“Lista Falciani” e tutela del contribuente: utilizzabilità vs. attendibilità

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“Lista Falciani” e tutela del contribuente: utilizzabilità vs. attendibilità
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Diritto tributario italiano
“Lista Falciani” e tutela del contribuente:
utilizzabilità vs. attendibilità dei relativi dati
da parte dell’Autorità fiscale italiana
Andrea Carinci
Professore straordinario di Diritto
tributario nell’Università di Bologna
Avvocato
[email protected]
Nell’attesa che si consolidi l’esperienza applicativa, ci si
interroga sugli aspetti di maggiore criticità nell’uso da
parte dell’Amministrazione finanziaria di dati ed informazioni trafugati illecitamente
1.
Premessa
La vicenda nota come “Lista Falciani”, dal nome del dipendente della Banca svizzera HSBC che ha sottratto i dati relativi a
taluni correntisti per rivenderli alle autorità fiscali di altri Paesi,
tra i quali l’Italia, sollecita, accanto alle ovvie preoccupazioni
operative, delicate questioni di ordine sistematico.
Una tale vicenda offre infatti l’occasione per saggiare gli “anticorpi” del sistema, quello tributario italiano, verso derive giustizialiste e soluzioni sommarie e preconfezionate sul sillogismo: segreto bancario = evasore fiscale.
Da qui l’indubbio interesse per una riflessione sul tema, pur
nella consapevolezza che, per verificare in concreto l’efficacia
di simili “anticorpi”, occorrerà attendere l’esperienza operativa.
2.
Le modalità di acquisizione della “Lista Falciani” quale
condizione di legittimità
Dovendo per brevità e comodità espositiva dare per conosciuta la vicenda (per approfondimenti, ad ogni modo, si rinvia alla
bibliografia riportata), la prima questione che un approccio sistematico al problema impone di affrontare (e risolvere) inve-
ste la verifica di se e come l’acquisizione illecita della predetta
Lista sia in grado di pregiudicare la successiva azione dell’Autorità fiscale. Problema, questo, che tuttavia presuppone a
monte di appurare se, per il nostro ordinamento, l’acquisizione
della Lista debba ritenersi o meno illegittima.
Anche volendo trascurare il tema della legittimità dell’acquisizione delle informazioni in Svizzera e – passaggio successivo
– in Francia (si rammenta, per inciso, che la Corte di Appello di
Parigi, con Ordinanza del 5 febbraio 2011, ha annullato le ordinanze di primo grado che autorizzavano le verifiche fondate
sulla famosa Lista), sembra potersi escludere che l’acquisizione
da parte delle Autorità italiane della predetta Lista sia avvenuta in modo legittimo.
A questo proposito, va subito escluso che possa essere sufficiente invocare la Direttiva n. 77/799/CEE ovvero la Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia del 5
ottobre 1989 per invocare la legittimità dell’acquisizione delle
informazioni in oggetto. Si tratta, infatti, di informazioni relative a depositi presso una Banca svizzera e, quindi, di informazioni che, nel quadro delle collaborazioni tra amministrazioni
di Stati diversi sarebbero dovute pervenire in ragione di altri
canali convenzionali, differenti da quelli citati, ossia:
◆ la Convenzione del 9 marzo 1973 tra la Repubblica italiana
e la Confederazione svizzera per evitare le doppie imposizioni;
◆ l’Accordo CE – Svizzera del 26 ottobre 2004, tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera che stabilisce misure equivalenti a quelle definite nella Direttiva n.
2003/48/CE del Consiglio in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi.
Ma ciò non è avvenuto. Provocatoriamente, si potrebbe affermare che, del caso, si è trattato di un vero e proprio Treaty
abuse!
