Relazione al convegno - Federazione Italiana Cineforum
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Relazione al convegno - Federazione Italiana Cineforum
“L’Associazionismo culturale agli albori del XXI secolo. L’impegno dell’operatore culturale e il rogo della cultura” «Vedi noi?... Non ci si pensa e siamo al cinema. E invece siamo tutti nella storia». (rileggendo liberamente un sonetto di Cesare Pascarella) 1. Quando nel 2006-2007 il contributo statale per le attività dell’associazionismo cinematografico culturale venne rimodulato, e l’anno dopo ridimensionato, molti di noi hanno continuato a pensare che si trattasse sostanzialmente di una scelta contingente, suscettibile di rapidi aggiustamenti, che avrebbero permesso a ognuno di proseguire il proprio lavoro senza troppi timori. Al di là delle diverse sensibilità culturali e politiche dei governi rispetto l’importanza dell’associazionismo e del volontariato per la nostra società, che senso poteva avere soffocare un’esperienza consolidata, ricca di varietà che ha saputo interpretare dinamicamente le proprie finalità, sintonizzandole con i tempi? In realtà, senza esserne ancora pienamente consapevoli (come è successo a moltissimi italiani in molteplici ambiti, anche quelli più personali e privati), si è entrati con rapidità in un universo che ha posto questioni nuove e che costringe a considerare con occhi e prospettive diverse rispetto al passato questioni che avevamo già di fronte e con le quali ci stavamo misurando riguardo ai programmi e agli assetti organizzativi in quella che fino ad allora era una sostanziale rigidità delle dimensioni delle risorse finanziarie disponibili. Un universo nel quale il sistema culturale italiano nel suo complesso – di cui il cinema nelle sue molteplici articolazioni strutturali e configurazioni comunicative rappresenta una componente fondamentale – è costretto a muoversi lungo un orizzonte caratterizzato dall’incertezza e dalla opacità delle prospettive di futuro. Una situazione che deriva certamente dalla progressiva riduzione degli investimenti in strutture (recupero di patrimoni esistenti e realizzazione di nuove) e in tecnologie (particolarmente incisive sul piano dell’innovazione) e dei finanziamenti pubblici per le attività (sul versante della creatività nella produzione e della fruizione da parte delle persone), influenzata dalle politiche pubbliche ma anche da una tendenziale riduzione dei pubblici fruitori. Ma anche da una mentalità ancora diffusa (ne è condizionato esplicitamente anche l’attuale governo cosiddetto tecnico) che considera la cultura sostanzialmente un costo, una realtà economicamente improduttiva, non essenziale per rilanciare lo sviluppo e tendenzialmente una palla al piede in una fase di mancata crescita economica che costringe a ridefinire i criteri di valutazione, a rimodulare la distribuzione delle responsabilità e delle risorse e a ridelineare ogni ipotesi di prospettiva. Questo anche se costituisce il 2,6% del PIL e occupa circa un milione e mezzo di lavoratori con intrecci importanti nel campo dell’istruzione e della formazione. Una mentalità che ha condizionato le scelte politiche paradossalmente in aperto contrasto con l’enfasi che sulla cultura e la ricerca viene posta, come percorsi ineludibili per uscire dalla crisi di sistema in cui siamo precipitati. Parlare di crescita in chiave “economicistica” appare sempre più inefficace, oltre che riduttivo. È solo se si effettuano invece scelte che pensano anche allo sviluppo che il ruolo della cultura diviene strategico, con effetti positivi anche sul versante del lavoro giovanile, intellettuale, pragmaticamente sempre più permeato dall’uso di nuove tecnologie, linguaggi, saperi e forme di comunicazione e di scambio non solo culturale. 2. Va evidenziato, in ogni caso, che gran parte dei soggetti culturali (e fra questi la Federazione Italiana Cineforum), soprattutto nell’ultimo quadriennio, hanno affrontato le nuove problematicità emerse rivisitando con determinazione e riverificando periodicamente la validità culturale, l’efficienza organizzativa e la sostenibilità finanziaria delle proprie diverse attività, incidendo significativamente sui comportamenti consolidati e sui costi, con l’eliminazione di alcuni interventi e il ridimensionamento di altri, ma anche lanciando iniziative nuove e cercando alleanze. Una riverifica necessaria per gestire razionalmente la difficile situazione economica che sta mettendo a rischio (soprattutto se vi saranno ulteriori significative riduzioni del contributo ministeriale) la stessa sopravvivenza di molte associazioni, di certo nella loro attuale configurazione storica. La FIC, più in