DIVERSITA` CULTURALI E CITTADINANZA
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DIVERSITA` CULTURALI E CITTADINANZA
DIVERSITÀ CULTURALI E CITTADINANZA Napoli - 3 giugno 2015 Testi a cura di Giacomo Arnaboldi MARIA DONZELLI - Introduzione Il concetto di cittadinanza nello spazio euro-mediterraneo e la sua relazione con la diversità culturale sono i temi di riflessione di questo incongtro. Questi temi sono cruciali per il momento storico che stiamo vivendo e per l’intreccio complicato e complesso tra le culture e le idee di cittadinanza presenti, o non presenti, nei vari paesi del Mediterraneo. Nel dibattito che segue focalizzeremo l’attenzione su alcune questioni che riguardano la cittadinanza nello spazio euro-mediterraneo: esistono dei valori fondamentali comuni in questo spazio? E, se esistono, come si articolano, talvolta con estrema difficoltà, con i valori culturali e la storia di ogni paese della regione mediterranea? Per discutere e tentare di dare qualche risposta a queste difficili questioni, abbiamo invitato a questa tavola rotonda i rappresentanti di 5 paesi del Mediterraneo, che vivono, ciascuno a suo modo, delle situazioni difficili, ma anche molto interessanti, sul terreno delle diversità culturali e dell’affermazione dell’idea di cittadinanza e che provano, ciascuno nell’ambito specifico proprio, di produrre delle azioni efficaci per la conoscenza reciproca di queste diversità e di finalizzarle alla costruzione di una comunità di popoli in una regione attualmente segnata da contraddizioni politico-economiche, conflitti, migrazioni di massa, ecc. Vi presento brevemente i nostri ospiti : Fredj Maatoug, prof. di Storia alla Facoltà di Scienze umane e sociali dell’Università di Tunisi, che ha una formazione in Storia delle relazioni internazionali, conseguita in Francia, e col quale si è sviluppata nel tempo una lunga ed efficace collaborazione intellettuale, oltre che una solida amicizia; Vicente Garcés, già deputato al Parlamento europeo per la Spagna, coordinatore generale dell’Assemblea dei cittadini del Mediterraneo, animatore e membro del suo Consiglio consultativo; Hassan AlBalawi, rappresentante della Palestina a Bruxelles e membro del Consiglio consultativo dell’ACM; Nikolaos Poutziakas, prof. all’Università della Tessaglia – Grecia – attualmente assessore al Consiglio regionale della Tessaglia e membro del Consiglio Consultativo dell’ACM; Giuseppe Giliberti, prof. al Dipartimento di Studi giuridici dell’Università di Urbino, esperto di relazioni euro-mediterranee e membro attivo dell’Euro-Mediterranean University (EMUNI), in Slovenia, che, tra i suoi scopi principali ha la formulazione di programmi di studio e di ricerca focalizzati sulle diversità culturali; Giuseppe Cataldi, prof. di Diritto internazionale all’Università l’Orientale di Napoli, responsabile della sede napoletana dell’Istituto di studi giuridici internazionali del CNR, direttore del Centro di Eccellenza Jean Monnet sui Diritti dei Migranti nel Mediterraneo, titolare della cattedra Jean Monnet ad personam per la “Tutela dei diritti umani nell’Unione Europea” e membro attivo dell’Emuni. Vorrei fare qualche riflessione sul tema prescelto, porre alcune questioni agli amici qui convenuti e indicare qualche percorso pratico intrapreso dall’Associazione Peripli e dal circolo di Napoli dell’ACM in collaborazione con alcuni partner euro-mediterranei. Credo sia necessario partire dalla realtà, dalla sua conoscenza e da una sua lettura non superficiale, capace di assumere come riferimenti il tempo della storia, o delle storie, il cui senso è l’evoluzione o flusso – origine, attualità, fine e nuove prospettive, in altri termini, passato, presente e futuro - ; ma anche il tempo della creatività e dell’azione. Questo è il tempo specifico delle culture nelle loro diverse espressioni: le arti, la poesia, la filosofia, la storia, le scienze, le religioni, il diritto, ecc. Insomma i patrimoni molteplici delle culture mediterranee, che bisogna fare rivivere attraverso l’accettazione della responsabilità della creatività individuale e collettiva. Tuttavia, malgrado la coscienza della centralità delle culture per la costruzione di una comunità dei popoli in quest’area, non possiamo sottrarci alla constatazione di un cambiamento molto rapido nelle società dei paesi mediterranei e della difficoltà dovuta alle guerre in corso, alla transizione difficile dei paesi del Sud e dell’Est mediterranei, alla crisi finanziaria ed economica che afflige i paesi della riva Nord, alla crisi politica generale, al cambiamento dei rapporti di forza nel bacino mediterraneo, ma anche nel mondo – nel suo complesso. Insomma, il nostro mare è oggi condizionato dai fenomeni di crisi e di trasformazione che caratterizzano la nostra epoca: sulla riva Nord del Mediterraneo – l’Europa mediterranea – il dominio del capitale finanziario sulle politiche degli Stati, e la crisi economica, sociale e politica che ne deriva, mettono in discussioe il progetto politico dell’Unione e la tenuta dei valori culturali sui quali questo progetto è stato edificato; sulla riva Sud, i popoli dell’Africa del Nord, dopo le rivolte e le lotte per provocare i cambiamenti necessari al recupero della loro dignità di soggetti politici e sociali, vivono oggi dei processi di transizione molto complicati, dovuti a molteplici fattori, tra i quali quello di natura culturale mi sembra centrale, poiché la ricerca di uno sbocco democratico esige un livello alto e diffuso di istruzione, ed esige la coscienza della propria storia, oltre che quella di una religione che non deve trasformarsi in ideologia radicale; sulla riva Est del Mediterraneo, ai conflitti storici che si perpetuano e si rinforzano – vedi quello tra la Palestina e Israele – si aggiunge la guerra in Siria e in Libano, l’emergenza dell’ISIS e della guerra sanguinaria che esso provoca fino in Libia, la destabilizzazione di tutta l’area del Medio Oriente, trasformato in