A ben vedere, la Lista è stata acquisita disattendendo i canali
convenzionali a ciò segnatamente preordinati. Risulta infatti
violato l’articolo 27 della Convenzione del 9 marzo 1973 tra
Italia e Svizzera che, in tema di scambio di informazioni, circoscrive le informazioni comunicabili a quelle che le legislazioni
fiscali dei due Stati permettono di ottenere nel quadro della
prassi amministrativa normale e comunque alle sole necessarie per regolare applicazione della Convenzione. La Conven-
Novità fiscali / n.01 / gennaio 2012
zione con la Svizzera ha infatti un contenuto, in tema di scambio di informazioni, più rigoroso di quello della Convenzione
Italia – Francia, che non contempla i predetti limiti. Appare
insomma elusa la Convenzione con la Svizzera, trattandosi di
informazioni che provengono da questo Paese così come risulta altresì disatteso l’Accordo CE – Svizzera del 26 ottobre
2004, tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera,
che stabilisce misure equivalenti a quelle definite nella Direttiva n. 2003/48/CE del Consiglio in materia di tassazione dei
redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi, dal
momento che le informazioni sono state acquisite senza le
procedure ivi disciplinate.
Nonostante le diverse convenzioni con la Svizzera, sia facenti
capo all’Italia sia facenti capo alla Comunità europea, in altre
parole, non si sarebbero potute ottenere direttamente dalla
Svizzera, né la Lista né le informazioni in essa contenute [1].
A questo punto, si deve rilevare anche che l’articolo 7, paragrafo 4, della Direttiva del Consiglio del 19 dicembre 1977, n.
77/799/CEE, prevede che per trasmettere ad uno Stato membro le informazioni acquisite da un altro Stato membro occorre
l’accordo con quest’ultimo. Si tratta – è vero – di una previsione che limita la trasmissione di informazioni acquisite mediante collaborazione circoscritta ai soli rapporti tra Stati membri.
Non di meno, essa evoca un più ampio principio, che ha trovato riconoscimento espresso nell’articolo 24 (Scambio di informazioni con i Paesi terzi) della Direttiva del 15 febbraio 2011,
n. 2011/16/UE (che abroga la Direttiva n. 77/799/CEE a far
data dal 1. gennaio 2013 [articolo 28]), laddove si prevede che
“l’autorità competente di uno Stato membro che riceve da un Paese
terzo informazioni prevedibilmente pertinenti per l’amministrazione e
l’applicazione delle leggi nazionali di detto Stato membro relative alle
imposte di cui all’articolo 2 può, a condizione che ciò sia consentito ai
sensi di un accordo con tale Paese terzo, trasmettere tali informazioni
alle autorità competenti degli Stati membri per i quali tali informazioni potrebbero essere utili e ad ogni autorità richiedente”.
Senza trascurare poi che, ipotizzando una sorta di “effetto
sanante” della Direttiva sullo scambio di informazioni sulle
informazioni acquisite illegittimamente, si giunge a privare il
contribuente di un vaglio giudiziale e di un contraddittorio in
merito alla legittimità dell’acquisizione delle informazioni che
hanno portato al recupero nonché all’irrogazione di sanzioni
nei suoi confronti. Ciò, in palese violazione della Convenzione dei diritti dell’Uomo, stando almeno alla più recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo (cfr. causa
C-18497/03 del 21 febbraio 2008, Ravon e altri vs. Francia).
Certo, si può obiettare: a chi spetta provare la liceità/legittimità dell’itinerario percorso per acquisire la Lista Falciani?
Perché, se fosse onere del contribuente, la prova potrebbe
divenire impossibile, alla luce della più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (n. 6472 del 9 dicembre 2011), che
ha negato al contribuente l’accesso alla comunicazione con
cui la Lista è stata trasmessa alle Autorità italiane, in ragione
dell’articolo 2, comma 1, lettera a) del Decreto ministeriale n.
603/1996, che sottrae all’accesso i “documenti relativi all’attività
investigativa ed ispettiva la cui diffusione può pregiudicare l’attività
di indagine di organismi nazionali ed esteri, incidendo sulla correttezza delle relazioni internazionali”.
Ma forse così non è: il principio di legalità come pure quello
di imparzialità (articolo 97 Costituzione italiana), che dovrebbero informare l’azione dell’Autorità fiscale italiana, portano a
vedere come preciso onere dell’Amministrazione finanziaria,
non solo quello di agire legittimamente, ma anche di fornire
prova in tal senso, dettagliando nella motivazione degli atti
impositivi le modalità di acquisizione delle informazioni impiegate. In ogni caso, è certamente onere dell’Amministrazione
procedente argomentare come e quale delle diverse modalità
di scambio, previste dalla Direttiva sullo scambio di informazioni, è stata in concreto impiegata (a richiesta ex articolo 2;
automatico ex articolo 3; spontaneo ex articolo 4, ovvero controlli simultanei o verifiche fiscali all’estero), con quali garanzie
e con quali forme. Un’eventuale mancanza in tal senso appare
censurabile come vizio di motivazione dell’atto.
