Per questo il Cristo-capo costituisce la Chiesa come suo Corpo e i

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Per questo il Cristo-capo costituisce la Chiesa come suo Corpo e i
Per questo il Cristo-capo costituisce la Chiesa come suo Corpo e i suoi seguaci come membra perché la
missione che vuoi compiere attraverso la sua umanità, soggetta ai limiti di tempo e spazio, possa prolungarsi
attraverso i secoli in questa nuova dimensione umana che ha voluto assumersi. In questo modo Egli potrà
ricondurre tutto e tutti al Padre, con la cooperazione libera degli uomini che vogliono seguirlo ed imitarlo.
LA FUNZIONE DEL LAICO SECONDO IL CONCILIO VATICANO II
Il Vaticano II ha utilizzato, per esprimere la ricchezza di tale missione storica, varie espressioni tra cui lo
schema trifunzionale di Cristo profeta, sacerdote e re.
Il Consiglio Nazionale di R.C. proponendosi di attuare una riflessione e un confronto di vita sul compito
laicale, evangelizzatore e missionario del Movimento, ha creduto bene di utilizzare lo stesso schema del
Vaticano II in chiave catechetico-pastorale, come del resto ha fatto anche il catechismo degli Adulti (CAD)
"Signore da chi andremo?".
Perciò inizieremo quest'anno dal riflettere sul compito profetico del Cristo che si continua nella Chiesa e
nelle sue membra con particolare attenzione ai laici, cioè ai cristiani in quanto inseriti nelle strutture
temporali. È una riflessione più particolare che non va staccata da quella sull'intera missione e compito di
Cristo, partecipato nella Chiesa ai cristiani cioè, nella visione dello schema, dal compito sacerdotale comune
ai fedeli e da quello regale.
Si tratta qui di darne un breve accenno, solo per indicare meglio l'orizzonte su cui si svolge la nostra
inchiesta di quest'anno che focalizza l'aspetto profetico.
Il laico, come membro del popolo di Dio, adempie il suo compito sacerdotale unendosi al sacrificio di Cristo:
si fa carico delle realtà del mondo per redimerle dal male e indirizzarle al bene, offre il proprio servizio per la
liberazione e promozione dell'uomo e perché giunga a salvezza tutto quello che egli è, mente e corpo; porta
la propria vita, con tutte le sue relazioni, occupazioni e preoccupazioni sull'altare del sacrificio di Cristo,
perché sia da Lui benedetta e trasformata, resa "novità di vita". Il sacerdozio del cristiano, a lui conferito nel
Battesimo, trova così compimento nell'Eucarestia; tutta la vita, in essa offerta e unita al Cristo, ritorna nel
mondo per il suo pieno sviluppo. Il "portare a compimento" la propria vita con tutte le sue relazioni e realtà
secolari costituisce il compito regale. La Lettera agli Efesini ci ha mostrato le varie modalità di questa vita
nuova: è un progettarsi in avanti con Cristo, perché tutto e tutti vengano portati a pienezza in Cristo, uniti a
Lui nel Suo cammino di sviluppo redentivo della creazione e ritorno in pienezza al Padre.
Per approfondire meglio il tema della nostra inchiesta, osserviamo ora più da vicino quali sono i tratti
fondamentali del compito profetico del laico.
PROFEZIA COME PRESA DI COSCIENZA
Occorre infatti prima di tutto che l'uomo prenda coscienza della propria situazione e bisogno di salvezza,
impari a giudicare le cose secondo Dio, esca da sé e si converta per poter mettersi alla sequela di Cristo e
partecipare al suo compito sacerdotale e sacramentale di assunzione e trasformazione in Regno della realtà
intera.
Cristo è profeta in quanto aiuta l'uomo a smascherare tutte le illusioni, ad uscire dalle false sicurezze e
vedere la realtà «vera» di un proprio destino non soggetto alla cieca e brutale fatalità del caso: è il primo
aspetto del cammino religioso; ma insieme Egli rivela il Progetto alternativo del Padre che contrappone a
tutte le ideologie e progetti puramente umani quando
vengono assolutizzati, cioè quando da salvezze parziali divengono salvezza totale. Cristo è il profeta per
eccellenza in quanto «rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l'uomo
all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (GS, 22; CAD, 399 ss). Egli col suo insegnamento e con
tutto il suo comportamento profetico si fa «segno» del Progetto d'amore del Padre, dell'Umanità Nuova, e lo
incarna in sé, lo personalizza nella storia, nelle situazioni concrete della vita.
