Vademecum - Partito Autonomista Trentino Tirolese

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Vademecum - Partito Autonomista Trentino Tirolese
Vademecum
Referendum costituzionale
4 dicembre 2016
Gruppo “per le Autonomie”
1. Gli obiettivi della Riforma costituzionale
Il 4 dicembre 2016 tutti i cittadini italiani (maggiorenni) sono chiamati ad esprimersi sulla
Riforma costituzionale approvata dal Parlamento a maggioranza assoluta. Il referendum è
necessario in quanto non si è raggiunta la maggioranza dei 2/3 in Parlamento. Trattandosi
però di un referendum confermativo, non è previsto alcun quorum, ossia l'esito del
referendum è comunque valido, anche nel caso in cui vada a votare meno del 50%+1
degli aventi diritto al voto.
Qualora prevalessero i "Sì" sui "No", la Riforma costituzionale entrerebbe in vigore; in
caso contrario, il testo della Costituzione rimarrebbe quello attualmente vigente.
L'obiettivo principale della Riforma è, innanzitutto, quello di semplificare il processo
decisionale, e ciò mediante:
- il superamento del "bicameralismo paritario";
- il riordino delle competenze dello Stato e delle Regioni a Statuto ordinario.
Inoltre, è previsto un rafforzamento degli strumenti di democrazia diretta; attraverso ad
esempio l'introduzione dell'istituto del referendum popolare propositivo (e di indirizzo).
2. La Riforma del Senato
Il tema centrale (e anche più dibattuto) della Riforma è stato - ed è tuttora - la radicale
trasformazione del Senato, sia in relazione alla sua composizione, sia in relazione alle sue
funzioni.
È ormai da decenni opinione quasi unanime, della politica come anche della dottrina, che
il "bicameralismo paritario" vada superato. Ad oggi, Camera e Senato hanno le stesse
funzioni e ciascun disegno di legge deve essere definitivamente approvato, in entrambi i
rami del Parlamento, nel medesimo testo. Non esiste in Europa (con la sola eccezione
della Romania) un sistema paragonabile al nostro e, nei Paesi in cui vige il sistema
bicamerale, il Senato svolge, generalmente, funzioni diverse da quelle di una "Camera
politica", essendo per lo più concepito come una "Camera degli esecutivi regionali"
(Bundesrat).
Quanto alla Camera dei deputati, l'attuale proposta di Riforma non va ad incidere su di
essa: continuerà ad essere composta da 630 deputati e ad esercitare le medesime
funzioni.
Stando alla Riforma, quindi, il sistema resta sì bicamerale, ma solo i deputati saranno
rappresentativi della "Nazione", mentre il futuro Senato sarà rappresentativo delle
"istituzioni territoriali", vale a dire delle Regioni, delle Province autonome e dei Comuni.
Solo la Camera dei deputati sarà, pertanto, chiamata a conferire (ed eventualmente
revocare) la fiducia al Governo, il Senato non più. Anche per quanto riguarda il
procedimento legislativo, l'organo dominante sarà la Camera dei deputati, mentre
l'esercizio della funzione legislativa da parte del Senato sarà limitato ad alcune materie,
tassativamente elencate.
Il Senato sarò composto in tutto da 95 senatori, rappresentativi delle istituzioni territoriali,
da 5 senatori, nominati dal Presidente della Repubblica con mandato di 7 anni (non
rinnovabile), nonché dagli ex Presidenti della Repubblica (senatori di diritto a vita).
I 95 senatori (21 sindaci e 74 consiglieri regionali o provinciali) sono eletti dai Consigli
regionali e dai Consigli provinciali di Trento e di Bolzano, in proporzione alla consistenza
demografica.
Nessuna Regione o Provincia autonoma avrà, in ogni caso, un numero di senatori
inferiore a 2. La Lombardia avrà, ad esempio, 14 senatori, 10 tra Regioni e Province
autonome avranno 2 senatori (1 rappresentante del Consiglio regionale o provinciale e 1
sindaco).
I senatori sono eletti con metodo proporzionale, nel rispetto delle scelte degli elettori
(anche allo scopo di evitare che tutti i senatori di una Regione siano espressione della
maggioranza politica dominante all'interno di quella Regione).
La durata del mandato dei senatori coinciderà con quella delle relative istituzioni territoriali
di provenienza, siano essi sindaci o consiglieri regionali o provinciali. Per l'esercizio del
mandato, i senatori non percepiranno, in aggiunta all'emolumento loro spettante per la
carica di rappresentanza territoriale, alcuna indennità aggiuntiva.
