QUESITO

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QUESITO
Edizione Speciale Quesiti
Quesiti
Tutte le risposte
degli esperti del
Centro Studi Ancl
Prossima "1081"
In edicola dopo le
festività pasquali
nella veste ordinaria
Chi siamo
Dirigenti e sedi
del sindacato
nazionale e locale
Terzo
Speciale Quesiti,
successo annunciato
REDAZIONE
Bollettino ufficiale
Associazione Nazionale
Consulenti del Lavoro
Sindacato Unitario
Anno 2 - Numero 7 (10)
Direttore responsabile
Francesco Longobardi
Capo redattore
Diana Paola Onder
Coordinatori di redazione
Silvia Bradaschia
Giuliana Della Bianca
Redazione e impaginazione
Solcom srl
via Salvatore Matarrese, 2/G
70124 Bari
Editore
Ancl - Segreteria Nazionale
via Cristoforo Colombo, 456
Scala B, II piano
00145 Roma
Contatti
www.anclsu.com
[email protected]
[email protected]
chiuso alle ore 17.20
del 30 marzo 2010
SOMMARIO
EDIZIONE
SPECIALE QUESITI
INtroduzione
Terzo speciale quesiti,
un successo annunciato
pag. 3
quesiti
20 quesiti e le risposte
degli esperti
pag. 3
CHI SIAMO
in ultima
PAG. 3 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010
QUESITI
Terzo speciale quesiti,
un successo annunciato
Con questa terza parte dello speciale quesiti de "Il Consulente milleottantuno" si chiude il trittico tutto
dedicato alla storica rubrica della rivista ufficiale dell'Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro Sindacato Unitario. Il Centro Studi e la redazione hanno lavorato alacremente per fornire ai colleghi
consulenti del lavoro una banca dati di assoluto prestigio, riproponendo tutti i quesiti dell'ultimo anno
in una pratica pubblicazione da stampare e da conservare. Tre parti con oltre 80 quesiti (ma ogni
precedente numero della 1081 ne ha contenuti di ulteriori) che spaziano dalle indennità di maternità
all'esenzione contributiva sulle indennità di malattia corrisposte direttamente dai datori di lavoro (in
questa edizione ben tre quesiti con la stessa risposta a cura di Rosario D'Aponte).
Un grazie sincero ai collaboratori della rivista, al Centro Studi diretto dalla dott.ssa Paola Diana
Onder e a tutti gli esperti di questi ultimi due numeri (in rigoroso ordine alfabetico Giuseppe Bizzarro,
Bruno Bravi, Carlo Cavalleri, Rosario Cassarino, Paola Cogo, Giovanni Cirmi, Rosario D'Aponte, Maria
Luisa Di Marco, Renzo Ghiotto, Gabriele Giardini, Chiara Giovannini, Renzo La Costa, Anna Maistro,
Cristiana Michieli, Giammaria Monticelli, Roberto Morini, Roberto Sartore, Antonio Stella, David Trotti,
Giovambattista Vavalà, Paola Diana Onder, Alessandro Rizza, Renato Francesco Savio, Giulio Dapelo,
Stefania Scoglio, Davide D'Ambrogio, Simone Nicolè, Alfio Catalano).
La redazione
Azienda con più punti vendita,
sufficiente conservare il LUL
nella sede legale
a cura di
Diana Paola Onder
Coordinatrice Centro Studi
Nazionale Ancl
QUESITO
Durante una verifica dell’ispettorato del lavoro in un’azienda che ha più punti vendita, l’ispettore sostiene
che in ogni negozio ci deve essere una mia dichiarazione che il LUL é presso il mio studio. La mia
dichiarazione é depositata presso la sede legale, é legale quanto sostenuto dall’ispettore?