terreno di guerra permanente, la destabilizzazione di alcuni paesi dell’Africa sb-sahariana, ecc. Questa situazione provoca anche dei flussi migratori senza precedenti e lo spostamento di masse umane sottomesse alla criminalità organizzata e a un potere economico e politico locale e internazionale non sempre trasparente. Sappiamo che una buona parte delle persone che si spostano per tentare di sopravvivere, trovano la morte nel nostro mare, che è diventato un “cimitero liquido”. Dunque noi assistiamo a una tragedian umana quotidiana senza precedenti. Lo scenario evocato è complesso. Ma quali sono le conseguenze di questa situazione sul piano culturale, sull’integrazione/interazione tra le culture nel Mediterraneo e sull’affermazione d’una coscienza di cittadinanza pur nella diversità delle situazioni storiche dei paesi impicati? Indicherò qui di seguito solo qualche esempio dei problemi che complicano l’interazione tra le culture e rendono ancora più difficile l’incontro, lo scambio, la cooperazione e la pratica dell’interculturalità, che vorremmo realizzare come base solida di una cittadinanza cosciente in ogni paese. - Il patrimonio artistico. In questo settore, si constata la sparizione di una buona parte del patrimonio artistico nelle zone di guerra e la volontà, spratutto della parte più radicale della lotta islamica, di distruggere le tracce della memoria storica e dell’interazione delle culture svoltasi nei secoli. La sparizione di queste tracce ci addolora e ci coinvolge tutti, poiché la conservazione di biblioteche, di musei, di parchi archeologici, di documenti storici, ecc. dei paesi del Mediterraneo ci permette di testimoniare l’esistenza di un patrimonio storico comune. D’altra parte, la crisi economica e culturale dell’Europa investe anche il patrimonio artistico dei paesi come l’Italia e la Grecia: molti monumenti crollano per la mancanza di manutenzione (penso per es. a Pompei, e non solo). Anche qui si tratta della disparizione di testimonianze della storia comune, senza - - - - contare quello delle storie locali, delle interazioni culturali del passato e della collaborazione istituzionale e culturale del presente. La storia non è un’opzione, ma il punto necessario di partenza dell’avvenire di ciascuno e delle sue relazioni con gli altri. Istruzione e Formazione. La diffusione dell’istruzione di base, soprattutto nei paesi che aspirano a costruire forme democratiche di governo, legate, ovviamente, alla storia e alle condizioni di ogni paese interessato, è uno dei pilastri per costruire la coscienza di cittadinanza e per la partecipazione di ogni cittadino alla gestione della cosa pubblica, compresa la consultazione elettorale. L’istruzione superiore è un passo avanti per la realizzazione di una società capace di divenire competitiva e di assumere le trasformazioni tecnologiche della “società mondo”. La relazione tra la formazione e il lavoro implica un progetto studiato di società. L’investimento delle risorse economiche ed umane in questi settori sono l’indice della volontà politica degli stati a creare le condizioni essenziali per uno sviluppo economico, politico, sociale e culturale delle loro società. Religioni. I rapporti tra le religioni, le culture e le società hanno subìto una trasformazione importante dovuta alla perdita dell’idea stessa del “sacro”, al declassamento della condizione umana, alla perdita del valore dell’uomo in quanto tale e della sua vita, alla riduzione di ogni relazione umana al mercato e al profitto, ecc. Oggi assistiamo alla trasformazione delle religioni in ideologie sanguinarie, mentre gli uomini sembrano avere bisogno sempre più di ritrovare il senso della loro esistenza, anche attraverso il messaggio originario delle religioni di riferimento. Assistiamo alla cancellazione dei rapporti tra le culture e le religioni e alla perdita da parte delle religioni della loro spiritualità. Il diritto. La centralità di questo settore per l’esistenza delle società è incontestabile. Ogni tentativo di creare una comunità, una società, un’associazione, ecc. passa attraverso l’assunzione delle regole, delle leggi, cui tutti devono sottomettersi. L’uguaglianza di ogni persona di fronte alla legge è uno dei principi fondamentali di una comunità civile. Ogni popolo può esprimere la propria volontà di darsi una legge piuttosto che un’altra, ma è evidente che oggi la definizione e l’affermazione di una legge non garantisce la sua applicazione. Assistiamo per es. alla violazione sistematica dei diritti dell’uomo in molti paesi e situazioni. Un dibattito sulla certezza del diritto e sulla sua applicazione si impone in ogni paese del Mediterraneo e s’impone anche un confronto e una comparazione tra le differenti applcazioni in questi paesi. Delle azioni concrete in questa direzione dovrebbero doversi promuovere sia da parte delle istituzioni pubbliche che di quelle private. La cittadinanza. E’ questo il focus principale di questo nostro incontro e qui pongo la questione del senso che volgiamo dare alla cultura della cittadinanza. Se la partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica costituisce la condizione essenziale della realizzazione effettiva di un sistema democratico, la precondizione di questa partecipazione è la coscienza del significato della cittadinanza: che significa essere o voler essere dei cittadini? Quali sono i diritti, gli obblighi, le responsabilità legati a tale condizione? Che significa vivere in una comunità politica? Quali vantaggi ne derivano? Credo che queste questioni basilari si pongono sia nei paesi dove la democrazia si è affermata, malgrado le sue patologie e il suo declino, sia nei paesi che aspirano a creare delle forme di vita comune pacifica e civile. Per provare a passare dalla teoria alla pratica, l’Associazione “Peripli” e il Circolo di Napoli dell’ACM hanno proposto ed elaborato due progetti da presentare alla Comunità Europea per i programmi “L’Europa per i cittadini” e “l’Erasmus plus”. Entrambi i progetti hanno come protagonisti i giovani, hanno un partenariato mediterraneo e sono rivolti all’educazione, alla formazione e all’azione di una cittadinanza attiva e consapevole. La collaborazione con le scuole, le università, le istituzioni dell’amministrazione pubblica, delle imprese, ecc. presenti sui territori dei paesi partner è prevista proprio per rinforzare lo spirito comune di una cittadinanza attiva. Ma, è possibile la costruzione di una comunità dei popoli del Mediterraneo per un avvenire comune? E’ questo un tema molto dibattuto nell’ambito dell’Assemblea dei Cittadini del Mediterraneo, ma che, a mio avviso andrebbe affrontato in molte istituzioni pubbliche e private della società civile in ogni paese di questo spazio che ci raccoglie tutti. E’ possibile costruire una coesistenza pacifica tra le culture e le società in Europa e nei paesi mediterranei? Quali azioni i cittadini possono intraprendere per aiutare l’evoluzione dei processi interculturali e della pace nella regione? Qual’è il posto della comprensione reciproca della diversità culturale in questi processi auspicabili? Qual’è il ruolo del diritto, dell’economia, dell’educazione, ecc.? Pongo queste questioni agli amici che animeranno queso dibattito e li invito a comunicarci la loro esperienza personale e l’esperienza dei loro paesi in merito ai temi e alle questioni evocate. FREDJ MAATOUG – Tunisia Affronterò il tema della cittadinanza a partire dall’esperienza come ricercatore e cittadino in Tunisia, in particolare a partire dalla transizione democratica inaugurata dalla primavera araba. La complessità del paesaggio tunisino, la presenza importante della donna e la forza della società civile sono caratteristiche che rendono vicina la Tunisia ai paesi della costa nord del Mediterraneo. L’articolo 1 della costituzione della Seconda Repubblica (Gennaio 2014), facendo eco alla costituzione del 1959, afferma che la Tunisia è uno stato libero, indipendente e sovrano, uno stato che ha l’Islam come religione, l’arabo come lingua e la repubblica come regime di governo; benché ancorata all’identità arabo-musulmana, questa costituzione, frutto di una sofferta elaborazione animata da accesi dibattiti e confronti, è al contempo aperta agli ideali moderni e illuministi di libertà, civiltà e cittadinanza. A partire dal 1957, un anno dopo l’indipendenza, la Tunisia ha adottato un codice civile che riconosce un nuovo spazio di uguaglianza alla donna (abolizione della poligamia, ecc.). La Tunisia stava realizzando la visione di una élite tunisina proiettata verso il futuro cui aderì volontariamente la totalità dei rappresentanti politici del popolo. Nel 2011 la rivoluzione tunisina si presentò come un cambiamento storico che attingeva il suo spirito agli ideali universali di libertà, dignità, giustizia e democrazia, mostrando così che Islam e democrazia non erano due nozioni incompatibili. La nozione di cittadinanza in Tunisia si disegna infatti su questa connessione tra identità arabo-musulmana e valori universali condivisi. Rispetto agli altri paesi arabi, la Tunisia è il popolo arabo più omogeneo, sia dal punto di vista linguistico che religioso. Esiste tuttavia una diversità culturale tra la gente della città (della capitale) e la gente dell’entroterra da cui partì di fatto la rivoluzione. Il principio della diversità è normalmente presentato e difeso come un diritto alla differenza, come una forma di lotta contro il processo di uniformizzazione culturale; l’UNESCO lo considera una forza motrice capace di attenuare la povertà e d’operare in vista di uno sviluppo duraturo e sostenibile. La diversità non è quindi da concepirsi tanto tra le culture ma quanto, invece, da considerarsi inerente all’idea stessa di cultura, costitutiva delle culture in genere. In Tunisia si è assistito a una vera e propria eruzione della presenza cittadina, dei tunisini e in particolare dei giovani. Il World Social Forum – organizzato due volte in Tunisia (2013 e 2015) – è stata un’iniziativa per venire incontro a questa Tunisia; essa ha al contempo permesso la partecipazione di molti giovani tunisini che non potevano viaggiare all’estero a causa delle difficoltà inerenti all’ottenimento dei visti. A differenza delle restrizioni civili vissute sotto il regime di Ben Ali e dettate ufficialmente da ragioni di sicurezza, vi è stata allora, invece, un’esplosione della presenza civile nelle piazze: i giovani hanno invaso le strade facendo teatro, suonando, cantando e danzando, mostrando con questo che essi erano là, che erano liberi. Si è cominciato a parlare di klem cheraa, “parola della strada”, una maniera di parlare con la quale si osa esprimere ciò che si vuole. Essere cittadino significa essere membro di una comunità, avere dei diritti e dei doveri. Oggigiorno, nel 21° secolo, i tunisini hanno compreso e assunto questa idea di cittadinanza con grande sete e gioia (“un uomo, una donna, un voto, una voce”). HASSAN AL-BALAWI - Palestina Ci sono delle persone che concepiscono le rivoluzioni arabe come un complotto condotto dal mondo occidentale per controllare il mondo arabo, così come accadde, di fatto, con gli accordi di Sykes-Picot. In effetti, sia in Maghreb che in Mashreq, lo stato nazionale arabo sorse da una divisione geografica arbitraria derivata da tali accordi, oltre che dal colonialismo francese, inglese ed italiano. La regione araba era però stata, per molti secoli, un solo “stato”: il califfato, l’impero ottomano, una continuità geografica, politica, religiosa e culturale. Con il sorgere degli stati nazionali arabi per ogni stato nazionale s’impose così il problema di affermare e preservare la propria sovranità in contrasto con gli stati vicini. Questo portò a una situazione di conflitto territoriale che giunge sino ai nostri giorni (si pensi al Marocco con il Sahara, al Libano, alla Siria, ai Paesi del Golfo, all’Iraq e al Kuwait). Tutti i regimi sorti con lo stato