Il Vecchio dello Epomeo

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Il Vecchio dello Epomeo
STORIA DELL’ISOLA D’ISCHIA
di Giuseppe d’Ascia
Ristampa a cura dell’Editore Li Causi di Bologna
Ritorna in libreria la STORIA DELL’ISOLA D’ISCHIA di Giuseppe d’Ascia (1822 - 1889 ) che costituisce
ancora e sempre un’opera fondamentale per coloro che si avvicinano con interesse alle vicende isolane.
La prima edizione dell’opera apparve il 1867, presso lo Stabilimento Tipografico di Gabriele Argenio. Il
1963 si ebbe una prima ristampa a cura delle Edizioni Errecci, Napoli, Tip. Napoletana.
La nuova ristampa presenta anche una Introduzione curata dall’avv. Giovanni d’Ambra.
Primo progetto dell’autore era di scrivere una Storia d’Ischia divisa in racconti formati dalla biografia del
Vecchio dell’Epomeo, ritratto degli ultimi patriarchi isolani e che assume valore di simbolo: l’uomo ischitano
per eccellenza, il mito storico dell’isolano. L’autore stesso nella Prefazione mette in risalto come ideò e diede
corpo alla sua opera.
Quest’ultimo aspetto viene sviluppato nel servizio di Giovanni Castagna:
ll titolo che Giuseppe d’Ascia voleva dare alla sua Storia dell’isola d’Ischia
IL VECCHIO DELL’EPOMEO
“Era il dì 30 aprile dell’anno di grazia 1859, verso
le prime ore del mattino (...). Il Cielo era sgombro di
nubi ed a poco a poco le vette dell’Epomeo, di monte
Buceto e del Rotaro si tingevano di un bel colore roseo, foriero d’un giorno legittimo di Primavera! Un
soave e temperato venticello da levante prometteva
un giorno sereno e ridente, come in effetti osservavasi”.
E il trentasettenne d’Ascia “sollecito montava un
piccolo asino a pelo nero” e s’inoltrava per la nuova
strada del Monte Rotaro.
Primavera ischitana; un incantevole paesaggio che
l’autore si compiace descrivere, il canto degli uccelli,
sottofondo musicale alle sue meditazioni.
La situazione risponde ai canoni letterari: armonia
del paesaggio, un canto che viene da lontano, il suono d’una squilla, il verde dell’isola, un antico cratere,
un prete che raggiunge l’autore pronto a spiegargli
ogni mistero, poi l’incontro con l’ignoto cantore, il
Vecchio dell’Epomeo, ultimo rappresentante d’una
famiglia che risaliva a Ippocle di Cuma. Una famiglia
in cui era costume “trasmettere da padre in figlio le
gesta e le istorie della propria famiglia e della nazione e questi racconti come Miti Religiosi comunicarsi’
e conservarsi, ognuno raccontando e trasmettendo
all’altro discendente i fatti appresi e quelli successi ai
suoi tempi ...”.
E il primo progetto del D’Ascia, almeno come appare dal titolo e dalla Prefazione del manoscritto, era
quello di scrivere una Storia d’Ischia divisa in racconti, dandole il titolo di “Il Vecchio dell’Epomeo”.
Non stimava infatti dare alla sua opera il nome di
storia, dappoiché “.... vi si vede accoppiata la Cronaca, la Leggenda, l’Aneddoto, la Biografia; la parte
Naturale, la Topografica, la Geologica, l’Artistica, la
Descrittiva ed anche la Poetica ( ... ) per la qual cosa
ho stimato meglio darle un nome che abbracciasse la
varietà del soggetto”.
Racconti, però, in cui “non v’à quasi, anzi mai,
dell’arbitrario e del figurato, ma nelle parole del Vecchio dell’Epomeo che dice Racconti si contengono le
storiche narrazioni e le diverse materie che formano
la base e la parte essenziale dell’opera”.
Racconti, in ultima analisi, formati dalla biografia
del Vecchio dell’Epomeo.
“ La biografia del Vecchio è la materia dei miei racconti che comincio a svolgere dai tempi favolosi delle
passeggiere colonie fenicie, proseguo sulle colonie
greche ove la storia comincia a procedere con una
certa verità, indi subentrano i tempi del barbarismo,
delle occupazioni, della rozzezza e della ferocia, del
commercio e della civiltà, del progresso e dei lumi.