RISPOSTA
Esperto:
Renzo La Costa
Ai fini della soluzione del quesito posto,
si riporta di seguito la soluzione dettata dal
Ministero del Lavoro, disponibile sul sito www.
lavoro.gov.it alla sezione Libro Unico/domande
ricorrenti:
E) Vigilanza, illeciti e sanzioni
1 - L’azienda che ha più unità organizzative
(come ad esempio una banca che ha più filiali)
ai fini della corretta tenuta del libro unico del
lavoro, tenuto in maniera accentrata presso la
Funzione Personale di Direzione Generale, deve
depositare in ognuna delle filiali una dichiarazione
di tenuta del libro medesimo in Direzione
Generale, o al momento di un’ispezione deve
solo dichiarare luogo e ufficio di conservazione,
indicando i numeri di telefoni e fax da contattare
PAG. 4 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010
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ai fini dell’ottenimento della documentazione?
Ai fini di una corretta tenuta del LUL il datore
di lavoro che tenga il nuovo libro obbligatorio
presso di sé può scegliere liberamente la
sede legale o stabile deputata alla tenuta
accentrata per tutte le sedi o filiali. Non appare
necessario conservare alcuna dichiarazione né
comunicazione sui singoli luoghi di lavoro. Per
quanto riguarda l’obbligo di esibizione del LUL in
caso di ispezione, la norma richiede l’esibizione
"immediata" (entro la fine della redazione del
verbale di primo accesso ispettivo) del LUL
del solo ultimo mese e solo con riferimento ai
lavoratori occupati nella sede stabile o filiale
oggetto di ispezione. Tenendo presente che lo
scopo dell’immediata esibizione è, ove venga
richiesta dal personale ispettivo, quello di
verificare il corretto inquadramento del personale
presente all’atto dell’ispezione, il problema
può essere risolto, sul piano organizzativo,
in qualsiasi modo, purché però gi accertatori
possano visionare immediatamente, anche a
seguito di invio telematico o fax, l’ultimo LUL dei
lavoratori occupati presso la sede ispezionata.
Lavoratore comunitario in un settore non liberalizzato,
necessaria la richiesta di nulla osta alla Prefettura?
QUESITO
Assisto un'impresa di pulizie. Dovendo assumere un lavoratore rumeno senza permesso di
soggiorno (perché comunitario) ma da gestire con un contratto di lavoro che rientra in un settore
non liberalizzato, abbiamo fatto richiesta, per raccomandata a.r., di Nulla Osta utilizzando l'apposita
modulistica (MOD. SUB NEOCOMUNITARI) alla Prefettura di Milano.
L'azienda, dopo qualche giorno, viene contattata dalla Prefettura, telefonicamente e viene riferito
che, il cittadino rumeno in possesso di carta di identità rilasciata da un comune d'Italia, può essere
assunto senza Nulla Osta e direttamente come un italiano. Ovviamente l'Azienda mi ha riferito
polemicamente questo aspetto di cui, però, io non sono convinta. Se, infatti, il documento d'identità
viene rilasciato ma poi il lavoratore va assunto in un settore non liberalizzato, l'Azienda sarebbe in
difetto se non chiedesse il nulla osta! Così si esprime la normativa, mi sembra e tali indicazioni da il
sito della Prefettura. Il problema é che adesso l'Azienda non sa che fare.
Se lo assume così, secondo me, è a rischio di sanzione ma il nulla osta sembra che non verrà
rilasciato, dopo la chiamata della Prefettura perché la pratica sarebbe stata archiviata così. Potreste
dirmi come dobbiamo procedere? Ho il sospetto che il funzionario che ci ha contattati telefonicamente
non abbia considerato che il settore in cui rientra l'Azienda è non liberalizzato e quindi la sua risposta
è valida per altri settori ma non per le imprese di pulizia. Eventualmente, si può conoscere in base a
quale norma, un lavoratore rumeno in possesso di documento di identità può essere assunto, in un
settore non liberalizzato, senza bisogno di chiedere il previsto nulla osta alla Prefettuta?
RISPOSTA
Esperto:
Chiara Giovannini
Il D.Lgs. n. 30 del 2007 disciplina la libera
circolazione e il soggiorno dei cittadini dell’Unione
e dei loro familiari.