nazionale arabo volevano affermare la propria esistenza attraverso un partito unico, un media unico e un sistema unico. In seguito ci furono dei regimi che si definirono progressisti (Libia, Algeria, Siria, Iraq, Yemen) e che dicevano di considerare prioritarie questioni quali l’unità araba, lo shairismo, il progresso, la ripartizione della ricchezza. A questo quadro bisogna aggiungere la questione palestinese, la quale, dal 1948, mette sotto sopra tutto il mondo arabo. Lo stato nazionale arabo era dunque preso da tali questioni e non dalla necessità di riconoscere e considerare la diversità, la sua ricchezza culturale. Nella maggior parte dei paesi arabi era chiaramente presente una forte diversità culturale, ma lo stato nazionale arabo che nacque con l’indipendenza tentò di seguire l’esempio francese. La costruzione dello stato francese durante la terza repubblica perseguì un processo d’instaurazione di una sola lingua – il francese – di contro alle molte lingue presenti all’epoca sul territorio. Oggigiorno queste lingue sono riconosciute, ma nello stato francese della terza repubblica la diversità culturale era vietata. Allo stesso modo lo stato nazionale arabo, in Maghreb e Mashreq, ha cercato di far prevalere una sola lingua – l’arabo –, vietando le altre lingue. C’è voluto molto tempo perché fosse riconosciuta l’esistenza legittima di lingue differenti (si pensi al caso del berbero [amazigh] in Marocco). Di fatto vi è sempre stata una diversità linguistica e culturale costantemente misconosciuta, e ciò stesso a causa dell’adozione di quel modello di stato nazionale secondo il quale doveva esserci una (e una sola) lingua nazionale assieme a una (e una sola) religione ufficiale. Non c’e stato mai riconoscimento della pluralità, perché la priorità era un’altra, e anche perché le minoranze culturali erano percepite come un prolungamento dell’occupante colono. In alcuni paesi arabi i cristiani vennero infatti considerati come il prolungamento stesso della Francia. Ogni interesse manifestato dall’occidente nei riguardi delle minoranze nel mondo arabo era avvertito come un indebito intervento negli affari interni del paese (si pensi, per esempio, all’Egitto e al Libano). Al contempo, però, queste minoranze erano sfruttate come strumenti politici di lotta nel conflitto tra stati o nel conflitto tra Occidente e stati nazionali arabi. Uno dei problemi maggiori, nel mondo arabo, deriva dunque dal fatto che per decenni la ricchezza culturale e linguistica non è stata tenuta in considerazione, e oggigiorno se ne vedono chiaramente le conseguenze. Si pensi ai molti conflitti di divisione e frammentazione che caratterizzano paesi come Libia, Siria, Egitto, Iraq. Se al giorno d’oggi vi sono delle dinamiche di frammentazione e separazione (a carattere culturale, linguistico, religioso) è perché lo stato nazionale arabo non ha tenuto in debita considerazione questi elementi. Tali dinamiche si possono perfino riscontrare nei Paesi del Golfo, in Arabia Saudita. I problemi presenti in tutto il mondo arabo, relativi alla questione della cittadinanza, derivano dal fatto che le politiche sociali, culturali, linguistiche ed economiche intraprese in passato non hanno mai considerato la pluralità e la diversità. Per quanto riguarda la Palestina, essa rappresenta forse un caso unico, e ciò per il fatto di trovarsi al centro geografico tra Africa ed Asia costituendo al contempo un luogo santo per tutte le tre religioni monoteiste. Questo ha fatto sì che essa fosse presa in una rete di molteplici poteri, conquiste e invasioni, visitata da numerose culture ancora oggi presenti grazie alle popolazioni colà rimaste; tutto ciò ne ha determinato la peculiare ricchezza. Non solo tutte le tre religioni monoteiste sono legate intimamente a questa terra, ma essa è stata dominata da vari imperi: persiano, romano, greco (...). Gran parte di ciò che è avvenuto all’umanità ha lasciato le sue tracce in Palestina, dando come risultato una ricchezza sopravvissuta fino ai giorni nostri. Si pensi anche alle crociate, e ai molti popoli europei che sono venuti e sono rimasti in questa terra divenendo parte integrante della popolazione palestinese. Per non parlare poi di altri popoli: a Gerusalemme vi è un quartiere che si chiama “quartiere dei magrebini” e allo stesso modo vi è anche un quartiere indiano, pakistano, persone venute dall’Asia, dai Balcani... Si tratta di una ricchezza culturale impressionante che determina la forte diversità inerente al popolo palestinese. L’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) ha avuto un progetto politico nazionale forte perché è riuscita a capire questa specificità culturale palestinese. Nelle sue schiere si trovano persone di tutte le religioni e di molte provenienze nazionali. Una volta fecero una domanda a Yasser Arafat in merito alla sua cultura ed egli disse di essere ebreo, cristiano e musulmano, che vi era un filo di prolungamento tra queste culture e che si sentiva appartenente a tutte queste tre culture. Negli anni ’70, quando ci fu la guerra civile in Libano, in seno all’OLP c’erano libanesi di ogni confessione (sciiti, sunniti, drusi...) e tra di essi lo scrittore Elias Khouri (direttore oggigiorno della rivista letteraria al-Nahar); questi partì per Beirut intorno all’anno ’75, mettendosi alla testa di una forza di Fatah per proteggere il quartiere ebraico di Abu Jamil; e ciò valga ad esempio dell’importanza che per l’OLP deteneva l’integrazione della ricchezza culturale palestinese. Oggigiorno l’occupazione israeliana cerca in tutti i modi di trasformare il conflitto in uno scontro religioso ebreo-musulmano, isolando la componente cristiana e la ricchezza culturale in generale presente. Israele tenta in tutti i modi di far prevalere l’idea che tutto il patrimonio di questa terra è esclusivamente ebraico, mentre noi, diversamente, riconosciamo la presenza e l’esistenza della cultura ebraica come una parte e una componente