Partiamo dall'incontro di Cristo con gli uomini del suo tempo e dall'insegnamento racchiuso nelle sue
parabole, che Gesù, facendosi nostro contemporaneo, oggi ancora ci rivolge. Ancora oggi dice: tu, seguimi!,
perché insieme dobbiamo realizzare l'umanità nuova, quella unica non illusoria, quella che Dio ha progettato.
Scoprire nel mondo d'oggi questa verità dell'uomo nuovo, farsene interamente carico, liberare l'umanità dai
limiti che la impacciano per farle raggiungere una piena promozione, nella carità e giustizia, sino al dono di
«figli» è la nuova cristiana profezia. È impegno di liberazione e promozione, di «dare senso» e di fare
comunione. È il Regno in germe, è farsi suo fermento nella storia.
Fatta «germe» e «segno» del Regno di Dio nella storia, la Chiesa continua l'azione profetica e rivelativa del
piano del Padre che Cristo le ha lasciato, si fa la comunità dei tempi nuovi e la portatrice della «lieta notizia»
di Cristo e della forza data dal suo Spirito per trasformare il mondo in Regno di Dio. Per lo Spirito che la
pungola ad essere sempre pellegrina verso il Regno essa, sin dagli Atti e, come storia paradigmatica, in ogni
epoca prende coscienza della centralità nella storia del mistero del Cristo, l'Uomo Nuovo, che custodisce, e
della speranza che egli è per gli uomini e comprende in lui il proprio compito di testimonianza profetica nei
secoli. Col pungolo dei «segni dei tempi» e con le situazioni nuove compresa la contestazione, anche fino al
martirio, da parte del mondo, essa è richiamata ad esercitare quella completa profezia, quell'apostolato
dell'eterna verità che Cristo ha esercitato sino alla morte. Una morte certo per la resurrezione, ma una
testimonianza per l'uomo di fronte al rifiuto degli uomini del potere. Le beatitudini sono anche un messaggio
politico.
Ugualmente i cristiani, comunità locali e singoli, congiunti per il Battesimo e la fede al mistero di «segno»
profetico che è proprio di Cristo e della Chiesa, sono chiamati a fare profezia sul mondo, scoprendo i segni e
la chiamata di Dio nelle loro situazioni di vita e tempo di salvezza (il kairòs), per poi testimoniarli e farsi
carico della loro attualizzazione. La profezia sul mondo comincia colla presa di coscienza del piano creativo
o progetto d'uomo nuovo in Cristo: Egli il nuovo e l'ultimo Adamo. Quell'uomo nuovo che vive per Dio e per
gli altri, nella fede e nella speranza e carità di Cristo, nell'adempimento della legge nuova, il Vangelo; l'uomo
promotore di giustizia, facitore di pace e di riconciliazione, impegnato mediante la carità e la giustizia nella
riforma e umanizzazione delle strutture. Impegnato in una parola nella piena e disinteressata promozione
umana integrale, da Dio voluta come Regno suo.
PROFEZIA COME GIUDIZIO
Non di rado i profeti nel Vecchio Testamento, sono portatori di duri giudizi di condanna sui contemporanei a
cominciare dai loro re. Spesso l'aspetto negativo è sopravvalutato: si dimentica che essi si ergono a difesa dei
deboli (le vedove e i pupilli) contro l'ingordigia dei molti e rapaci potenti del secolo. Anche l'ultima profezia
di Cristo, il giudizio definitivo, viene spesso presentato in modo unilaterale così da far risaltare quasi
esclusivamente e antropomorficamente la condanna.
Non c'è nulla di più falso; è un far comunella con le false profezie, che deresponsabilizzano. L'autentica
profezia, è invece impegno, e il senso biblico del giudizio profetico è il contrario della suddetta chiusura di
condanna; va inteso come atto del Regno che è prima di tutto volontà d'amore salvifico da parte di Dio e
chiamata alla corresponsabilità creatrice da parte dell'uomo.