Per la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, viene garantita una sovra-rappresentanza,
dato che le Province di Trento e di Bolzano sono praticamente equiparate ad una
Regione. La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol sarà infatti rappresentata in tutto
da 4 Senatori (a fronte di una popolazione di 1,1 milioni di abitanti), il doppio quindi
di una Regione come la Liguria che conta, ad esempio, 1,5 milioni di abitanti.
Il Senato, oltre al "concorso paritario" all'esercizio della funzione legislativa in caso di leggi
costituzionali, leggi in materia di tutela delle minoranze linguistiche, ratifica di Trattati
relativi all'appartenenza dell'Italia all'UE (ad esempio, in caso di adesione di uno Stato
Terzo all'UE), trasferimento di ulteriori competenze statali a Regioni e Province autonome
(articolo 116, comma 3), Accordi regionali con istituzioni estere ed altre questioni di
interesse locale e regionale, ha anche una serie di altre funzioni politiche, come, ad
esempio, l'istituzione di apposite Commissioni d'inchiesta, il raccordo tra Unione europea,
Stato e enti territoriali, l'elezione di 2 dei 5 giudici costituzionali complessivamente
eletti dal Parlamento, l'espressione del parere in merito all’esercizio del potere sostitutivo
dello Stato.
É probabile che, nel nuovo Senato, continueranno ad esservi i Gruppi politici, non
essendo previsto, come ad esempio nel Bundesrat tedesco, che i rappresentanti di una
Regione debbano votare in modo unitario. Considerando l'attuale costellazione politica, ciò
significa che ci saranno come minimo 4 gruppi politici, ossia PD, centro-destra, Movimento
5 Stelle e Gruppo Per le Autonomie.
Il Gruppo Per le Autonomie sarebbe rappresentato, in proporzione alla situazione
attuale, in maniera molto più consistente se i rappresentanti della Regione della Valle
d'Aosta (2) e quelli delle Province autonome di Trento e di Bolzano (2 per ciascuna
Provincia) continueranno - come ora accade - a costituire un unico Gruppo (in aggiunta, ci
sono i rappresentanti della Regione Friuli-Venezia Giulia ed alcuni Senatori a vita):
attualmente, siedono in Senato 8 rappresentanti provenienti dalle Regioni Valle d'Aosta e
Trentino-Alto Adige/Südtirol (1 dalla Regione Valle d'Aosta, 7 dalla Regione Trentino-Alto
Adige/Südtirol), essendo, quindi, la proporzione di 8 Senatori su 321 (in futuro sarebbe di
6 Senatori su 100).
Sebbene il Senato perderà, di fatto, molte delle sue attuali funzioni, esso però manterrà anche in futuro - importanti competenze legislative. Significativo, per la Regione TrentinoAlto Adige/Südtirol, è che il Senato potrà continuare a legiferare, su un piano di parità con
la Camera dei Deputati, ad esempio sulle leggi costituzionali (modifiche allo statuto
d'autonomia, riforme costituzionali) e sulle norme riguardanti la tutela delle minoranze
linguistiche; ciò significa che - come tuttora avviene - il medesimo disegno di legge dovrà
essere approvato con doppia deliberazione dalla Camera e dal Senato, considerando
inoltre che, nelle ultime due letture, dovrà essere raggiunta almeno la maggioranza
assoluta. In pratica, senza il consenso del Senato, non potrà essere modificato, ad
esempio, lo Statuto d'autonomia.
Per quel che attiene all'esercizio delle altre funzioni, molto dipenderà da chi siederà nel
nuovo Senato, se saranno cioè i Presidenti delle Regioni e quelli delle Province autonome
e i Sindaci dei grandi capoluoghi italiani.
Inoltre, il Senato può, entro 10 giorni dall'approvazione di un disegno di legge da parte
della Camera dei Deputati e su richiesta di 1/3 dei suoi membri, chiedere di esaminarne il
testo. In tal caso, ha 30 giorni di tempo per proporre eventuali modifiche (che la Camera
potrà valutare se accogliere o meno in sede di approvazione definitiva).
È certamente vero, quindi, che l'ultima parola spetta alla Camera, potendo quest'ultima
ignorare le modifiche proposte dal Senato, tuttavia, non è neanche pensabile che richieste
provenienti da un Senato con una forte composizione politica non vengano neppure prese
in considerazione.
In conclusione, il Senato non dovrà essere necessariamente, per così dire, un "cane che
abbaia, ma non morde". La vera domanda è se i cosiddetti "senatori-part-time" saranno in
condizione di esercitare tutte le funzioni relative alle competenze del nuovo Senato, senza
però trascurare quelle relative alle Regioni e amministrazioni di provenienza.
