Il Piccolo 18 dicembre 2015 Da Strasburgo «no» all`utero in affitto

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Il Piccolo 18 dicembre 2015 Da Strasburgo «no» all`utero in affitto
Il Piccolo 18 dicembre 2015 Attualità Da Strasburgo «no» all’utero in affitto Dal Parlamento europeo forte sostegno alle coppie gay ma chiusura totale sulla maternità surrogata ROMA. Forte sostegno alle nozze gay, viste anche come presupposto per una maggiore tutela dei diritti delle persone. E netta bocciatura della pratica della maternità surrogata, il cosiddetto utero in affitto, perché «compromette la dignità umana della donna dal momento in cui il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce». È quanto si legge nel rapporto annuale sui diritti umani nel 2014, un testo di oltre trenta pagine, approvato dalla Plenaria di Strasburgo. Un tema, quello delle unioni civili, al centro anche del dibattito politico italiano: la capogruppo del Senato ha fissato, tra le polemiche, il termine di venerdì 22 gennaio per la presentazione degli emendamenti al Ddl Cirinnà, e il 26 successivo l’approdo in Aula. La relazione approvata da Strasburgo, a cura di Cristian Dan Preda, un europarlamentare popolare rumeno, ritiene che «l’Ue dovrebbe proseguire gli sforzi per migliorare il rispetto dei diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuate (Lgbti)». Quindi esprime «rammarico» per il fatto che 75 paesi criminalizzino ancora l'omosessualità, e 8 di essi prevedano la pena di morte. Inoltre ritiene che le pratiche e gli atti di violenza contro le persone in base al loro orientamento sessuale «non debbano rimanere impuniti». Infine il passaggio centrale, quello dedicato alle nozze tra persone dello stesso sesso, in cui si «constata che i diritti delle persone Lgbti sarebbero maggiormente tutelati se avessero accesso a istituti giuridici quali unione registrata o matrimonio». Sul fronte della cosiddetta maternità surrogata, il testo usa toni molto forti, in quanto «condanna la pratica della surrogazione, che compromette la dignità umana della donna dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce; ritiene che la pratica della gestazione surrogata che prevede lo sfruttamento riproduttivo e l’uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba essere proibita e trattata come questione urgente negli strumenti per i diritti umani». Bocciatura accolta con favore da Silvia Costa (Pd): «Oggi dicendo no all’utero in affitto abbiamo tutelato la donna e la sua dignità». Soddisfatta anche Giorgia Meloni, secondo cui il voto di Strasburgo deve essere una «lezione» all’Italia: «Finalmente -­‐ commenta la leader di Fratelli d’Italia -­‐ una buona notizia dall’Europa. È la vittoria di chi considera una priorità della politica la difesa della famiglia e della dignità della donna. Il voto del Parlamento Europeo -­‐ conclude Meloni -­‐ sia da lezione anche per l’Italia per dire no al ddl Cirinnà, che attraverso la “stepchild adoption” vorrebbe aprire le porte alla maternità surrogata». Regione Nervi tesi su riforme di sanità e autonomie Discussione finale dominata dal referendum delle opposizioni e dai nodi giuridici dei commissariamenti TRIESTE. Nel giorno della sua approvazione, la discussione sulla legge di stabilità si concentra sui due nervi scoperti della legislatura: la riforma della sanità e quella delle autonomie locali. Il dibattito si scalda sui punti al centro dell’iniziativa referendaria annunciata dalle opposizioni, a cominciare dal comparto della salute. Per Franco Rotelli (Pd), «la manovra mantiene stabili i conti della sanità, mentre la riforma cambia le cose con cautela, spostando l’1% delle risorse dall’ospedale al territorio. Il referendum del centrodestra è incomprensibile: si discuta sulle linee di gestione senza cercare di abbattere tutto». Il 1 consigliere dem si sofferma poi sul sostegno al reddito: «Il numero di domande dimostra che abbiamo intercettato un bisogno reale. Valuteremo fra poco i primi risultati: quando avremo i dati discuteremo gli eventuali correttivi». Una visione che sembra venire da un altro mondo rispetto a quella di Riccardo Riccardi (Fi): «È vero che la spesa sanitaria aumenta, ma il servizio non migliora come dovrebbe. Siamo pronti a discutere, ma le aperture della maggioranza sono fittizie. Il referendum è l’unica opzione. Si spostano cento milioni dagli ospedali ai territori, dove operano molti soggetti privati che godono di misure di favore: ci si dica esattamente come e quanto si spenderà». Il forzista dedica una battuta anche all’assegno di povertà: «Non abbiamo mai negato la necessità di un reddito minimo, ma si deve uscire da un’impostazione