Il velo rivela più che nascondere

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Il velo rivela più che nascondere
Vivere in Tunisia
Attività svolte in Tunisia da ragazzi Italiani e non solo...
GIOVEDÌ 26 LUGLIO 2012
Il velo rivela più che nascondere
Il velo come una bandiera. E' poi così importante? Il velo sui giornali, sulla stampa internazionale in
particolare, nella testa di molti laici, o laicard secondo un'espressione dispregiativa francese diventa il
pomo della discordia, troppo spesso una semplificazione tendenziosa. Su un quotidiano free press ho
letto prima di partire dall'Italia che perfino a Tunisi, non nella Tunisia 'marginale', in spiaggia sarebbe
stato impossibile mettersi in costume; che le donne sono sempre più spesso velate e nell'articolo si
lasciava intuire - in questo caso certamente non in modo particolarmente velato - che la Tunisia stia
attraversando una transizione verso una vera e propria islamizzazione, intesa in senso deteriore.
Sono partita con la solita curiosità, cercando di mettere nel cassetto ogni 'pre-giudizio' per lasciarmi
guidare dall'ascolto e dall'osservazione curiosa, tornando sulle orme di Sophie, protagonista del mio
romanzo "Tunisi, taxi di sola andata" (No Reply editore) per capire se immergersi nella vita quotidiana
sia sufficiente. Arrivo in città e girando anche per i quartieri popolari non noto un aumento delle donne
velate, eppure è appena iniziato il mese sacro del Ramadan.
Una vetrina della Galérie Zephyr pendant le Ramadan
La differenza si è notata tra prima della rivoluzione e subito dopo, in particolare la scorsa
estate sempre nel periodo del digiuno. Il clima è cambiato allora ma non ulteriormente orientato
verso un ritorno alla tradizione. La spiegazione è molto semplice e perfino banale: al tempo di Ben Ali
indossare il velo negli uffici pubblici era vietato da una legge della Costituzione, il popolo era
disincentivato a praticare visibilmente la religione anche se la grande moschea della Medina, alZitouna è stata realizzata proprio sotto il passato regime. Ho ascoltato molte voci in questi giorni,
persone colte, intellettuali, gente comune, tassisti che mi dicono che finalmente sono liberi di
esprimersi, anche religiosamente, perché no? Che sotto i Trabelsi, la famiglia della consorte dell'ex
Presidente, erano 'invitati' a guardare al modello europeo ed erano stati sradicati dalla tradizione per
abbracciare l'omologazione di un mondo globalizzato, limando viepiù ogni elemento caratterizzante di
un popolo e di un paese. Naturalmente questa non è che una prima lettura, autentica ma altrettanto
semplicistica. Ho chiesto ad una manager italiana, account manager del call center di una
multinazionale italiana che vive a contatto con i giovani tunisini, molti dei quali donne, se avesse
notato qualche cambiamento. "Quando sono arrivata qualche anno fa praticamente ragazze velate
non ce n'erano.
La statua di Buddha 'oscurata' per pubblico pudore, terrazza Zéphyr, el Marsa
Dopo la rivoluzione diverse lo hanno indossato. Non mi pare che sia motivo di divisione o
contrasto con chi non lo porta. Ascoltando le ragazze velate ho intuito che si tratta certamente di una
scelta, libera e di forte identità". Ho avuto la possibilità di incontrare alcune ragazze del call center e
tutte mi hanno detto la stessa cosa: il velo dev'essere una scelta libera e oggi, dopo la caduta del
regime Ben Ali, la libertà è poterlo indossare e poter manifestare la propria religiosità senza timore.