L’art. 9 del suddetto decreto prevede l’obbligo
di richiedere l’iscrizione anagrafica nel comune
di dimora da parte dei cittadini dell’Unione che
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intendono soggiornare nel nostro paese per un
periodo superiore a tre mesi. L’art. 7 pone come
condizione del soggiorno, tra le altre cose, lo
svolgimento di un lavoro subordinato o autonomo.
Una volta soddisfatte tutte le condizioni, il comune
rilascia un attestato di iscrizione anagrafica e
questo documento ha la medesima valenza di una
carta di soggiorno per extracomunitari. Un rumeno,
o un bulgaro, che si trova al primo ingresso in
Italia dopo l’11 aprile 2007, o già presente sul
territorio italiano prima dell’entrata in vigore del
D.Lgs. n. 30/2007 senza possedere un permesso
di soggiorno o una carta di soggiorno, per poter
soggiornare liberamente nel nostro paese per oltre
tre mesi deve chiedere l’iscrizione anagrafica e
produrre idonea documentazione che attesti, tra le
altre cose, che sta regolarmente lavorando.
Nel caso in cui il lavoratore sia subordinato
e sia stato assunto in un settore liberalizzato, il
datore di lavoro non è tenuto a nessun ulteriore
adempimento oltre quelli obbligatori previsti dalla
normativa vigente per i cittadini italiani. Nel caso
in cui, invece, il lavoratore sia assunto in un
settore non liberalizzato (es.: industria alimentare)
il datore di lavoro è tenuto a richiedere, prima
dell’instaurazione del rapporto, il nulla osta
all’assunzione presso lo sportello unico competente
per territorio. Quest’ultimo adempimento è posto
in capo al datore di lavoro che intende assumere
un lavoratore rumeno o bulgaro che non possiede
nessun titolo di soggiorno nel nostro paese.
Una volta ottenuto il nulla osta il datore di lavoro
procede ad una regolare assunzione. Il lavoratore,
quindi, produrrà presso l’anagrafe del Comune in
cui intende risiedere la certificazione dell’avvenuta
instaurazione del rapporto di lavoro. In questa fase
l’Anagrafe del Comune si sostituisce alla Questura
nel rilascio dei documenti di soggiorno. Una volta
ottenuto un idoneo documento di soggiorno, il
lavoratore può svolgere qualsiasi attività lavorativa,
sia autonoma sia subordinata, sia in un settore
liberalizzato che non liberalizzato.
Il documento di soggiorno non ha scadenza,
se non a causa del venir meno dei requisiti che
ne hanno determinato il rilascio. Quindi, se il
lavoratore, in possesso di attestato di iscrizione
anagrafica, continua comunque a svolgere attività
lavorativa, oppure si trova in stato di disoccupazione
involontaria ed è regolarmente iscritto presso il
centro per l’impiego e ha reso la dichiarazione di
immediata disponibilità al lavoro, può continuare a
soggiornare liberamente sul territorio italiano e non
è necessario chiedere un nulla osta all’assunzione.
La Circolare n. 19/2007 del Ministero dell’Interno
riporta ed esplica i vari passaggi del D.Lgs. n.
30/2007. Si può concludere dicendo che di fatto
non esiste una norma che esoneri il datore di
lavoro dalla richiesta di nulla osta, piuttosto si deve
interpretare la disciplina del rilascio dell’attestato
di iscrizione anagrafica in analogia con il rilascio
del primo permesso di soggiorno o della carta di
soggiorno per extracomunitari.
Se così non fosse, assisteremmo ad
un’ingiusta discriminazione tra chi è titolare di un
permesso di soggiorno o di una carta di soggiorno
e chi invece è titolare di un attestato di iscrizione
anagrafica, in quanto il primo potrebbe lavorare in
qualsiasi settore, mentre il secondo solo in settori
liberalizzati. Sarebbe tuttavia opportuno che il
Ministero fornisse ulteriori chiarimenti in tal senso.
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QUESITI
Soggetto percettore di prestazioni
integrative, possibile lavoro
accessorio entro i 3000 euro?