della cultura palestinese. A Gerico, per esempio, il Ministero palestinese del Turismo e delle Antichità ha protetto una sinagoga ebraica perché parte del patrimonio palestinese. La diversità culturale è quindi un elemento fondamentale della cittadinanza che dev’essere valorizzato e non lasciato alle mercé e alla strumentalizzazione dei gruppi estremisti (si pensi, a proposito, al caso dell’Iraq). Il mondo arabo deve lavorare molto sull’integrazione, la ricchezza e la diversità culturale. Anche l’Europa, però, deve tenere in seria considerazione la pluralità culturale del suo territorio e saper riconoscere i cittadini d’origine arabo-musulmana, con i loro doveri e i loro diritti, senza abbandonarli nelle mani delle organizzazioni salafiste. In altre parole, è necessario che anche l’Europa nelle sue dichiarazioni, nelle sue leggi e nelle sue politiche sociali assuma la diversità culturale e riconosca anche la cultura arabo-musulmana quale parte integrante della propria identità culturale. NIKOLAOS PUTSIAKAS - Grecia La nozione di cittadinanza nasce nell’antica Atene. Il cittadino (polites) è l’uomo libero, non schiavo, e le donne non godono dei diritti di cittadinanza. La Grecia passa sotto il controllo dell’impero romano, dell’impero bizantino e infine di quello ottomano fino alla rivolta del 1821, quando si torna alla lingua greca e si afferma la continuità con la Grecia antica. Il quadro della diversità culturale in Grecia era ed è certamente variegato. In una prima categoria potremmo annoverare il popolo degli albaniti, un popolo discendente dalle popolazioni dell’Albania del nord, da diversi secoli installato in Grecia, e che giocò un ruolo importante nella rivolta greca; oltre a questi anche i valacchi, che parlavano una lingua neolatina, e una popolazione slavofona che abitava al Nord. In una seconda categoria potremmo includere la minoranza musulmana; e a proposito bisogna ricordare il trattato di Losanna (1923) che stabilì i confini della Grecia e determinò uno scambio di popolazioni (tra cui l’arrivo di molte persone dall’Asia Minore e l’emigrazione di parte dei musulmani in Turchia). La minoranza musulmana concentrata in Tracia fu dichiarata minoranza religiosa e oggigiorno ancora applica la shari’a; al suo interno troviamo una maggioranza turca, una componente bulgara (i pomacchi) e una rumena. Le persone di questa minoranza si rivolgono al mufti per risolvere questioni giuridiche. Vi è poi la comunità ebraica – molto ridotta dopo la seconda guerra mondiale ma con un ruolo economico importante – e i cattolici. A queste minoranze bisogna aggiungere una terza categoria rappresentata dalla popolazione rumena che si trova in Grecia fin dall’epoca bizantina e che in un certo qual modo gode solo di una cittadinanza di “secondo grado” (patendo in effetti condizioni problematiche rispetto alla casa, alla sanità, al lavoro e all’educazione). Per la prima categoria, la politica seguita dalla Grecia fu una politica di assimilazione – e ciò per evitare di mettere in discussione l’omogeneità dello stato greco –, alla seconda categoria si è applicato il trattato di Losanna, mentre alla terza non è applicata una vera e propria politica d’integrazione. A partire dall’anno 1990 cominciarono le grandi immigrazioni in Grecia provenienti dall’ex-URSS; per queste popolazioni furono messe in atto dei dispositivi di accoglienza. In seguito cominciarono a esserci altri flussi migratori provenienti dall’Asia e dall’Africa. Gli immigrati costituiscono oggi circa il 20% della popolazione greca. Ad essi non furono riconosciuti pari diritti politici se non a partire dal 2010 quando il governo decise di concedere loro il diritto di voto e dare la cittadinanza ai figli nati in Grecia oltre a coloro che avevano compiuto sei anni di studi nel paese. Con la crisi economica e il governo tecnico conseguente questa chiara volontà politica d’integrazione degli immigrati non solo è venuta meno, ma è stata sostituita da un regresso legislativo (2014) tramite la revoca del diritto di voto e del diritto di cittadinanza. Successivamente possiamo testimoniare l’emergere di un nuovo approccio della sinistra: essa è particolarmente sensibile a questo tema, ma al contempo impotente, nei fatti, a causa delle enormi restrizioni imposte dall’Unione Europea. Da un punto di vista generale, lo stato greco non ha messo l’accento sul valore della diversità culturale, ma ha piuttosto trattato la questione dell’immigrazione come un problema, come un fenomeno dalle ripercussioni negative. Tuttavia è recentemente sorta una fitta rete associativa di ONG che promuovono iniziative di appoggio e solidarietà, la qual cosa dà la possibilità d’essere più ottimisti rispetto al futuro. VICENT GARCÉS - Spagna Ci scusiamo per la parzialità della seguente sintesi dovuta alla cattiva qualità di registrazione dell’intervento Se esiste una cittadinanza mediterranea, essa è fondata sulla differenza. La nostra identità è la nostra diversità. La relazione storica dei popoli mediterranei è fatta di scambi e conflitti al tempo stesso. Per costruire un nuovo avvenire è necessario comprendere che bisogna accettare la diversità, perché essa è la forza della nostra identità. (...) In Spagna si discute da secoli sulla nostra diversità culturale. La questione è come costruire uno stato rispettoso della diversità culturale. Non si è ancora trovata una soluzione a tale questione. Si pensi al movimento d’indipendenza della Catalogna: una parte enorme della popolazione vuole l’indipendenza dallo stato spagnolo. L’aspetto principale su cui poggia questa volontà d’indipendenza proviene dalla diversità linguistica e dal desiderio di preservare l’identità culturale legata alla lingua catalana. Si pensi anche alla popolazione basca (...). I valori che è necessario riaffermare e difendere sono: accettazione della diversità, tolleranza, giustizia e difesa della dignità dell’alterità. Bisogna inoltre tenere in conto la disuguaglianza