3. Il potenziamento degli strumenti di democrazia diretta
Con l'attuale proposta di Riforma costituzionale vengono introdotte nuove tipologie di
referendum; oltre al referendum abrogativo, già previsto nel nostro ordinamento, viene
introdotto l’istituto del referendum propositivo e di indirizzo.
Per quanto riguarda il referendum abrogativo, la Riforma prevede un abbassamento del
quorum per la sua validità: se richiesto da almeno 800 mila firmatari (contro gli attuali 500
mila), è fissato alla maggioranza dei votanti alle elezioni politiche precedenti (non più,
quindi al 50% + 1 degli aventi diritto, bensì alla metà + 1 dei votanti alle ultime elezioni
politiche). Considerando, quindi, che il tasso di affluenza elettorale si aggira, attualmente,
intorno ad una percentuale del 75-80%, il quorum necessario è stato notevolmente
abbassato.
Anche per quanto riguarda le leggi di iniziativa popolare sono state introdotte delle novità:
sebbene sia aumentato il numero delle firme necessarie per la presentazione di un
progetto di iniziativa popolare (150 mila, anziché 50 mila), sono state tuttavia introdotte
apposite garanzie procedurali che ne assicurano il successivo esame da parte del
Parlamento, cosa che attualmente non è prevista.
4. La decretazione d'urgenza, i rapporti Parlamento-Governo
Come già menzionato, al Governo verrà conferita (ed eventualmente, revocata) la fiducia
unicamente dalla Camera dei Deputati e, non più, anche dal Senato.
Quanto all'esercizio della potestà legislativa, viene ridotta la possibilità per il Governo di
emanare decreti-legge, e ciò mediante la costituzionalizzazione dei limiti alla decretazione
d’urgenza sanciti dalla Corte Costituzionale.
Per contro, il Governo ha a disposizione un nuovo strumento, ossia quello che prevede
che esso possa chiedere un “voto a data certa”, facendo votare, appunto, entro un termine
massimo di 70 giorni, disegni di legge ritenuti essenziali per l’attuazione del proprio
programma.
5. Il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale
Per quanto riguarda il Presidente della Repubblica, ciò che cambia è il sistema relativo alla
sua elezione, mentre non vi sono modifiche che incidano sui suoi poteri. Rispetto al
meccanismo attualmente vigente, il quale prevede che dopo il terzo scrutinio sia
sufficiente la maggioranza assoluta, il quorum sale dal quarto al sesto scrutinio: dal quarto
scrutinio è sufficiente la maggioranza dei 3/5 e dal settimo scrutinio quella dei 3/5 dei
votanti.
Il numero dei votanti però scende, in primis per via della riduzione dei membri del Senato,
che passa da 315 a 100, e poi perché è previsto che il Parlamento in seduta comune non
sia più integrato nella composizione con i delegati regionali, facendo abbassare il numero
totale all'incirca da 1000 a 700 (tutti parlamentari).
Come già accennato, il nuovo Senato avrà il diritto di eleggere 2 giudici della Corte
Costituzionale, mentre ad oggi 1/3 dei giudici (5) vengono eletti da Camera e Senato in
seduta comune. Con il sistema attuale, la Camera dei deputati, che ha il doppio dei
membri rispetto al Senato, ha chiaramente anche un peso maggiore nella decisione finale
rispetto alla scelta dei giudici. Con il nuovo sistema, per i rappresentanti delle Regioni,
delle Province autonome e dei Comuni sarà quindi possibile, per la prima volta,
convergere sull'elezione di giudici costituzionali più "sensibili alle istanze delle autonomie
speciali".
Infine, la Corte Costituzionale ottiene una nuova, ulteriore competenza, quella relativa cioè
all'esame dei disegni di legge in materia elettorale prima della loro promulgazione, laddove
richiesto da almeno 1/4 dei componenti della Camera o da 1/3 dei componenti del Senato
(dunque, controllo preventivo di legittimità, anziché l'attuale controllo successivo).
6. Le Regioni a Statuto ordinario
Il secondo pilastro della Riforma costituzionale (accanto alla riforma del Senato) riguarda
la ridefinizione dei rapporti tra Stato e Regioni a statuto ordinario.