QUESITO
Un soggetto percettore di prestazioni integrative del salario può per l'anno 2009 svolgere prestazioni
di lavoro accessorio nei limiti di € 3000? In che modo dovrà rendere l'immediata disponibilità al lavoro
secondo quanto stabilito dall'art. 19 comma 10 del DL 185?
RISPOSTA
Esperto:
Giuseppe Bizzarro
D - Un soggetto percettore di prestazioni
integrative del salario può per l'anno 2009
svolgere prestazioni di lavoro accessorio nei
limiti di € 3000?
R - La possibilità di svolgere attività
remunerata – durante il periodo di sospensione
di attività lavorativa – senza decadere dai diritti
derivanti dallo status acquisito
- nel solo 2009 ( salvo proroghe)
- con “lavoro accessorio”
- nei limiti di € 3000
trova la fonte nella legge 33/2009, art. 7ter, comma 12, che ha modificato l’art. 70
del D.Lgs. 10.09.2003. n. 276 sul lavoro
accessorio, in particolare con riferimento alla
lettera e) che ha introdotto un nuovo comma
1bis all’art 70 del D.Lgs. 10/09/2003 n. 276. Le
condizioni e le modalità sono dettagliatamente
specificate dalla circ.
Inps n. 75 del 26 maggio 2009, precisamente
al paragrafo 2.4 intitolato “Compatibilità delle
integrazioni salariali e di altre prestazioni di
sostegno con le prestazioni di sostegno del
reddito con le prestazioni di lavoro accessorio
nel limite massimo di € 3.000 per l’anno 2009”
e dalla circ. Inps n.88 del 09/07/09 paragrafo
1.4), alle quali si fa espresso rinvio.
D - In che modo dovrà rendere l'immediata
disponibilità al lavoro secondo quanto stabilito
dall'art. 19 co. 10 del DL 185 ?
R - Le modalità per ottemperare a quanto
previsto dall'art. 19 co. 10 del DL 185 deve
essere data nei tempi e nei modi e con la
modulistica prevista dall’ INPS, si veda l’art.
11 del Decreto del Min. del Lavoro 19/05/2009
(pubb. in G.U. 22/07/09 n. 168), che prevede
che l’Ente, entro 15 giorni dalla pubblicazione
in G.U. del decreto, avrebbe dovuto emanare
apposite istruzioni.
Al momento ci risulta che abbia pubblicato
solo in data 22/07/09 la Versione 2.0 del Mod.
DID-COD. SR105.
Premesso che dal quesito non risulta
chiara la reale posizione del lavoratore, ma
sembra di capire che non si tratti di lavoratore
licenziato (nel qual caso la DID sarebbe già
stata presentata al Centro Impiego), si ritiene
che, se il trattamento di cui sta beneficiando
il lavoratore è la CIG in Deroga, i tempi e i
modi di redazione della DID sono già definiti,
mentre risulterebbe problematico identificare
le modalità di definizione della DID se si tratta
di lavoratore CIGO o CIGS non in deroga,
stante la portata generale dell’obbligo (infatti,
l’art. 19 c.10. del DL 185/08, prevede tale
obbligo per “qualsiasi trattamento di sostegno
al reddito”).
In assenza di istruzioni, si potrebbe
ricorrere all’utilizzo del Mod. DID-COD.
SR105, inviandolo alla Sede Inps competente,
in relazione al fatto che, in base a quanto
stabilito dal D.M.(art. 11 c.2), è previsto che
tale dichiarazione debba essere resa nota
all’Inps.
PAG. 7 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010
QUESITI
Possibile variare mansione e piano
formativo di un apprendista?
QUESITO
E' possibile variare mansione e quindi piano formativo ad un apprendista? In caso affermativo
il nuovo piano formativo va depositato o certificato dalla D.P.L. ? Sono trascorsi cinque mesi
all'assunzione e l'azienda, valutato che l'apprendista non sarà in grado di conseguire la mansione
per la quale è stato assunto, vorrebbe adibirlo ad altra mansione.