che è tutta assistenziale». L’assessore Telesca difende le prospettive della giunta: «Il referendum è pura strategia elettorale e i sindacati hanno detto che è irresponsabile la cancellazione di una riforma ormai cominciata. Nella manovra mettiamo risorse identiche a quelle del 2015, senza aspettare l’assestamento: garantiamo quindi programmazione certa e dal 2016 il territorio riceverà più risorse dell’ospedale. Ci si accusa di tagliare, ma in questi giorni abbiamo bocciato emendamenti dell’opposizione che spostavano su altre poste ben trenta milioni destinati alla sanità». Il pomeriggio trascorre nel palleggio dell’aula sulle autonomie locali. Enzo Martines (Pd) dichiara che «l’opposizione rifiuta incredibilmente ogni confronto politico. Non possono pensare di fermare una riforma necessaria come quella sugli enti locali, facendosi guidare dall’atteggiamento barricadero dei sindaci rivoltosi». Martines ricorda che «la presidente ha proposto un momento di riflessione sui contenuti, al fine di verificare i futuri passaggi della legge e poterli eventualmente condividere il più possibile». Riccardi risponde: «Non credo nella politica fatta nei tribunali e per questo abbiamo proposto che il tema fosse discusso in sede di legge di stabilità. La risposta della presidente è stata quella dell’approfondimento giuridico. Ma chiedo: se non volete ritirarla, perché non la applicate? Perché non procedete con i commissariamenti? Avete paura che siano impugnati bloccando la riforma fino alle prossime elezioni?». Secondo Renzo Tondo (Ar), «la giunta non può incaponirsi nel non ammettere l’errore. Abbiamo accolto la richiesta di aggiornarci a gennaio, ma la verifica non può essere solo giuridica: ci aspettiamo un’apertura politica». Secondo Panontin, «ci opponiamo gli uni agli altri senza portare a casa risultati. La norma non è perfetta e non voglio influenzare la scelta dei magistrati sui commissariamenti: posso però dire che la legge è costituzionale e che terremo sia sulla norma che sui commissariamenti. Nei tribunali non ci siamo andati noi: ci hanno trascinato». In serata arriva anche la battuta di Serracchiani: «Speriamo in un giudizio rapido. Non abbiamo difficoltà al confronto, ma politica e cittadini non possono permettersi un altro impasse. Valuteremo con un approfondimento giuridico se esistono strade alternative. Attuiamo le riforme con il coraggio del fare, mettendo in conto che stiamo rimontando un sistema con inevitabili fibrillazioni». (d.d.a.) Università Master in reumatologia, è il primo in Italia Il corso triestino combina ricerca e clinica e si avvarrà delle moderne tecnologie alla base del "blended learning" di Giulia Basso. È partito, con una cerimonia inaugurale che si è svolta nell’aula magna dell’Ospedale di Cattinara, il primo Master Universitario di secondo Livello dedicato alla Ricerca Traslazionale in Reumatologia. Il master, della durata di un anno, ha lo scopo di fornire ai giovani reumatologi, attraverso un approccio interdisciplinare, le conoscenze e le competenze metodologiche della ricerca traslazionale nel campo delle malattie reumatiche, finalizzate alla realizzazione di uno specifico progetto di ricerca sperimentale-­‐clinico in lingua inglese, che costituirà il lavoro da presentare all’esame finale. Frutto della collaborazione tra il Dipartimento di Scienze Mediche Chirurgiche e della Salute dell'Università degli Studi di 2 Trieste e Fira Onlus (Fondazione della Sir – Società Italiana di Reumatologia), il corso di studi nasce da una proposta di Gisea (Gruppo Italiano di Studio sulla Early Arthritis) con l’egida di Unireuma e del collegio dei docenti di reumatologia e si avvale di un contributo finanziario della multinazionale farmaceutica AbbVie. «Si tratta del primo master di questo tipo in ambito reumatologico in Italia – spiega il direttore del Dipartimento dell'ateneo triestino Roberto Di Lenarda – e siamo orgogliosi che la nostra università lo abbia inserito nella propria offerta formativa. Gli studenti selezionati potranno contare sulla consolidata esperienza del nostro ateneo nell’ambito delle scienze mediche e sulla professionalità dei docenti selezionati». I quindici studenti che hanno deciso di intraprendere questo nuovo percorso provengono da tutt'Italia e sono specialisti, già laureati da almeno cinque anni e in tanti con un'esperienza di ricerca all'estero alle spalle. «Sono discenti molto speciali – racconta Renzo Carretta, direttore del master -­‐: sarà un grosso impegno cercare di trasferire loro nuove conoscenze». Ancora il direttore del master: «Per questa ragione abbiamo pensato a un percorso-­‐ponte fra la ricerca e la