Quasi tutti i rappresentanti politici in Parlamento (ad eccezione di SVP, Lega Nord, PATT
e del rappresentante della Valle d'Aosta) concordavano sul fatto che la riforma
"federalista" del 2001 andasse modificata, in quanto aveva portato ad un eccesso di
conflittualità, in termini di contenzioso, tra Stato e Regioni dinnanzi alla Corte
Costituzionale. L'opinione corrente ritiene che ciò sia dovuto, principalmente, ad una
confusa ripartizione delle competenze. Questa è una tesi assolutamente errata, poiché i
conflitti dinnanzi alla Corte Costituzionale non sono "esplosi" a causa delle nuove
competenze che la Riforma del 2001 aveva attribuito alle Regioni o, in generale, a causa
della nuova ripartizione delle competenze, bensì a causa dell'eliminazione del visto da
parte del Commissario del Governo. Prima del 2001, infatti, nessuna legge regionale
poteva entrare in vigore senza l'apposizione del visto da parte del Commissario del
Governo. Quando una Regione era particolarmente interessata ad una normativa,
generalmente tendeva ad adeguarsi alle obiezioni dello Stato in via preventiva, posto che,
altrimenti, avrebbe dovuto attendere per anni una pronuncia da parte della Corte
Costituzionale e tenere, nel frattempo, la legge regionale - per così dire - in stand by.
Come già si era tentato di fare con la Riforma costituzionale del 2006 (mai andata in
porto), l'attuale Riforma costituzionale trasferisce nuovamente allo Stato una serie di
competenze che, con la Riforma del 2001, erano state attribuite alle Regioni.
Con l'attuale proposta di Riforma, però, l'accentramento dei poteri in capo allo Stato è
ancora più forte rispetto al 2006, visto che le Regioni dovranno rinunciare anche a molte di
quelle competenze che erano state attribuite loro addirittura dalla Costituzione del 1948.
Le materie di competenza esclusiva dello Stato, infatti, ai sensi dell'art.117 della
Costituzione, vengono di fatto molto aumentate. Ad aumentare l'accentramento dei poteri
in capo allo Stato è anche il fatto che le cosiddette "competenze concorrenti" (lo Stato
determina i principi fondamentali e le Regioni legiferano nel rispetto di tali principi)
vengono abolite. Ciò, tuttavia, è vero solo in parte, posto che per una serie di competenze
resta in piedi una sorta di legislazione concorrente; ad ogni modo però, il margine di
manovra delle Regioni sarà minore, poiché che esse saranno chiamate ad osservare le
"disposizioni generali contenute nelle leggi statali" e non più "soltanto" i "principi" delle
stesse.
Resta, pertanto, da capire se tutte queste novità saranno realmente suscettibili di ridurre i
conflitti di attribuzione dinnanzi alla Corte Costituzionale. Anzi, è presumibile che si
verifichi esattamente il contrario: per quanto concerne il rispetto dei "principi" statali e le
altre incertezze manifestatesi a seguito della Riforma del 2001, sono ormai innumerevoli le
sentenze della Corte Costituzionale, purtroppo spesso a sfavore delle Regioni
(ad
esempio su competenze trasversali, diritto civile e standard minimi); quanto alla nuova
dicitura adottata all'interno del nuovo articolo 117 Cost. - su cosa s'intenda cioè per
"disposizioni generali" di leggi statali - una giurisprudenza al riguardo dovrà certamente
consolidarsi, il che comporterà, inevitabilmente e per molti anni, incertezza del diritto.
Altrettanto problematica è l'introduzione della cosiddetta "clausola di supremazia": si tratta
di un nuovo tipo di competenza statale che autorizza la legge dello Stato, su proposta del
Governo, ad intervenire in materie o funzioni non riservate alla propria legislazione
esclusiva, quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica o
sia necessario per la realizzazione di programmi o di riforme economico-sociali di
interesse nazionale.
Sintetizzando, è evidente che l'attuale proposta di Riforma prevede un accentramento dei
poteri in capo allo Stato e, conseguentemente, un sostanziale indebolimento del sistema
regionale. A tal proposito, sorprende che, durante l'esame parlamentare del disegno di
legge di Riforma, i rappresentanti delle Regioni a Statuto ordinario non solo non
abbiano sollevato obiezioni al riguardo, ma si siano addirittura trovati d'accordo
con l'impianto generale proposto dal Governo.
L'unico contrappeso ad un tale accentramento di poteri in capo allo Stato è la possibilità
prevista, all'articolo 116, comma 3 Cost., di attribuire alle Regioni che siano in equilibrio di
bilancio, mediante una procedura semplificata (senza, quindi, modificare la Costituzione),
competenze statali nelle materie elencate: organizzazione della giustizia di pace;
disposizioni generali e comuni per le politiche sociali; istruzione, ordinamento scolastico,
istruzione universitaria; programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica;
politiche attive del lavoro e istruzione e formazione professionale; commercio con l’estero;
beni culturali e paesaggistici; ambiente e ecosistema; ordinamento sportivo; attività
culturali; turismo; governo del territorio.