Sennonché, data l’illegittimità nell’acquisizione delle informazioni contenute nella Lista, occorre risolvere il secondo interrogativo, ossia indagare le conseguenze di una simile illegittimità
sulla successiva attività dell’Amministrazione precedente.
Va subito detto che l’eventuale illegittimità potrebbe restare
confinata al solo “innesco”; come tale, sarebbe destinata a restare irrilevante. Ciò, ad esempio, potrebbe accadere nel caso
in cui il contribuente confermasse o convalidasse i dati ed i
fatti ascrittigli, contenuti nella Lista.
In caso contrario, l’illegittimità dell’acquisizione delle informazioni si dovrebbe tradurre nell’illegittimità delle prove a fondamento della pretesa avanzata dall’Autorità fiscale. Illegittimità,
questa, che tuttavia – alla stregua dell’opinione consolidata –
non sarebbe idonea a provocare di per sé sola l’annullamento
dell’accertamento per cosiddetta “illegittimità derivata” (vitiatur sed non vitiat), quanto semmai e solo l’inutilizzabilità delle prove medesime e, per questa via, l’infondatezza dell’atto
impositivo conseguente (in tal senso, da ultimo, Cassazione
n. 16570 del 20 luglio 2011, sebbene, in genere, la Cassazione
tenda a restringere l’operatività dell’articolo 191 Codice di procedura penale al processo tributario nei soli casi di violazione
di garanzie costituzionali). Tale conclusione, peraltro, potrebbe
ricevere un avvallo dall’orientamento giurisprudenziale che ritiene qui applicabile l’articolo 240 Codice di procedura penale
(GIP del Tribunale di Pinerolo del 4 ottobre 2011) e, quindi, la
distruzione, oltre che l’inutilizzabilità, dei “documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni” [2].
Occorre però prestare anche attenzione al tipo di accertamento in concreto attivato. Diverse possono infatti essere le
implicazioni a seconda che si tratti di una rettifica ovvero di un
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accertamento d’ufficio, stante la formula dell’articolo 41 Decreto del Presidente della Repubblica n. 600/73, che legittima
l’Agenzia a procedere “sulla base dei dati e delle notizie comunque
raccolti o venuti a sua conoscenza”.
3.
L’inattendibilità delle informazioni contenute
nella “Lista Falciani”
Oltre alla legittimità dell’acquisizione delle informazioni contenute nella famosa Lista, bisogna poi sindacarne altresì l’idoneità a provare la consistenza, la titolarità ed i movimenti
dei conti in essa riportati. Ciò, anche in considerazione della
circostanza che quelle informazioni dovrebbero, a loro volta,
costituire il fatto noto su cui basare presunzioni (per esempio
la redditività del deposito) [3].
Ebbene, la documentazione in oggetto non presenta alcun riferimento che consenta di imputarla univocamente ad un dato
operatore. Mancano loghi, firme o altri elementi utili a riferire
i documenti medesimi, e così il contenuto degli stessi, a precisi
soggetti, così come manca ogni ufficialità e/o qualsivoglia attestazione circa la provenienza dalla banca presso cui sarebbero depositati i conti contestati.
Non si tratta di invocare un esasperato e vuoto formalismo.
L’articolo 32 Decreto del Presidente della Repubblica n. 600/73
e l’articolo 51 Decreto del Presidente della Repubblica n.
633/72, nel disciplinare l’acquisizione delle informazioni bancarie, sono univoci nel prescrivere l’origine delle informazioni
proprio e solo dagli operatori bancari: “la richiesta deve essere
indirizzata al responsabile della struttura accentrata, ovvero al responsabile della sede o dell’ufficio destinatario che ne dà notizia immediata al soggetto interessato”.