clinica, attento a tutte le problematiche del paziente, nella visione olistica tipica della medicina interna, disciplina con cui la reumatologia ha molte affinità, perché le malattie reumatiche per le loro caratteristiche coinvolgono anche organi e tessuti». Un indubbio punto di forza del master sarà costituito ovviamente dal contatto diretto con le eccellenze del sistema triestino della ricerca: gli studenti svolgeranno un breve tirocinio iniziale all'Icgeb, per conoscere le potenzialità di questo ente scientifico internazionale e avviare eventuali collaborazioni. Il master, che si concluderà a fine settembre 2016, si strutturerà in sei settimane di formazione teorica, in cui gli studenti avranno la possibilità di approfondire le basi biologiche e la clinica delle malattie reumatiche, e un tirocinio formativo di quattro settimane. Il percorso di formazione si avvarrà di un pool di diciotto docenti dell'Università di Trieste coordinati dal professor Carretta e di un'altra trentina di docenti provenienti dai più prestigiosi atenei italiani, da Padova, a Pavia, Roma e Bari. L'insegnamento utilizzerà, precisa il professor Carretta, le moderne tecnologie alla base del cosiddetto “blended learning”, che combina il metodo tradizionale frontale in aula con attività mediata dal computer, tramite l'utilizzo di materiale video e di lezioni in teleconferenza. «Gli studenti -­‐ prosegue il docente, direttore del master -­‐, oltre a frequentare fisicamente i reparti ospedalieri, familiarizzeranno con percorsi e procedure diagnostiche relative a patologie d'organo e apparato connesse alla malattia reumatica attraverso una serie di filmati, che saranno proposti nel corso del tirocinio pratico, per discuterne insieme al docente di riferimento. In questo modo da un lato riusciamo ad ottimizzare i tempi, perché spesso si tratta di procedure molto lunghe che nei filmati vengono condensate, dall'altro possiamo proporre anche tecniche che avvengono in reparti e strutture protette, dove non è possibile entrare in gruppo. Inoltre, grazie alla teledidattica, potremo proporre collegamenti con altre sedi universitarie e centri di ricerca e diagnostica». Le malattie reumatiche sono oltre cento e riguardano circa una persona su dieci in Italia. Sono patologie con un forte impatto sociale, sia per prevalenza sia per gravità delle condizioni morbose, che rappresentano quindi la prima causa di disabilità temporanea. In alcuni casi specifici le malattie reumatiche sono causa di invalidità permanente, al punto che il 27% delle pensioni di invalidità nel nostro Paese è dovuto a problemi reumatici. Monfalcone Pompiere morì di amianto Alla famiglia 626mila euro L’uomo è deceduto nel febbraio 2009, dopo trentun anni di servizio nel Corpo Il giudice del lavoro Gallo ha condannato al risarcimento il ministero dell’Interno di Laura Borsani. È morto per mesotelioma pleurico, sviluppatosi in tumore polmonare, dopo trentun anni di servizio prestato nel Corpo dei Vigili del fuoco di Monfalcone. Una malattia professionale, quella che ha provocato il decesso di G.D., 70 anni, residente in città, a fronte 3 del quale è stato riconosciuto un risarcimento ai familiari di 626mila euro. Risarcimento che dovrà liquidare agli eredi di G.D., la moglie e tre figli, lo Stato, attraverso il ministero dell’Interno, presentatosi quale controparte al procedimento civile, oltre al pagamento delle spese legali. La sentenza è stata stabilita, al Tribunale di Gorizia, dal giudice del lavoro, Barbara Gallo. La causa, sostenuta dall’avvocato Elena Bertelli, di Sagrado, era iniziata nel 2013. Il vigile del fuoco era deceduto a Monfalcone nel febbraio del 2009. La patologia asbesto-­‐correlata era stata diagnosticata due anni prima, nel 2007. Nativo della provincia di Napoli, ma da anni residente in città con la sua famiglia, G.D. aveva prestato servizio nel Corpo dei Vigili del fuoco dal 1960 al 1991. L’uomo aveva anche partecipato a missioni esterne, come in occasione del terremoto dell’Irpinia, e durante il sisma del 6 maggio 1976 in Friuli Venezia Giulia. Durante il procedimento civile celebrato al Tribunale di Gorizia, hanno fornito il loro contributo, in qualità di periti, il dottor Claudio Bianchi, tra i grandi studiosi “pionieri” negli anni Sessanta-­‐Settanta, che ha portato il “caso amianto” di Monfalcone ai massimi livelli medico-­‐scientifici nazionali e internazionali, nominato dal legale della famiglia, avvocato Elena Bertelli, e Damiano Donadello, medico legale di comprovata professionalità, nominato dal giudice Barbara Gallo. Il processo civile ha dunque confermato la causa diretta tra la patologia che ha portato alla morte del