economica tra Nord e Sud del Mediterraneo, l’ineguaglianza sociale inerente a ogni paese, il divario tra dimensione della sicurezza e della libertà in seno allo spazio mediterraneo, infine, la contraddizione tra le politiche di pace e le politiche di guerra. É necessario inaugurare politiche di tolleranza e iniziative di dialogo che sostengano lo sviluppo della rete cittadina del Mediterraneo e assicurino un nuovo futuro per questo spazio comune di convivenza. GIUSEPPE GILIBERTI - Italia La questione euro-mediterranea – ossia le relazioni politiche, economiche e culturali tra i paesi dell’Unione Europea e i paesi mediterranei del sud con cui vige partenariato – ha riacquistato nuovo peso e rilevanza dall’anno 2010. Cosa significa, oggi, parlare di una cittadinanza euro-mediterranea? Lo spazio mediterraneo gioca un ruolo capitale nella questione della definizione dell’identità europea. In questo spazio d’incontro confluiscono i patrimoni culturali del mondo classico e quello della tradizione giudeo-cristiana. L’Europa sorse da questa frattura del Mediterraneo in due parti, la parte di Maometto e quella di Carlo Magno diceva Henri Pirenne (1937). Il Mediterraneo è attualmente una frontiera d’acqua che separa due mondi una volta uniti, la possibile sorgente di uno scontro tra civiltà (S. Huntington). Vi sono però anche delle politiche che cercano di invertire questa nefasta profezia, quali il partenariato euromediterraneo nato nel 1995, la politica di vicinato adottata nel 2003 e la creazione dell’Unione per il Mediterraneo avvenuta nel 2008. Si tratta di sforzi limitati ma anche ambiziosi, tesi alla costruzione di una zona geopolitica mediterranea condivisa e sulla base di un’identità culturale comune. La Dichiarazione di Barcellona del 1995 implicava tre dimensioni: la collaborazione a livello politico e cittadino, favorire il libero scambio e lo sviluppo congiunto dell’Europa e dei paesi del partenariato (creazione di una zona euro-mediterranea di libero scambio), istituire infine un partenariato sociale, umano e culturale (collaborazione nel campo dell’educazione, della ricerca, della formazione professionale e della sanità) teso a intensificare gli intercambi culturali e il dialogo tra le società civili. L’investimento europeo non è stato ancora capace di contrastare l’incremento della distanza economica tra sponda nord e sud del Mediterraneo, i paesi mediterranei del partenariato non hanno risposto in maniera costruttiva (ad eccetto forse della Tunisia) e gli scambi meridionali sono rimasti estremamente deboli. Oggigiorno il Mediterraneo non è solo un termine geografico, ma una regione geopolitica ove emergono reti collaborative e di dialogo. Questo progetto emergente richiede forse l’elaborazione o il riconoscimento di un’identità mediterranea condivisa? Esiste un’identità culturale mediterranea o euromediterranea? O non è altro che un mito comune? Vi sono molti intellettuali che difendono l’idea che le radici della cultura europea sono al contempo ad Atene, Gerusalemme e Roma, ossia nella scienza, nella religione e nella cultura giuridica. Questa semplificazione comporta però il rischio che l’Europa aumenti le proprie distanze rispetto ai paesi del Mediterraneo meridionale e orientale: l’Europa non è autosufficiente dal punto di vista culturale, essa ha radici anche nel mondo arabo, e ad esso è debitrice. Vi è una reciproca implicazione tra il mondo arabo e l’essere-europeo. Probabilmente non esiste una vera e propria identità comune mediterranea, ma certamente esiste la possibilità di sviluppare dei terreni di dialogo culturale. Il “mediterranismo” nato in Francia e in Spagna, e difensore dell’esistenza di un’identità culturale mediterranea, debuttò negli anni ’30 come reazione orientalista a una cultura araba percepita come decadente e incompatibile con la modernità. Oggi si preferisce parlare di un umanesimo comune alle culture mediterranee, un umanesimo che si trova alla base dell’identità culturale europea, ma anche di quella araba, e in entrambi i casi fondato sul valore centrale della dignità – concetto che fu anche lo slogan della rivoluzione tunisina. Questo tema della dignità umana rimanda all’idea della perfettibilità, della possibilità d’autoperfezionarsi tramite la ragione, tramite la conoscenza e l’educazione – idea comune alla cultura araba, ebraica ed europea. Si tratterebbe allora di mettere alla base del concetto di cittadinanza questa idea di dignità che implica anche il rispetto dei diritti della persona. É necessario così tornare allo studio di tale concetto sul piano filosofico, storico, letterario, individuando gli elementi che possono aiutare a definire un vocabolario essenziale per il dialogo. Esistono due modi di concepire il concetto di cittadinanza. Secondo un’accezione giuridica esso indica il fatto di condividere dei diritti e dei doveri. Secondo un’accezione socioeconomica indica piuttosto la condizione di libertà e protezione effettiva di un soggetto specifico all’interno di una società. La questione è dunque quella di scegliere che tipo di cittadinanza vogliamo promuovere: una di tipo politico o una economico-sociale che promuova l’accettazione reale delle altre culture, l’integrazione degli immigrati, ecc. Uno degli strumenti principali per sostenere questa idea di una cittadinanza mediterranea plurale è l’idea progettuale di uno spazio comune di collaborazione e ricerca nel campo dello studio e della scienza. Nel 2007 i ministri dei paesi europei e dei paesi del partenariato mediterraneo decisero di sospingere verso sud il progetto Socrate. Una delle conseguenze di tale decisione fu la creazione della EMUNI, l’Euro-Mediterranean University. Infine, bisogna riconoscere la fondamentale importanza della rivoluzione tunisina quale esempio per il Mediterraneo e per il mondo intero. Essa rappresenta la presa di coscienza, da parte del mondo arabo-musulmano, di una necessaria e fiera aspirazione a una società