da quella che ha caratterizzato la costruzione delle nazioni europee.
Il mondo arabo quando andava in pellegrinaggio alla Mecca non incontrava alcuna frontiera,
ognuno prendeva il suo cavallo o il suo cammello e andava fino alla mecca. Si pensi a Ibn
‘Arabi, che era di Murcia, egli viaggiò in tutto il mondo arabo senza soluzioni di continuità.
Lo stato nazionale post-indipendenza ha fallito su ogni fronte: sulle libertà, sulla
democrazia.
Questa identità è multipla, è l’immagine del Mediterraneo. Non vi è altro luogo tanto
piccolo, e al contempo con tanta ricchezza, tante lingue e tante religioni, quale il Mediterraneo.
Leggete cosa diceva Fernand Braudel, l’amante e il sapiente di questo Mediterraneo.
HASSAN AL-BALAWI
Io affronterò la questione sul piano linguistico. Si parla di Lega Araba, ma esiste anche
un’altra denominazione, la Lega degli Stati Arabi (Jâmi‘at al-Duwal al-‘Arabiyya). Ossia, c’è chi
pensa che esista una lega araba che unisce la totalità degli arabi, e altri che la concepiscono
come lega degli stati arabi.
Una seconda questione. C’è chi parla di “mondo arabo” e chi invece dice “nazione araba”.
Quando si parla di mondo arabo significa che v’è una moltitudine di nazionalità, quando si
dice nazione si intende patria. Gli europei preferiscono parlare di mondo arabo perché per
loro non esiste una nazione araba. La visione europea del mondo arabo parte da una lettura
prettamente europea. Il concetto di nazione è un concetto europeo che arriva nel 18° secolo, e
gli arabi hanno cercato di copiarlo senza tenere in considerazione la loro differente e
peculiare storia. Come si diceva poc’anzi, gli arabi anche in tempo di decadenza andavano da
un paese all’altro, passando per il Marocco, la Tunisia, Damasco, Beirut, per arrivare a l’Hijâz;
essi non si identificavano a una nazionalità specifica, ma si sentivano appartenenti a un
insieme indiviso. Nelle stesse guerre di liberazione arabe non si è mai posta questa questione.
In Algeria, per esempio, le persone rivendicavano la propria identità araba perché essa era in
contraddizione rispetto all’identità francese. Lo stesso termine arabo per dire “nazione”,
umma, non si rifà a un concetto di razza, di etnia, ma piuttosto a un concetto intellettuale e
religioso.
Penso che, oggigiorno, per quanto riguarda la questione dell’identità, gli arabi siano
chiamati a ridefinirsi. Penso che debbano cominciare a riflettere sul loro interesse economico,
il quale conduce all’interesse politico e culturale. Gli arabi non sono oggi padroni delle loro
ricchezze economiche. E l’Europa guarda al mondo arabo attraverso questo prisma. Gli arabi
devono quindi ridefinire la propria concezione rispetto ai loro interessi. Possono farlo? Li
lasceranno fare? O anche in questo caso giocano contro altri interessi?
La questione è complessa. Una cosa è certa: non vi potrà essere un dialogo tra l’Europa
giudeo-cristiana e questo mondo arabo-musulmano senza passare per la questione
palestinese.
NIKOLAOS PUTSIAKAS
Il fatto che lo stato greco non abbia valorizzato la ricchezza della diversità culturale in
Grecia, perseguendo al contrario una politica d’omogeneizzazione, ha prodotto delle chiare
inconvenienze, al punto che oggigiorno si discute ancora sulla costruzione di una moschea ad
Atene – fatto che mostra quanto la Grecia non ha saputo e ancora non sappia riconoscere la
ricca e variegata eredità culturale che l’ha costituita.
VICENT GARCES
(intervento particolarmente degradato dal punto di vista della qualità di registrazione)
Un concetto su cui bisogna portare l’attenzione è quello di decolonianizzazione del
pensiero. Prima di tutto è necessario decolonizzare le politiche. Nel caso greco, per esempio,
l’Unione Europea è incapace di riconoscere la legittimità di politiche differenti.
Nei paesi arabi il grido è stato “Liberté, dignité” e “dégage!”. Si tratta dello stesso motto
che ha animato la Grecia e la Spagna. Il colpo di stato in Egitto rivendicava la possibilità di un
altro modello politico ed economico, per questo risuonò in tutto il mondo arabo. Lo spazio
mediterraneo accoglie tutte queste differenze in un progetto di rinnovamento comune. Solo
comprendendo che l’identità del Mediterraneo è la sua diversità si potrà arrivare a uno spazio
di pace, di tolleranza e comprensione.