vigile del fuoco e l’esposizione all’amianto. Dall’esame autoptico, infatti, era emersa una concentrazione di corpi di asbesto rilevante. Così come è stato riconosciuto il collegamentro tra l’esposizione all’amianto e l’attività professionale svolta dal vigile del fuoco in trentun anni di servizio. Insomma, i contatti con la “fibra killer” sarebbero avvenuti in circostanze diverse durante l’impegno lavorativo di G.D., come, ad esempio, l’utilizzo delle coperte e delle divise all’epoca in uso nel Corpo dei Vigili del fuoco, ma anche durante interventi di soccorso per lo spegnimento di incendi in capannoni industriali. Si è trattato, pertanto, come è stato stabilito nella sentenza pronunciata dal giudice del lavoro goriziano, di una patologia professionale. Da qui la condanna stabilita dal magistrato al risarcimento del danno nei confronti dei familiari quantificato in 626mila euro, a carico del ministero dell’Interno. Un aspetto, la malattia asbesto-­‐correlata rilevata nel settore dei Vigili del fuoco, per il quale proprio recentemente è stato aggiornato il Registro nazionale mesoteliomi (Re.Na.M.), includendo altri casi professionali, come quello del monfalconese. Il tutto, a fronte di accertamenti eseguiti dal 1993 fino al 2012. A livello nazionale, si parla di 32 casi di morti per amianto tra i vigili del fuoco negli ultimi tempi, un dato ritenuto significativo dagli esperti. Palmanova Sul Punto nascita Palmanova chiama i sindaci Lunedì la seduta del Consiglio comunale. Impasse dopo il decreto di chiusura a Latisana poi ritirato di Alfredo Moretti. PALMANOVA. I sindaci che fanno parte dell’Ambito socio-­‐assistenziale e di tutti gli altri Comuni serviti dall’ospedale di Palmanova si ritroveranno nella città stellara. Almeno questo è l’auspicio del Comune di Palamanova che chiama a raccolta una quarantina di primi cittadini in un Consiglio comunale ad hoc e aperto al pubblico per dirimere la questione legata al punto nascita. È l’azione che segue la querelle con Latisana, dove il punto nascita dell’ospedale è stato prima chiuso per decreto e poi riaperto. La seduta consiliare si terrà lunedì alle 19.30 in municipio. «Il problema della scelta del punto nascita unico per l’area interessata dalla ex Ass nr. 5 Bassa Friulana sta diventando una questione che presenta giorno dopo giorno elementi di forte incertezza non solo a livello decisionale ma, soprattutto, per i riflessi che si hanno sulla vita dei nostri cittadini -­‐ afferma Martines -­‐ Così, assieme ai capigruppo consiliari, abbiamo condiviso la decisione di convocare il Consiglio proprio per riaffermare gli elementi di eccellenza del punto nascita dell’ospedale civile di Palmanova, per 4 confermare tutte le motivazioni del protocollo d’Intesa firmato dai 17 sindaci che fanno parte dell’Ambito socio assistenziale di Cervignano del Friuli e per aggiungere ulteriori motivazioni che spingono verso una scelta definitiva». Il riferimento va alla nuova normativa entrata in vigore il 25 novembre 2015 che riguarda gli obblighi nel rispetto dei turni di riposo per pediatri e altri operatori del settore, che di fatto riduce la disponibilità degli stessi, al conseguente decreto di sospensione firmato recentemente dal direttore generale dell'Ass nr. 2 Bassa Friulana -­‐ Isontino per la sospensione tecnica del punto nascita di Latisana e alle nuove sanzioni che potrebbero essere applicate alle Regioni che non hanno chiuso i punti nascita con un’operatività al disotto dei 500 parti all'anno, sanzione di natura patrimoniale in capo a chi ha responsabilità di governo in Regione. Messaggero Veneto 18 novembre 2015 Primo piano Friuli Punti nascita, D-­‐day con Serracchiani Oggi i sindaci di Latisana e Palmanova incontreranno la presidente per capire quale dei due presidi dovrà chiudere TRIESTE. Giorni convulsi. Scanditi da atti ufficiali, bloccati e ritirati, da uscite sulla stampa, polemiche, smentite e reciproche accuse. Complice l’avvicinarsi della campagna elettorale che, neanche a dirlo, in Regione interessa proprio Latisana e Palmanova. Su un punto entrambe sono concordi: è un gioco al massacro che deve finire e la Regione deve assolutamente mettere la parola fine, stabilendo, in via definitiva, quale dei due punti nascita verrà sospeso. E per oggi è fissato l’incontro decisivo con la presidente Debora Serracchiani per gli amministratori di entrambi i Comuni. Intanto le due cittadine si confrontano ormai da un anno, da quando a fine 2014, con l’approvazione della legge 17 di riordino del sistema sanitario, le vecchie aziende passano da 6 a 5: fra queste l’Isontina e la Bassa friulana vengono accorpate e i quattro presidi ospedalieri vengono organizzati su due sedi, dove la direzione medica è unica e le due sedi sono complementari fra loro, Gorizia-­‐Monfalcone e Latisana-­‐
