giurisprudenza delitti contro la persona
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giurisprudenza delitti contro la persona
ANNO ACCADEMICO 2008/2009 DIRITTO PENALE -2 PARTE—DIRITTO PENALE SPECIALISTICO GIURISPRUDENZA RELATIVA AI DELITTI CONTRO LA PERSONA OMICIDIO Sez. 1, Sentenza n. 46945 del 18/10/2004 Ud. (dep. 02/12/2004 ) Rv. 229255 In tema di delitti contro la persona, l'elemento distintivo delle fattispecie di soppressione del prodotto del concepimento è costituito anche dal momento in cui avviene l'azione criminosa. La condotta di procurato aborto, prevista dall'art. 19 L. 22 maggio 1978 n. 194, si realizza in un momento precedente il distacco del feto dall'utero materno; la condotta prevista dall'art. 578 cod. pen. si realizza invece dal momento del distacco del feto dall'utero materno, durante il parto se si tratta di un feto o immediatamente dopo il parto se si tratta di un neonato. Di conseguenza, qualora la condotta diretta a sopprimere il prodotto del concepimento sia posta in essere dopo il distacco, naturale o indotto, del feto dall'utero materno, il fatto, in assenza dell'elemento specializzante delle condizioni di abbandono materiale e morale della madre, previsto dall'art. 578 cod. pen., configura il delitto di omicidio volontario di cui agli artt. 575 e 577 n.1 cod. pen. Sez. 1, Sentenza n. 46945 del 18/10/2004 Ud. (dep. 02/12/2004 ) Rv. 229256 Sia nella fattispecie dell'omicidio volontario che in quella dell'infanticidio costituisce presupposto necessario che il feto sia vivo fino al realizzarsi della condotta che ne cagiona la morte, pur non richiedendosi che esso sia altresì vitale ovvero immune da anomalie anatomiche e patologie funzionali, potenzialmente idonee a causarne la morte in tempi brevi, perché costituisce omicidio anche solo anticipare di una frazione minima di tempo l'evento letale. Sez. 1, Sentenza n. 4652 del 21/10/2004 Ud. (dep. 08/02/2005 ) Rv. 230873 Nella valutazione probatoria giudiziaria - così come, secondo la più moderna epistemologia, in ogni procedimento di accertamento (scientifico, storico, etc.) - è corretto e legittimo fare ricorso alla verosimiglianza ed alle massime di esperienza, ma, affinchè il giudizio di verosimiglianza conferisca al dato preso in esame valore di prova, è necessario che si possa escludere plausibilmente ogni alternativa spiegazione che invalidi l'ipotesi all'apparenza più verosimile. Ove così non sia, il suddetto dato si pone semplicemente come indizio da valutare insieme a tutti gli altri elementi risultanti dagli atti. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta la motivazione della sentenza impugnata che aveva attribuito al movente di un omicidio indicato dalla accusa pubblica valore solamente indiziante e non di elemento di prova autosufficiente, in considerazione della presenza di altre possibili causali). 1 Sez. 1, Sentenza n. 28175 del 08/06/2007 Ud. (dep. 16/07/2007 ) Rv. 237177 In tema omicidio volontario, in mancanza di circostanze che evidenzino "ictu oculi l'animus necandi", la valutazione dell'esistenza del dolo omicidiario può essere raggiunta attraverso un procedimento logico d'induzione da altri fatti certi, quali i mezzi usati, la direzione e l'intensità dei colpi, la distanza del bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscano l'azione cruenta. (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la configurabilità del dolo omicidiario nella forma del dolo alternativo, anziché l'ipotesi dell'omicidio preterintenzionale, con riferimento all'omicidio realizzato con violenti calci alla schiena e al torace ed il pestaggio di parti vitali del corpo della vittima, inerte a terra a causa del suo stato di ubriachezza). Sez. 1, Sentenza n. 27620 del 24/05/2007 Ud. (dep. 12/07/2007 ) Rv. 237022 In tema di delitti omicidiari, deve qualificarsi come dolo diretto, e non meramente eventuale, quella particolare manifestazione di volontà dolosa definita dolo alternativo, che sussiste quando il soggetto attivo prevede e vuole, con scelta sostanzialmente equipollente, l'uno o l'altro degli eventi (nella specie, morte o grave ferimento della vittima) causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria, con la conseguenza che esso ha natura di dolo diretto ed è compatibile con il tentativo. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto sussistente un dolo diretto di omicidio, quanto meno nella forma alternativa, in relazione al concorso in un tentativo di omicidio posto in essere esplodendo numerosi colpi di arma da fuoco contro un carabiniere postosi all'inseguimento degli autori di una tentata rapina aggravata in danno di un istituto di credito, dopo che egli aveva inutilmente intimato l'alt ed esploso con la pistola di ordinanza un colpo in aria a scopo intimidatorio). Sez. 5, Sentenza n. 6168 del 17/01/2005 Cc. (dep. 17/02/2005 ) Rv. 231174 Il dolo alternativo è contraddistinto dal fatto che il soggetto attivo prevede e vuole alternativamente, con scelta sostanzialmente equipollente, l'uno o l'altro degli eventi (nella specie morte o grave ferimento della vittima) ricollegabili alla sua condotta, con la conseguenza che esso ha natura di dolo diretto ed è compatibile con il tentativo.(In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto correttamente motivata l'ordinanza del giudice del riesame - confermativa della misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al reato di tentato omicidio - la quale aveva ritenuto la sussistenza della volontà omicida evidenziando che la condotta dell'indagato, che aveva tentato di accoltellare al petto la vittima, era idonea a cagionare la morte del ragazzo e la volontà era alternativamente intesa a determinare tale evento o alternativamente un evento di gravi lesioni). Sez. 1, Sentenza n. 5436 del 25/01/2005 Ud. (dep. 11/02/2005 ) Rv. 230813 In tema di delitti omicidiari, deve individuarsi il dolo diretto nella condotta dell'agente che, sforzandosi di superare un'alta rete metallica protettiva, lanci un sasso di rilevante massa (circa tre chilogrammi) in corrispondenza della corsia di scorrimento delle macchine su un'autostrada, notoriamente molto trafficata in determinate ore del giorno, da un punto di un cavalcavia da cui non sia possibile vedere le auto che transitano in basso. 2 Sez. 1, Sentenza n. 2112 del 22/11/2007 Ud. (dep. 15/01/2008 ) Rv. 238637 È configurabile il delitto di omicidio volontario nella condotta di chi, prescrivendo a un paziente di attenersi esclusivamente alle sue cure, l'abbia indotto ad evitare quelle della medicina ufficiale, con la consapevolezza che ciò avrebbe causato con rilevante probabilità la morte o l'avrebbe anticipata nel tempo. Sez. 1, Sentenza n. 25239 del 20/05/2001 Ud. (dep. 21/06/2001 ) Rv. 219434 Il concorso di persone nell'omicidio seguito a una rapina a mano armata in danno del titolare di una gioielleria è, ai sensi dell'art. 110 cod. pen., pieno e non anomalo (art. 116 cod. pen.) atteso che l'evento omicidiario verificatosi non può considerarsi eccezionale e imprevedibile ma un ordinario possibile suo sviluppo, alla luce di una verificata regolarità causale dovuta all'uso delle armi per fronteggiare evenienze peggiorative o per garantirsi la via di fuga. Sez. 1, Sentenza n. 30425 del 14/06/2001 Ud. (dep. 03/08/2001 ) Rv. 219952 La condotta del soggetto che, pur consapevole di essere affetto da AIDS, abbia contagiato il coniuge intrattenendo rapporti sessuali senza alcuna precauzione e senza informarlo dei rischi cui poteva andare incontro, sino a determinarne la morte, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla previsione dell'evento e non quello di omicidio volontario. Sez. 1, Sentenza n. 39293 del 23/09/2008 Ud. (dep. 21/10/2008 ) Rv. 241339 Nell'ipotesi di omicidio tentato, la prova del dolo, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell'imputato, ha natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall'agente. Ne consegue che, ai fini dell'accertamento della sussistenza dell'"animus necandi", nel delitto tentato assume valore determinante l'idoneità dell'azione che va apprezzata in concreto, senza essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti, dovendosi diversamente l'azione ritenersi sempre inidonea, per non aver conseguito l'evento, sicché il giudizio di idoneità è una prognosi, formulata "ex post", con riferimento alla situazione così come presentatasi al colpevole al momento dell'azione, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso particolare. Sez. 1, Sentenza n. 19897 del 25/03/2003 Ud. (dep. 30/04/2003 ) Rv. 224798 Costituisce tentativo di omicidio plurimo il lancio "a pioggia", dall'alto di un cavalcavia sulla sottostante sede autostradale, in ora notturna, di sassi, pietre, cocci e simili, in quanto tale azione, seppure non diretta a colpire singoli autoveicoli, è idonea - per la non facile avvistabile presenza degli oggetti sulla carreggiata, data anche l'ora notturna, e per la consistente velocità tenuta generalmente dai conducenti in autostrada - a creare il concreto pericolo di incidenti stradali, anche mortali, al cui verificarsi, quindi, sotto il profilo soggettivo, deve ritenersi diretta la volontà dell'agente. 