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Quaresimale (15 aprile 2011)
di Gianna Piazza
Santità e croce
…4 quadri della Passione…
INTRODUZIONE
C’è un’idea da cui dobbiamo liberarci, ed è quella che le persone (i santi) di cui abbiamo ascoltato il pensiero
in queste sere di Quaresima, siano comunque figure troppo distanti da noi; belle, autorevoli, ricche di meriti
ma comunque distanti.
Ce lo ha ricordato anche il papa all’udienza generale del 13 aprile in piazza S. Pietro: «Spesso si è portati a
pensare che la santità sia una meta riservata a pochi eletti. S. Paolo, invece, ci ricorda che “Dio ci ha scelti
prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a Lui nella carità” (Ef 1,4) E la
santità non consiste nel compiere imprese straordinarie ma nel fare nostri gli atteggiamenti, i pensieri, i
comportamenti di Cristo».
Il Papa ha poi usato una definizione quanto mai originale per definire chi sono i santi: “indicatori di strada!”.
Quindi coloro che ci indicano che percorso dobbiamo intraprendere per portare a pienezza di maturazione
quel seme di grazia ricevuto fin dal Battesimo; lì dove ognuno è chiamato a vivere e ad operare.
La vita di don Luigi Monza è stata di una normalità sconcertante - tranne forse che per i mesi in cui fu
ingiustamente accusato e incarcerato - quindi del tutto simile a esperienze che, come la sua, si
riproducevano nel periodo storico in cui è vissuto (la prima metà del secolo scorso).
Che cosa, allora, rende bello, esaltante, vivace e riproponibile il suo esempio, per cui si può arrivare a dire:
«Questo è un modello da tener presente?».
Don Luigi, come tutti i santi riconosciuti dalla Chiesa, ha vissuto l’unico comandamento dell’amore con una
sottolineatura particolare, facendolo trasparire nella bontà dei gesti quotidiani.
Quella di don Luigi possiamo definirla una “santità feriale” e dunque per chiunque desideri rispondere con
generosità totale al progetto di bene che Dio ha su ciascuna delle sue creature.
Una santità che non ebbe nulla di straordinario se non quella di vivere le occasioni di ogni giorno facendo,
per ciascuna di esse, l’opportunità di un dono sempre più grande per Dio e per la gioia dei fratelli.
I santi, come don Luigi e tutti gli altri, sono per noi una grazia, una garanzia e un impegno.
Una grazia perché ogni beato ci mostra un tratto del volto di Dio e ci conduce a Lui.
Una garanzia perché ci rendono sicuri che, attraverso la loro intercessione, Dio ascolterà la nostra
preghiera.
Un impegno perché anche noi, come loro, siamo chiamati alla santità, ad essere quelle “tessere del grande
mosaico di santità che Dio va creando nella storia” (Benedetto XVI).
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Scegliamo, per la nostra preghiera, 4 quadri della Passione che si concretizzano, per ciascuno di noi, in un
insegnamento e in una sfaccettatura del binomio “santità e croce” e vediamo quali suggerimenti e
provocazioni personali ci suscitano.
1° QUADRO: la santità dell’abbandono
Uscito, andò come di solito al monte degli Ulivi. Lo seguirono anche i discepoli.
Ora, giunto sul luogo disse loro: “Pregate, per non entrare in tentazione. Si staccò da loro
quanto un tiro di sasso e messosi in ginocchio pregava dicendo: Padre, se vuoi, togli
questo calice da me. Tuttavia, non la mia volontà, ma la tua avvenga!” (Lc 22,39-42).
Commento. La Bibbia ci riferisce di tre notti altissime. La prima fu quella in cui Dio dal caos creò il
mondo che poi si allontanò da Lui. La seconda fu quando Dio lottò con Giacobbe (Gn 32,23) e
creò il nuovo popolo dandogli il nome di “Israele”. La terza è questa, quando Gesù agonizza e fa
risuonare, pronunciandolo, il vero nome di Dio: “Abbà”, Padre.