particolare, ha operato nel senso di un’ulteriore riorganizzazione interna (con una centralizzazione logistica e una diversificazione funzionale dei compiti), alla ricerca di collaborazioni tendenzialmente gratuite in ogni area, compresa quella della rivista «Cineforum» – da sempre considerata uno dei nostri impegni fondamentali –, anche sul versante dell’investimento finanziario. La rivista ha infatti sempre permesso di ampliare con le sue entrate di almeno il 30% l’ammontare del contributo ministeriale. Questa tensione a valorizzare economicamente i finanziamenti disponibili è, ed è sempre stato un lavoro, anche creativo, su cui ci impegniamo. Le attività collegate alla rivista stanno, com’è nell’ordine delle cose, acquisendo la nuova sperimentale area dell’online (sarà questo il domani delle riviste anche di cinema?). Ma anche una riverifica imposta dagli interrogativi posti dall’incalzante galassia multimediatica digitalizzata, che sta prendendo (forse ha già preso) il posto della “Galassia Gutenberg” teorizzata da Marshall McLuhan, che caratterizza sempre più la nostra epoca con continui mutamenti tecnologici che influenzano i prodotti e i linguaggi più assestati (come quelli cinematografici) e creano, anche attraverso insistite sperimentazioni e contaminazioni, prodotti e linguaggi prima inesistenti che combinano sempre più intimamente la cultura orale con quella alfabetica e con quella visiva. Forse un po’ peccando di determinismo tecnologico, forse memori di antichi sogni degli anni ’60 suscitati dalle nuove cinematografie dell’epoca – che guardavano a un cinema alla portata di tutti, anche come autori e non più solo come spettatori (un sogno che a suo modo si sta concretizzando proponendo una sorta di nuova antropologia delle culture) –, questi interrogativi che sono stati, sono e saranno al centro delle riflessioni sulle quali la Federazione è impegnata nei suoi momenti di studio e nel lavoro della rivista con l’intento di coniugare classicità e innovazione, memoria e costruzione di codici che permettano di decifrare sensatamente i cambiamenti nel presente orientandosi nel futuro. E riteniamo che proprio intorno a questi interrogativi, anche sul versante delle competenze e della modalità di lavoro, debbano sempre più impegnarsi gli operatori culturali. 3. Questo, ovviamente, non significa tradire o abbandonare il percorso che abbiamo intrapreso nel corso degli anni, bensì proseguirlo con tutte le capacità di interpretare e cavalcare i cambiamenti. Tutto l’associazionismo cinematografico culturale da lungo tempo ha messo in atto importanti interventi nel sostegno, nello studio e nella diffusione del cinema di qualità in Italia operando con tutti quei soggetti – dai circoli di cultura cinematografica alle associazioni di volontariato, dalle scuole ai gruppi di appassionati, dagli enti locali agli organismi di quartiere e di paese, dalle biblioteche alle sale del circuito commerciale e non – che costituiscono la rete, molto fitta, nella quale si intrecciano i percorsi della scoperta, della conoscenza, della proposta del cinema, come espressione artistica e come pratica culturale, in una quotidianità magmatica e mutevole, liquida e dagli orizzonti non prevedibili. Questa pratica ha assunto sempre più una forma di produzione e di scambio culturale cosmopolita, in grado di combinare patrimoni storici e antropologici talvolta distanti mettendo a confronto identità personali e radici comunitarie diversissime tra loro, spesso significativamente condizionate dalle spinte conflittuali di quella che può essere definita la globalizzazione culturale. È una pratica coerente con la missione di sempre dell’associazionismo cinematografico, che rappresenta una piccola parte, ma importante per la sua peculiarità, di quel vasto movimento che ha sempre animato la società italiana, nei suoi mille paesi e nelle sue cento città, rappresentato dal volontariato. Una missione che affida alla cultura un ruolo fondamentale necessario per la formazione della persona e del cittadino in una società aperta sempre, più frammentata e complessa, che abbisogna di forme di coesione e di progettualità comune. Una missione che i nostri circoli realizzano sia nelle grandi realtà metropolitane che nelle cinture delle periferie urbane, sia nelle città di provincia che in piccoli paesi dove spesso rappresentano una delle poche realtà, insieme con le biblioteche, di offerta culturale pubblica. I circoli, in generale, hanno saputo mutare pelle nel corso del tempo, in relazione alla trasformazione del mercato cinematografico e diversificato i sistemi e le modalità di presentazione al pubblico, per esempio supplendo alla chiusura di molte