3 Sez. 1, Sentenza n. 44995 del 14/11/2007 Ud. (dep. 04/12/2007 ) Rv. 238705 In tema di elemento soggettivo del reato, il dolo eventuale non é configurabile nel caso di delitto tentato, poiché, quando l'evento voluto non sia comunque realizzato e quindi manchi la possibilità del collegamento ad un atteggiamento volitivo diverso dall'intenzionalità diretta, la valutazione del dolo deve avere luogo esclusivamente sulla base dell'effettivo volere dell'autore, ossia della volontà univocamente orientata alla consumazione del reato, senza possibilità di fruizione di gradate accettazioni del rischio, consentite soltanto in caso di evento materialmente verificatosi. CIRCOSTANZE Sez. 1, Sentenza n. 47039 del 11/12/2007 Ud. (dep. 18/12/2007 ) Rv. 238169 Non può essere riconosciuta la circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale all'omicida del coniuge affetto da grave malattia (morbo di Alzheimer in stadio avanzato), il cui movente sia stato quello di porre fine a una vita di strazi, in quanto dall'azione criminosa non esula la finalità egoistica di trovare rimedio alla sofferenza, consistente nella necessità di accudire un malato grave ridotto in uno stato vegetativo. Sez. U, Sentenza n. 337 del 18/12/2008 Ud. (dep. 09/01/2009 ) Rv. 241575 Elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione sono un apprezzabile intervallo temporale tra l'insorgenza del proposito criminoso e l'attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l'opportunità del recesso (elemento di natura cronologica) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità nell'animo dell'agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica). Sez. 1, Sentenza n. 1079 del 27/11/2008 Ud. (dep. 13/01/2009 ) Rv. 242485 Sussiste l'aggravante della premeditazione anche quando l'agente abbia risolutivamente condizionato il proposito criminoso al mancato verificarsi di un determinato evento ad opera della vittima. (Fattispecie in cui la decisione di commettere l'omicidio era stata programmata dall'imputato per il caso in cui la vittima avesse opposto l'ennesimo rifiuto alla richiesta di rinunziare alla domanda di separazione). Sez. U, Sentenza n. 337 del 18/12/2008 Ud. (dep. 09/01/2009 ) Rv. 241576 Ricorre, per la spregevolezza del fatto secondo il comune sentire, la circostanza aggravante del motivo abietto in relazione all'omicidio commesso, su ordine del capo di un gruppo mafioso, in 4 danno di chi abbia intrapreso una relazione sentimentale con una donna già a lui legata da analogo rapporto, per mero spirito punitivo, dettato da intolleranza per la libertà di autodeterminazione della donna stessa, rifiutatasi di soggiacere alla sua volontà, e per la conseguente perdita sia del dominio fino ad allora esercitato su di lei, sia del prestigio criminale. Sez. 1, Sentenza n. 5448 del 23/11/2005 Ud. (dep. 13/02/2006 ) Rv. 235093 In tema di circostanze aggravanti comuni, per motivo abietto si intende quello turpe, ignobile, che rivela nell'agente un grado tale di perversità da destare un profondo senso di ripugnanza in ogni persona di media moralità, nonché quello spregevole o vile, che provoca ripulsione ed è ingiustificabile per l'abnormità di fronte al sentimento umano. (Nella specie si è ritenuta sussistente l'aggravante con riferimento a un omicidio determinato dal proposito di vendetta dell'autore per le molestie sessuali subite dalla sorella ad opera della vittima, nonché dal fine di affermazione del prestigio criminale e della capacità di sopraffazione) INFANTICIDIO Sez. 1, Sentenza n. 24903 del 17/04/2007 Ud. (dep. 26/06/2007 ) Rv. 236840 Per la configurabilità del reato di infanticidio di cui all'art. 578 cod. pen. è necessario che la madre sia lasciata in balia di se stessa, senza alcuna assistenza e nel completo disinteresse dei familiari, in modo che venga a trovarsi in uno stato di isolamento totale che non lasci prevedere alcuna forma di soccorso o di aiuto finalizzati alla sopravvivenza del neonato. (Nel caso di specie, la Corte di cassazione ha ritenuto corretta la qualificazione come omicidio volontario della condotta della madre, che, nonostante fosse assistita anche economicamente da un genitore e potesse inoltre contare sull'aiuto di altri parenti, dopo aver occultato la gravidanza, aveva causato la morte del neonato). Sez. 1, Sentenza n. 9694 del 15/04/1999 Ud. (dep. 29/07/1999 ) Rv. 214935 In tema di reato di infanticidio di cui all'articolo 578 cod. pen., presupposto necessario per la configurazione del reato è la situazione di abbandono materiale e morale che abbia determinato la madre a cagionare la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto (o del feto durante il parto). Tale situazione di abbandono materiale e morale deve ritenersi concretizzata quando la madre è lasciata in balia di sè stessa, senza alcuna assistenza sicché ella senta di trovarsi in uno stato di isolamento che non lascia prevedere l'intervento di terzi ne' un qualsiasi soccorso materiale o morale per cui disperi di poter assicurare la sopravvivenza al neonato. OMICIDIO DEL CONSENZIENTE Sez. 1, Sentenza n. 32851 del 06/05/2008 Ud. (dep. 05/08/2008 ) Rv. 241231 5 L'omicidio del consenziente presuppone un consenso non solo serio, esplicito e non equivoco, ma perdurante anche sino al momento in cui il colpevole commette il fatto. Sez. 1, Sentenza n. 13410 del 14/02/2008 Ud. (dep. 28/03/2008 ) Rv. 241439 È configurabile il delitto di omicidio volontario, e non l'omicidio del consenziente, nel caso in cui il soggetto passivo sia affetto da una patologia psichica che incida sulla piena e consapevole formazione del consenso alla propria eliminazione fisica: in difetto di elementi di prova univoci circa la effettiva e consapevole volontà della vittima di morire, deve, infatti, attribuirsi prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e volere della vittima, e della percezione che altri possono avere della qualità della sua vita. Assise Monza, 20-06-2000. Risponde del delitto di omicidio volontario chi, al fine di evitare ulteriori sofferenze ad una persona malata in stato terminale (nella specie, il coniuge), ne provochi l’arresto cardiocircolatorio a seguito di estubazione, determinandone così la morte in via anticipata rispetto al suo naturale verificarsi, potendo attribuirsi rilievo ai motivi della condotta dell’agente unicamente in sede di quantificazione della pena e di applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 1, c.p. C. assise A. Milano, 24-04-2002. Va assolto dall’imputazione di omicidio volontario, per incertezza sulla sussistenza del nesso causale tra condotta ed evento, il marito che abbia effettuato il distacco dei tubi che, tramite il collegamento ad un’apparecchiatura di ventilazione artificiale, tenevano in vita la moglie ricoverata in coma profondo mantenendone l’attività cardiorespiratoria, ove manchi la prova oltre ogni ragionevole dubbio del mancato precedente verificarsi della morte cerebrale. Sez. 1, Sentenza n. 3147 del 06/02/1998 Ud. (dep. 12/03/1998 ) Rv. 210190 Il discrimine tra il reato di omicidio del consenziente e quello di istigazione o aiuto al suicidio va individuato nel modo in cui viene ad atteggiarsi la condotta e la volontà della vittima in rapporto alla condotta dell'agente: si avrà omicidio del consenziente nel caso in cui colui che provoca la morte si sostituisca in pratica all'aspirante suicida, pur se con il consenso di questi, assumendone in proprio l'iniziativa, oltre che sul piano della causazione materiale, anche su quello della generica determinazione volitiva; mentre si avrà istigazione o agevolazione al suicidio tutte le volte in cui la vittima abbia conservato il dominio della propria azione, nonostante la presenza di una condotta estranea di determinazione o di aiuto alla realizzazione del suo proposito, e lo abbia realizzato, anche materialmente, di mano propria. Sez. 1, Sentenza n. 2501 del 07/04/1989 Ud. (dep. 22/02/1990 ) Rv. 183422 6 Per il riconoscimento dell'attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale non è sufficiente che i motivi del reato siano genericamente apprezzabili o positivamente valutabili da un punto di vista etico o sociale. I motivi considerati dall'art. 62 n. 1 cod. pen. devono corrispondere a finalità, principi, criteri i quali ricevano l'incondizionata approvazione della società in cui agisce chi tiene la condotta criminosa ed in quel determinato momento storico, appunto per il loro valore morale o sociale particolarmente elevato, in modo da sminuire l'antisocialità dell'Azione criminale e da riscuotere il generale consenso della collettività. In tema di eutanasia, le discussioni tuttora esistenti sulla sua condivisibilità sono sintomatiche della Mancanza di un generale suo attuale apprezzamento positivo, risultando anzi larghe fasce di contrasto nella società italiana contemporanea; ciò esclude che ricorra quella generale valutazione positiva da un punto di vista etico-morale che condiziona la qualificazione del motivo come "di particolare valore morale e sociale" (nella specie l'imputato aveva ucciso la moglie gravemente inferma e, condannato per il delitto di cui all'art. 579 cod. pen., si doleva del mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 1 cod. pen. asserendo di aver agito solo per porre fine alle sofferenze della moglie; la Cassazione pur affermando la compatibilità tra la suddetta attenuante e il delitto di omicidio del consenziente, ne ha escluso la ravvisabilità, enunciando il principio di cui in massima). ( V mass n 175302, ed ivi citate; ( V mass n 169365; ( V mass n 169215).