democratica rispettosa della dignità della persona. INTERVENTI E DOMANDE Primo intervento La Dichiarazione di Barcellona avanzò due proposte programmatiche principali. Una economica: aprire un grande mercato euro-mediterraneo; questa ha completamente fallito per l’incapacità di cambiare il tipo di relazioni tra paesi del Nord e del Sud e perché di fatto i paesi occidentali hanno conservato l’egemonia sul mercato dell’energia. Una culturale, invece, che ha raggiunto risultati rilevanti grazie alle associazioni volontarie e alle ONG. Per proseguire sulla strada della cittadinanza mediterranea è necessario, a mio avviso, affrontare anche l’irrisolta questione di disparità e disuguaglianza economica. Per poter veramente dialogare tra pari è senza dubbio necessario un approccio plurale anche sulle questioni economiche così come rispetto ai modelli di business (attualmente di tipo occidentale ed esportati al Sud). Dal punto di vista del partenariato culturale, invece, si sono fatti dei notevoli passi in avanti, per esempio rispetto alla mobilità permessa ai giovani in direzione dei paesi del sud del Mediterraneo. Alcune questioni: 1) come interpreta l’Europa le primavere arabe rispetto alla questione euromediterranea? Se guardiamo alla questione dell’energia (come il gas in Libia) l’Europa non è forse rimasta ancorata a un’interpretazione eurocentrica? 2) cosa fa l’Europa rispetto all’immigrazione? 3) l’Europa ha avanzato una nuova posizione rispetto alla questione palestinese di due stati e due popoli o non è forse rimasta su delle posizioni altamente ambigue? 4) l’Europa si sforzerà a capire le ragioni complesse della guerra o aspetterà che essa giunga nel proprio territorio? Secondo intervento Vorrei porre una questione al sig. Maatoug e al sig. Al-Balawi: dato che avete parlato molto del mondo arabo, si può dire che esiste ancora un’identità araba unita e coerente? É la Lega Araba rappresentativa di questa identità? Risposte FREDJ MAATOUG É certamente ambiguo parlare di un’identità araba, ma quando si parla a questo proposito si usano piuttosto termini quali “personalità arabo-musulmana”, “cultura arabomusulmana”. Il mondo arabo è vasto. Tra Marocco e Kuwait vivono tra 350 e 400 milioni di persone. In Maghreb, per esempio, la lingua e l’etnia divide (data la presenza del berbero), ma in Medio Oriente l’arabità unisce, mentre invece a dividere è la religione (si pensi all’Iraq). Nel mondo arabo vi sono almeno tre quattro grandi gruppi linguistici. Vi sono i curdi in Iraq, in Siria. In Maghreb il berbero (amazigh). Questa ricchezza è stata però mal gestita. Poco fa Hassan al-Balawi parlava di tale errore, di questa fragilità degli stati indipendentisti nel volere costruire uno stato-nazione. Il Sud del Mediterraneo non è l’Europa. Per quanto riguarda gli attuali movimenti d’indipendenza bisogna tenere conto che siamo oramai in un’altra epoca, differente da quella che ha caratterizzato la costruzione delle nazioni europee. Il mondo arabo quando andava in pellegrinaggio alla Mecca non incontrava alcuna frontiera, ognuno prendeva il suo cavallo o il suo cammello e andava fino alla mecca. Si pensi a Ibn ‘Arabi, che era di Murcia, egli viaggiò in tutto il mondo arabo senza soluzioni di continuità. Lo stato nazionale post-indipendenza ha fallito su ogni fronte: sulle libertà, sulla democrazia. Questa identità è multipla, è l’immagine del Mediterraneo. Non vi è altro luogo tanto piccolo, e al contempo con tanta ricchezza, tante lingue e tante religioni, quale il Mediterraneo. Leggete cosa diceva Fernand Braudel, l’amante e il sapiente di questo Mediterraneo. HASSAN AL-BALAWI Io affronterò la questione sul piano linguistico. Si parla di Lega Araba, ma esiste anche un’altra denominazione, la Lega degli Stati Arabi (Jâmi‘at al-Duwal al-‘Arabiyya). Ossia, c’è chi pensa che esista una lega araba che unisce la totalità degli arabi, e altri che la concepiscono come lega degli stati arabi. Una seconda questione. C’è chi parla di “mondo arabo” e chi invece dice “nazione araba”. Quando si parla di mondo arabo significa che v’è una moltitudine di nazionalità, quando si dice nazione si intende patria. Gli europei preferiscono parlare di mondo arabo perché per loro non esiste una nazione araba. La visione europea del mondo arabo parte da una lettura prettamente europea. Il concetto di nazione è un concetto europeo che arriva nel 18° secolo, e gli arabi hanno cercato di copiarlo senza tenere in considerazione la loro differente e peculiare storia. Come si diceva poc’anzi, gli arabi anche in tempo di decadenza andavano da un paese all’altro, passando per il Marocco, la Tunisia, Damasco, Beirut, per arrivare a l’Hijâz; essi non si identificavano a una nazionalità specifica, ma si sentivano appartenenti a un insieme indiviso. Nelle stesse guerre di liberazione arabe non si è mai posta questa questione. In Algeria, per esempio, le persone rivendicavano la propria identità araba perché essa era in contraddizione rispetto all’identità francese. Lo stesso termine arabo per dire “nazione”, umma, non si rifà a un concetto di razza, di etnia, ma piuttosto a un concetto intellettuale e religioso. Penso che, oggigiorno, per quanto riguarda la questione dell’identità, gli arabi siano chiamati a ridefinirsi. Penso che debbano cominciare a riflettere sul loro interesse economico, il quale conduce all’interesse politico e culturale. Gli arabi non sono oggi padroni delle loro ricchezze economiche. E l’Europa guarda al mondo arabo attraverso questo prisma. Gli arabi devono quindi ridefinire la propria concezione rispetto ai loro interessi. Possono farlo? Li lasceranno fare? O anche in questo caso giocano contro altri interessi? La questione è complessa. Una cosa è certa: non vi potrà essere un dialogo tra l’Europa giudeo-cristiana e questo mondo arabo-musulmano senza passare per la questione palestinese. NIKOLAOS PUTSIAKAS Il fatto che lo stato greco non abbia valorizzato la ricchezza della diversità culturale in Grecia, perseguendo al contrario una politica d’omogeneizzazione, ha prodotto delle chiare inconvenienze, al punto che oggigiorno si discute ancora sulla costruzione di una moschea ad Atene – fatto che mostra quanto la Grecia non ha saputo e ancora non sappia riconoscere la ricca e variegata eredità culturale che l’ha costituita. VICENT GARCES (intervento particolarmente degradato dal punto di vista della qualità di registrazione) Un concetto su cui bisogna portare l’attenzione è quello di decolonianizzazione del pensiero. Prima di tutto è necessario decolonizzare le politiche. Nel caso greco, per esempio, l’Unione Europea è incapace di riconoscere la legittimità di politiche differenti. Nei paesi arabi il grido è stato “Liberté, dignité” e “dégage!”