Il centro del brano è la lotta per passare dalla “mia” alla “tua” volontà; anche per noi deve essere
così.
Riflessione per noi. Ma che cosa è questa “volontà di Dio?”.
Fare la volontà di Dio significa guarire da una malattia profonda che ci portiamo nel cuore; una
visione distorta che ci appanna costantemente la vista. Che cosa vuole Dio veramente da noi?
Desidera che noi ci liberiamo da quell’inganno, quella falsità che ci accompagna sovente e che ci
fa ritenere Lui più come padrone che come Padre, come antagonista, come qualcuno che voglia
sottrarci qualcosa più che dare tutto.
Ma qui, in questa notte, di fronte a queste parole di Gesù non possiamo più ingannarci: Lui è
Padre (Abbà) e noi siamo figli. Questo è il desiderio di Dio e, insieme, la nostra conversione : che,
riconoscendoci “figli” – scelti, amati, voluti da Lui per una massima felicità – ci comportiamo da
fratelli fra di noi. E se noi vogliamo fare la Sua volontà dobbiamo operare un continuo passaggio,
un continuo cambiamento da una posizione ad un’altra: dall’essere creature spaventate, timorose,
incapaci di sciogliere i nostri gesti rattrappiti in atteggiamento di difesa all’essere fiduciosi che non
siamo mai abbandonati, soli, ma siamo creature tenute nelle Sue mani, creature cha da Lui
vengono e a Lui ritornano.
Anche don Luigi Monza ha compiuto questo cammino, questo passaggio nella sua vita.
L’accettazione della “volontà di Dio” ha attraversato la sua storia e ha visto in lui un figlio davvero
obbediente, pronto all’ascolto, che non mancava di fiducia quando le “cose andavano storte”.
Penso alla malattia e alla morte del padre; penso alla continua interruzione degli studi nel desiderio
contrastato – dagli eventi della vita – per diventare sacerdote; penso alla prova forse più dolorosa
che fu quella di essere ingiustamente accusato e di essere stato incarcerato per 4 mesi; penso alle
continue difficoltà anche quando stava compiendo il suo dovere e stava sognando una grande
Opera di bene (La Nostra Famiglia). Come reagì di fronte a tutto questo? Leggo le sue parole:
1- con la certezza che “Dio è Padre e, come tale, è impossibile che dopo averci dato la vita
non ce la conservi”.
2- con l’incoraggiamento ad essere fiduciosi: “ Lasciatevi condurre; Lui, il Signore, può
condurre anche solo me e se mi ha creato devo pensare che non mi ha creato a caso…”
3- con l’invito a considerare che “ciò che affligge ha breve durata mentre la gioia dell’altra vita
durerà eternamente”.
4- con la consapevolezza che, certo “il mondo ci pesa quando il dolore si è impadronito di
noi; allora la nostra anima si sente trasportata verso regioni più alte, più pure…Chi la
solleverà da terra e la trasporterà verso quell’altro mondo più perfetto, più luminoso? La
preghiera umile e fiduciosa; la preghiera del figlio verso il Padre”.
Spazio di silenzio e preghiera (insieme): Prendi, Signore, e accetta tutta la mia libertà, la mia
memoria, il mio intelletto e tutta la mia volontà. Tutto ciò che ho e possiedo, Tu me lo hai dato. A
Te, Signore, lo ridono.Tutto è tuo; disponine a tuo piacimento; dammi solo il Tuo amore e la Tua
grazia e sarò ricco abbastanza e nulla più ti domando (S. Ignazio).
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2° QUADRO: la santità dell’amore
Mentre ancora stava parlando, ecco che Giuda, uno dei dodici, venne e con lui molta folla
con spade e bastoni. Colui che lo consegnava, aveva dato loro un segno dicendo: “Chi
bacerò, è lui! Impadronitevi di lui! E subito, avvicinatosi a Gesù, disse: “Salve, Rabbì”. E lo
baciò.
