A. Mastino-C. Vismara, Turris Libisonis, collana

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A. Mastino-C. Vismara, Turris Libisonis, collana
A. Mastino-C. Vismara, Turris Libisonis, collana “Sardegna archeologica. Guide e Itinerari”, Sassari,
Carlo Delfino, 1994:
L’area archeologica sotto l’agenzia della Banca Nazionale del Lavoro (corso Vittorio Emanuele II)
Sotto l’agenzia della BNL in corso Vittorio Emanuele nn. 18-20 si conservano resti dell’abitato antico venuti
in luce nei saggi effettuati negli anni 1978-79, sotto la direzione di F. Villedieu, in occasione dei lavori di
ricostruzione della sede del palazzo (per la visita, rivolgersi al personale della Banca).
Porto Torres. Pianta delle strutture venute alla luce sotto la sede della B.N.L. in Corso Vittorio Emanuele
La storia edilizia dell’area si può così riassumere: intorno alla fine del II secolo, nel quadro di una generale
espansione della città ed in relazione col porto, furono edificati degli horrea, che vennero poi distrutti nel V
secolo per consentire la costruzione di un muro di cinta, motivata dalle preoccupazioni per la politica
espansionistica dei re Vandali. La fortificazione, in grossi blocchi di calcare in parte di spoglio, fu demolita
probabilmente in occasione della riconquista vandala del 482-483; i pochi filari superstiti sono attualmente
visibili nei sotterranei della banca.
Si percorre il corso Vittorio Emanuele sino a Piazza Colombo, ove un’antica colonna posta nel giardino
pubblico sta ad indicare il punto d’inizio della strada per Cagliari.
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Porto Torres. Piazza Colombo: la colonna che indica l’inizio della strada per Karales
Le terme ed il quartiere ad Est della stazione ferroviaria
Si torna in piazza Umberto I e si imbocca, sulla destra, via Ponte romano; poco prima di raggiungere il
piazzale della stazione ferroviaria sono visibili sulla sinistra, tra la vegetazione, resti di strutture antiche: muri
edificati in opera a telaio, un’abside in blocchetti di calcare, restaurata superiormente in laterizio. Gli scavi,
eseguiti negli anni ’60 sotto la direzione di G. Maetzke, hanno portato in luce due quartieri di abitazione
separati da una strada, uno disposto a terrazze lungo il fianco della collina, l’altro alla base di essa. Su una
parte di quest’ultimo, che risale all’epoca di Augusto, venne ad impostarsi, in età imperiale avanzata, un
impianto termale: l’abside è quanto rimane di un ambiente riscaldato (caldarium) quadrangolare. Poco
lontano fu rinvenuta, nel 1927, la lunga iscrizione commemorante la vittoria del duca bizantino Costantino sui
Longobardi e sugli “altri barbari’’, attualmente conservata nella basilica di san Gavino.
Anche l’altura nella quale fu ricavato il tunnel ferroviario era popolata in antico: gli interventi di scavo che si
sono susseguiti nell’area hanno portato in luce tratti stradali, murature, due pavimenti musivi che sono andati
perduti, alcune sculture, conservate per lo più al Museo Nazionale G. A. Sanna di Sassari, e molti oggetti
d’uso comune.
Porto Torres. Veduta del quartiere ad Est della stazione ferroviaria
Porto Torres. Veduta aerea dell’area della stazione. Da sinistra: l’Antiquarium, le terme dette “Palazzo di re
Barbaro”, il quartiere ad Est della stazione
Le terme dette “Palazzo di Re Barbaro’’ e il quartiere ad esse contiguo
Le considerevoli emergenze monumentali prossime all’Antiquarium appartengono ad un complesso di
carattere pubblico e sono rimaste sempre visibili nei secoli, stimolando la fantasia popolare che le interpretò
come le rovine del palazzo di Barbaro, detto poi re Barbaro.
Questi, secondo il tardo ed inaffidabile racconto del martirio di Gavino, sarebbe stato il governatore dell’isola
che lo condannò alla decapitazione.