7. Le Regioni a Statuto speciale
Mentre, quindi, per le Regioni a Statuto ordinario è previsto un forte accentramento dei
poteri in capo allo Stato, le Regioni a Statuto speciale non soltanto potranno mantenere le
proprie competenze, ma la loro autonomia ne uscirà ulteriormente rafforzata. In sostanza,
il divario tra le Regioni a Statuto speciale e quelle a Statuto ordinario, che con la Riforma
del 2001 era stato ridotto, viene ora ulteriormente accentuato.
La disposizione transitoria di cui all'articolo 39, comma 13 del testo della Riforma
stabilisce, infatti, che le disposizioni (centraliste) contenute nel Capo IV (modifiche al
Titolo V della Costituzione, ivi inclusa la "clausola di supremazia"), non si applicano
alle Regioni a Statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano e
che la revisione dei rispettivi Statuti possa avvenire soltanto sulla base di intese con le
medesime Regioni e Province autonome. I critici dell'attuale Riforma volutamente
omettono di ricordare che il limite dell"l'interesse nazionale" all'esercizio della potestà
legislativa di Regioni e Province autonome è da sempre contenuto negli Statuti di
Autonomia, per cui - per di più non applicandosi ad esse - la Riforma non può
sicuramente comportare un peggioramento della situazione attuale.
Contrariamente a quanto asserito dagli oppositori alla Riforma, viene anche garantito che
la nuova ripartizione di competenze fortemente centralistica, prevista dal nuovo testo
dell'articolo 117 della Costituzione, così come anche la "clausola di supremazia", non si
applichino alle Regioni a Statuto speciale e alle Province autonome (sul punto, si veda
anche il Dossier del Servizio Studi della Camera dei deputati).
Per quel che concerne il potere sostitutivo dello Stato, di cui all'articolo 120 della
Costituzione - nel testo attualmente vigente, come modificato dalla Riforma del 2001 - la
Corte Costituzionale aveva stabilito con varie sentenze e già diversi anni fa (Corte Cost.,
sent. nn. 236/2004 e 383/2005), che esso si applica anche alle Province autonome,
sebbene queste ultime non siano esplicitamente menzionate nello stesso articolo 120
Cost. (sul punto, si vedano anche i commenti del Servizio Studi della Camera dei
deputati). Si ricorda, peraltro, che il potere sostitutivo dello Stato è previsto da tempo
anche dalle norme di attuazione dello Statuto di Autonomia (artt. 7 ss. DPR n. 526/1987).
Con la clausola di salvaguardia contenuta nell'articolo 39, comma 13, viene invece
precisato che il potere sostitutivo dello Stato, leggermente modificato dall'attuale Riforma,
non trova applicazione fino alla revisione degli Statuti (revisione che può avvenire, tra
l'altro, soltanto sulla base di intese). In conclusione, posto che la proposta di Riforma
non modifica la norma costituzionale sul potere sostitutivo del Governo attualmente
applicabile alle Autonomie speciali, non è in alcun modo possibile sostenere che vi
sarà un "peggioramento"!
I "gridi di allarme" degli oppositori alla Riforma sono, pertanto, assolutamente fuori luogo e
giustificabili solo alla luce di una più volte palesata ignoranza rispetto alla situazione
giuridica attuale.
L'intesa per la modifica degli Statuti va trovata tra il Governo e la Regione o Provincia
autonoma interessata; il Parlamento può solo ratificare o respingere l’intesa raggiunta, ma
non può apportare alcuna modifica (secondo lo schema di cui all'articolo 103 dello Statuto
di Autonomia della Regione Trentino Alto Adige/Sudtirol relativo all'accordo finanziario).
Pertanto, il Consiglio provinciale e il Parlamento hanno, di fatto, una sorta di diritto di
veto. Senza il consenso di entrambe le parti interessate, lo Statuto di Autonomia non può
essere modificato.
Gli oppositori alla Riforma sostengono che si tratti di un'intesa "debole" e che essa possa
anche non essere tenuta in considerazione dal Governo/Parlamento. Anche questa tesi
non è affatto convincente, posto che nel testo della Riforma costituzionale non esiste
alcuna disposizione relativa ad un eventuale mancato rispetto del "no" da parte del
Consiglio provinciale. Contrariamente a quanto affermano gli oppositori alla Riforma, non
esistono al riguardo rilevanti pronunce della Corte Costituzionale.