Nessun problema con chi non lo porta. Una ragazza, Sonia, con l'hijab mi ha detto che lei mette "il
velo sulla testa, non nella testa. Questo è importante. Si sente moderna ed è insofferente ad ogni
imposizione, a chi ad esempio vorrebbe coprire il volto delle donne". Il velo rivela una scelta nel segno
della tradizione e dell'identità ma non un rifiuto dell'apertura e della modernità, tanto che è spesso
colorato, alla moda, intonato con gli abiti. Non tutti la pensano così, come Mounira, una bella ragazza
mora vistosa e molto curata nel vestire che lavora in un'agenzia immobiliare e abita il quartiere chic
della banlieue nord, La Marsa. "Avverto spesso una sensazione di disagio se non di paura per come
sono guardata e giudicata per il mio abbigliamento. Rispetto chi porta il velo ma voglio altrettanto
rispetto. Quello che mi infastidisce è che spesso indossare il velo è un modo pour emmerder ' le altre',
quelle che vestono all'occidentale. Dov'erano tutte queste ragazze religiose prima?" Nascoste? "Se si
è davvero convinti del proprio credo, si lotta, si sfida la situazione e in ogni caso si sceglie di restare a
casa se questo lede la propria identità". In effetti c'è la sensazione, soprattutto nelle università, cuore
dello scontro tra laicità e religiosità, di una volontà di provocazione, di un'eccitazione nel giocare muro
contro muro, più innamorati della libertà di espressione in quanto tale che del contenuto da
esprimere. Silvia Finzi, Docente alla Facoltà di lettere dell'Università La Manouba di Tunisi,
incontrandomi al Centro Dante Alighieri, presso l'Ambasciata italiana, mi ha detto chiaramente "se
questa è la rivoluzione, dalla dittatura personale ad una teocrazia, allora questa non è la mia
rivoluzione". Forse è solo un gioco della parti.
Il velo non rischia di diventare una mistificazione? "Il velo è l'elemento più visibile in termini
simbolici della 'lotta' tra religione e laicità. Per quanto mi concerne l'hijab (il foulard) non crea nessuna
barriera. Sono per il pluralismo. Il consiglio scientifico, eletto democraticamente all'università, ha
deciso però di non ammettere agli esami ragazze che indossino il velo integrale (niqab) perché rende
impossibile il riconoscimento dell'identità personale, inaccettabile in un'istituzione pubblica. Ne è nata
una campagna di scontro e di aggressione fisica verso quei professori che hanno fatto valere questo
principio. Il problema è che lo Stato attraverso la polizia, non ha riconosciuto questo principio. Se non
esiste la reciprocità del rispetto: il diritto alla religiosità come all'ateismo, non è possibile un dialogo
democratico". Insisto: perché il velo sembra convogliare tanta animosità, anche quando è liberamente
scelto dalle donne? "Non credo ci sia necessità di studi antropologici per capire che un movimento di
uomini che vogliono le donne nella vita pubblica velate integralmente, ovvero rendendole invisibili,
mostra un evidente messaggio contraddittorio e inaccettabile". Difficile una sintesi delle posizioni e
soprattutto delle sensazioni rispetto alla propria identità tra paura, fastidio, speranza. Più volte nel
corso di una conversazione le posizioni cambiano perché, mi ha confermato la scrittrice di Sfax Lilia
Zaouali, che vive in Italia, nulla è chiaro e le persone hanno necessità di tempo per trovare una nuova
identità. C'è fiducia in generale nel fatto che niente verrà imposto alle donne tunisine che non
condividono grazie alle acquisizioni consolidate fin dai tempi di Bourghiba. Ma quale sarà la
maggioranza alla fine della transizione? E come vivrà l'altra metà del cielo? Guardando le ragazze e
le donne per strada non sembra che ci sia rivalità tra chi è velata e chi non lo è e magari cammina
accanto all'amica o alla madre con un abbigliamento non di rado à la page, decisamente sexy.
La convivenza nelle famiglie non è difficile, assicura Sondes Ben Khalifa, giornalista radiofonica di
RTCI che mi ha raccontato come lei musulmana e praticante non indossi il velo, mentre sua madre ha
fatto questa scelta relativamente di recente e così sua sorella. "Ognuno ha i propri tempi e modi di
esprimersi. In un momento nel quale si esce da una laicità che non è stata certo sinonimo di libertà e
tutela dei diritti, le reazioni possono essere altrettanto forti". Forse leggendo con attenzione questa
generazione nata e cresciuta sotto Ben Ali, si capisce perché siano meno anticonvenzionali delle
donne di quaranta e soprattutto cinquant'anni. Molte ragazze prendono le distanze dalle battaglie delle
madri e soprattutto delle donne, mi fa notare l'editrice Silvia Finzi. I dati parlano chiari: nel 1957 in
Tunisia è stato introdotto l'aborto. Nei primi anni Sessanta del Novecento l'allora Presidente Habib
Bourghiba sosteneva politiche di pianificazione familiare. Da dieci anni a questa parte, mentre i
costumi sessuali sono sempre più disinibiti, cresce visibilmente il numero di interventi medicali volti a
ricostruire la verginità. Qualcosa sta succedendo. La rivoluzione ha impresso un'accelerazione e
vestito di un abito politico alcuni movimenti della società. In ogni caso, velate o non, l'importante è che
sia per libera scelta! E il principio deve valere per tutti.
(http://affaritaliani.libero.it)