Gli scavi nell’area vennero promossi da Maria Teresa d’Austria ed iniziarono nel 1819, ad opera del frate
Antonio Cano, sedicente architetto ed archeologo, che per ottenere più celeri risultati non ebbe scrupolo a
far saltare con le polveri interi settori. Le ricerche continuarono a più riprese, sino ad anni recenti, ma il
complesso è a tutt’oggi noto solo in minima parte.
Delimitato da due cardines e da due decumani, l’edificio fu ampiamente rimaneggiato in antico; in una prima
fase, che è stata attribuita alla fine del I sec. a.C., i vani si disponevano assialmente da ovest (ingresso) ad
est (calidarium) e le murature erano in laterizio.
La fase edilizia oggi visibile presentava un orientamento in senso nord-sud, murature per lo più in opera
vittata di calcare e laterizio, copertura con grandi volte ora crollate, pavimenti musivi databili alla fine del III
— inizi del IV sec. d.C.
Pianta delle terme dette “Palazzo di re Barbaro”. 1: gradinata; 2: podio; 3: frigidarium; 4-5: apodyteria; 6-7:
tepidaria; 8-9: stanze riscaldate; 10: calidarium; 11: laconicum; 12: criptoportico; 13: locali di servizio.
L’ingresso si apre sul lato settentrionale ed è preceduto da un portico con una pavimentazione musiva
policroma dallo schema molto articolato: all’interno di una ricca cornice, coppie di esagoni allungati,
intrecciati perpendicolarmente, delimitano campi centrali ottagonali. Il primo ambiente, affiancato da due vani
minori, è un vasto frigidarium allungato, con due vasche sui lati maggiori; la sua decorazione musiva è quasi
completamente scomparsa, mentre resta quella delle vasche laterali, che imita intarsi marmorei. Alle
estremità del lato d’ingresso furono ricavati, come si è visto, due spogliatoi (apodyteria). Dall’angolo sudovest della sala, mediante un breve corridoio, si accede ad un tepidarium di piccole dimensioni, il cui
mosaico pavimentale consta di quadrati a motivi vegetali delimitati da fasce costituite da trecce a otto capi. Il
tepidarium comunica a sud con un altro tepidarium , di forma allungata, il cui lato breve meridionale è
curvilineo, che dà accesso a sua volta ad una sala rettangolare, anch’essa riscaldata, in asse col frigidarium.
Questa comunicava a sua volta con il calidarium absidato, che occupava l’angolo sud-est del complesso e
dava accesso a due ambienti minori: un tepidarium a nord ed un laconicum a sud.
Le suspensurae degli ambienti riscaldati sono costruite con blocchi di calcare, non con i consueti laterizi: le
continue sollecitazioni dovute alle alte temperature hanno fatto sì che la pietra cedesse in vari punti,
segnatamente presso i praefurnia.
Adiacente al lato orientale del frigidarium, ad un livello molto inferiore rispetto ad esso, è un vasto ambiente,
che è stato interpretato come uno spogliatoio (apodyterium); esso presenta quattro nicchie semicircolari sul
lato orientale e la sua pavimentazione è costituita da un mosaico geometrico bianco-nero databile al II sec.
d.C.
Lungo il lato meridionale dell’edificio correva un criptoportico.
Anche le volte delle terme erano ricoperte da mosaici, ma di tale decorazione resta oggi ben poco. Una fase
edilizia più tarda è testimoniata da murature irregolari visibili in alcuni punti del complesso.
Nel quartiere presso le terme sono stati compiuti scavi a diverse riprese, ma mancano ancora una pianta
esauriente di esso ed un’edizione soddisfacente che consenta di interpretare e datare le strutture visibili.
Gli isolati erano delimitati dalle strade che si tagliavano ad angolo retto; il cardine che corre parallelo al lato
occidentale delle terme fu ad un certo momento affiancato da un portico di colonne di spoglio, che venne
successivamente chiuso da tramezzi in muratura.
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Il peristilio
Proseguendo su via Ponte romano, poche decine di metri dopo l’ingresso all’Antiquarium e agli scavi sono
visibili sulla sinistra, presso l’edificio adibito a magazzino archeologico, i resti del peristilio e del portico
scavati dal Pallottino nel 1941.