Il profeta ha come un suo caratteristico attributo di essere «il veggente»; uno che vede e sa le cose di Dio; è
perciò «l'uomo di Dio». Cristo è il veggente per eccellenza ripieno di Santo Spirito, il principio di ogni
profezia. Cristo conosce perfettamente il Padre e il suo è pertanto lo stesso giudizio a salvezza dell'uomo che
il Padre, inviandolo, per il suo grande amore per gli uomini (cfr. Gv. 3.16) ci ha rivelato come il mistero
della riconciliazione e perfetta promozione sino alla comunione con Dio. Cristo è la luce che le tenebre non
accolgono; ora la luce pone nella verità col suo stesso presentarsi, e separa le situazioni vere delle false, il
bene dal male, la vita dalla morte. Chi non la accoglie si pone da sé nelle tenebre: si mette in stato di condanna: per lui la profezia e il giudizio che sono, nel piano di Dio, sempre a salvezza (anche quando
rimproverano, suscitano e raddrizzano come il padre buon agricoltore che pota la sua vigna perché porti più
frutto), si trasformano in profezia e in giudizio a condanna: ma è un'auto-condanna; la luce del resto non sarà
mai vinta dalle tenebre.
In quanto partecipa del compito profetico di Cristo anche la Chiesa è chiamata ad essere profezia sul mondo:
ma non può farlo in virtù propria, non potrà mai dire «ma io vi dico» ma umilmente proclamare: «parola di
Dio, parola di Cristo, parola dello Spirito». Dovrà dire «non posso non evangelizzare, perché sono
continuazione visibile nella storia dei passi e del volto, dei gesti e della voce di Cristo», ma proprio per
questo potrà rendersi accetta agli uomini solo mostrando che quella parola suscita e allieta ma anche inquieta
e condanna il vecchio Adamo che è in ogni uomo, e prima di tutto rimprovera lei stessa pur essendo
ultimamente per lei parola di consolazione e salvezza.
Così la Chiesa messa in moto per prima dalla profezia dello Spirito viene resa abile ma nell'umiltà a divenire
a sua volta profezia sul mondo: giudizio a salvezza prima che a condanna.
Quello che è paradigmatico per il Corpo, lo è per le membra: comunità locali e singoli. Se essi, strutturati
organicamente secondo le tre virtù teologali, decisi a rispondere alla chiamata di cooperare al completamento
della creazione e alla ricapitolazione del Regno, si lasceranno guidare dalla parola di Dio, dalla legge del
Vangelo e dal suo giudizio profetico sulla loro propria storia di doni e carismi, ma anche di cadute e
pusillanimità, potranno a loro volta diventare nella umiltà profezia sul mondo. Abituati a sforzarsi di vedere
e giudicare la propria vita secondo il modo proprio di vedere e giudicare dello Spirito, potranno essere anche
per gli altri quella profetica luce, sale, lievito e testimonianza delle beatitudini e scelte di Cristo, che il
Vangelo affida come loro compito imprescindibile.
La profezia è una pedagogia di Dio: se prima di tutto suscita e incita l'uomo all'accoglienza di Dio sua
salvezza, contiene la denuncia del? ambiguità delle situazioni mondane e soprattutto dell'autosufficienza
presuntuosa di chi non si crede bisognoso di salvezza. È dunque scoperta del male ovun-que si annidi,
soprattutto là dove si pone direttamente contro le scelte fatte da Cristo del «povero», dell'indifeso,
dell'handicappato, di chi è senza voce e viene considerato inutile. La profezia cristiana è in positivo, prima
ancora, estensione nelle scelte della propria vita di queste preferenze di Cristo: essa tende a farsi carico di
ogni sofferenza, a «farsi prossimo» come il buon Samaritano e mostrare così la vera decisione per il Regno
(cfr. CAD cap. 1 ss). La profezia è coraggio, testimonianza audace e creativa, è «parresia» (cfr. Atti,
coraggio).
Occorre che le opere malvage vengano portate alla luce e «il maligno», padre di menzogna, sia smascherato.
Queste cose sono il contrappunto della predicazione delle esigenze radicali del Regno: «siate perfetti come il
padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,48), dei «ma io vi dico» del discorso della montagna, del proclama delle
Beatitudini, che sono Vangelo. Tale giudizio è reso possibile pedagogicamente per la contemporanea
rivelazione dell'infinito amore misericordioso dell'Abbà celeste e della religione filiale. Ma è una rivelazione
dolcissima che nulla toglie alla infinita serietà del servizio divino e delle esigenze del Regno. L'amore è per
noi conquista nel sacrificio, dono che si mostra nel donarsi disinteressatamente.