Palmanova. Ci sono però i cosiddetti “doppioni” da risolvere ovvero quei servizi che, per un aspetto economico ma anche di personale disponibile, non possono essere mantenuti su entrambi i presidi. Il primo a “saltare” è il punto nascita di Gorizia. E a quel punto si apre un aspro contenzioso nel territorio: contrapposte non solo Latisana da un lato e Palmanova dall’altro, ma l’interno territorio della Bassa che si divide in due “fazioni”, pro uno e contro l’altro. Assemblee pubbliche e consigli comunali si susseguono, così come gli atti ufficiali approvati dai consigli comunali dell’hinterland di uno o dell’altro ospedale e spediti in Regione. È un continuo rovesciare sull’opinione pubblica gli accessi dei due presidi, con prese di posizione forti che a fine estate scatenano anche la reazione dei medici ginecologi dell’ospedale di Latisana, che supportati dalla direzione generale dell’Azienda sanitaria, smentiscono alcuni numeri sulla mortalità infantile che non corrispondono ai dati reali. Davanti a tutto questo la Regione frena: il time out della decisione viene spostato di trimestre in trimestre, prolungando l’agonia della non scelta. Le cose precipitano a inizio dicembre, quando sono proprio i medici pediatri dell’Aas 2 a lanciare l’allarme: i colleghi “in prestito” sono rientrati nelle aziende di competenza per garantire, dove mancava, la guardia pediatrica prevista dal decreto delle emergenze varato dalla Regione e non riescono più a garantire i turni. La direzione è messa davanti a una scelta obbligata e per forza da metà mese uno dei due punti nascita deve subire uno stop. Venerdì scorso arriva il decreto di chiusura per Latisana al quale si oppongono la presidente della Regione e l’assessore alla salute Maria Sandra Telesca, ribadendo di aver preso un impegno con il territorio (l’incontro in 5 programma per oggi) e invitano il direttore generale, Giovanni Pilati, a ritirare il documento e a reperire in tutti i modi un numero di pediatri sufficienti a mantenere il servizio su entrambi i presidi. A questo punto, in soccorso arriva personale da Udine, Pordenone e Trieste e il decreto, mercoledì pomeriggio, viene ritirato. (r.cr.) Qui Latisana Benigno: ospedale di rete tutti i Comuni compatti di Paola Mauro. LATISANA. Hanno risposto tutti sì i sindaci dei tredici Comuni dell’Ambito socio-­‐assistenziale che fa capo a Latisana: Carlino, Lignano Sabbiadoro, Marano Lagunare, Muzzana del Turgnano, Palazzolo dello Stella, Pocenia, Porpetto, Precenicco, Rivignano Teor, Ronchis, San Giorgio di Nogaro e Torviscosa. Oggi saranno tutti a Trieste, compatti nel manifestare sostegno all’ospedale della Bassa Occidentale. «Siamo compatti, perché la questione va ben al di là dell’appartenenza politica -­‐ precisa il sindaco di Latisana, Salvatore Benigno -­‐, in questi ultimi giorni è successo davvero di tutto e c’è stata molta confusione: prima il decreto di sospensione, poi il suo blocco e infine il ritiro. Ciò che chiederemo alla Regione, durante l’incontro convocato dalla presidente con tutti i sindaci dell’ex Azienda 5, è una spiegazione degli ultimi eventi, che sono stati davvero molto poco comprensibili. E soprattutto che ci sia un punto e a capo. Il territorio è unito nel voler rimarcare i dati oggettivi sui quali dovrebbe basarsi la scelta della Regione. Uno su tutti: un ospedale di rete, come è definito dalla riforma regionale quello di Latisana, non può essere tale senza tutte le emergenze e quindi anche la guardia pediatrica. E la soluzione proposta, prevedendo l’intervento dell’elisoccorso e un potenziamento del servizio di ambulanza, non va per niente bene». Si sentiva parlare di una forma di protesta da mettere in atto oggi, presentandosi a Trieste con un paio di pullman di residenti/utenti dell’ospedale: «Questo è un incontro istituzionale -­‐ ha commentato Benigno -­‐, ma non è escluso che prossimamente si possa organizzare qualche protesta di piazza. Su questo ho già sentito i colleghi sindaci, concordi nel manifestare con un’azione forte la difesa dell’ospedale». Scrivendo a tutti i sindaci dell’Ambito, Benigno ha inviato anche la proposta di Piano attuativo locale 2016 dell’Azienda per l’assistenza sanitaria 2 Bassa Friulana-­‐Isontina, in discussione il prossimo 28 dicembre e per il quale il sindaco di Latisana ha già annunciato il suo voto contrario: «Vi evidenzio -­‐ ha scritto Benigno ai colleghi -­‐ come la risposta che la Regione intende dare, per il presidio delle urgenze, al reparto di Pediatria, sia del