RISPOSTA
Esperto:
Roberto Morini
Il contratto di apprendistato professionalizzante costituisce uno speciale rapporto di
lavoro finalizzato al conseguimento di una
qualificazione professionale, attraverso un
percorso formativo sul lavoro.
La precisa indicazione della qualifica da
raggiungere al termine dell’addestramento è
un elemento essenziale del contratto, a tutela
dell’apprendista a cui deve essere garantita
una qualifica spendibile eventualmente anche
presso altre ditte.
Il datore di lavoro è obbligato ad impartire,
o a far impartire, un insegnamento necessario
ed adeguato all’apprendista affinché egli
possa diventare un lavoratore qualificato,
nel rispetto del piano formativo allegato al
contratto.
La normativa in materia di apprendistato
dispone a favore dell’imprenditore, a fronte
dell’impegno organizzativo aziendale e
della ridotta produttività dell’apprendista,
una diminuzione del suo carico retributivo e
contributivo.
In merito al cambiamento di mansione
occorre rilevare che il potere del datore di
lavoro ha dei limiti.
In particolare l’articolo 2103 del c.c.
“Mansioni del lavoratore” prevede che
il prestatore di lavoro non possa essere
adibito a mansioni diverse da quelle oggetto
dell’assunzione.
La limitazione introdotta dal legislatore,
con la previsione di cui al precedente punto,
è diretta ad incidere su certi provvedimenti
unilaterali assunti dal datore di lavoro che,
non sorretti da ragioni organizzative, tecniche
e/o produttive, mirano al cambiamento di
mansioni contro la volontà del lavoratore.
In
un
percorso
di
apprendistato
professionalizzante costituito, normalmente,
da una durata compresa fra i tre e i cinque
anni, il fatto specifico evidenziato dal quesito
- che al termine di cinque mesi l’azienda si
rende conto che l’apprendista “non sarà in
grado” di conseguire la mansione per la quale
è stato assunto, - a parere di chi scrive, può
essere motivo di dubbio sulla effettiva qualità
della formazione aziendale.
Tuttavia, da ciò non si deve escludere per
le parti, sussistendo un comune accordo,
la possibilità di pattuire una novazione del
rapporto di apprendistato professionalizzante
in un nuovo rapporto mirato a conseguire una
diversa qualifica, (e nuovo piano formativo),
da quella originariamente prevista, con
riconoscimento
del
periodo
lavorativo
pregresso.
Allo scopo di evitare che un simile
accordo possa configurarsi, da parte del
lavoratore, come una rinunzia inammissibile
di cui all’articolo 2113 c.c., si consiglia
di formalizzare l’atto in commissione
conciliatrice presso la D.P.L. territorialmente
competente.
PAG. 8 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010
QUESITI
Cessione di ramo d'azienda,
deve essere rinnovato il
documento di scelta del TFR?
QUESITO
Un'azienda commerciale cede, per cessione di ramo d'azienda, un punto vendita ad un'altra
azienda. I dipendenti passano alla nuova azienda senza soluzione di continuità, senza la liquidazione
del tfr e con i ratei maturati nella vecchia azienda. Deve essere rinnovato il documento di scelta del
tfr rilasciato alla ditta ceduta, oppure rimane valido il modello Tfr 1 - Tfr 2 già consegnato. I dipendenti
dovranno compilare una dichiarazione dove confermano la scelta effettuata durante il rapporto di
lavoro con la vecchia azienda oppure non serve far nulla? Come si concilia il contrasto delle date
(scelta effettuata nel 2007/2008 mentre la nuova azienda è nata nel 2009?
RISPOSTA
Esperto:
Roberto Morini
La nuova versione dell’articolo 2112 del
c.c., dopo la modifica legislativa apportata
a decorrere dal 1 luglio 2001, definisce
trasferimento d’azienda qualsiasi operazione
che, a seguito di cessione contrattuale o
fusione, comporta mutamento di titolarità di
un’attività economica organizzata, con o senza
fini di lucro, al fine della produzione di beni o
di servizi.