PROFEZIA COME DISCERNIMENTO E INTERPRETAZIONE
Se Cristo è profeta — e la Chiesa e il cristiano in dipendenza da lui — in quanto pronuncia il giudizio a
salvezza, cioè, in fin dei conti, manifesta l'infinito amore e «signoria» di Dio per noi, non lo è meno perché
riesce a far emergere dalla vita d'ogni giorno dell'uomo la scintilla della profezia; «Gesù... conosceva tutti e
non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro, egli infatti sapeva quello che c'è in ogni
uomo» (Gv. 2,25).
Ora è proprio nell'intima connessione di questi due momenti che sta la creatività della profezia, il suo
compito di discernimento della situazione e di mediazione culturale, che può importare la rottura di schemi
stabiliti non più vitali. La profezia è il recupero dentro la realtà viva del presente delle esigenze dello Spirito
contro quelle della routine e della carne, del germinare vitale del Regno contro la palude dei compromessi. È
non «contro», ma «secondo» lo sviluppo vitale che nella Chiesa ha nome «tradizione». La profezia
appartiene al momento dirompente in cui il passato salvifico diventa contemporaneità di chiamata del Cristo
— nel preciso momento presente affrontato senza evasioni — come stimolo verso il futuro del Regno.
Rifacendosi a questa forza vitale che germina continuamente nella storia che è poi lo spirito in essa presente
per spingere a Cristo e attraverso lui al futuro del Padre, la profezia cristiana diviene necessariamente — e se
non lo fa non è profezia — interpretazione delle presenti situazioni della vita e della storia come
ultimamente chiamate, occasioni, kairòs di salvezza.
L'interpretazione cristiana è scoprire il passaggio di Dio, del suo Cristo è del suo Spirito, come vocazione
segreta e segreto anelito della storia verso la ricapitolazione: promozione di giustizia nella carità, costruzione
del uomo nuovo, cieli nuovi e terra nuova. È interpretazione dei «segni dei tempi» come chiamata dello
Spirito, è scoperta di tutti gli impegni e status di vita e scelte di professione concreta come «vocazioni» dello
Spirito, continuazione della missione profetica e ricapitolativa del Cristo. È saper interpretare secondo Dio
persino la morte e la sofferenza dietro Cristo che le ha trasformate dal di dentro, non evadendole, nel suo
sacrificio pasquale. Così per la Chiesa, e per le comunità e i singoli, il farsi carico della presente fatica di
crescita della umanità è preciso adempimento del proprio essere fermento del Regno. La più profonda
interpretazione è quella di scoprire che tutta la storia è storia di salvezza, che Cristo ne è l'alfa e l'omega, che
il ritorno al Padre di tutto e tutti ne è il senso.
Queste profonde interpretazioni vanno testimoniate nella vita costruita secondo la fede, indirizzata a pensare
come Cristo pensa e a vivere come egli ha vissuto e vive. Ciò urge tanto più oggi, — ed è la chiamata del Regno —, in cui tanti sono incapaci d l'affrontare la propria sofferenza e la propria morte come conseguenza di
non saper accettare Dio come Padre. Da ciò derivano pure altre storture: di non accettare neppure gli altri
come veri fratelli, di non vedere nella legge che un "tu devi" esoso e senza senso, di considerare il perdono o
l'amore ai nemici e ogni altro impegno di vita specificamente cristiano, come la fedeltà reciproca nel
matrimonio o il rispetto della vita del nascituro, come impossibili o troppo grandi richieste. Tutt'al più si
pensa a una legge da eseguire, non a una ispirazione di vita (— siate perfetti —) che crea il mondo nuovo; e
vien meno con la tensione verso il Regno anche l'impegno per la costruzione di una integrale promozione
umana.
L'antico profeta non parlava meno coi gesti e magari con straordinarie azioni «simboliche» che con le parole;
così la profezia cristiana a cominciare da Cristo è testimonianza di tutta una vita.
Oggi il mondo non crede più all'amore e tutt'al più lo considera colla bocca piena di dubbi dei suoi letterati o
filosofi e scienziati.
L'unica vera profezia — e urgente — dell'amore è la testimonianza di una vita interamente dedicata, come
Cristo, a «vivere per gli altri», mostrata in una «comunità di comunione» rivolta pienamente a rendere
presente e efficace tale testimonianza. Questa è vera interpretazione e efficace profezia.