Uno di quelli con Gesù, stesa la mano, estrasse la sua spada e, colpito il servo del sommo
sacerdote, gli tagliò il lobo dell’orecchio (Mt 26,47-51).
Commento. La prima considerazione che va fatta è che, quando si parla di “uno dei dodici” si
intende proprio lui, Giuda, anche se è scomodo ricordarci sempre che Giuda è uno di loro, un
amico di Gesù. La tentazione sarebbe invece quella di cancellarlo dalla lista dei dodici; la stessa
lista nella quale possiamo mettere anche il nostro nome perché Giuda è nostro fratello e come tale
dobbiamo riconoscerlo.
Se avessimo letto per intero il brano ci saremmo accorti che la parola chiave è “impadronirsi”; un
gesto che esprime lo sbaglio che l’uomo fa perché, invece di prendere in dono benedicendo il
donatore e donando a sua volta a chi ha bisogno, prende in possesso e chiude voracemente le
sue mani su quello di cui è riuscito ad appropriarsi.
Gli strumenti per impadronirsi sono tanti; per rimanere alla pagina del vangelo sono: danari (i 30
danari dati a Giuda), spade, bastoni e baci. Il bacio poi, segno di amore e di adorazione (adorare
vuol dire portare alla bocca, baciare), in una logica di violenza indica ciò che si vorrebbe
possedere.
Baci, danaro, spade e bastoni sono comunque i soliti strumenti che dominano il mondo, in quella
lotta che gli uomini si fanno per impadronirsi gli uni degli altri. Basta leggere ciò che è capitato
dalle origini del mondo fino all’ultimo fatto di cronaca.
Riflessione per noi. Ma a noi che ci impadroniamo, il Signore risponde rimanendo ciò che è: amore
che si dona e si abbandona nelle nostre mani. Che cosa comprendiamo da tutto questo? Capiamo
che nel massimo male, Dio nasconde il suo massimo bene. Quando il male sembra vincere, è il
momento in cui subisce la massima sconfitta, attraverso l’amore! Sembra che il male vinca e il
bene perda, invece è vero il contrario. Perché se si risponde al male con un altro male (come ha
fatto Pietro che ha tirato fuori la spada) il male si raddoppia, si moltiplica. C’è un solo modo per
neutralizzarlo: opporgli un bene più grande.
Don Luigi l’aveva capito molto bene questo punto, tanto è vero che considerava non solo l’amore
in se stesso la forma quotidiana di cui rivestire gesti e pensieri ma addirittura parlava – perché lo
viveva nella sua storia – dell’amore al nemico.
* Diceva infatti: “Esercitare la carità con eroismo e, nel privilegio della persecuzione, dire al
persecutore: tu mi sarai fratello, in Cristo!”.
* Parlava di “amore” don Luigi e, per fare chiarezza anche di termini, diceva: “Amore. Questa
parola che corre sulla bocca di tutti: dei ricchi, dei poveri, dei grandi, dei piccoli, dei giovani, dei
vecchi…quanto è profanata! Dice il bambino alla mamma: ti amo, per ricevere dolci e carezze;
dice il giovane a una giovane: ti amo, per accontentare il proprio egoismo; dice quel vecchio al
nipote: ti amo, per non essere abbandonato; dice il Signore: io ti amo e dà la vita per noi!”.
* Ma poi don Luigi ha fatto dell’amore, della carità, l’ideale massimo che ha proposto a tutti e a
ciascuno per viverlo nella condizione – nella vocazione – di cui è testimone:
- una carità pratica che doveva rimandare a quella degli apostoli e dei primi cristiani;
- una carità senza misura, che non si ferma a metà strada (non esiste la parola “basta” nel
vocabolario della carità);
- una carità che ricorda sempre che la persona che ho di fronte è l’immagine di Dio (questo il
motivo per cui devo amarla e stimarla molto);
- una carità che va custodita (custodite gelosamente Cristo, non permettete che altri ve lo portino
via);
- una carità che si deve radicare tenacemente in noi: “Perché l’amore di Dio non venga strappato
dai vostri cuori, deve essere un amore forte”.