Non è accettabile che l’Unione Europea quale entità politica abbia un’unica visione del
Mediterraneo. In Europa vi sono tre potenze: Gran Bretagna, Francia e Germania. La Germania
domina la politica economica dell’Unione Europea e ha una propria visione della UE e del
mondo, la Francia ne ha un’altra. Ora, se lo spazio mediterraneo è un’utopia, invero, anche
l’Unione Europea stessa è oggi un’utopia. Nel Mediterraneo confluiscono gli interessi di molte
potenze mondiali, è necessario proteggerlo e sospingerci a un avvenire quali cittadini
mediterranei.
GIUSEPPE GILIBERTI
Un problema rilevante del Mediterraneo è che non esiste una sorta di Unione Europea
del sud. Certamente esiste l’Unione del Maghreb Arabo, ma essa non ha che un valore
simbolico. É un peccato che ogni paese arabo sia solo e da solo debba confrontarsi con il
potere economico e politico del Nord. In effetti, il partenariato euro-mediterraneo non è
realmente un partenariato: da una parte c’è l’Unione Europea e dall’altra ogni paese arabo
preso singolarmente.
L’Unione per il Mediterraneo è un fantasma. Si trattava di un sistema ideato da Sarkozy
per mettere insieme i paesi del Sud dell’Europa e per evitare di dover accogliere la Turchia tra
i paesi appartenenti all’Unione Europea. La Germania, però, bloccò questo processo,
trasformandolo in uno più vasto e meno incisivo.
Vi sono tuttavia altri processi e altre esperienze; per esempio la diplomazia universitaria
e delle città. Il Mediterraneo può essere pensato anche come una rete di relazioni tra le
comunità cittadine, e qui entra anche l’operato delle ONG.
Un’esigenza urgente s’impone in ogni caso: erigere il Mediterraneo, costruire
istituzionalmente una zona geo-politica [mediterranea].
MARIA DONZELLI
Due osservazioni.
Nonostante si siano costruite delle buone relazioni culturali con i paesi del Mediterraneo,
da parte dell’Europa, ma anche degli Stati della sponda sud del Mediterraneo, non esiste una
volontà chiara di sostenere, anche finanziariamente, questo tipo di progetti. Si tratta di una
deficienza che va denunciata, perché rinvia alla sostanziale marginalizzazione del dialogo tra i
cittadini di diverse culture, rispetto agli interessi del potere economico e politico, spesso
lontano dagli stessi cittadini.
Penso inoltre sia necessario porsi la questione dell’imperialismo e del colonialismo. Il
mondo arabo comprendeva e comprende una diversità enorme di culture, eppure, l’idea
unitaria proposta dalle nazioni europee fin dal 18° secolo continua ancora oggigiorno a
diffondersi: si descrive il mondo arabo come qualcosa di omogeneo. Noi siamo qui per
contrastare questa idea di omogeneità attraverso le testimonianze di alcuni cittadini.
GIUSEPPE CATALDI
Se risaliamo alla dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino vediamo che le due
idee sono legate tra loro. I diritti dell’uomo e del cittadino sono giunti al Mediterraneo?
La prima difficoltà risiede nell’uomo mediterraneo. L’individualismo presente nelle
nostre società e il rapporto tra il potere e il cittadino non sono ancora arrivati a un grado
capace di costruire qualcosa d’importante dal punto di vista politico nel Mediterraneo. Dal
punto di vista economico vi sono già degli sforzi in atto, ma per arrivare a qualcosa di
rilevante dal punto di vista politico è necessario uno sforzo supplementare della politica, della
società, e ancor di più, dei cittadini, delle persone, degli individui.
Per quanto riguarda l’immigrazione constatiamo l’assenza di politiche dei paesi della
costa Nord e della UE in generale. Sulla costa Sud vi sono state delle riforme importanti,
soprattuttto nel diritto famigliare e per quanto riguarda i diritti della donna: si tratta di passi
molto importanti che devono trovare una controparte sulla costa Nord – in tema
d’immigrazione – perché ci si trovi a metà strada. É un esercizio che tutti devono
intraprendere.
Per quanto riguarda la questione delle minoranze è necessario una differente maniera di
comprendere l’istituzione dello stato: esso non deve essere necessariamente mono-etnico. Si
pensi all’esempio della Bolivia come stato plurinazionale e pluriculturale. Bisogna allora
recuperare il concetto di dignità, promuovere la solidarietà, il rispetto delle minoranze e il
rispetto dello stesso stato nazionale. É fondamentale la collaborazione e non solo la
coesistenza tra i popoli del Mediterraneo. L’imporsi degli interessi di terzi, rispetto allo
sfruttamento e alla gestione dell’energia, è dovuto proprio a questa mancanza di
collaborazione tra i paesi del Mediterraneo. Dobbiamo cercare di giungere a una coscienza
collettiva rispetto a quello che si può fare, tutti assieme, dal punto di vista della collaborazione
e della solidarietà.