Il Servizio Studi della Camera dei deputati ha confermato l'interpretazione secondo cui si
tratterebbe di una nuova fonte del diritto di rango costituzionale, rinforzata e atipica, con
cui viene introdotto, per la prima volta, il principio dell'intesa per la revisione degli Statuti
di Autonomia.
Si tratta, in maniera assolutamente inequivocabile, di un'intesa vincolante con la quale
viene stabilito il contenuto delle modifiche costituzionali relative alla revisione degli Statuti
di Autonomia. "Sulla base dell'intesa" non significa che il Parlamento può ignorare la
proposta della Regione o Provincia autonoma di revisione dello Statuto o addirittura
modificarne il contenuto in termini sostanziali, avendo al riguardo l'ultima parola! Se
davvero si trattasse di un'intesa "debole", non si spiegherebbe allora il motivo per il quale,
nel corso del dibattito parlamentare (e anche dopo), si sia cercato in tutti i modi di fissare
un termine temporale per il raggiungimento dell'intesa e, addirittura, di inserire la
previsione secondo cui la mancanza di un'intesa potesse essere superata a maggioranza
dei 2/3 in Parlamento.
Resta il fatto che, dal 1948 ad oggi, non è mai stato previsto in Costituzione o in uno
Statuto di Autonomia alcun tipo di intesa, il che significa che oggi il Parlamento
potrebbe anche modificare, contro il volere del Consiglio provinciale, lo Statuto di
Autonomia. Pertanto, questa clausola di salvaguardia
rappresenta un indiscutibile e
notevole passo in avanti.
Per quanto riguarda la nostra Regione, resta fermo anche l'ancoraggio internazionale,
per cui senza il consenso dell'Austria, lo Statuto di Autonomia, basato sull'Accordo di
Parigi e sul Pacchetto del 1969, non può essere modificato.
Sulla base dell'ancoraggio internazionale, tutti i tentativi intrapresi dal Governo italiano e
dal Parlamento allo scopo di modificare in maniera unilaterale lo Statuto di Autonomia del
Trentino Alto Adige/Südtirol (per esempio, in occasione della Riforma costituzionale del
2004) sono stati respinti grazie all'intervento deciso da parte dell'Austria. Con l'obbligo
dell'intesa, ora previsto anche a livello nazionale, la tutela dell'Autonomia viene
ulteriormente rafforzata ed in egual misura per il Trentino e per l'Alto Adige/Südtirol.
Va anche ricordato che, a differenza di quanto inizialmente contenuto nel testo approvato
a seguito delle prime deliberazioni, laddove si prevedeva un „adeguamento" degli Statuti
di Autonomia alla Riforma costituzionale, si è riusciti ad ottenere, nei passaggi finali,
l'inserimento del termine neutrale „revisione“; pertanto, non sarà più possibile sostenere
(e pretendere) che gli Statuti di Autonomia si debbano "adeguare" all'impianto centralistico
della Riforma.
É un dato di fatto che questa rappresenta in assoluto la
migliore clausola di
salvaguardia che il Trentino Alto Adige/Südtirol abbia mai avuto (Prof. Ugo de Siervo,
Presidente emerito della Corte Costituzionale e oppositore alla Riforma parla di una
"supergaranzia parafederale"). La Riforma del 2001 prevedeva, invece, l'adeguamento
degli Statuti alla Riforma costituzionale per le parti in cui erano previste "forme di
autonomia più ampie" rispetto a quelle già attribuite (il che ha aperto alla Corte
Costituzionale un margine di interpretazione più volte utilizzato a sfavore delle Autonomie
Speciali).
Anche la (naufragata) Riforma costituzionale del 2006 prevedeva un "adeguamento" da
parte delle Autonomie Speciali (articolo
55), ma anche il diritto di veto del Consiglio
provinciale, espresso a maggioranza dei 2/3. L'attuale clausola di salvaguardia non solo
non prevede più "l'adeguamento", ma anche che il diritto di veto possa essere attivato a
maggioranza semplice.
Vi è, quindi, la certezza - e ciò in maniera univoca - che le nuove disposizioni centralistiche
non si applicano alle Autonomie Speciali. Le clausole di salvaguardia delle Riforme del
2001 e del 2006, al contrario, prevedevano l'applicazione anche alle Autonomie Speciali, il
che - con riferimento alla Riforma costituzionale del 2001, anche a seguito delle sentenze
centralistiche della Corte Costituzionale - piuttosto che garantire un maggiore federalismo,
ha addirittura comportato una definitiva erosione anche di quelle competenze fino a quel
momento rimaste indiscusse (ad es. lavori pubblici, personale della Provincia etc.).