Il peristilio era delimitato sul lato orientale da un portico con colonne marmoree, del quale si misero in luce
circa 14 metri. In una prima fase edilizia la pavimentazione del portico era costituita da lastre marmoree,
quella del peristilio consisteva in un semplice battuto.
Successivamente il peristilio venne lastricato in trachite e il portico, parzialmente chiuso mediante muretti,
ricevette una pavimentazione musiva policroma a riquadri entro treccia a più capi, databile intorno alla fine
del III-inizi del IV sec. d.C. Accanto al portico fu rinvenuto un altro mosaico, anch’esso policromo, oggi
perduto. Dell’insieme sono ormai visibili solo pochi resti delle colonne.
Il complesso aveva quasi certamente carattere pubblico, come indica il rinvenimento nell’area di una base di
statua dedicata all’imperatore Galerio nel 305 dal governatore dell’isola Valerio Domiziano.
L’ipotesi che nel fianco settentrionale della collina dietro il portico fosse ricavata la cavea di un teatro non è
suffragata da dati di scavo; inoltre, data la posizione del portico e del peristilio, non vi sarebbe spazio
sufficiente per l’orchestra e la scena.
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Le piccole terme di via Ponte romano
Poco oltre, sempre lungo il lato meridionale di via Ponte romano, sono i resti di un piccolo complesso
termale scavato anch’esso dal Pallottino nel 1941-42.
Pianta delle piccole terme su via di Ponte romano.
L’insieme, che presenta un orientamento in senso est-ovest, consta di tre ambienti affiancati e di altre
strutture annesse. Il più settentrionale è una vasta sala quadrangolare riscaldata, come mostrano le
intercapedini isolanti lungo le pareti e le suspensurae in laterizio sulle quali poggiava il pavimento. Questo
era decorato da un mosaico policromo oggi perduto, il cui schema consisteva in una serie di riquadri
delimitati da una treccia multipla, compresi in una cornice a meandro con svastiche e quadrati. Dal lato
orientale di questo vano si accedeva, mediante tre gradini, ad una vasca pressoché quadrata, anch’essa
decorata da un mosaico policromo, geometrico, con reticoli di losanghe e quadrati curvilinei.
Il vano centrale, non interamente scavato, termina ad est con un’abside ed era coperto verosimilmente con
una volta a botte; il pavimento musivo, oggi quasi completamente distrutto, era costituito da rettangoli con i
lati brevi curvilinei, disposti a reticolo, che definivano settori quadrati.
Il terzo ambiente, il più meridionale, è anch’esso di forma rettangolare allungata, con i lati brevi curvilinei.
L’unico elemento di datazione per il complesso termale è costituito dai mosaici, che si collocano intorno alla
fine del III - inizi del IV secolo d.C.
Il Ponte romano in una fotografia d’epoca.
Il Ponte romano visto da Sud-Est.
Il ponte romano
Si prosegue su via di Ponte romano e, poco prima di raggiungere il rio Mannu, compiendo una breve
deviazione a sinistra sulla strada che costeggia il fiume, ci si trova nella zona in cui venne portata in luce una
porzione delle mura. Dopo aver attraversato la ferrovia si possono scorgere sulla sinistra, sul fianco della
collina calcarea, un paramento di grossi blocchi di calcare squadrati, i resti di una fornace romana di forma
cilindrica e, più in basso, lo speco dell’acquedotto.
Nella zona si trovava in antico un quartiere artigianale di vasai, dediti alla produzione di lucerne e di piccoli
busti fittili di Cerere; alla porzione delle mura venuta in luce in quest’area si appoggiava infatti un terrapieno
costituito da ceneri e da scarti di fornace. Lo scavo ha restituito inoltre una serie di matrici, conservate
nell’Antiquarium; altre, rinvenute in precedenza in occasione di saggi o in superficie, sono esposte al Museo
Nazionale G. A. Sanna di Sassari.
Il ponte, sul quale la strada che congiungeva la città a Karales per la zona mineraria dell’Argentiera
superava il rio Mannu, è una costruzione lunga 135 m, che si articola in sette arcate a sesto ribassato di
dimensioni crescenti verso ovest.