* Sez. 1, Sentenza n. 2501 del 07/04/1989 Ud. (dep. 22/02/1990 ) Rv. 183423 La speciale configurazione data all'omicidio del consenziente e la sua sussunzione in un'autonoma e tipica ipotesi di reato, nella quale sono previste pene edittali minori rispetto al comune omicidio volontario, sono fondamentalmente derivate dalla considerazione che, seppure ivi figuri legislativamente consacrata l'indisponibilità del bene della vita pure da parte del titolare del relativo diritto, tuttavia alla configurazione della fattispecie partecipa proprio il consenso della persona offesa che, negli altri casi, scrimina la condotta dell'autore (art. 50 cod. pen.). ciò trova conferma nella configurazione del terzo comma dell'art. 579 cod. pen., nel quale si ripristina la ravvisabilità delle Disposizioni relative all'omicidio (artt. 575 - 577 cod. pen.) ogni qual volta la manifestazione di volontà del consenziente debba ritenersi viziata in conseguenza di presunzione legale o di accertamenti di fatto.* Sez. 1, Sentenza n. 612 del 30/09/1971 Ud. (dep. 21/10/1971 ) Rv. 119201 La previsione, come circostanza attenuante comune, della suggestione collettiva suscitatrice di uno stato emotivo, indice di minore pericolosita del colpevole (art 62, n 3 cod pen), non esclude che la suggestione, per la sua intensita, possa in altre fattispecie rivelarsi come mezzo che rende inesistente l'altrui consenso, ossia, quale attivita psicogena che, attraverso una lenta ed insistente opera persuasiva, fiacchi la volonta della vittima, al punto da renderla succubo del reo. Il che puo verificarsi nell'omicidio dell'apparente consenziente (art 579, n 3 cod pen) e disvela come, nel sistema giuridico, la suggestione sia, anche in fattispecie diverse dal plagio, considerata in modo espresso quale attivita idonea a rendere illecitamente inerte l'altrui volere.* OMICIDIO PRETERINTENZIONALE Sez. 5, Sentenza n. 44751 del 12/11/2008 Ud. (dep. 01/12/2008 ) Rv. 242224 7 Il delitto di omicidio preterintenzionale può configurarsi, con riguardo all'elemento psicologico, anche quando gli "atti diretti a commettere uno dei delitti previsti dagli art. 581 e 582 cod. pen.," dai quali sia derivata, come conseguenza non voluta, la morte, siano stati posti in essere con dolo eventuale e non diretto. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità, a titolo di concorso in omicidio preterintenzionale, oltre che in rapina, di due soggetti i quali avevano concordato con un terzo, resosi autore materiale del fatto, un furto con strappo, da questi poi realizzato con violenza alla persona della vittima che, avendo opposto resistenza, era stata trascinata per alcuni metri così riportando lesioni che ne avevano cagionato la morte). Sez. 4, Sentenza n. 11335 del 16/01/2008 Cc. (dep. 14/03/2008 ) Rv. 238967 In tema di trattamento medico-chirurgico, qualora, in mancanza di un valido consenso informato ovvero in presenza di un consenso prestato per un trattamento diverso, il chirurgo esegua un intervento da cui derivi la morte del paziente, non è configurabile il reato di omicidio preterintenzionale, poiché la finalità curativa comunque perseguita dal medico deve ritenersi concettualmente incompatibile con la consapevole intenzione di provocare un'alterazione lesiva dell'integrità fisica della persona offesa invece necessaria per l'integrazione degli atti diretti a commettere il reato di lesioni richiesti dall'art. 584 cod. pen.. Sez. 1, Sentenza n. 35369 del 04/07/2007 Ud. (dep. 21/09/2007 ) Rv. 237685 Il criterio distintivo tra l'omicidio volontario e l'omicidio preterintenzionale risiede nell'elemento psicologico, nel senso che nell'ipotesi della preterintenzione la volontà dell'agente è diretta a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione dell'evento morte, mentre nell'omicidio volontario la volontà dell'agente è costituita dall'"animus necandi", ossia dal dolo intenzionale, nelle gradazioni del dolo diretto o eventuale, il cui accertamento è rimesso alla valutazione rigorosa di elementi oggettivi desunti dalle concrete modalità della condotta (il tipo e la micidialità dell'arma, la reiterazione e la direzione dei colpi, la distanza di sparo, la parte vitale del corpo presa di mira e quella concretamente attinta). (Nel caso di specie, la configurabilità dell'omicidio volontario è stata argomentata sulla base di molteplici elementi, quali l'arma usata, ossia un coltello, la direzione e la violenza dei colpi, la reiterazione degli stessi). Sez. 5, Sentenza n. 13673 del 08/03/2006 Ud. (dep. 14/04/2006 ) Rv. 234552 In tema di omicidio preterintenzionale (art. 584 cod. pen.), l'elemento soggettivo è costituito, non già da dolo e responsabilità oggettiva né da dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all'art. 43 cod. pen. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell'intenzione di risultato. Sez. 5, Sentenza n. 17394 del 22/03/2005 Ud. (dep. 06/05/2005 ) Rv. 231634 Nel caso di lesioni personali seguite da decesso della vittima dell'azione delittuosa, le eventuali omissioni dei sanitari nelle successive terapie mediche non elidono il nesso di causalità tra la 8 condotta lesiva dell'agente e l'evento morte, con la conseguente configurabilità dell'omicidio preterintenzionale, non potendo esse costituire un fatto imprevedibile ed atipico rispetto alla serie causale precedente, della quale rappresentano uno sviluppo evolutivo, pur se non indefettibile. Sez. 1, Sentenza n. 41095 del 21/09/2004 Ud. (dep. 20/10/2004 ) Rv. 230625 Il delitto preterintenzionale di cui all'art. 584 cod. pen., come quello aggravato dall'evento di cui all'art. 586 cod. pen., è caratterizzato dal verificarsi di un evento non voluto, che comporta un più severo trattamento sanzionatorio; pertanto, esso è incompatibile con il tentativo e con la desistenza volontaria, che presuppongono, invece, un evento voluto, e non verificatosi, per circostanze indipendenti o, nella desistenza, per resipiscenza dell'agente, con la conseguenza che non è possibile configurare un'ipotesi di omicidio preterintenzionale tentato. Sez. 5, Sentenza n. 21056 del 02/03/2004 Ud. (dep. 05/05/2004 ) Rv. 229113 In tema di omicidio preterintenzionale, anche la spinta volontariamente inferta, costituendo attiva applicazione di forza fisica rivolta contro un avversario, costituisce atto volto quanto meno a percuotere, per cui, quando da essa derivi, come conseguenza non voluta, ancorché imprevedibile, la morte, correttamente viene ritenuta sussistente la suddetta figura di reato. Sez. 5, Sentenza n. 15004 del 06/02/2004 Ud. (dep. 29/03/2004 ) Rv. 228497 Ai fini della sussistenza della ipotesi criminosa dell'omicidio preterintenzionale, prevista dall'art. 584 cod.pen., è sufficiente che l'autore dell'aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere o ledere e che esista un rapporto di causa ed effetto tra i predetti atti e l'evento morte. Infatti nell'art. 581 cod.pen. il termine "percuotere" non è utilizzato solo nel significato di battere, colpire o picchiare, ma anche in un significato più ampio, comprensivo di ogni violenta manomissione dell'altrui persona fisica. Anche la spinta integra un'azione violenta, estrinsecandosi in un'energia fisica, più o meno rilevante, esercitata direttamente nei confronti della persona; tale condotta, ove consapevole e volontaria, rivela la sussistenza del dolo di percosse o di lesioni, per cui, quando da essa derivi la morte, dà luogo a responsabilità a titolo di omicidio preterintenzionale. Art. 586 C.P. Sez. 5, Sentenza n. 3262 del 13/02/1999 Ud. (dep. 11/03/1999 ) Rv. 213028 Il delitto previsto dall'art. 586 cod. pen., morte come conseguenza di un altro delitto, si differenzia dall'omicidio preterintenzionale perché nel primo delitto l'attività del colpevole è diretta a realizzare un delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni personali, mentre nel secondo l'attività è diretta a realizzare un evento che, ove non si verificasse la morte, costituirebbe reato di percosse o lesioni. Nella preterintenzionalità quindi è necessario che la lesione si riferisca allo stesso genere di interessi giuridici (incolumità della persona), mentre nell'ipotesi di cui all'art. 586 la morte o la lesione deve essere conseguenza di delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni.(Fattispecie in cui è stata ritenuta manifestamente illogica la qualificazione ex art. 586 cod. pen. del 9 comportamento dell'imputato che lanciò intenzionalmente la sua vettura in un fiume ad elevata velocità, cagionando in tal modo la morte della fidanzata seduta accanto a lui). Sez. 1, Sentenza n. 704 del 15/03/1989 Cc. (dep. 28/07/1989 ) Rv. 181907 È configurabile la responsabilità penale dello spacciatore per la morte del tossicodipendente cui abbia in qualunque modo ceduto sostanza stupefacente dalla cui assunzione è derivata la morte del soggetto. In tal caso la fattispecie è riconducibile al combinato disposto degli artt. 589 (omicidio colposo) e 586 cod. pen. (morte o lesione come conseguenza di altro delitto doloso). ( V mass n 175993 Sez. 1, Sentenza n. 2538 del 14/11/1988 Cc. (dep. 05/12/1988 ) Rv. 179848 Nel fatto di chi vende o comunque ceda una quantità di droga a un tossicomane, il quale deceda a causa dell'assunzione - autonomamente realizzata - della droga stessa, non è configurabile il reato di omicidio preterintenzionale, di cui all'art. 584 cod. pen., bensì quello previsto dall'art. 586 (morte o lesioni come conseguenza di altro delitto) in relazione all'art. 589 cod. pen. (omicidio colposo). Infatti, in tale ipotesi deve ravvisarsi non il dolo diretto, inequivocabilmente richiesto dall'art. 584 cod. pen. ("Atti diretti a..." percuotere e/o cagionare lesioni), ma una condotta lesiva caratterizzata da dolo indiretto eventuale. ( V mass n 170789; ( V mass n 173746; ( Conf mass n 175993).* Sez. 5, Sentenza n. 8588 del 06/05/1982 Ud. (dep. 05/10/1982 ) Rv. 155354 Il reato di omicidio preterintenzionale e quello di morte come conseguenza di altro delitto si differenziano per il fatto che, sebbene in entrambe le ipotesi l'evento morte non voluto è posto a carico dell'agente a titolo di colpa, nel primo l'omicidio è conseguente a reati dolosi della stessa specie (percosse e lesioni personali), nel secondo la morte deriva da un delitto doloso diverso dalle percosse e dalle lesioni onde si ha molteplicità di eventi di specie eterogenea. ( Conf mass n 141745).* PERCOSSE Sez. 2, Sentenza n. 15420 del 12/03/2008 Ud. (dep. 11/04/2008 ) Rv. 240012 Ricorre il delitto di lesioni, e non già quello meno grave di percosse, sia in caso di contusione escoriata che di cervicoalgia, rientrando entrambe nella nozione di "malattia", in quanto l'una consiste nella lesione sia pure superficiale del tessuto cutaneo e quindi nella patologica alterazione dell'organismo, e l'altra comporta una pur limitata alterazione funzionale del rachide cervicale non esaurendosi in una semplice sensazione di dolore. Sez. 6, Sentenza n. 33091 del 19/06/2003 Ud. (dep. 05/08/2003 ) Rv. 226443 10 Il delitto di maltrattamenti in famiglia assorbe i delitti di percosse e minacce, anche gravi, sempre che tali comportamenti siano stati contestati come finalizzati al maltrattamento; tali reati, infatti, costituiscono elementi essenziali della violenza fisica o morale propria della fattispecie prevista dall'art. 572 cod.pen. Sez. 5, Sentenza n. 714 del 15/10/1998 Ud. (dep. 19/01/1999 ) Rv. 212156 Il delitto di cui all'art. 581 cod. pen. è configurabile allorquando la violenza produce al soggetto passivo soltanto una sensazione fisica di dolore, senza postumi di alcun genere, mentre il delitto di cui all'art. 582 cod. pen., che può essere commesso con qualsiasi mezzo, sussiste quando il soggetto attivo cagioni al soggetto passivo una lesione dalla quale derivi una malattia nel corpo o nella mente. Il concetto clinico di malattia richiede il concorso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità, a cui può anche non corrispondere una lesione anatomica, e di quello di un fatto morboso in evoluzione a breve o lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la guarigione perfetta, l'adattamento a nuove condizioni di vita oppure la morte. Ne deriva che non costituiscono malattia e quindi non possono integrare il reato di lesioni personali, le alterazioni anatomiche, a cui non si accompagni una riduzione apprezzabile della funzionalità. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto sussistenti le lesioni per difficoltà respiratorie, durate alcuni minuti, a seguito di stretta al collo e scuotimento della vittima). LESIONI PERSONALI Sez. 4, Sentenza n. 2433 del 19/12/2005 Ud. (dep. 20/01/2006 ) Rv. 232882 L'ecchimosi - infiltrazione di sangue nel tessuto sottocutaneo - costituisce malattia e configura pertanto una lesione personale. Sez. 5, Sentenza n. 45210 del 21/09/2005 Ud. (dep. 13/12/2005 ) Rv. 232723 In tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva, non sussistono i presupposti di applicabilità della causa di giustificazione del consenso dell'avente diritto con riferimento al cosiddetto rischio consentito (art. 50 cod. pen.), né ricorrono quelli di una causa di giustificazione non codificata ma immanente nell'ordinamento, in considerazione dell'interesse primario che l'ordinamento statuale riconnette alla pratica dello sport, nell'ipotesi in cui, durante una partita di calcio ma a gioco fermo, un calciatore colpisca l'avversario - che aveva realizzato una rete - con una gomitata al naso, in quanto imprescindibile presupposto della non punibilità della condotta riferibile ad attività agonistiche è che essa non travalichi il dovere di lealtà sportiva, il quale richiede il rispetto delle norme che regolamentano le singole discipline, di guisa che gli atleti non siano esposti ad un rischio superiore a quello consentito da quella determinata pratica ed accettato dal partecipante medio; ne deriva che la condotta lesiva esente da sanzione penale deve essere, anzitutto, finalisticamente inserita nel contesto dell'attività sportiva, mentre ricorre, come nella fattispecie, l'ipotesi di lesioni volontarie punibili nel caso in cui la gara sia soltanto l'occasione dell'azione violenta mirata alla persona dell'antagonista. 11 Sez. 5, Sentenza n. 14986 del 24/03/2005 Cc. (dep. 21/04/2005 ) Rv. 231367 Integra il reato di lesioni personali, aggravate dalla circostanza di aver commesso il fatto con crudeltà, la condotta dell'imputato che spenga sulla guancia della persona offesa una sigaretta. Sez. 5, Sentenza n. 4113 del 18/02/1997 Ud. (dep. 08/05/1997 ) Rv. 207404 In materia di lesioni personali va affermato che, per la sussistenza dello sfregio permanente, non è richiesto un ripugnante sfiguramento o una sensibile modificazione delle sembianze, ma è sufficiente che ricorra una apprezzabile alterazione dei lineamenti del viso con effetto sgradevole se non proprio ripugnante. (Nella fattispecie, cicatrice verticale sul dorso del naso lunga 5 cm.) OMICIDIO COLPOSO Sez. 4, Sentenza n. 39594 del 21/06/2007 Ud. (dep. 26/10/2007 ) Rv. 237876 Nei reati omissivi impropri, la sussistenza del nesso di causalità non può essere affermata sulla base di una valutazione di probabilità statistica, risultando invece necessaria la formulazione di un giudizio di probabilità logica che consenta di ritenere l'evento specifico riconducibile all'omissione dell'agente al di là di ogni ragionevole dubbio. (Fattispecie in tema di colpa professionale medica in cui la Corte ha ritenuto corretta la valutazione compiuta dal giudice d'appello in merito all'insussistenza della prova certa del collegamento causale tra le omissioni diagnostiche e terapeutiche attribuite al sanitario e il decesso di un paziente, la cui situazione immunitaria assolutamente insufficiente lasciava legittimamente dubitare delle possibilità salvifiche degli accertamenti clinici non tempestivamente effettuati). Sez. 4, Sentenza n. 28564 del 19/05/2005 Ud. (dep. 29/07/2005 ) Rv. 232438 In tema di rapporto di causalità, una volta che sia stata accertata una condotta colposa inseritasi nel processo determinativo dell'evento va in particolare verificato che proprio quella violazione della regola cautelare abbia cagionato (o abbia contribuito a cagionare) l'evento medesimo, non essendo sufficiente l'accertamento della causalità materiale e neppure che la condotta abbia in parte o in tutto prodotto il fatto delittuoso, ma occorrendo estendere l'indagine al nesso di causalità giuridica. (Ha specificato la Corte che tale verifica - che deve risultare dalla motivazione della sentenza - è tanto più necessaria laddove, come nella fattispecie relativa a colpa medica, l'evento della morte del paziente si verifichi a oltre un anno e mezzo di tempo dalle condotte dei sanitari, e per di più per una causa di natura diversa, la quale pertanto va dal giudice di merito ricollegata con particolare precisione al trattamento medico ritenuto inadeguato). Sez. 4, Sentenza n. 46412 del 28/10/2008 Ud. (dep. 17/12/2008 ) Rv. 242250 In tema di colpa professionale medica, l'errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una 12 patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi. (Fattispecie nella quale una diagnosi errata e superficiale, formulata senza disporre ed eseguire tempestivamente accertamenti assolutamente necessari, era risultata esiziale). Sez. 4, Sentenza n. 39609 del 28/06/2007 Ud. (dep. 26/10/2007 ) Rv. 237832 Gli obblighi di garanzia connessi all'esercizio della professione sanitaria possono essere delegati, con conseguente esclusione della responsabilità del titolare originario della posizione di garanzia. Perchè ciò avvenga è peraltro necessario che il delegato sia persona capace e competente nel settore e che il delegante tenga sempre conto delle peculiarità del caso in esame, dell'eventuale carattere di urgenza che lo stesso presenta e della gravità dello stato di salute del paziente. (Fattispecie relativa all'affidamento ad altro sanitario dell'esame istologico su una massa probabilmente tumorale da parte del primario che aveva eseguito l'asportazione della stessa. La Corte non ha ritenuto rispettate le condizioni per la rilevanza della delega nel caso di specie, osservando che comunque il primario avrebbe dovuto vigilare sull'effettivo espletamento dell'incarico e sulla