Inoltre, in virtù di questa disposizione di
legge, il rapporto di lavoro continua con il
cessionario mantenendo la conservazione di
tutti i diritti acquisiti dal lavoratore.
Ciò comporta che il rapporto di lavoro
prosegue immutato con il cessionario in
tutti i suoi aspetti, venendo considerato
unitariamente e senza alcuna interruzione
dovuta alla modificazione della parte datoriale
(Cass, 8/09/1999 n. 9545).
Le disposizioni sul trasferimento d’azienda
si applicano, altresì, al trasferimento di
parte dell’azienda (c.d. ramo), intesa come
articolazione
funzionalmente
autonoma
di un’attività economica organizzata ed
identificata come tale al momento della
cessione.
Il ruolo assegnato dalla legge al cedente ed al
cessionario è, comunque, di mera ricognizione
di una capacità produttiva autonoma che deve
già esistere e che non può essere creata
strumentalmente al momento della cessione
in quanto ciò consentirebbe di non rispettare
le garanzie previste dal rapporto di lavoro
preesistente (Cass. 09/03/2005 n. 5138).
In correlazione a quanto opportunamente è
stato evidenziato sopra da un punto di vista
normativo e a quanto emerso dall’operazione
di acquisizione di aziende da parte di una
famosa ed importante multinazionale nella
quale fu interessata, fra l’altro, la previdenza
complementare si rileva che:
1. Necessariamente si deve effettuare una
comparazione fra le prestazioni del Fondo
Pensione scelto dai lavoratori in costanza del
precedente rapporto, con le prestazioni del
Fondo applicato nell’azienda del cessionario;
2. I lavoratori possono rimanere iscritti al
Fondo applicato nell’azienda di provenienza;
3. I lavoratori possono trasferire l’intero
accantonato nel Fondo applicato nell’azienda
di provenienza al Fondo applicato nell’azienda
del cessionario;
4. Per quanto riguarda la modulistica
è, chiaramente, consigliabile contattare i
rispettivi Fondi;
5. Non esiste “contrasto delle date” dal
momento che il rapporto di lavoro prosegue
col cessionario senza soluzione di continuità.
PAG. 9 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010
QUESITI
Arretrati pensionistici 2000-2005, si può
godere della no tax area come se fossero
stati percepiti nell'anno di spettanza?
QUESITO
Un contribuente, finalmente nel corso del 2006, percepisce una pensione al minimo dall'INPS
(circa 5.000 euro l'anno). Poiché la decorrenza della pensione riconosciuta è del 01/01/2000, gli
vengono corrisposti gli arretrati per gli anni 2000-2005 che vengono sottoposti a tassazione separata.
L'AdE, rielaborando i dati comunicati dall'INPS, richiede al contribuente un saldo da tassazione
separata molto alto, nel calcolo non sono evidenziate le detrazioni spettanti. L'INPS, su richiesta,
rilascia un prospetto con l'indicazione annuale degli arretrati corrisposti, delle detrazioni fruite e
delle detrazioni non fruite. Nel prospetto, relativamente agli anni 2003-2005, l'INPS non evidenzia
importi di "no tax area" goduti o non goduti, sostenendo che in caso di tassazione separata essa non
spetti. Il pensionato, pertanto, dovrebbe versare gran parte del saldo richiesto e pari a circa un anno
degli arretrati percepiti, se invece, avesse percepito la propria pensione annualmente, non avrebbe
versato alcunché di IRPEF in quanto la no tax area avrebbe assorbito l'intero imponibile. Nelle mie
ricerche non sono riuscito a farmi una opinione certa sul godimento o meno della "no tax area"
in caso di arretrati. La mia domanda: il contribuente, al fine di mitigare la pretesa tributaria come
se avesse percepito gli arretrati nell'anno di spettanza, può godere della "no tax area" su questi
emolumenti al pari delle detrazioni?