tutto inadeguata per il nostro territorio e soprattutto, a detta anche dei medici, non sicura. Se le decisioni non cambieranno e il Punto nascita di Latisana verrà chiuso, vi sarà l’assoluta certezza che le emergenze dei bambini non saranno in futuro più gestibili dall’ospedale stesso. Cosa gravissima e non tollerabile. Sottolineo -­‐ conclude -­‐ un tanto e vi esorto a prendere una netta posizione a tutela del nostro territorio in assemblea dei sindaci». S. Daniele Ospedali a misura di donna: Aas 3 da primato nazionale Il Ministero della salute assegna 6 Bollini Rosa a San Daniele e Tolmezzo Il direttore sanitario Lattuada: «Certificata l’eccellenza delle nostre strutture» di Anna Casasola. SAN DANIELE. Gli ospedali di Tolmezzo e San Daniele sono amici delle donne. L’altro ieri l’Azienda per l’assistenza sanitaria 3 Alto Friuli-­‐Collinare-­‐Medio Friuli è stata premiata a Roma con il massimo dei voti dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna. Unica Azienda sanitaria in provincia accreditata, unica in Italia con 6 Bollini complessivi: 3 per il nosocomio tolmezzino, 3 per quello di San Daniele. E se per Tolmezzo è una conferma, per San Daniele è un’assoluta novità, «non perché in passato l’ospedale della cittadina collinare non avesse le carte in regola -­‐ precisa il direttore sanitario Luca Lattuada -­‐, ma perché non si era mai iscritto a questo programma. Gli accreditamenti -­‐ confessa il 6 direttore -­‐ sono un mia “fissazione”, in quanto costituiscono una certificazione “esterna” inconfutabile dell’eccellenza di una struttura». Mercoledì, dunque, alla Camera dei deputati il Ministro della salute Lorenzin ha conferito all’Aas 3 la qualifica “3 Bollini Rosa” quale Azienda premiata per il suo impegno nel portare la salute più vicino alle donne, sia nell’ospedale Sant’Antonio Abate di Tolmezzo sia nel Sant’Antonio di San Daniele. L’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (O.n.Da) ha avviato nel 2007 il programma “Bollini Rosa” con l’obiettivo di individuare e premiare gli ospedali italiani “vicini alle donne”, che offrono percorsi diagnostico-­‐terapeutici e servizi dedicati alle patologie femminili di maggior rilievo clinico ed epidemiologico. Fra i criteri di valutazione con cui sono stati giudicati gli ospedali candidati ci sono la presenza, nelle aree specialistiche di maggior rilievo clinico ed epidemiologico di servizi rivolti alla popolazione femminile, appropriatezza dei percorsi diagnostico-­‐terapeutici, a garanzia di un approccio alla patologia in relazione alle esigenze della donna. A San Daniele la notizia giunge alla vigilia dell’arrivo al reparto di ostetricia-­‐
ginecologia del “nuovo” primario: a gennaio, con la nomina di tutte le figure apicali dell’Azienda ci sarà anche l’assegnazione di quel posto che sovrintenderà ai due reparti “eccellenti”. Com’è noto, il professor Daniele Bassini, oltre a Tolmezzo, prenderà le redini anche di San Daniele. Sempre nel reparto di ginecologia del Sant’Antonio sono alle battute finali i lavori di ristrutturazione: manca solo il restyling di 4 stanze per le degenti. Sia per Tolmezzo sia per San Daniele è ancora presto per parlare di numeri in termini di nati nel 2015, ma, come emerso nei giorni scorsi, anche queste strutture stanno seguendo il trend negativo registrato nella nostra regione. Ciò nonostante, San Daniele si conferma al terzo posto come punto nascita in Friuli-­‐Vg. Gorizia Cardiologia, Adami e Pilati litigano sul nuovo primario Il direttore generale risponde sul bando, ma l’esponente Andos: «È in malafede» E così si passa alle vie giudiziare: «Con l’avallo dell’assessore Telesca lo querelo» di Vincenzo Compagnone. Critiche e accuse da una parte, controaccuse con annuncio di querela dall’altra. È stata a dir poco burrascosa la conclusione della Conferenza dei servizi (e “Giornata della trasparenza”) indetta l’altro pomeriggio dall’Azienda sanitaria Bassa Friulana-­‐
Isontina alla Fondazione Carigo. Dopo che l’illustrazione dell’atto aziendale per il 2016 da parte del direttore generale, Giovanni Pilati, e della responsabile della Programmazione, Maria Teresa Padovan, era filata via liscia, ad accendere la miccia, in fase di dibattito finale, è stato il vicepresidente dell’Andos (Associazione donne operate al seno) ed ex chirurgo dell’ospedale di Gorizia, Adelino Adami, il quale ha mosso tutta una serie di appunti al direttore generale volti a dimostrare come, a suo avviso, sia in atto un’operazione di progressivo smantellamento del San Giovanni di Dio sia a vantaggio del San Polo di Monfalcone sia nel più ampio contesto dell’Azienda che ora copre un ampio territorio di circa 250 