sale in città garantendo la possibilità per gli spettatori di poter vedere buoni film su grande schermo accompagnati da momenti di informazione, di riflessione e di dibattito. Non solo, hanno saputo affrontare l’adozione delle tecnologie elettroniche in costante evoluzione trasformandole creativamente in opportunità, con l’obiettivo di fare emergere e proporre al pubblico quell’universo in espansione che comprende le opere realizzate dai nuovi autori (in ogni parte del mondo, come dimostra l’insieme dei festival e delle tante manifestazioni affini sorte anche di recente in varie realtà locali), opere che sono state progettate per un nuovo pubblico in un diverso assetto produttivo e distributivo, sia sul versante delle forme organizzative che delle modalità operative. È anche per questo che la maggior parte dei circoli lavora, oltre che con il proprio pubblico, anche con le scuole, le biblioteche, le associazioni di volontariato sociale e le istituzioni locali soprattutto in occasione di momenti particolari (la Giornata della Memoria, la festa della donna, anniversari, ecc.) o per specifici segmenti di pubblico (i bambini, gli anziani, gli immigrati, chi ha interesse per la montagna, l’ambiente, le religioni, le realtà extraeuropee, la storia locale, ecc.). Il singolo circolo ha mutato spesso i luoghi (sempre meno le tradizionali sale di proiezione), i tipi di attività, i materiali e il rapporto con i soci. 4. Concludendo. In quest’ultimo quadriennio, dunque, il forte ridimensionamento del contributo statale ha spinto necessariamente l’associazionismo cinematografico a riconsiderare profondamente allocazione delle risorse finanziarie, livelli di spesa, strutture organizzative e modalità di funzionamento. Ogni prospettiva del ritorno al passato è sempre più inconsistente a causa anche della rivoluzione profonda dei media e dei modi di usarli e di fruirne l’opera. Questa consapevolezza costringe a guardare a quanto è essenziale nella propria storia, liberandosi da scorie che possono costituire un intralcio nel progettare il futuro e nel guardare in avanti senza lasciarsi troppo distrarre da quando appare sul retrovisore della memoria e della nostalgia. La FIC ha sempre considerato importante che le associazioni nazionali si trasformino in una vera e propria “lobby culturale” capace di esprimere forme di influenza politica in grado di elaborare e condividere progetti su cui chiedere interventi legislativi, amministrativi e finanziari specifici, evitando la tentazione (a cui spesso si è ceduto) di muoversi ognuno per sé, o per piccole aggregazioni, per ottenere risposte e contributi. Gli ambiti comuni di azione, per esempio, potrebbero riguardare: - la formazione, offrendo la possibilità di partecipare a operatori culturali di tutte le associazioni: sarebbe importante anche perché conoscersi e confrontarsi può costituire un buon incubatore per liberarci da scorie del passato che sono di intralcio e per progettare guardando al futuro, in avanti, senza lasciarci distrarre da esperienze ormai superate e non più produttive; - l’acquisizione e la distribuzione dei classici e delle nuove produzioni fuori mercato, favorendo l’adozione di norme di svincolo del sistema dei diritti per quanto riguarda il circuito culturale; - conoscere, far conoscere, incontrare gli autori (ma anche soggettisti, sceneggiatori, e tutte le maestranze che lavorano alla realizzazione di un film); - valorizzare le opere dei giovani autori e sostenere i piccoli festival che riescono a proporli, avviando un confronto e un coordinamento comune per presentarle nei nostri circoli e per parlarne nelle nostre pubblicazioni e negli incontri di studio; - approfondire, cogliere i fili rossi della continuità, ma anche quelli necessari e opportuni delle discontinuità, in un’epoca in cui sempre più il linguaggio dell’audiovisivo sta divenendo terreno comune, quotidiano, alla portata di molti. Giorno dopo giorno scopriamo che nessuno ha formule collaudate, se non i miopi e gli illusi, per navigare in un mare particolarmente infido e rischioso da sottovalutare. Per riuscire a farlo, come in molti altri settori della società italiana, si può affermare che il volontariato, come valore che ci ha sempre mossi, potrebbe dare ancora preziosi frutti. Uno dei modi di affrontare il presente (la crisi non è ciclica, implica un salto culturale e d’azione) è di recuperare la forza della mutualità, della responsabilità diretta, della cooperazione, del progettare e realizzare insieme. Può essere una prospettiva anche per l’associazionismo cinematografico? Spero che questo nostro incontro sappia offrire qualche indicazione e far scaturire qualche scelta al riguardo.