Anche l'obiezione secondo cui l'intesa varrebbe solamente per la prima revisione dello
Statuto di Autonomia non regge: è evidente che il Consiglio provinciale non approverebbe
mai una modifica statutaria se l'intesa non fosse prevista anche per le successive
modifiche!
Grazie alla clausola di salvaguardia ottenuta viene, inoltre, garantito - ciò anche secondo
la dottrina dominante (si veda il prof. Simone Pajno, prof. Marcello Cecchetti, prof. Guido
Rivosecchi, prof. Giuseppe Verde, Dossier del Servizio Studi della Camera dei Deputati
del maggio 2016) - che la Riforma costituzionale del 2001 e, con essa, le competenze
trasferite (ad es. per il Pensplan) continueranno a trovare applicazione nelle Regioni
a Statuto speciale e nelle Province Autonome (ciò non vale, invece, per le Regioni a
Statuto ordinario, le quali perdono le proprie competenze).
É stato possibile ottenere non soltanto, quindi, un'ulteriore tutela "difensiva" per le
Autonomie Speciali, ma anche l'introduzione in Costituzione del principio della
cosiddetta "autonomia dinamica". Attualmente, l'attribuzione di specifiche competenze
statali (ad. esempio, la tutela dell'ambiente) mediante meccanismo semplice, ossia con
legge ordinaria e, dunque, senza una modifica costituzionale, è prevista soltanto per le
Regioni a Statuto ordinario. Con questa Riforma, tale possibilità è estesa anche alle
Regioni a Statuto speciale e alle Province Autonome.
Preme sottolineare, infine, che questo "trattamento speciale" nei confronti delle
autonomie speciali, già da molti considerate "privilegiate", rappresenta per i
sostenitori del "No" (Prof. Ugo De Siervo e Prof. Valerio Onida, entrambi Presidenti
emeriti della Corte Costituzionale) uno dei principali argomenti a sostegno del loro
dissenso alla Riforma. Sarebbe, quindi, molto strano e difficilmente comprensibile, se le
Regioni a Statuto speciale e le Province autonome, ampiamente favorite da questa
Riforma, si unissero ai sostenitori del "No", per di più motivando il loro dissenso con la tesi
secondo cui questa Riforma sarebbe dannosa per le Autonomie Speciali.
Il Leitmotiv del PATT e della SVP, in merito alla linea politica da seguire a Roma, è stato
sempre quello di giudicare le riforme e i programmi di governo sulla base degli interessi
del Trentino Alto Adige/Südtirol (e non di quelli delle altre Regioni). Ogni altro tipo di
considerazione è sempre passata in secondo piano. Non vi è motivo adesso di cambiare
questo approccio, sostenuto con successo anche da Silvius Magnago e che da sempre
rappresenta il punto di partenza per lo sviluppo della nostra Autonomia.
Nel giudizio complessivo sulla Riforma costituzionale si deve, quindi, tener conto degli
interessi del Trentino Alto Adige/Südtirol e non delle istanze delle Regioni a Statuto
ordinario, i cui rappresentanti, a differenza dei nostri, non solo non hanno lottato per
difendere la loro autonomia, ma si sono anche dichiarati in gran parte d'accordo con
l'impianto centralistico della Riforma. Il Governo e le forze di maggioranza in
Parlamento hanno accolto il 100% delle richieste dei rappresentanti politici della
Regione, sia per quanto riguarda la rappresentanza all'interno del nuovo Senato, sia
con riferimento alla clausola di salvaguardia. E' questo il motivo per cui hanno votato in
Parlamento a favore della Riforma, in linea con quanto peraltro stabilito dalle delibere di
partito. Si tratta anche di mantenere integra la credibilità del Trentino Alto Adige/Südtirol
che rappresenta, a Roma, il nostro capitale più grande.
Inoltre, non è necessariamente vero che una riduzione del divario tra le Regioni a Statuto
ordinario e quelle a Statuto speciale comporti un rafforzamento dell'autonomia del Trentino
Alto Adige/Südtirol, come peraltro dimostrano i risultati prodotti dalla Riforma
costituzionale del 2001.