I piloni hanno risentito in misura minore che non altre parti del monumento degli interventi di restauro che lo
hanno interessato in varie epoche; costruiti in opera quadrata di calcare locale, sono fasciati alla base da
blocchi di trachite. Il pilone tra le prime due arcate occidentali presenta su entrambe le facce una nicchia con
coronamento a doppio spiovente.
Sotto le arcate minori, previste per il deflusso delle acque in periodo di piena, si conserva una
pavimentazione in lastre di trachite, simile a quella della strada antica.
Una cornice modanata tangente alla chiavi delle arcate sottolineava all’esterno il livello stradale e l’imposta
della spalletta.
Sulla base del confronto con un ponte di Rimini iniziato sotto il principato di Augusto ed inaugurato da
Tiberio nel 22 d. C., si è suggerita per il monumento turritano una cronologia intorno agli stessi anni.
Marinella
Subito oltre il ponte, in località Marinella, si stende la vasta necropoli occidentale della città. Le tombe, datate
in base ai materiali del corredo intorno al II sec. d. C., consistono per lo più in fosse scavate nel calcare, ma
non mancano tombe ipogeiche a camera, talvolta con arcosoli e con decorazione dipinta. Alcune fosse
scavate nel banco di calcare sono visibili sul taglio della strada moderna che attraversa l’area della
necropoli.
Una scelta dei ritrovamenti ed un pannello esplicativo sono al piano superiore dell’Antiquarium, sulla destra
di chi sale.
Presso la foce del rio Mannu fu scavata nel 1964 una fornace legata alla produzione di laterizi; la posizione
periferica rispetto al centro urbano e l’abbondanza di acqua spiegano la presenza di un quartiere di figuli su
entrambe le rive del fiume.
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Le necropoli orientali
Una vasta necropoli si estendeva ad oriente della città: ampie porzioni di essa, oltre ad alcuni complessi, ci
sono noti perché sono stati oggetto di scavi sistematici in vari momenti. Si darà un cenno anche dei settori
non più visibili, dal momento che i materiali in essi rinvenuti sono esposti nell’Antiquarium; tra questi si
segnala, presso il porto, l’area già occupata dai depositi Shell, ove gli scavi compiuti tra il 1981 ed il 1984
hanno portato alla luce 80 tombe, per lo più fosse scavate nella roccia, con copertura piana o alla
cappuccina, databili tra il II ed il IV s. d.C. Una di esse si distingueva per l’aspetto più monumentale: al di
sopra della cappuccina era infatti una struttura cementizia rettangolare absidata, con pitture raffiguranti
motivi vegetali ed una piccola mensola. Altri scavi, nella medesima area, hanno portato alla luce anch’essi
inumazioni in fossa, talvolta con un tumulo intonacato, ed un sarcofago di piombo, conservato al piano
terreno dell’Antiquarium. Un altro settore, ad una cinquantina di metri ad est del corso Vittorio Emanuele, fu
oggetto d’indagine nel 1963 e restituì una trentina di tombe a fossa contenenti inumazioni, scavate nel banco
calcareo.
Tanca Borgona
Al complesso delle necropoli orientali appartengono inoltre i due monumenti funerari siti in località Tanca
Borgona, sulla strada per Balai, ad est di via Principe di Piemonte: un colombario ed un complesso ipogeico
con arcosoli e formae (cioè tombe a fossa) scavate nel pavimento . Gli scavi furono eseguiti nel 1944 sotto
la direzione di G. Lilliu: nel 1988 sono stati compiuti lavori di restauro e consolidamento e nuovi rilievi.
Un’illustrazione grafica, fotografica ed un testo esplicativo sono visibili su un pannello esposto al piano
terreno dell’Antiquarium; al piano superiore, nelle vetrine nn. 27-29, si conservano i materiali restituiti dallo
scavo di questi monumenti.
Il colombario è di forma inconsueta: ha pianta circolare e presenta un sostegno cilindrico centrale, relativo
verosimilmente ad una copertura lignea. Sulla parete sono 8 nicchie centinate destinate a contenere le urne
con le ceneri dei defunti. Ne vennero utilizzate solamente 4, alternate a quelle vuote: in esse le urne, in
terracotta, erano collocate sotto il piano di base.