. Si tratta dello stesso motto che ha animato la Grecia e la Spagna. Il colpo di stato in Egitto rivendicava la possibilità di un altro modello politico ed economico, per questo risuonò in tutto il mondo arabo. Lo spazio mediterraneo accoglie tutte queste differenze in un progetto di rinnovamento comune. Solo comprendendo che l’identità del Mediterraneo è la sua diversità si potrà arrivare a uno spazio di pace, di tolleranza e comprensione. Non è accettabile che l’Unione Europea quale entità politica abbia un’unica visione del Mediterraneo. In Europa vi sono tre potenze: Gran Bretagna, Francia e Germania. La Germania domina la politica economica dell’Unione Europea e ha una propria visione della UE e del mondo, la Francia ne ha un’altra. Ora, se lo spazio mediterraneo è un’utopia, invero, anche l’Unione Europea stessa è oggi un’utopia. Nel Mediterraneo confluiscono gli interessi di molte potenze mondiali, è necessario proteggerlo e sospingerci a un avvenire quali cittadini mediterranei. GIUSEPPE GILIBERTI Un problema rilevante del Mediterraneo è che non esiste una sorta di Unione Europea del sud. Certamente esiste l’Unione del Maghreb Arabo, ma essa non ha che un valore simbolico. É un peccato che ogni paese arabo sia solo e da solo debba confrontarsi con il potere economico e politico del Nord. In effetti, il partenariato euro-mediterraneo non è realmente un partenariato: da una parte c’è l’Unione Europea e dall’altra ogni paese arabo preso singolarmente. L’Unione per il Mediterraneo è un fantasma. Si trattava di un sistema ideato da Sarkozy per mettere insieme i paesi del Sud dell’Europa e per evitare di dover accogliere la Turchia tra i paesi appartenenti all’Unione Europea. La Germania, però, bloccò questo processo, trasformandolo in uno più vasto e meno incisivo. Vi sono tuttavia altri processi e altre esperienze; per esempio la diplomazia universitaria e delle città. Il Mediterraneo può essere pensato anche come una rete di relazioni tra le comunità cittadine, e qui entra anche l’operato delle ONG. Un’esigenza urgente s’impone in ogni caso: erigere il Mediterraneo, costruire istituzionalmente una zona geo-politica [mediterranea]. MARIA DONZELLI Due osservazioni. Nonostante si siano costruite delle buone relazioni culturali con i paesi del Mediterraneo, da parte dell’Europa, ma anche degli Stati della sponda sud del Mediterraneo, non esiste una volontà chiara di sostenere, anche finanziariamente, questo tipo di progetti. Si tratta di una deficienza che va denunciata, perché rinvia alla sostanziale marginalizzazione del dialogo tra i cittadini di diverse culture, rispetto agli interessi del potere economico e politico, spesso lontano dagli stessi cittadini. Penso inoltre sia necessario porsi la questione dell’imperialismo e del colonialismo. Il mondo arabo comprendeva e comprende una diversità enorme di culture, eppure, l’idea unitaria proposta dalle nazioni europee fin dal 18° secolo continua ancora oggigiorno a diffondersi: si descrive il mondo arabo come qualcosa di omogeneo. Noi siamo qui per contrastare questa idea di omogeneità attraverso le testimonianze di alcuni cittadini. GIUSEPPE CATALDI Se risaliamo alla dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino vediamo che le due idee sono legate tra loro. I diritti dell’uomo e del cittadino sono giunti al Mediterraneo? La prima difficoltà risiede nell’uomo mediterraneo. L’individualismo presente nelle nostre società e il rapporto tra il potere e il cittadino non sono ancora arrivati a un grado capace di costruire qualcosa d’importante dal punto di vista politico nel Mediterraneo. Dal punto di vista economico vi sono già degli sforzi in atto, ma per arrivare a qualcosa di rilevante dal punto di vista politico è necessario uno sforzo supplementare della politica, della società, e ancor di più, dei cittadini, delle persone, degli individui. Per quanto riguarda l’immigrazione constatiamo l’assenza di politiche dei paesi della costa Nord e della UE in generale. Sulla costa Sud vi sono state delle riforme importanti, soprattuttto nel diritto famigliare e per quanto riguarda i diritti della donna: si tratta di passi molto importanti che devono trovare una controparte sulla costa Nord – in tema d’immigrazione – perché ci si trovi a metà strada. É un esercizio che tutti devono intraprendere. Per quanto riguarda la questione delle minoranze è necessario una differente maniera di comprendere l’istituzione dello stato: esso non deve essere necessariamente mono-etnico. Si pensi all’esempio della Bolivia come stato plurinazionale e pluriculturale. Bisogna allora recuperare il concetto di dignità, promuovere la solidarietà, il rispetto delle minoranze e il rispetto dello stesso stato nazionale. É fondamentale la collaborazione e non solo la coesistenza tra i popoli del Mediterraneo. L’imporsi degli interessi di terzi, rispetto allo sfruttamento e alla gestione dell’energia, è dovuto proprio a questa mancanza di collaborazione tra i paesi del Mediterraneo. Dobbiamo cercare di giungere a una coscienza collettiva rispetto a quello che si può fare, tutti assieme, dal punto di vista della collaborazione e della solidarietà.