* Ma con che scopo, con che finalità?
- Con il desiderio di “voler dipingere la bellezza di Gesù non sulla tela ma nelle anime”;
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- con l’impegno a “fare di tutto per esercitare giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, con
la grazia del Signore, la carità voluta da Dio, la carità che unisce la creatura a Dio, la carità che
trasforma la creatura in Dio”.
Spazio di silenzio e preghiera (insieme): Signore Gesù, tu sai che, come gli apostoli, cerchiamo
ad ogni costo di respingere la verità del tuo messaggio difficile e non sappiamo seguirti come e fin
dove Tu vai. Immaginiamo una sequela facile, esaltante, e respingiamo quella che tu prepari per
noi ogni giorno. Illumina la nostra mente, riscalda il nostro cuore perché possiamo comprendere
ciò che Tu vuoi da noi. Rendici capaci, Signore, di lasciarci accogliere da Te, e di accoglierti
completamente, senza nasconderti nulla (Carlo Maria Martini).
3° QUADRO: la santità del discepolo
Ora, Pietro sedeva fuori nel cortile e si avvicinò a lui una serva dicendo: “Anche tu eri con
Gesù”. Egli negò davanti a tutti dicendo: “Non so cosa dici”. E di nuovo negò con
giuramento: “Non conosco l’uomo”. Poco dopo, avvicinatisi gli astanti dissero a Pietro:
“Veramente anche tu sei dei loro”. Allora cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco
l’uomo!”. E subito, un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola di Gesù: “Prima che il
gallo canti, mi rinnegherai”. E, uscito fuori, pianse amaramente (Mt 26,69-75).
Commento. Dopo l’arresto, tutta la notte è occupata dal rinnegamento di Pietro e dal dileggio dei
soldati. Gesù diventa un puro oggetto nelle mani degli uomini : viene preso, consegnato, condotto,
introdotto, portato via, beffeggiato, presentato alla folla e crocifisso. Faranno di lui ciò che
vorranno. E Lui, nel suo amore umile, si fa piccolo e si riduce all’impotenza, nelle nostre mani.
La nostra attenzione è concentrata su Pietro e sul suo comportamento perché la sua esperienza è
quella che facciamo anche tutti noi che siamo credenti e seguaci del Signore.
Pietro, non riconoscendo e rinnegando tre volte il suo Maestro, non mente, come a prima vista può
apparire. Dice la verità; non conosce questo Gesù – oggetto di scherno – ne conosce un altro,
quello potente, quello che guariva i malati e risuscitava i morti, quello che faceva i miracoli, quello
che dava il pane alla folla e confondeva i nemici. Per lui era anche disposto a morire; mentre non
sa cosa significhi stare con questo Gesù, che lo sconcerta e lo scandalizza. E’ vero che ama Gesù
ma non accetta che sia povero, umiliato e umile; lo vuole potente e glorioso.
Così scopre di non essere mai stato veramente “con lui”, che non è “di quelli” che sono suoi
discepoli, che “non conosce quest’uomo” che ora si presenta in questo modo.
Le lacrime di Pietro sono come il battesimo del suo cuore che lo fa rinascere nuovo; perde la sua
presunta identità e si accorge dell’unica verità profonda: vede di non saper morire per il Signore
ma vede che è Gesù che muore per lui.
Riflessione per noi. Pietro – capo degli apostoli e della Chiesa – fa, in prima persona, l’esperienza
che ciascuno di noi è chiamato a fare.