tempestiva comunicazione dell'esito dell'esame alla luce delle condizioni di salute del paziente e dell'urgenza dell'accertamento delegato). Sez. 4, Sentenza n. 41317 del 11/10/2007 Ud. (dep. 09/11/2007 ) Rv. 237891 In tema di colpa medica nell'attività di "equipe", ciascuno dei soggetti che si dividono il lavoro risponde dell'evento illecito, non solo per non aver osservato le regole di diligenza, prudenza e perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte, ma altresì per non essersi fatto carico dei rischi connessi agli errori riconoscibili commessi nelle fasi antecedenti o contestuali al suo specifico intervento. Sez. 4, Sentenza n. 24823 del 02/03/2007 Ud. (dep. 26/06/2007 ) Rv. 236988 In tema di circolazione stradale, l'osservanza della regola cautelare imposta dalla legge non vale sempre ad esonerare dalla responsabilità per il reato colposo quando esistano concrete circostanze che la rendano inidonea, nel caso concreto, a garantire la tutela del bene cui la regola cautelare è preordinata. (Fattispecie in tema di omicidio colposo da incidente stradale in cui è stata ritenuta insufficiente, ai fini di escludere la responsabilità dell'imputato, la circostanza che egli avesse rispettato i limiti di velocità, avendo egli omesso di ridurre ulteriormente la velocità adeguandola alle concrete condizioni della strada, che, nel tratto interessato, era bagnata, con un restringimento della carreggiata e una curva che ostacolava la visuale). Sez. 4, Sentenza n. 5117 del 22/11/2007 Ud. (dep. 01/02/2008 ) Rv. 238778 In tema di tutela dei lavoratori dai rischi connessi all'esposizione all'amianto, il datore di lavoro risponde del delitto di omicidio colposo nel caso di morte del lavoratore conseguita a malattia connessa a tale esposizione quando, pur avendo rispettato le norme preventive vigenti all'epoca 13 dell'esecuzione dell'attività lavorativa, non abbia adottato le ulteriori misure preventive necessarie per ridurre il rischio concreto prevedibile di contrazione della malattia, assolvendo così all'obbligo di garantire la salubrità dell'ambiente di lavoro. VIOLENZA SESSUALE Sez. 4, Sentenza n. 3447 del 03/10/2007 Ud. (dep. 23/01/2008 ) Rv. 238739 In tema di reati sessuali, la nozione di "atti sessuali" comprende tutti quegli atti che esprimono l'impulso sessuale dell'agente e che comportano una invasione della sfera sessuale del soggetto passivo, inclusi, pertanto, i toccamenti, i palpeggiamenti e gli sfregamenti sulle parti intime della vittima, tali da suscitare la concupiscenza sessuale anche in modo non completo e per un tempo di breve durata. Sez. 3, Sentenza n. 42110 del 12/10/2007 Ud. (dep. 15/11/2007 ) Rv. 238073 In tema di reati contro la libertà sessuale, deve escludersi la configurabilità dell'attenuante della minore gravità del fatto (art. 609 bis, ultimo comma, cod. pen.) ove il fatto, commesso ai danni di un minore di anni dieci, avvenga nell'ambito di un rapporto fiduciario di affidamento tra l'autore del reato e la vittima. Sez. 3, Sentenza n. 4730 del 14/12/2007 Ud. (dep. 30/01/2008 ) Rv. 238698 Il genitore esercente la potestà sui figli minori, come tale investito, a norma dell'art. 147 cod. civ., di una posizione di garanzia in ordine alla tutela dell'integrità psico - fisica dei medesimi, risponde, a titolo di causalità omissiva di cui all'art. 40 cpv. cod. pen., degli atti di violenza sessuale compiuti dal coniuge sui figli allorquando sussistano le condizioni rappresentate: a) dalla conoscenza o conoscibilità dell'evento; b) dalla conoscenza o riconoscibilità dell'azione doverosa incombente sul "garante"; c) dalla possibilità oggettiva di impedire l'evento. Sez. 3, Sentenza n. 45604 del 13/11/2007 Ud. (dep. 06/12/2007 ) Rv. 238282 In tema di abusi sessuali, ai fini dell'accertamento della diminuente del fatto di minore gravità prevista dall'art. 609 bis, comma terzo, cod. pen., deve farsi riferimento, oltre che alla materialità del fatto, a tutte le modalità che hanno caratterizzato la condotta criminosa, nonchè al danno arrecato alla parte lesa, anche e soprattutto in considerazione dell'età della stessa o di altre condizioni psichiche in cui versi. (Fattispecie nella quale la attenuante è stata correttamente negata in considerazione della particolare gravità delle azioni delittuose consistite nell'avere costretto, per oltre un anno e nel più completo disinteresse per le sofferenze della vittima, una bambina dodicenne a subire toccamenti delle parti intime e a compiere atti di masturbazione). Sez. 3, Sentenza n. 1190 del 08/11/2007 Ud. (dep. 11/01/2008 ) Rv. 238550 14 In tema di reati sessuali, non ricorre l'attenuante della minore gravità del fatto (art. 609 bis, comma terzo, cod. pen.) nel caso in cui la violenza sessuale sia perpetrata dal genitore ai danni del proprio figlio, in quanto, ponendo in essere tale condotta, il genitore lede la libertà di autodeterminazione sessuale di quest'ultimo, così determinando uno sviamento dalla funzione di accudimento e Sez. 3, Sentenza n. 29662 del 13/05/2004 Ud. (dep. 08/07/2004 ) Rv. 229358 Il delitto di cui all'art. 609 quater cod. pen. (atti sessuali con minorenne) tutela l'integrità fisiopsichica del minore nella prospettiva di un corretto sviluppo della personalità sessuale attraverso una assoluta intangibilità nell'ipotesi di minore degli anni quattordici (comma primo n. 1) o relativa con riferimento a specifiche situazioni di parentela o di affidamento del minore stesso (comma primo n. 2) e si configura anche in assenza di pressioni coercitive, atteso che in tali ipotesi si può realizzare una agevolazione del consenso o un impedimento al rifiuto dello stesso. Sez. 3, Sentenza n. 12007 del 11/02/2003 Ud. (dep. 14/03/2003 ) Rv. 224714 In tema di atti sessuali con minorenne la nozione di "atti sessuali", così come del resto l'ipotesi di "minore gravità", non si differenzia da quella prevista dall'art. 609 bis cod. pen. e non può essere caratterizzata da una concezione psicologico-comportamentale alla luce della qualità della parte offesa, dovendo piuttosto basarsi sull'effettiva lesività del bene protetto e, quindi, sulla compressione della libertà sessuale della vittima. Sez. 3, Sentenza n. 45286 del 25/10/2005 Ud. (dep. 14/12/2005 ) Rv. 232903 In tema di atti sessuali con minorenne, si configura l'ipotesi del tentativo quando, pur in mancanza di atti di contatto fisico tra imputato e persona offesa, la condotta tenuta sia oggettivamente idonea a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale e denoti il requisito soggettivo dell'intenzione di raggiungere l'appagamento dei propri istinti sessuali. (Nel caso di specie, la S. C. ha ritenuto l'idoneità e l'univocità degli atti consistiti nell'offrire in più occasioni ad un bambino, minore di dieci anni, caramelle e denaro con l'esplicita richiesta di compiere atti sessuali e nel tentativo di trascinarlo nel bagno, pur in assenza di toccamenti lascivi). Sez. 3, Sentenza n. 44681 del 16/11/2005 Ud. (dep. 07/12/2005 ) Rv. 232907 Il bene giuridico tutelato nel delitto di corruzione di minorenni consiste nella salvaguardia di un sereno sviluppo psichico della sfera sessuale di soggetti di età minore, che non deve essere turbato dal trauma che può derivare dall'assistere ad atti sessuali compiuti con ostentazione da altri. Sez. 3, Sentenza n. 32235 del 11/07/2007 Ud. (dep. 07/08/2007 ) Rv. 237654 15 In tema di reati contro la libertà sessuale commessi in danno di persona minore di anni quattordici, l'ignoranza, da parte del soggetto agente, dell'età della persona offesa scrimina la condotta laddove la stessa sia inevitabile, in ragione della necessità di interpretare l'art. 609 sexies cod. pen. in aderenza al principio di personalità della responsabilità penale di cui all'art. 27, comma primo, Cost., secondo quanto indicato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 322 del 2007; detta ignoranza inevitabile non può tuttavia fondarsi soltanto, od essenzialmente, sulla dichiarazione della vittima di avere un'età superiore a quella effettiva essendo richiesto a chi si accinga al compimento di atti sessuali con un soggetto che appare di giovane età, un "impegno" conoscitivo proporzionale alla presenza dei valori in gioco. Sez. 3, Sentenza n. 3348 del 13/11/2003 Ud. (dep. 29/01/2004 ) Rv. 227495 Il delitto di violenza sessuale di gruppo, previsto dall'art. 609-octies cod. pen., costituisce una fattispecie autonoma di reato, a carattere necessariamente plurisoggettivo proprio, e richiede per la sua integrazione, oltre all'accordo delle volontà dei compartecipi al delitto, anche la simultanea effettiva presenza di costoro nel luogo e nel momento di consumazione dell'illecito, in un rapporto causale inequivocabile, senza che, peraltro, ciò comporti anche la necessità che ciascun compartecipe ponga in essere un'attività tipica di violenza sessuale, ne' che realizzi l'intera fattispecie nel concorso contestuale dell'altro o degli altri correi, potendo il singolo realizzare soltanto una frazione del fatto tipico ed essendo sufficiente che la violenza o la minaccia provenga anche da uno solo degli agenti. Sez. 3, Sentenza n. 11541 del 03/06/1999 Ud. (dep. 11/10/1999 ) Rv. 215153 La violenza sessuale di gruppo esula da qualsivoglia profilo di analogia con gli