mila abitanti. Il nodo della Cardiologia Il battibecco più vivace ha avuto per oggetto il futuro della Cardiologia. Pilati aveva ribadito, in precedenza, che nulla verrà toccato nei due reparti di Gorizia e Monfalcone fino alla nomina del nuovo primario unico, prevista per marzo, al quale spetterà di proporre un nuovo modello organizzativo tenendo conto della programmazione regionale che prevede il mantenimento dell’Utic (Unità di terapia intensiva cardiologica con 6 posti letto) in un’unica sede e attività ambulatoriali in entrambe. Ebbene, riprendendo una segnalazione effettuata nei giorni scorsi all’Ass dal segretario comunale del Pd Bruno Crocetti e dal capogruppo comunale, Giuseppe Cingolani, il dottor Adami ha aspramente criticato Pilati perché nel bando di concorso per l’assunzione del nuovo primario, non solo non si è fatto alcun cenno alla presenza di un’Unità coronarica nella descrizione dell’attività che il futuro primario dovrà svolgere, ma sono stati forniti dei dati errati sui pazienti trattati nel 2014 a Gorizia, omettendo i 300 dimessi dall’Utic e indicando solo i 233 7 della Cardiologia, creando così «un ingiusto pregiudizio per la struttura goriziana». Pilati ha ammesso l’errore, aggiungendo che il bando era stato subito ritirato e riformulato con i dati corretti. Ma la rassicurazione non è bastata ad Adami che ha incalzato con tono aggressivo il dg tacciandolo di «malafede». Pilati a questo punto ha alzato la voce: «Avete sentito tutti quello che ha detto – ha esclamato rivolgendosi al pubblico –, bene, questo le costerà una querela». La sparizione dell’hospice Anche qui, in buona sostanza, Adami ha dato del bugiardo al manager bolognese il quale aveva affermato che dal primo gennaio nessun servizio è stato soppresso. «E l’hospice che fine ha fatto – ha tuonato Adami -­‐? Dopo che i locali con 5 posti letto sono stati occupati dai 9 del reparto ex Sla trasferito da villa San Giusto, i malati terminali vengono sistemati fra i 22 dell’Rsa insieme con i malati della riabilitazione, in un frullato indecoroso». Pilati ha ribattuto che quando è giunto alla guida dell’Ass l’hospice era già chiuso (ed è vero: mancava personale infermieristico, ndr). rimarcando che c’è l’impegno a trovare una nuova collocazione per il reparto così come ad avviare un progetto di sviluppo per i posti letto di riabilitazione. Chirurgia e territorio Altre critiche sono state mosse al dg per l’organizzazione dell’attività chirurgica («A Gorizia non è stata istituita la struttura semplice di senologia, mentre a Monfalcone verranno concentrati gli interventi di protesi ortopediche») e per il dato, invero mortificante, del 7,5 in meno di attività infermieristica a domicilio nel 2015. Purtroppo, a fronte di richieste sempre più numerose di prese in carico di pazienti anziani e cronici – è stato spiegato – pensionamenti, malattie e trasferimenti hanno impoverito il servizio sul territorio. Pilati in serata ha confermato che, con l’avallo dell’assessore regionale Telesca, intende querelare il vicepresidente dell’Andos. Oltre il confine Ma a San Pietro si cresce ancora: inaugurato il centro urgenze Mentre l’ospedale di Gorizia annaspa, quello di San Pietro, a un tiro di schioppo dall’ex confine con la Slovenia, si arricchisce. È stato inaugurato in pompa magna ieri mattina, in una sorta di “dependance” situata proprio alle spalle del nosocomio e realizzato nel giro di un anno esatto, un “Centro per le urgenze” nuovo di zecca. Si tratta, in pratica, di un Pronto soccorso avanzato, la cui progettazione risale ancora al 2008 ma che ha potuto concretizzarsi soltanto negli ultimi 12 mesi in virtù di un robusto finanziamento europeo corroborato da fondi del ministero della Sanità sloveno e dello stesso ospedale. Complessivamente, la struttura è costata 6 milioni e 700 mila euro e copre una superficie di 1.500 metri quadri. Diventerà operativa a tutti gli effetti a partire da febbraio, con l’assunzione di 22 infermieri, mentre per il personale medico sarà utilizzato quello già dipendente dall’ospedale. Va ricordato che fino ad ora l’ospedale di San Pietro non disponeva di un Pronto soccorso. Le emergenze venivano trattate negli ambulatori della Casa della salute di Nuova Gorizia (dove continueranno a stazionare le ambulanze che viaggiano con il medico a bordo) da dove si provvedeva poi a smistare i pazienti all’ospedale di San Pietro o, in determinati casi, in altri nosocomi sloveni (Lubiana eccetera). Nel nuvo Centro per le urgenze saranno istituiti anche un servizio di Guardia medica e una farmacia aperta 24 ore su 24. Si parla, inoltre, di un potenziamento della Guardia pediatrica. Alla cerimonia