Il colombario di Tanca Borgona: pianta e sezione.
L’ipogeo di Tanca Borgona: pianta e sezione.
Poco distante è un vasto ipogeo a camera, con due pilastri risparmiati nel calcare ed 8 arcosoli anche
polisomi ricavati nelle pareti e formae scavate nel pavimento; una di queste era ricoperta da un mosaico, ora
perduto, con l’iscrizione di un Pollius, inquadrata da una cornice a lastrine di marmo costituita da iscrizioni
funerarie ritagliate a listelli. Le tombe erano protette da tegole disposte in piano o a doppio spiovente e
murate. Sulla parete di uno degli arcosoli si conserva un lacerto di affresco raffigurante un personaggio
maschile.
L’ipogeo, che conteneva in totale 32 inumazioni, fu utilizzato dagli inizi del III sec. d.C. alla seconda metà del
successivo. Le tombe hanno restituito un gran numero di iscrizioni incise su lastre marmoree, oltre a quelle
di spoglio, che si conservano ora nell’Antiquarium (piano superiore, vetr. n. 26). Un intervento di scavo
compiuto nel 1988, nel quadro di lavori di restauro, ha portato in luce una tomba a fossa dinanzi all’ingresso
dell’ipogeo.
Le tombe ad arcosolio in località Scogliolungo
Uno dei complessi funerari più interessanti della città venne scavato dal Maetzke nel 1963 in località
Scogliolungo, dietro l’Istituto Nautico, a seguito dell’inizio di lavori di sbancamento della collina costituita da
un banco di calcare. I lavori, eseguiti con mezzi meccanici, avevano già arrecato gravi danni all’insieme, al
momento in cui ebbero inizio gli scavi. Si tratta di un complesso funerario che occupa l’area di una cava
romana, costituito da quattro camere con arcosoli scavate nel fianco della collina. Gli arcosoli contengono
per lo più due o tre inumazioni affiancate; talvolta si notano deposizioni sovrapposte; con le formae praticate
nel pavimento sono state recensite più di 50 sepolture; bisogna tener conto tuttavia delle distruzioni operate
dai lavori di sbancamento. In base allo studio dei materiali di corredo ed al confronto con complessi simili
esplorati in Sicilia ed altrove, lo scopritore ha proposto la fine del III sec. d.C. come data d’inizio
dell’utilizzazione dell’area, che rimase in uso sino al VII secolo.
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Pianta e sezione della necropoli in località Scogliolungo.
Tombe con mosaico
Nel 1964 fu scavato, lungo la strada nuova di Balai, un complesso di 11 inumazioni in fossa con copertura di
embrici, 8 delle quali raggruppate in uno spazio limitato. Tra queste erano le deposizioni di due coniugi,
Dionisio e Septimia Musa: le tombe erano vicine e parallele, protette da embrici disposti “alla cappuccina” e
coperte da una muratura rivestita, per la parte emergente, da un mosaico funerario – conservato
nell’Antiquarium – con le iscrizioni che ricordavano i defunti. Sulla base di confronti con mosaici funerari
analoghi, presenti segnatamente in ambiente africano, e del formulario delle iscrizioni, le tombe sono state
datate alla seconda metà del IV secolo, o agli inizi del successivo.
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Iscrizione musiva dalla tomba venuta in luce lungo la strada per Balai.
San Gavino a mare
Proseguendo lungo la costa, all’estrema periferia dell’abitato, sul promontorio di Balai si incontra la chiesetta
di san Gavino a Mare, nei pressi della quale è stato scavato un complesso ipogeico costituito da tre camere
comunicanti. Una di esse presenta delle banchine lungo le pareti ed una nicchia absidata nella quale si
trovava in origine un piccolo altare, sostituito successivamente da un altro, di dimensioni maggiori, in blocchi
di tufo. Gli scavi eseguiti nel 1980 hanno portato in luce una struttura, probabilmente un’edicola, anteriore
alla chiesa e relativa all’ambiente sito dietro di essa: una cisterna coperta a botte, che nell’alto medioevo
venne trasformata in sacello.
La documentazione relativa al monumento è esposta in un pannello al piano superiore dell’Antiquarium.