schemi ordinari di una relazione intersoggettiva, sia pure viziata dal dissenso del partner, in quanto opera una sorta di annullamento della personalità del soggetto passivo, il quale viene privato anche della individualità ed identità specifica come soggetto prescelto per soddisfare il desiderio sessuale e ridotto a mero strumento occasionalmente e fungibilmente utilizzato per dare collettivamente sfogo ad un atteggiamento aggressivo, in quanto tale, qualitativamente diverso da quello corrispondente all'esplicazione della condotta individuale di violenza sessuale. Sez. 3, Sentenza n. 42111 del 12/10/2007 Ud. (dep. 15/11/2007 ) Rv. 238151 In tema di reati sessuali, a seguito dell'avvenuta introduzione del reato di violenza sessuale di gruppo di cui all'art. 609 octies cod. pen., il concorso eventuale di persone nel reato di violenza sessuale è divenuto configurabile solo nelle forme dell'istigazione, del consiglio, dell'aiuto o dell'agevolazione da parte di chi non partecipi materialmente all'esecuzione del reato stesso. Sez. 3, Sentenza n. 3348 del 13/11/2003 Ud. (dep. 29/01/2004 ) Rv. 227496 16 Ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo l'espressione "più persone" contenuta nell'art.609-octies cod pen. comprende anche l'ipotesi che gli autori del fatto siano soltanto due. Sez. 3, Sentenza n. 42111 del 12/10/2007 Ud. (dep. 15/11/2007 ) Rv. 238149 Ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo di cui all'art. 609 octies cod. pen., non è necessario che l'atto sessuale sia compiuto contemporaneamente da tutti i partecipanti essendo sufficiente la mera presenza di tutti anche se l'atto viene posto in essere a turno da ciascuno dei partecipanti. PEDOPORNOGRAFIA Sez. 3, Sentenza n. 18854 del 05/03/2003 Ud. (dep. 22/04/2003 ) Rv. 224897 Il delitto di cui all'art. 600 bis cod. pen., introdotto dall'art. 2 della legge 3 agosto 1998 n. 269, in adesione ai principi contenuti nella Convenzione sui diritti del fanciullo, è diretto a proteggere l'integrità e la libertà fisica e psichica del minore ed ha pertanto natura autonoma, attesa la sua diversa oggettività giuridica rispetto ad analoghe fattispecie criminose in materia di prostituzione di soggetti adulti, contemplate nella legge 20 febbraio 1958 n. 75, la quale mira a tutelare soltanto il buon costume e la pubblica moralità; tale affermazione trova conferma anche nell'inter venuta abrogazione dell'aggravante prevista dall'art. 4, n. 2, della suddetta legge per i fatti commessi in danno di minori. Sez. 3, Sentenza n. 40432 del 13/07/2006 Ud. (dep. 12/12/2006 ) Rv. 235752 Le fattispecie criminose di induzione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione minorile e di fruizione di rapporto sessuale con un minore in cambio di denaro o altra utilità, previste ai commi primo e secondo dell'art. 600 bis cod. pen., sono caratterizzate dal dolo generico ed è pertanto sufficiente per la sussistenza dell'elemento soggettivo che l'agente abbia la rappresentazione degli elementi del fatto tipico tra cui si pone l'età della vittima. Sez. 3, Sentenza n. 33470 del 04/07/2006 Ud. (dep. 05/10/2006 ) Rv. 234787 Il delitto di cui all'art. 600 bis cod. pen. sussiste anche nel caso il cui l'autore del reato abbia indotto soggetti minorenni ad avere rapporti retribuiti non già con una pluralità indiscriminata di persone, ma solo con l'agente stesso; infatti l'interesse protetto dalla fattispecie - a differenza di quello tutelato nella legge n. 75 del 1958 in materia di sfruttamento della prostituzione - è il libero sviluppo psicofisico del minore, il quale può essere messo a repentaglio da qualsiasi tipo di mercificazione del suo corpo. Per tale ragione il legislatore ha previsto in riferimento alla prostituzione minorile, nei commi secondo e terzo della citata disposizione, la punibilità del "cliente", per la quale è sufficiente che il minore abbia ricevuto denaro od altra utilità economica in cambio di prestazioni di tipo sessuale. (Nel caso di specie, si trattava di un soggetto che, dopo avere 17 svolto un'attività di convincimento volta a superare le inibizioni morali e ad influire sulle determinazione di minori di anni quattordici per indurli al meretricio, aveva avuto con gli stessi rapporti sessuali a pagamento). Sez. 3, Sentenza n. 5774 del 21/01/2005 Ud. (dep. 16/02/2005 ) Rv. 230732 Poiché il delitto di pornografia minorile di cui al primo comma dell'art. 600 ter cod. pen. - mediante il quale l'ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l'immissione nel circuito perverso della pedofilia- ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli e materiali pornografici è punibile, salvo l'ipotizzabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto. (Nel caso di specie la Corte ha ritenuto congrua la motivazione del giudice di merito il quale aveva dato atto, oltre che dell'imponente apparato informatico e dell'ingente materiale pedopornografico rinvenuto nella disponibilità dell'imputato, del fatto che lo stesso aveva effettuato con una macchina digitale numerose riprese fotografiche delle parti intime di una bimba, alla quale era stato celato il volto, foto che erano state scaricate nell' hard disk del computer in vista dell'uso diffusivo delle immagini pornografiche). Sez. 3, Sentenza n. 2421 del 13/06/2000 Cc. (dep. 24/08/2000 ) Rv. 217214 Rientrano nella fattispecie di cui all'art. 600 ter c.p.: a)il commercio di materiale pornografico inerente i minori che richiede la predisposizione di un attività di impresa, con adeguati strumenti di distribuzione, nella prospettiva di una offerta del prodotto destinata a durare nel tempo; b) la distribuzione, che si configura come forma particolare di commercializzazione, la quale deve ritenersi integrata dalla diffusione fisica del materiale mediante l'invio ad un novero, definito o meno, di destinatari; c) la divulgazione e pubblicazione, le quali richiedono sia che la condotta sia destinata a raggiungere una serie indeterminata di persone, con cui l'agente ha stabilito un rapporto di comunicazione, sia un mezzo di diffusione accessibile ad una pluralità di soggetti. La cessione occasionale, singolarmente effettuata (ex comma 4), del materiale è fattispecie per sua natura sussidiaria rispetto a quelle previste nei commi precedenti dello stesso art 600 ter c.p., che non può trovare applicazione quando sussistano gli elementi per la operatività degli stessi. (Conseguentemente la Corte ha ritenuto che integrasse il reato di cui all'art. 600, comma 3, c.p. l'avere veicolato fotografie oscene di minori attraverso la rete Internet). Sez. 3, Sentenza n. 1814 del 20/11/2007 Ud. (dep. 14/01/2008 ) Rv. 238567 Non è configurabile il concorso tra il reato di detenzione di materiale pornografico ed il reato di pornografia minorile, dovendo applicarsi, in virtù della clausola di riserva di cui all'art. 600 quater cod. pen., la più grave fattispecie di cui all'art. 600 ter cod. pen., rispetto alla quale la detenzione costituisce, quindi, un "post factum" non punibile. 18 Sez. 3, Sentenza n. 1814 del 20/11/2007 Ud. (dep. 14/01/2008 ) Rv. 238566 Ai fini dell'integrazione del reato di pornografia minorile di cui al primo comma dell'art. 600 ter cod. pen., è necessario che la condotta del soggetto agente abbia una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto, sì che esulano dall'area applicativa della norma solo quelle ipotesi in cui la produzione pornografica sia destinata a restare nella sfera strettamente privata dell'autore. (Nella specie il pericolo di diffusione è stato desunto dai giudici dal fatto che parte del materiale, per la cui produzione erano state utilizzate contemporaneamente molte minorenni e per il cui utilizzo l'imputato aveva avuto il consenso di queste, era detenuto in auto ed in alcune occasioni era stato mostrato a terzi). Sez. 3, Sentenza n. 27252 del 05/06/2007 Cc. (dep. 12/07/2007 ) Rv. 237204 Ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 600 ter, comma primo, cod. pen., il concetto di "utilizzazione" comporta la degradazione del minore ad oggetto di manipolazioni, non assumendo valore esimente il relativo consenso, mentre le nozioni di "produzione" e di "esibizione" richiedono l'inserimento della condotta in un contesto di organizzazione almeno embrionale e di destinazione, anche potenziale, del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte di terzi. Sez. 3, Sentenza n. 698 del 30/11/2006 Ud. (dep. 16/01/2007 ) Rv. 236073 Il delitto di distribuzione, divulgazione o pubblicizzazione di materiale pedo-pornografico non è un reato abituale e può concretizzarsi anche in un solo atto, e lo sfruttamento delle immagini pedopornografiche consiste non solo in un utile economico, ma in un qualunque vantaggio. (Nel caso di specie la S.C. ha ritenuto che integrasse il delitto l'aver riversato in un CD-rom, distribuito all'interno di una scuola, un filmato pornografico relativo ad una ragazza minorenne, sfruttando le immagini della stessa al fine di diffamarla, in quanto aveva posto fine ad una relazione sentimentale con esso imputato). Sez. 3, Sentenza n. 23164 del 08/06/2006 Cc. (dep. 05/07/2006 ) Rv. 234639 Il delitto di distribuzione, divulgazione o pubblicizzazione di materiale pornografico realizzato mediante lo sfruttamento di minori degli