Dobbiamo chiederci se stiamo “con lui” o se siamo “dei suoi” fino quando va tutto bene oppure se
conosciamo il Signore nella impotenza e nella sofferenza della croce. Non si può essere discepoli
di Gesù e non conoscerlo davvero. Non si può annunciarlo e non conoscerlo! Uno può essere
religiosissimo e parlare da cristiano ma non è ancora un vero credente fino a quando non sa che il
Signore è colui che ha dato la vita per lui che lo rinnega, in mille modi.
E’ importante che Gesù abbia predetto a Pietro il rinnegamento e che Pietro se lo ricordi. Se non
avesse rinnegato, avrebbe potuto pensare che il Signore è fedele perché lui, Pietro, gli era fedele e
non avrebbe conosciuto che la fedeltà di Dio è senza limiti.
Gesù vuol bene a Pietro non perché è bravo, ma perché semplicemente gli vuol bene. E non gli
perdona perché è pentito (come noi pensiamo tante volte dei nostri sbagli: mi pento e dunque il
Signore mi perdona) ma può pentirsi perché, da sempre, è perdonato!
La vera conversione che dobbiamo fare è passare dal mio amore per Dio al Suo amore per me. A
volte abbiamo l’orgoglio e la presunzione di sentirci bravi, capaci, di essere noi che ci impegniamo
ad amare il Signore. Invece è Lui che ci ama per primo, senza condannarci né giudicarci.
Don Luigi cosa ci dice al proposito? Da un lato riconosceva che la creatura umana è fatta di
elementi di fragilità che possono sgretolarsi, corrompersi, frantumarsi.
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* Scrive: “Domandiamoci: tu, chi sei? Siamo foglie che il vento trasporta ovunque; come un fiore
che sboccia ed è calpestato. E l’ombra: come è vana, come è mobile! Così è la nostra vita”.
* Dall’altro lato sapeva anche riconoscere tutta la profondità dell’essere di una persona perché
diceva: “Ognuno entri in se stesso, osservi il proprio essere complesso e meraviglioso e dica se
Dio non è l’autore”.
* Profondo conoscitore dei cuori, sapeva anche che, con la stessa esuberanza di Pietro anche noi
siamo capaci di fare propositi audaci ed è per questo che suggeriva: “Si fanno tanti castelli in aria,
ci si crede chissà chi e poi ci si accorge che si è nulla e che si è tutto solo elle mani di Dio”.
* Invitava poi a riconoscere con umiltà i propri sbagli, gli errori invitabili, le proprie debolezze e
fragilità e questo doveva essere fatto con grande umiltà perché diceva: “Abbiamo bisogno della
sapienza? L’umiltà ci insegna da esercitarla. Si vuole il perdono dei peccati? E’ all’umiltà che Dio
l’accorda. In una parola: siate umili e riceverete da Dio tutto ciò che gli domanderete”.
* E ancora: “Le piogge della grazia cadono sopra gli umili e come le acque scorrono nelle valli,
come l’abbondanza delle acque rende le valli fertili, così l’abbondanza della santa umiltà, nei cuori
umili farà fruttificare buone opere e grandi virtù”.
* Come Pietro ha compreso l’amore preveniente di Gesù per lui, così anche noi dobbiamo radicarci
nel Suo amore al punto da non mettere più indugi o dubbi al fatto che nulla potrà più separarci dal
Suo amore e con la certezza che “Quando si è completamente di Dio, ogni cosa si può fare perché
si è soltanto attaccati a Dio il quale non può non aiutarci, darci forza e renderci costanti anche nei
momenti di prova”.
Spazio di silenzio e preghiera (insieme): Signore Gesù, Tu hai permesso che Pietro passasse
attraverso tante paure; fa che anche noi ci lasciamo amare da Te in tutte le nostre prove. Donaci di
riconoscere la Tua bontà, di lasciarci conquistare dalla Tua Croce per conoscerti come Tu sei, cioè
il Dio che ci ama, per poter con gioia partecipare alla Tua gloria e proclamarla agli altri (Carlo
Maria Martini).