Inoltre il Provvedimento del 22 dicembre 2005 dell’Agenzia
delle Entrate, che disciplina le modalità tecniche di richiesta e
trasmissione delle informazioni nel corso delle indagini bancarie, prescrive non solo che le risposte, formate sulla base dello
schema XML, siano firmate digitalmente dal responsabile della
struttura accentrata (punto 4.1), che gli eventuali allegati siano forniti in un documento statico non modificabile (punto
4.2) ma anche che le richieste, come le risposte, siano date
utilizzando il sistema di posta elettronica certificata (punto
5.1), proprio per assicurare la sottoscrizione delle richieste e
delle relative risposte (cfr. la Motivazione del Provvedimento).
In sostanza, la disciplina sulle indagini bancarie in materia
fiscale vigente in Italia prescrive specifici accorgimenti rivolti segnatamente a garantire l’attendibilità delle informazioni
in tal modo ottenibili: mancando qualunque garanzia circa la
provenienza dei dati, e quindi la loro attendibilità, non è quindi
possibile attribuire alle informazioni ottenute alcun valore ulteriore che non quello di un mero indizio.
[1] Senza dimenticare poi che, dal 1. ottobre 2011,
è in vigore in Svizzera l’Ordinanza sull’assistenza
amministrativa secondo le convenzioni per evitare le doppie imposizioni, approvata dal Consiglio
federale, ai sensi della quale le autorità elvetiche
debbono rifiutarsi di collaborare con autorità
straniere se la richiesta si fonda su: a) informazioni
ottenute o trasmesse mediante reati secondo il
La provenienza da HSBC Private Banking delle informazioni
reperibili dalla “Lista Falciani” sembra affermabile solo in ragione del fatto che si tratta di materiale proveniente da un
ex dipendente della medesima, ossia il signor Hervè Falciani.
E ciò, a rigore, non appare in linea con tutta la disciplina sulle
indagini finanziarie.
In conclusione, in un’ottica di sistema e di corretta lettura del
dato normativo, si è portati ad assegnare alle informazioni
contenute nella famosa Lista solo l’idoneità a fungere da segnalazione indiziaria con cui avviare, del caso, un’indagine volta ad acquisire vere e proprie prove a carico del contribuente.
Non anche il ruolo di prova su cui fondare, di per sé sola, un
recupero di imposte, tanto più se fondato su presunzioni elaborate proprio partendo da quelle informazioni.
Per maggiori informazioni:
Conti Carlotta, Il volto attuale dell’inutilizzabilità: derive sostanzialistiche e
bussola della legalità, in:
Dir. Pen. e Processo, 2010, 7, pagina 781 e seguenti
D’Ayala Valva Francesco, Acquisizione di prove illecite. Un caso pratico: la lista
Falciani, in:
Riv. Dir. Trib., 2011, II, pagina 402 e seguenti
Marcheselli Alberto, Accessi e verifiche fiscali: un’altra tappa verso il giusto
processo tributario in una decisione della corte europea dei diritti dell’uomo, in:
Giurisprudenza Italiana, 3/2009
Polito Carlo, Scambio di informazioni: abuso nell’acquisizione di dati contenuti nelle “liste”, in:
Fiscalità e commercio internazionale, 2011, pagina 21 e seguenti
Saporito Guglielmo, Lista Falciani: atti di indagine non accessibili, in:
Il Sole 24Ore del 27 dicembre 2011
Vignoli Alessia/Lupi Raffaello, Sono utilizzabili le informazioni illecitamente
sottratte da impiegati di istituti di credito esteri?, in:
Dialoghi tributari, 2011, pagina 268 e seguenti
Elenco delle fonti fotografiche:
h t t p://w w w. b r o g i . i n f o/w p - co n t e n t /u p l o a d s/2 011/01/Fa l c i a n i
-95073935.jpg [24.01.2012]
http://4.bp.blogspot.com/_hK1LjxCVC3Y/TS185AvtlzI/AAAAAAAAAOo/
jguVhWciyBs/s1600/Gold.jpg [24.01.2012]
diritto svizzero; b) ovvero è contraria all’ordine
pubblico; c) è contraria alla buona fede.
[2] Questa conclusione è stata seguita dalla Commissione Tributaria Provinciale di Como n. 188 del
1. novembre 2011.
[3] Questo profilo dell’inattendibilità è stato valorizzato dalla Commissione Tributaria Provinciale
di Milano n. 367 del 15 dicembre 2009.