anni diciotto sussiste quando il materiale sia propagato ad un numero indeterminato di destinatari, come avviene con l'inserimento nella rete internet mediante il modello di comunicazione "peer to peer" di filmati aventi come oggetto esibizioni pornografiche da parte di minori di anni 18 ed anche di anni 14. Sez. 3, Sentenza n. 20303 del 07/06/2006 Ud. (dep. 14/06/2006 ) Rv. 234699 In tema di reati relativi alla pornografia minorile, mentre il delitto di cui all'art. 600 ter, comma primo, cod. pen., ha natura di reato di pericolo concreto, la fattispecie di cui all'art. 600 quater cod. pen. (anche nella formulazione applicabile al caso di specie, anteriore a quella introdotta con la legge n. 38 del 2006), richiede la mera consapevolezza della detenzione del materiale pedo19 pornografico, senza che sia necessario il pericolo della sua diffusione ed infatti tale fattispecie ha carattere sussidiario rispetto alla più grave ipotesi delittuosa della produzione di tale materiale a scopo di sfruttamento. Sez. 3, Sentenza n. 25232 del 21/06/2005 Cc. (dep. 12/07/2005 ) Rv. 231814 Il reato di cui all'art. 600 ter, comma terzo, cod. pen. (pornografia minorile commessa per via telematica) si consuma nel momento in cui i dati pedopornografici vengono immessi nella rete, atteso che tale immissione, pur collocandosi in un momento antecedente all'effettiva diffusione tra il pubblico del materiale vietato, è sufficiente ad integrare il reato, con natura di reato di pericolo concreto, stante la possibilità di accesso ai dati ad un numero indeterminato di soggetti. Sez. 5, Sentenza n. 4900 del 11/12/2002 Ud. (dep. 03/02/2003 ) Rv. 224702 Ai fini della sussistenza del delitto di distribuzione o divulgazione di materiale pornografico realizzato mediante lo sfruttamento di minori degli anni diciotto (art. 600 ter, comma 3, cod. pen.)occorre che il materiale sia inserito in un sito accessibile a tutti al di fuori di un canale privilegiato o sia, comunque, propagato ad un numero indeterminato di destinatari. Di conseguenza, quando la cessione avviene attraverso un canale di discussione (cosiddetta chat line) è necessario verificare se il programma consenta a chiunque si colleghi la condivisione di cartelle, archivi, documenti contenenti le foto pornografiche in questione, in modo da essere accessibile a chiunque e da potere essere preso direttamente senza formalità rivelatrici di una volontà specifica e positiva. Laddove,invece, il prelievo avvenga solo a seguito della manifestazione di volontà dichiarata nel corso di una conversazione privata, si versa nella più lieve ipotesi di cui all'art. 600 ter, quarto comma, cod.pen. Sez. 3, Sentenza n. 41570 del 20/09/2007 Ud. (dep. 12/11/2007 ) Rv. 237999 Integra il reato previsto dall'art. 600 quater cod. pen. (detenzione di materiale pornografico utilizzando minori degli anni diciotto), la condotta consistente nel procurarsi materiale pedopornografico "scaricato" (cosiddetta operazione di "download") da un sito internet a pagamento, in quanto il comportamento di chi accede al sito e versa gli importi richiesti per procurarsi il materiale pedopornografico offende la libertà sessuale e individuale dei minori coinvolti come il comportamento di chi lo produce. (In motivazione la Corte, nell'enunciare il predetto principio, ha altresì dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità della norma sanzionatoria sollevata dalla difesa per presunta violazione degli artt. 2, 3, 24, 25, 27 e 111 Cost.). Sez. 5, Sentenza n. 36094 del 27/09/2006 Ud. (dep. 31/10/2006 ) Rv. 235488 In tema di reati contro la libertà sessuale dei minori, ai fini della configurazione del delitto di cui all'art. 600 quater cod. pen., la disponibilità del materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori deve essere intesa come possibilità di libera utilizzazione di detto materiale, senza che ne sia necessario l'effettivo uso. (In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha ritenuto sussistente il reato 20 in questione nella detenzione di materiale pedopornografico, conservato in un vecchio quaderno, custodito in un armadio di cui era, comunque, garantito l'accesso in ogni tempo). Sez. 3, Sentenza n. 36390 del 06/05/2003 Ud. (dep. 23/09/2003 ) Rv. 225876 Al fine di configurare il reato di cui all'art. 604 quater cod. pen. è necessario che si disponga o ci si procuri materiale pornografico ottenuto mediante lo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, atteso che nel nostro ordinamento, dal punto di vista generale, è lecita la detenzione di materiale pornografico stante la sua differenziazione da quello pedopornografico. INGIURIA Sez. V, sent. n. 4845 del 04-04-1990 (cc. del 30-11-1988), Adamo (rv 183931). L'ingiuria - secondo le espressioni letterali usate dall'art. 594 cod. pen. - è costituita dall'offesa all'onore, inteso con riferimento alle qualità morali della persona, od al decoro, cioè al complesso di quelle altre qualità e condizioni che ne determinano il valore sociale. Lo sputo incide indubbiamente sul decoro, costituendo una manifestazione di disprezzo verso l'individuo nei cui confronti è diretto, né ha rilevanza che lo sputo sia rivolto direttamente alla persona, in modo tale da colpirla materialmente, o, eventualmente, a terra, ma con specifico riferimento ad un determinato soggetto. Sez. V, sent. n. 2486 del 25-02-1999 (cc. del 10-11-1998), Poli (rv 212722 Ai fini della configurabilità del reato di ingiuria, non è necessario che il soggetto a cui le espressioni offensive vengono rivolte sia in grado di percepirle ed in effetti le percepisca. Ciò in quanto l'oggetto della tutela penalistica va individuato in termini più ampi, nel valore della dignità umana in quanto tale, ed è dunque irragionevole escludere dalla protezione i soggetti incapaci. Sez. V, sent. n. 7597 del 11-06-1999 (cc. del 11-05-1999), Beri Riboli (rv 21363) In tema di delitti contro l'onore, non è richiesta la presenza di un "animus iniuriandi vel diffamandi", ma appare sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto basta che l'agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, cioè adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni dell'agente. (Nella fattispecie, la Corte ha ravvisato gli estremi dell'ingiuria nelle affermazioni di un professore universitario che aveva definito un suo collega come un individuo di scarsa personalità, accusandolo inoltre di aver "partecipato ad un raggiro"). Sez. V, sent. n. 24087 del 20-05-2004 (ud. del 13-01-2004) (rv 228900 Anche in tema di ingiuria l'esimente del diritto di critica può rendere non punibili espressioni anche aspre e giudizi che di per sé sarebbero ingiuriosi, tesi a stigmatizzare un comportamento realmente 21 tenuto dal personaggio pubblico, ma non può scriminare la falsa attribuzione di una condotta scorretta, utilizzata come fondamento per la esposizione a critica del personaggio stesso. uomo pubblico che dispone direttamente degl'interessi della comunità di cui fa parte. (Annulla con rinvio, Trib.Rieti,sez.dis. Poggio Mirteto, 3 marzo 2005) Sez. 5, Sentenza n. 35548 del 19/09/2007 Ud. (dep. 26/09/2007 ) Rv. 237729 In tema di delitto di ingiuria, è incensurabile in sede di sindacato di legittimità la decisione, adeguatamente motivata, con cui il giudice di appello affermi la sussistenza del carattere ingiurioso dell'invito a "non rompere le palle", rivolto dal direttore di una comunità di recupero per tossicodipendenti ai carabinieri intervenuti per effettuare un controllo. (La S.C. ha ritenuto ragionevolmente giustificato il giudizio di colpevolezza dei giudici del merito, i quali hanno ritenuto che con l'espressione incriminata l'imputato avesse inteso contrastare l'operazione dei carabinieri, qualificandola come inutilmente vessatoria e, pertanto, attribuendo loro la responsabilità di un abuso). Sez. 1, Sentenza n. 7157 del 06/12/2006 Ud. (dep. 21/02/2007 ) Rv. 235891 . In tema di ingiuria, il criterio cui fare riferimento ai fini della ravvisabilità del reato è il contenuto della frase pronunziata e il significato che le parole hanno nel linguaggio comune, prescindendo dalla intenzioni inespresse dell'offensore, come pure dalle sensazioni puramente soggettive che la frase può aver provocato nell'offeso. (Nella fattispecie la Corte non ha ritenuto oggettivamente insultante l'espressione "serva del popolo"). Sez. 5, Sentenza n. 19378 del 05/04/2005 Ud. (dep. 20/05/2005 ) Rv. 231560 Integra il reato di ingiuria l'apostrofare la persona offesa con riferimento alla sua nazionalità di origine attraverso la sostantivizzazione dell'aggettivo che tale origine indica (nella specie: "marocchino"), soprattutto laddove lo scherno che l'espressione denota si unisce all'intento della discriminazione razziale. Sez. 5, Sentenza n. 3131 del 27/11/2007 Ud. (dep. 21/01/2008 ) Rv. 238340 Deve riconoscersi la scriminante della provocazione prevista dall'art. 599, comma secondo, cod. pen. nel caso di una insegnante la quale, a fronte dell'ingiustificata accusa, rivoltale dalla madre di un'alunna, di usare un metodo d'insegnamento "hitleriano", aveva replicato dicendo alla donna che ella insegnava alla figlia a mentire. DIFFAMAZIONE Sez. 5, Sentenza n. 3565 del 07/11/2007 Ud. (dep. 23/01/2008 ) Rv. 238909 . 