4° QUADRO: la santità del quotidiano
E quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, là crocifissero lui e i malfattori. Ora, uno dei
malfattori lo bestemmiava dicendo: “Non sei forse tu il Cristo? Salva te stesso e noi!”. Ma
rispondendo, quell’altro, sgridandolo dichiarò: “Non temi neppure Dio, tu che sei nella
stessa condanna? Noi giustamente, perché riceviamo il contraccambio per quanto
facemmo. Ma costui non fece nulla fuori luogo”. E diceva: “Gesù, ricordati di me quando
giungerai nel tuo regno!”. E gli disse: “Amen: oggi sarai con me nel paradiso!”(Lc 23,33-43).
Commento. Ci sono due espressioni a cui porre attenzione in questo brano del Vangelo. La prima
è pronunciata dal malfattore e fa eco al ritornello che viene ripetuto anche dai capi e dai soldati:
“Salvi se stesso!”. Salvarsi rappresenta la massima aspirazione di ogni uomo che, mosso dalla
paura della morte, cerca di salvarsi da essa a tutti i costi e per fare questo si aggrappa alle tre
tentazioni più forti e più subdole di tutti i tempi: l’avere, il potere, e l’apparire.
A tutto ciò si contrappone la follia della croce. E’ la sapienza di Dio che oppone all’avere il donare,
al potere il servire, all’apparire l’essere umili.
Gesù non ci libera dalla morte ma dalla paura che abbiamo di essa; paura che ci avvelena tutta la
vita e ci impedisce di accettare di essere da Lui e per Lui.
Noi temiamo l’incontro con il Signore come la nostra morte e viviamo schiavi di questa angoscia –
più o meno mascherata – per tutta la vita. Il Signore ce ne libera, offrendoci la sua amicizia e
standoci vicino fino alla morte.
Sulla croce pare che tutto finisca e torni come prima anzi, peggio di prima perché il male sembra
aver vinto. Perché il nostro male radicale è voler salvare noi stessi. Ma Gesù, perdendosi per noi,
lo vince. Bisogna uscire dalla trappola delle nostre attese per cogliere la prospettiva di Dio. Dio che
non asseconda i nostri desideri ma mantiene le Sue promesse.
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Riflessione per noi. Ciò che noi dobbiamo fare è il passaggio dal primo al secondo malfattore. Tutti
in realtà siamo mal-fattori cioè facciamo il male e siamo inchiodati sulla croce del nostro male. Ma
il Signore si fa vicino a noi e la sua croce è la vicinanza di un amore più grande di ogni peccato
commesso e di ogni male subito.
Qualunque altro prodigio Dio avesse voluto fare in mio favore, non mi avrebbe persuaso del suo
amore. Sarebbe potuto essere un atto di potenza o di esibizione, che non avrebbe cambiato la mia
immagine – distorta – di Lui. Mentre la Sua impotenza, sulla croce, la sua vicinanza a me nel mio
male, la sua solidarietà con me fino alla morte, mi toglie ogni dubbio: Dio è amore e ama proprio
me, peccatore!
Di per sé, Gesù non mi salva dal male ma dalla sua radice che è il non sentirmi amato e accolto
così come sono, anche estremamente lontano da Lui perché peccatore. Gesù mi offre questa
liberazione fondamentale, senza la quale continuo a vivere nella mia paura.