Tutto quello che trovasi accennato nella vita del Vecchio è chiarito nelle note ove ogni cosa è illustrata ad
esuberanza, sviluppando il lato storico nascosto sotto
il figurato. La figura del Vecchio è il ritratto, per dir
così, degli ultimi patriarchi dell’isola d’Ischia, il tipo
che trionfa nei loro costumi è la rozzezza e la semplicità, la superstizione e la divozione, la franchezza e la
frugalità, la robustezza e l’ardimento, l’amore al lavoro e l’attività della vita vegeta, parca, longeva. Indi
subentra il commercio e modifica i rozzi costumi, ingentilisce gli animi, rischiara le menti con l’istruzione, figlia del contatto con altri popoli, con altre contrade; così principia la civiltà ed il progresso, come
nella stessa biografia del Vecchio si osserva quando
ritorna dai suoi viaggi”.
Il Vecchio, dunque, per il d’Ascia assume valore di
simbolo: è l’uomo ischitano per eccellenza, il mito
storico dell’isolano.
“Mi sembrava di dovermi imbattere non con un
uomo, come me, ma con un’ombra d’un antico abitatore di quest’isola, che usciva dagli avelli per additare
ai suoi tardi nepoti la storia della terra che calpestavano”.
- La Rassegna d’Ischia 4/1982 -
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E dell’uomo ischitano il Vecchio ha tutte le caratteristiche: diletti, virtù, religione e superstizione, costumi e poesia. La sua vita, quella della sua famiglia,
attraverso i secoli, si.confonde con la vita dell’isola.
E l’autore in alcuni punti, per dare una spiegazione
storica a certe tendenze od anche manie degli ischitani, esagera nel dare al Vecchio le stesse tendenze e le
stesse manie. Così lo rende poeta per dimostrare che
“fin dagli antichi tempi” l’Ischiota pur privo di “lettere e d’istruzione” ha uno sviluppato “genio per la poesia, componendo delle lepide ed espressive canzoni”.
Come pure, il nostro Vecchio, ch’un tempo si chiamava Masino, era stato sposato con una procidana,
così l’autore trova una tradizione secolare ai “continuati matrimoni” che “si scambiano”
fra eli abitanti di Procida e di Ischia.
Ed è il d’Ascia stesso a sottolineare, nella sua Introduzione ai Racconti, questo valore di simbolo dato
ai suoi personaggi. Così il prete don Francesco che,
sulla strada del Rotaro, lo inizia ai misteri dell’isola e
gli facilita l’incontro con il Vecchio diventa il rappresentante di un ceto: “I Preti ischitani.... fuorno coloro
che più distintamente si versarono nella storia d’Ischia. (...) Motivo per lo quale sotto la figura del prete
di Barano che c’inizia nel sentiero della storia, delle
cronache e delle più importanti epoche noi rendiamo
una meritata lode al detto e benemerito ceto”.
L’Introduzione ai Racconti, del resto, ci appare
come un tentativo di trasposizione poetica e par che
l’autore voglia avvolgere in un alone di mistero religioso, di quella religiosità con cui gli antichi si avvicinavano ai templi degli oracoli, l’opera sua. Ed egli fa
coincidere il giorno in cui pose “in atto di comporre
la storia dell’isola” col giorno della sua salita al monte Rotaro. Pellegrino che s’avvia in un giorno di primavera, verso un antico cratere, attraverso boscheti,
selveti, ammirando palate vigne, dove una chiesetta chiama i devoti alla preghiera e dove un prete lo
prende sotto la sua protezione e lo presenta al Vecchio, il quale sotto una quercia secolare gli svela le
“memorie”.
La figura del Vecchio dell’Epomeo, tratteggiata dal
d’Ascia, sembra faccia la sintesi delle caratteristiche
del pescatore e dell’agricoltore, sintesi voluta senz’altro dall’autore che in essi vede l’origine dell’industria
dell’isola e la zappa e il remo considera come unici
“segni blasonici”.
“Lunghi bianchi capelli scendevano sul collaretto del suo abito di panno ordinario color marrone.
La sua fronte calva e rugosa accrescea la gravità, a
quella testa modellata alla patriarcale, la quale sembrava racchiudere un tesoro di sapienza. Una barba
più bianca della neve negletta ed intonza, maestosa
gli scendea sul petto”.
Giovanni Castagna
Il cemento avanza ancora verso le falde del monte Epomeo, lungo il versante che si affaccia sulla meravigliosa
baia di Citara,a Forio.
La fotografia mostra appunto le strutture del complesso che si va realizzando.
Resta sempre scaarsamente controllato l’obiettivo della salvaaguardia di certi valori ambientali e paesaggistici,
specialmente quando si tratta di grossi progetti.
La difesa del verde e di altro subentra, invece, con insistenza, nel caso di modesti fabbricati.
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