22 Non integra il delitto di diffamazione la segnalazione al competente Consiglio dell'ordine di comportamenti deontologicamente scorretti tenuti da un libero professionista nei rapporti con il cliente denunciante, sempre che gli episodi segnalati siano rispondenti al vero, perché il cliente per mezzo della segnalazione esercita una legittima tutela dei suoi interessi. Sez. 5, Sentenza n. 3597 del 20/12/2007 Cc. (dep. 23/01/2008 ) Rv. 238872 L'intervista televisiva "in diretta" presuppone che siano comunicate notizie provenienti da una fonte "non filtrata", con la conseguenza che, in tal caso, non si può esigere dal giornalista l'esecuzione di un sia pur rapido controllo prima della diffusione della notizia ed in particolare un'attività di verifica sulla fondatezza della notizia comunicata e diffusa, in quanto essa viene diffusa nello stesso momento in cui il giornalista la apprende dall'intervistato. Ne deriva che l'obbligo di controllo di veridicità che grava sul giornalista in ordine all'intervista "in differita" non è applicabile al giornalista che effettui l'intervista "in diretta", trattandosi di condotta inesigibile, posto che non si può controllare ciò che ancora non si conosce; tuttavia, il giornalista, in tal caso, deve osservare la diligenza "in eligendo", nel senso che nella scelta del soggetto da intervistare deve adottare, sia pure nei limiti del diritto-dovere di informare, la cautela preordinata ad evitare di dare la parola a soggetti che prevedibilmente ne approfittino per commettere reati, fermo restando l'obbligo di intervenire, se possibile, nel corso dell'intervista (chiarendo, chiedendo precisazioni ecc.), ove si renda conto che il dichiarante ecceda i limiti della continenza o sconfini in settori privi di rilevanza sociale. Sez. 5, Sentenza n. 46295 del 04/10/2007 Ud. (dep. 12/12/2007 ) Rv. 238290 In tema di diffamazione a mezzo stampa e di esimente del diritto di cronaca, deve escludersi che questa possa operare al di là del limite segnato dall'attitudine della notizia a soddisfare una oggettiva esigenza di informazione pubblica, da non confondere con il mero interesse che il pubblico, per pura curiosità "voyeristica", può avere alla conoscenza di particolari attinenti alla sfera della vita privata di un determinato soggetto, specie quando questo non sia persona investita di cariche pubbliche o comunque dotata di rilievo pubblico. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che potesse trovare giustificazione la diffusione di notizie e commenti ironici relativi ad una presunta relazione extraconiugale tra un uomo ed una donna, sua inquilina, nella cui abitazione egli era stato trovato morto). Sez. 5, Sentenza n. 34432 del 05/06/2007 Cc. (dep. 12/09/2007 ) Rv. 237711 In tema di diffamazione a mezzo stampa, ricorre l'esimente del diritto di critica giudiziaria allorché sussista il requisito della verità del fatto riferito e criticato, l'interesse pubblico alla notizia e la continenza espressiva. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto sussistente l'esimente del diritto di critica in relazione a talune espressioni, contenute in un articolo apparso su un quotidiano nazionale, con il quale si censurava l'operato di un magistrato del Pubblico Ministero per avere prestato, in ordine ad un gravissimo delitto, il suo consenso al patteggiamento in appello, che aveva comportato una drastica riduzione di pena nonché per una serie di dichiarazioni sul caso che egli aveva rilasciato nel corso di un intervista; in particolare la S.C. ha ritenuto che l'accusa di "subalternità psicologica" nei confronti della famiglia dell'imputato ricca e potente - avanzata dal 23 giornalista nei confronti del P.M. in questione - costituisse argomento atto a rinvenire una plausibile spiegazione ad una ritenuta grave ingiustizia e non già a denigrare la persona del requirente). Sez. III, sent. n. 7605 del 31-03-2006 (ud. del 08-02-2006), S.G. c. La Repubblica Editoriale (rv. 588124 Il diritto di cronaca e quello di critica possono essere esercitati - purché sussistano i presupposti della verità oggettiva della notizia pubblicata, dell'interesse pubblico alla conoscenza del fatto e della correttezza formale dell'esposizione - anche quando vengano a collidere con l'altrui sfera di libertà religiosa, poiché l'ampia formulazione del diritto alla libera manifestazione del pensiero, riconosciuto dall'art. 21 Cost., non tollera siffatta limitazione. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso di un appartenente ad un'associazione religiosa, ritenutosi diffamato da un articolo giornalistico, con il quale era stato dedotto che il diritto per la cui assunta lesione era stato chiesto il ristoro atteneva alla sfera della libertà religiosa che si collocava su un piano costituzionalmente superiore rispetto al diritto all'esercizio del diritto di cronaca e di critica). (Rigetta, App. Roma, 9 Luglio 2001) Sez. III, sent. n. 1205 del 19-01-2007 (ud. del 19-12-2006), (rv. 595636 Vi è legittimo esercizio del diritto di cronaca quando vengano rispettate le seguenti condizioni: a) la verità (oggettiva o anche soltanto putativa purchè frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca e controllo del giornalista non solo sulla fonte, ma anche sulla verità sostanziale) delle notizie; condizione che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano dolosamente o anche colposamente taciuti altri fatti tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato, ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, insinuazioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore o dell'ascoltatore false rappresentazioni della realtà oggettiva; b) la continenza e cioè il rispetto dei requisiti minimi di forma che debbono caratterizzare la cronaca e anche la critica (come ad esempio l'assenza di termini esclusivamente insultanti); c) l'interesse pubblico all'informazione in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione o altri caratteri del servizio giornalistico. (Rigetta, App. Roma, 3 Giugno 2002) Sez. III, sent. n. 2751 del 08-02-2007 (ud. del 20-12-2006), A.L. c. Rai RadioTelevisione Italiana S.p.a. (rv. 595795 Il legittimo esercizio del diritto di cronaca presuppone la fedeltà dell'informazione, cioè l'esatta rappresentazione del fatto percepito dal giornalista, che deve rendere inequivoco il tipo di percezione, spiegando se è relativa al contenuto della notizia o alla notizia in sé come fatto storico ed inoltre se è diretta ovvero indiretta. La verità della notizia può anche essere solo putativa, purchè frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca; pertanto l'esimente del diritto di cronaca opera se il giornalista in buona fede ritenga vera una notizia che si riveli falsa in un secondo momento, sempre che l'abbia accuratamente verificata. (Nella specie, relativa all'attribuzione all'attore di azioni di molestia sessuale in danno di una dipendente, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso il dolo della diffamazione, nonostante la produzione di sentenze di proscioglimento del ricorrente dai reati di atti di libidine e lesioni volontarie, sulla base del fatto, di per sé idoneo, che nel giudizio penale era passata in giudicato l'affermazione della sua responsabilità per ingiurie a sfondo sessuale). (Rigetta, App. Roma, 22 Settembre 2003) 24 Sez. V, sent. n. 8703 del 04-08-1992 (cc. del 19-06-1992), Monelli (rv 191823 Nei reati contro l'onore, la verità della qualifica o del fatto attribuito non elimina di per sé il carattere offensivo dell'azione; in ogni caso, però, i delitti di ingiuria e di diffamazione non sussistono quando l'offesa all'altrui personalità morale non risulti oggettivamente illegittima, ma sia invece giuridicamente lecita o penalmente indifferente per la presenza di cause di giustificazione, anche non codificate, quali sono, tra le altre, l'adempimento di un dovere, l'esercizio di diritti soggettivi o di facoltà legittime e il consenso dell'avente diritto. Con particolare riferimento alla diffamazione, alla stregua dell'art. 21 della Costituzione che garantisce a chiunque il diritto alla libera manifestazione del pensiero, nel caso di una persona che dia notizia di fatti veri offensivi dell'altrui reputazione, l'illegittimità dell'azione resta esclusa quando la facoltà di informazione risulti esercitata per necessità o comunque per ragioni che valgano a legittimarla, come possono essere l'interesse oggettivo alla comunicazione diffamatoria di colui che ne è l'autore e di coloro che ne sono i destinatari. (Fattispecie relativa a comunicazione diffamatoria ritenuta ingiustificata poiché fatta in un colloquio svoltosi non solo con persona interessata, ma con altre due persone estranee). Sez. V, Sent. n. 4991 del 19-12-2006 (ud. del 19-12-2006), C.G.C.R. (rv. 236321 Non sussiste l'esimente del diritto di critica politica (art. 51 cod. pen.) qualora il tenore delle espressioni utilizzate ecceda i limiti della continenza, il che si verifica qualora, nel corso di un comizio elettorale, si paragoni l'avversario politico a "Giuda Iscariota" e lo si accusi di essersi venduto per "trenta denari", posto che tale accostamento comporta l'attribuzione di caratteristiche infamanti. (Annulla senza rinvio, App. Messina, 27 settembre 2005) 25