C’è una seconda parola che va considerata in questo brano ed è la promessa di Gesù rivolta al
secondo malfattore: “Oggi, sarai con me, nel paradiso!”. E’ talmente grande e strabiliante questa
affermazione che, anziché commentarla, la trasformo in preghiera:
Preghiera. Oggi sarai con me nel paradiso. Oggi, io, il Signore elevato sulla croce, mi sono
abbassato sotto l’inferno per essere vicino ad ogni uomo. Entro nella morte perché tutti abbiano la
vita. Tu, sarai con me perché io, l’Emmanuele, sono con te. Ovunque, come vedi. Voglio stare con
te, perché tu possa stare con me. Ora concludo con te un’alleanza. E’ nuova, come la nostra
amicizia, che comincia oggi. E’ eterna, come la mia fedeltà che è più forte della morte. Anche dopo
sarai con me, come ora io sono con te. E questo è il paradiso, perché io sono la tua vita. Adamo
uscì dal giardino a causa della menzogna. Ora che mi vedi vicino e non puoi e non vuoi più
fuggire, conosci la verità di me e di te. Siamo di nuovo l’uno con l’altro. Sono venuto con te sulla
croce perché tu tornassi con me nel Regno. Ora che la tua paura di me è cessata e legata, vedi
che il mio amore per te è crocifisso e inchiodato. Non si allontanerà mai da te e tu non ti
allontanerai più da me. Vivremo sempre insieme: tu con me perché io con te; tu di me e io in te. La
mia delizia è stare con te; sei diventato per me il paradiso (Silvano Fausti).
E’ alla luce di questo “oggi”, di questo amore inchiodato sulla Croce che don Luigi parlava così del
dolore dell’uomo:
“Senza Dio, la gioia è dolore. Con Dio, il dolore è gioia. Non temete mai di soffrire quando c’è il
Signore. Temete piuttosto la gioia quando non c’è Lui. Preferite piuttosto il dolore alla gioia perché
il dolore porta infallibilmente i suoi frutti. Quando avete un dolore più forte di voi, avete il diritto di
aspettarvi da Dio qualche cosa di grande, di bello. Aspettate, dopo un dolore forte, grazie speciali
e personali e costaterete che il Signore vi ha ricompensato a dismisura”.
* E ancora: “Non si deve neppure supporre che Dio ami far soffrire. Egli vuole tutti felici ma come
conseguire la felicità? Dando al cuore la certezza di possedere una cosa stabile e per sempre:
questo è l’amore di Dio, questo è Dio stesso che è felicità eterna”.
* E’ sempre alla luce di questo “oggi” che don Luigi valorizzava ogni più piccolo gesto quotidiano e
invitava a “fare straordinariamente bene le cose ordinarie”.
* E’ infine alla luce di questo “oggi” che don Luigi valutava i nostri impegni quotidiani tutti
ugualmente importanti (il lavoro, le occupazioni varie, le situazioni che capitano, la preghiera, le
relazioni con i fratelli ecc…) però, diceva “che cosa conta il corpo? Che cosa contano questi 4
giorni sgangherati? L’importante è trovarsi insieme nel bel Paradiso!”.
Chiediamo al Signore che la meditazione e la preghiera anche dei prossimi giorni, in particolare
della settimana santa, ci conduca davvero a riconoscerlo come il Signore della nostra vita; come
colui che ha dato tutto per noi, per me; come colui che mi accompagna ogni giorno e mi attende
nel suo Paradiso.
Spazio di silenzio e preghiera: Cristo del Golgota, Cristo della tomba scoperchiata, Cristo della
resurrezione, Cristo eterno, lacera in noi – come accade in questi tempi nei campi, nei prati e in
tutta la natura – la crosta delle nostre povere frontiere; spacca, con il tuo amore, la terra gelata e
facci capire, amare e volere l’essere testimoni della tua Parola di verità e giustizia, di salvezza e di
pace. Spingici senza tregua; facci andare là dove l’uomo ha fame e sete di te e della tua verità.
Che quel luogo sia qui, nelle nostre città, nei nostri paesi, tra i poveri, gli oppressi, i dimenticati, i
malati. Aiutaci, Signore, te lo chiediamo con tutta la dolcezza e la forza della nostra fede e della
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nostra speranza! E aiutaci anche tu, grande, tenera, dolcissima Maria! Aiutateci ovunque! Aiutateci
sempre! Aiutateci con la vostra infinita luce e il vostro infinito amore! (Giovanni Testori).
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