Di tale interpretazione la coscienza del cristiano ha il carico nella concretezza delle proprie situazioni di vita
e potrà efficacemente e rettamente assolverlo se si dedicherà alla ricerca, nella propria comunità, della verità
intera di promozione integrale umana, di servizio agli uomini secondo le scelte di Cristo, di cooperazione
nella fatica della storia alla venuta del Regno .
Tuttavia il principio fondamentale resta quello di un cammino di vita che è farsi «segno» e che diventa
«strumento» del Regno nella partecipazione al mistero pasquale del Cristo. Per giungere poi, al suo
compimento, oltre la storia, ma solo se è divenuto prima impegno e assunzione della storia.
PROFEZIA COME CONVERSIONE CONTINUA A VITA NUOVA
Non v'è profezia del Regno senza appello ad un cammino. Occorre spogliarsi del vecchio Adamo e rivestirsi
di quello nuovo e ultimo che è Cristo. La parola del Regno che sta già alle porte e urge, preme per farsi
strada nella mente e del cuore dell'uomo. Il primo movimento della profezia è di indurre l'uomo al
cambiamento della mentalità e conseguentemente della vita: al ribaltamento delle primitive scale consuete di
valori, ambientalmente o socialmente condizionanti, al distacco dalla schiavitù di quanto pensano i più o,
meglio: non pensano, fatti schiavi di un costume, di propagande, dell'anonimizzante «si dice», si pensa, si fa.
Schiavi dell'immagine transeunte d'uomo imposta spesso con segrete e non chiarite connessioni, dalle
ideologie del momento.
Nella conversione il singolo uomo è valorizzato come progetto di Dio irripetibile e personale e pertanto
unico e insostituibile. È chiamato a uscire dal sonno di morte e alzarsi su ritto davanti a Dio e, stando ritto, a
camminare in novità di vita (cf. Rom 6,4). Il dettato biblico ha due termini per esprimere quanto noi diciamo
«conversione»; indicano entrambi un momento essenziale del cammino.
Epistrophè significa, come nel coro greco in teatro, quello che più pedestramente nella segnalatica nostra
chiamiamo «conversione ad U»; spiritualmente dall'essere rivolti verso il mondo o gli altri uomini e le cose
come termini direzionali delle nostre intenzioni e cammino ci rivolgiamo con un cambiamento totale di rotta
verso Dio e il suo Regno, accettando di seguire e imitare Cristo nostra guida. L'altro termine è ben
conosciuto: metano/a, cioè cambiamento radicale di mente e cuore, cambiamento di pensieri e d'affetti in
modo che si realizzi la nostra piena assimilazione a Cristo.
Essa indica qualcosa di più intimo e profondo: il decentrarsi da sé per centrare tutta la propria vita in Dio. per
diventare per sua opera «figli nel Figlio» (Ireneo).
P. Giovanni Magnani (Dal Piano di lavoro 1985-1986)
TESTI PER VALUTARE
Cristo è "il profeta"
Ebrei 1, 1-2 Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei
profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le
cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo.
Cfr. Deut 18, 18; Efesini 1; Giov. 1
La Chiesa continua il compito profetico del Cristo
Atti 2, 17, 18 Negli ultimi giorni, dice il signore, io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri
figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni. E
anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profeteranno.
Lumen Gentium 12 II Popolo santo di Dio partecipa pure dell'ufficio profetico di Cristo col diffondere
dovunque la viva testimonianza di Lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità, e coll'offrire a
Dio un sacrificio di lode, cioè frutto di labbra acclamanti al nome di lui (cfr. Ebr. 13, 15). L'universalità dei
fedeli che tengono l'unzione dello Spirito Santo (cfr. 1 Gv. 2, 20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e
manifesta questa sua proprietà mediante il soprannaturale senso della fede di tutto il popolo, quando «dai
Vescovi fino agli ultimi fedeli laici» mostra l'universale suo consenso in cose di fede e di morale. E invero,
per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, il Popolo di Dio sotto la guida del
sacro magistero, al quale fedelmente conformandosi accoglie non la parola degli uomini ma veramente, la
parola di Dio (cfr. 1 Tess. 2, 13), aderisce indefettibilmente alla fede una volta trasmessa ai santi (cfr. Giuda
3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l'applica nella vita.