In conclusione, bisogna tenere conto del fatto che è stato possibile ottenere questa
clausola di salvaguardia a Roma soltanto grazie alla maggioranza (risicata) di Governo in
Senato (anche se i voti dei Senatori del Gruppo Per le Autonomie non sarebbero stati
determinanti in nessuna deliberazione). É, pertanto, assai improbabile che in una
prossima Riforma costituzionale (che sarà inevitabile qualora l'attuale tentativo di Riforma
naufragasse) si riesca ad ottenere una clausola di salvaguardia cosi favorevole per il
Trentino Alto Adige/Südtirol. Sono anni ormai che in Parlamento si registra, infatti,
un'ostilità trasversale nei confronti delle Autonomie Speciali.
8. Considerazioni finali
Non c'è dubbio che questa Riforma contenga talune incongruenze, come una serie di
punti deboli e, soprattutto, che il nuovo Titolo V della Costituzione abbia un forte impianto
centralistico. Sarebbe, quindi, del tutto comprensibile se cittadini/elettori delle Regioni a
Statuto ordinario votassero "No", perché contrari a questo nuovo ritorno al centralismo.
La situazione è invece diversa per i cittadini/elettori delle Regioni a Statuto speciale, in
particolar modo quelli della Regione Valle d'Aosta e delle Province Autonome di Trento e
Bolzano. E ciò per i seguenti motivi:
 il nuovo Titolo V della Riforma costituzionale non si applica alle Autonomie
Speciali;
 le Autonomie Speciali, che puntualmente sono messe in discussione da ogni
Riforma, con la Riforma attuale vengono non solo tutelate, ma addirittura
rafforzate;
 l'esperienza della Riforma del 2001 dimostra che un allineamento delle
competenze tra le Regioni ordinarie e speciali non necessariamente porta ad
una maggiore autonomia, ma piuttosto il contrario (si veda lo svuotamento
delle competenze in materia di appalti, ordinamento del personale, ecc.);
 per la prima volta dal 1948, viene previsto il principio dell'intesa, dunque un
diritto di veto, di Regioni a Statuto speciale e Province Autonome nella
(prima) revisione degli Statuti di Autonomia;
 grazie all'intesa sarà ora possibile presentare e discutere in Parlamento, ad
esempio, i risultati dei lavori della Consulta e della Convenzione sulla
revisione dello Statuto di Autonomia - senza correre il rischio, attualmente
possibile, che il Parlamento possa cogliere l'occasione per modificare il testo
approvato dalle nostre Istituzioni a sfavore delle Autonomie Speciali,
rafforzando le competenze statali ed indebolendo le norme a tutela della
nostra specificità;
 le garanzie internazionali restano in piedi grazie all'Accordo di Parigi e al
Pacchetto ed è un ulteriore vantaggio il fatto che, in aggiunta ad esse,
vengano rafforzate anche le garanzie nazionali;
 con l'applicazione dell'articolo 116, comma 3 della Costituzione, sarà ora
possibile attribuire anche alle Autonomie Speciali, mediante una procedura
semplificata, importanti competenze statali, come ad esempio la tutela
dell'ambiente (cosiddetto principio dell'autonomia dinamica);
 le due Province autonome di Trento e di Bolzano saranno sovrarappresentate - ciascuna avrà 2 senatori - e avranno quindi un peso
maggiore all'interno del nuovo Senato;
 qualora questo tentativo di Riforma fallisse, considerando l'atmosfera ostile in
Parlamento nei confronti delle Regioni e Province autonome, è immaginabile
che, in una prossima Riforma costituzionale, si tornerà nuovamente a
discutere dell'abolizione delle autonomie speciali;
 è improbabile che, nel caso di una prossima Riforma costituzionale (in tutte
le Riforme costituzionali dopo il 2001 l'obiettivo è stato quello di un ritorno al
centralismo, sempre con la previsione di un adeguamento degli Statuti di
Autonomia), la rappresentanza parlamentare delle Autonomie Speciali avrà
di nuovo un peso tale da evitare non soltanto l'abolizione delle Autonomie
Speciali, ma anche da ottenere la non applicabilità della Riforma e il principio
dell'intesa;
 votare "No" alla Riforma costituzionale significa, dunque, non soltanto
esprimersi a favore del mantenimento del testo attualmente vigente della
Costituzione (che non prevede il principio dell'intesa), ma equivale anche ad
esprimersi contro la clausola di salvaguardia, in particolar modo contro
l'intesa per la revisione dello Statuto di Autonomia e contro il principio della
"autonomia dinamica", la quale consentirebbe, attraverso un meccanismo
semplificato, di ottenere la competenza in materia di tutela dell'ambiente e la
competenza primaria in materia scolastica.