inaugurale, svoltasi ieri mattina, erano presenti tra gli altri la rappresentante del ministero della sanità Nina Pirnat e la direttrice dell’ospedale di San Pietro, Natasa Fikfak. (vi.co.) La denuncia di Ziberna «Il manager ha annunciato tagli per altri 3 milioni di euro» di Christian Seu. «Non c’è cittadino della nostra provincia che non abbia piena consapevolezza che questa giunta regionale sta letteralmente massacrando una sanità che sino a pochi anni fa rappresentava una eccellenza in Italia ed in Europa». A dirlo è il vicecapogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale, Rodolfo Ziberna. «Pensiamo a cosa c’era nell’Isontino e che oggi è stato tagliato dalla Regione, e non mi riferisco solo al punto nascite, chiuso a prescindere da 8 ogni riforma, per partito preso -­‐ indica Ziberna -­‐. Mai come oggi la nostra sanità ha così pochi medici (i concorsi non vengono banditi) e così pochi infermieri. Solo nell’Aas 2 ne mancano ben 70, e ciò costringe il personale medico ed infermieristico a turni massacranti ed a lavoro straordinario». «A fronte di queste legittime denunce -­‐ prosegue l’esponente di Fi -­‐, critiche e proteste la giunta regionale cosa fa? Annuncia seraficamente che non è vero che sta operando dei tagli ma anche addirittura le cose stanno migliorando e che in particolare all’Aas 2 verranno assegnate più risorse. Ma il manager Pilati, afferma invece che verranno operati tagli per ulteriori 3 milioni di euro. Ciò significa che saranno tagliate necessariamente spese di personale, farmaceutiche o di altri servizi». Ziberna lamenta poi il mancato trasferimento «di personale e quattrini» al territorio. «Ci saremmo attesi le proteste dei sindaci e dei consiglieri anche di sinistra a fronte di questa dequalificazione sanitaria: ebbene no, anzi. Leggo esterrefatto le dichiarazioni del capogruppo in Consiglio regionale del Pd Diego Moretti, secondo il quale “da parte degli amministratori goriziani si continua a polemizzare in maniera gratuita sulla sanità”». Secondo l’esponente di Fi, è «sconcertante come questa sinistra reagisca alla decisione della giunta regionale di togliere un’automedica non già pretendendo il mantenimento dei due automezzi, ma condividendo la soppressione e chiedendo semplicemente che venga tolta quella di Gorizia». «Questa riforma non funziona» Fi è al lavoro per il referendum Il coordinamento provinciale di Gorizia di Forza Italia esprime, «ancora una volta, la propria preoccupazione per lo smantellamento della sanità isontina». Lo sottolinea una nota del partito azzurro isontino. «Come già espresso dai nostri esponenti politici locali -­‐ si legge nel comunicato -­‐ non c’è cittadino che non abbia piena consapevolezza che la sanità regionale, in passato considerata un’eccellenza nazionale, stia peggiorando a discapito di tutti. Sempre meno medici e infermieri che costringono quelli in servizio a turni massacranti e a lavoro straordinario, le unità di Pronto Soccorso che lavorano in condizioni di affanno per la mancanza di personale», elenca il coordinamento provinciale di Fi. Cruciale, per gli azzurri, che raccoglieranno le firme per il referendum abrogativo sulla sanità, la questione degli orari del reparto Pediatria dell’ospedale goriziano «che prevede, ad oggi, la chiusura alle ore 18, costringendo i cittadini a rivolgersi, dopo quell’ora ad altri nosocomi non proprio vicini (Palmanova e Latisana). Come già proposto dal sindaco di Gorizia Ettore Romoli, si chiede di prolungare l’orario almeno fino alle 20». (chr.s.) Pordenone : In cardiologia Malore in sala operatoria Resta grave la trentatreenne Permangono gravi all’ospedale di Udine le condizioni della trentatreenne di Pordenone colpita nei giorni scorsi da un arresto cardiaco a causa della sindrome di Brugada. A differenza di quanto emerso nelle prime ore dopo il malore, la donna non si è sentita male mentre attendeva una visita al reparto di cardiologia. Stava infatti effettuando un trattamento medico in sala operatoria connesso a un accertamento sulla presenza della sindrome di Brugada. La malattia può essere ereditaria e proprio per verificare che la patologia non sia stata trasmessa alla figlia, la donna si era sottoposta al trattamento con il test all’ajmalina. E’ un esame che si esegue in regime di day hospital e prevede l’infusione di ajmalina, farmaco che in presenza della malattia fa emergere il profilo elettrocardiografico diagnostico. Ma nel corso dell’esame si è verificato il malore e la donna, durante il test, è andata in arresto cardiaco. Si stanno verificando ora eventuali danni neurologici ed eventuali responsabilità da parte del personale medico.(d.s.) 9