Inoltre, lo Spirito Santo non solo per mezzo dei sacramenti e dei ministeri santifica il Popolo di Dio e lo
guida a adorna di virtù, ma «distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a Lui» (1 Cor. 12, 11),
dispensa tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie
opere e uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa, secondo quelle parole: «A
ciascuno la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio» (1 Cor. 12, 7). E questi
carismi, straordinari o anche più semplici e più comuni, siccome sono soprattutto adattati e utili alle necessità
della Chiesa, si devono accogliere con gratitudine e consolazione. I doni straordinari però non si devono
chiedere imprudentemente, ne con presunzione si devono da essi sperare i frutti dei lavori apostolici; ma il
giudizio sulla loro genuinità e sul loro ordinato uso appartiene all'Autorità ecclesiastica, alla quale spetta
soprattutto di non estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono (cfr. 1 Tess. 5, 12 e
19-21).
Il laico, cioè il cristiano, partecipa con la chiesa all'ufficio profetico del Cristo
Lumen Gentium 35 Cristo, il grande Profeta, il quale e con la testimonianza della vita e con la virtù della
parola ha proclamato il regno del Padre, adempie il suo ufficio profetico fino alla piena manifestazione della
gloria, non solo per mezzo della Gerarchia, la quale insegna in nome e con la potestà di Lui, ma anche per
mezzo dei laici, che perciò costituisce suoi testimoni e forma nel senso della fede e nella grazia della parola
(cfr. Atti 2, 17-18; Apoc. 19, 10), perché la forza del Vangelo risplenda nella vita, quotidiana, familiare e
sociale. Essi si mostrano figli della promessa, se forti nella fede e nella speranza mettono a profitto il tempo
presente (cfr. Ef. 5, 16; Col. 4, 5) e con pazienza aspettano la gloria futura (cfr. Rom. 8, 25). E questa
speranza non la nascondano nell'interno del loro animo, ma con una continua conversione e lotta «contro i
dominatori di questo mondo tenebroso e contro gli spiriti maligni» (Ef. 6, 12) la esprimono anche attraverso
le strutture della vita secolare.
Come i sacramenti della Nuova Legge, alimento della vita e dell'apostolato dei fedeli, prefigurano un cielo
nuovo e una terra (Apoc. 21, 1), così i laici diventano efficaci araldi della fede delle cose sperate (cfr. Ebr.
11, 1), se senza incertezze congiungono a una nuova vita di fede la professione della fede. Questa
evangelizzazione o annunzio di Cristo fatto colla testimonianza della vita e colla parola, acquista una certa
nota specifica e una particolare efficacia, dal fatto che viene compiuta nelle comuni condizioni del secolo.
In questo ufficio appare di grande valore quello stato di vita, che è santificato da uno speciale sacramento: la
vita matrimoniale e familiare. Ivi si ha l'esercizio e un'eccellente scuola di apostolato dei laici, dove la
religione cristiana permea tutto il tenore di vita e ogni giorno più lo trasforma. Là i coniugi hanno la propria
vocazione, per essere l'uno all'altro e ai figli testimoni della fede e dell'amore di Cristo. La famiglia cristiana
proclama ad alta voce le virtù presenti del Regno di Dio e la speranza della vita beata. Cosi col suo esempio
e colla sua testimonianza accusa il mondo di peccato e illumina quelli che cercano la verità. I laici quindi,
anche quando sono occupati in cure temporali, possono e devono esercitare una preziosa azione per
l'evangelizzazione del mondo. Che se alcuni di loro, in mancanza di sacri ministri o essendo questi impediti
in regime di persecuzione suppliscono alcuni uffici sacri secondo le loro facoltà; e se pure molti di loro
spendono tutte le loro forze nel lavoro apostolico: bisogna tuttavia che tutti cooperino alla dilatazione e
all'incremento del Regno di Cristo nel mondo. Perciò i laici si applichino con diligenza all'approfondimento
della verità rivelata e impetrino insistentemente da Dio il dono della sapienza.
Il laico partecipa all'ufficio profetico di Cristo quando:
1. Prende coscienza della propria situazione e bisogno di salvezza
Luca 15, 11-32 — Il Figliol Prodigo
Giovanni 4, 5-42 — La Samaritana
2. Vede e giudica le cose come le giudica Dio.
Matteo 5, 1-48 — Ma io vi dico
3. Riconosce i "segni dei tempi" e sa discernere la chiamata di Dio
Matteo 16, 1-4
Luca 19, 1-10 — Zaccheo
4. Testimonia la conversione e la vita nuova
Efesini 4