RISPOSTA
Esperto:
Cristiana Michieli
L'art. 51 del TUIR stabilisce che “il reddito di
lavoro dipendente è costituto da tutte le somme
e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti
nel periodo d'imposta (…). Si considerano
percepiti nel periodo d'imposta anche le somme
e i valori in genere corrisposti dai datori di
lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio
del periodo d'imposta successivo a quello a cui
si riferiscono”. La norma, quindi, prevede che
per tutte le somme appartenenti alla categoria
di reddito del lavoro dipendente, tra le quali
rientrano anche le pensioni di ogni genere, si
debba applicare il principio di cassa, in forza
del quale i redditi percepiti devono essere
assoggettati ad imposizione nello stesso anno
in cui sono corrisposti.
Unica deroga al dettato normativo è il c.d.
principio di cassa allargato che permette
l'imputazione al periodo di imposta precedente
delle somme erogate entro il 12 gennaio
dell'anno successivo. Comunque, il Legislatore,
per evitare i possibili effetti negativi derivanti
dall'applicazione di questo criterio ha previsto,
in particolari situazioni, un diverso tipo di
tassazione da applicare ai c.d. emolumenti
arretrati. In questi casi, infatti, viene applicata la
tassazione separata prevista e regolamentata
dall'art. 17 e seguenti del TUIR. Lo spirito di
questa norma è mitigare un peso eccessivo
della tassazione ordinaria, derivante dal fatto
di percepire con ritardo redditi maturati in
anni precedenti e vedere, quindi, un aggravio
dell'imposizione derivante dall'applicazione
dell'aliquota marginale più elevata. Tuttavia,
in situazioni particolari, quando gli arretrati si
riferiscono ad un intervallo temporale molto
ampio, come in questo caso, si rischia di veder
vanificato lo spirito della legge ed, anzi, di
essere penalizzati da una tassazione troppo
onerosa.
PAG. 10 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010
QUESITI
Il caso prospettato nel quesito ricade sotto
due tipi di tassazione completamente diversi;
il primo con riconoscimento delle detrazioni
d'imposta, mentre il secondo, quello della
riforma del 2004, con l'istituzione della c.d.
no tax area. Purtroppo, il Legislatore del 2004
non ha previsto la «no tax area» per i redditi
soggetti a Irpef a tassazione separata e, quindi,
si è creata una disparità di trattamento rispetto
a quanto a quanto previsto dall'art. 21, comma
4, del TUIR. Risulta, pertanto, corretto il
comportamento dell'INPS nel non aver indicato
gli importi di no tax area.
Tuttavia, l'articolo 17 ultimo comma del Tuir
prevede che per i redditi indicati alle lettere
a), b), c) e c-bis) del comma 1 dello stesso
articolo (e quindi anche per gli arretrati soggetti
a tassazione separata) gli uffici provvedono a
iscrivere a ruolo le maggiori imposte dovute
con le modalità stabilite negli articoli 19 e 21
ovvero facendo concorrere i redditi stessi alla
formazione del reddito complessivo dell'anno in
cui sono percepiti, se ciò risulta più favorevole
per il contribuente.
Quindi, risulta corretto considerare la
tassazione ordinaria per gli arretrati 20032005, percepiti nel corso del 2006, poiché
meno onerosa. Del resto la stessa Agenzia
delle Entrate dovrebbe calcolare d'ufficio il
trattamento più favorevole per il contribuente.
Lavoratore licenziato e da riassumere,
quali obblighi di tempo?
QUESITO
Licenziamento per riduzione del personale ditta edile artigiana, quanti mesi di obbligo ci sono
per riassumerlo nel caso di aumento del lavoro?
RISPOSTA
Esperto:
Rosario Cassarino
Il quesito non è molto chiaro, fermo
restando la legittimità del licenziamento
operato dal datore di lavoro, si badi che la
norma non fa riferimento al "caso di riduzione
di personale", di cui al quesito proposto,
e, pertanto, tale fattispecie a mio parere è
ricompresa nella più generale categoria
delle "ragioni inerenti all’attività produttiva",
il riferimento normativo al quesito proposto
è individuato nel diritto di precedenza di
cui all’art.15 comma 6 ex Legge 264/1949,
secondo cui i lavoratori licenziati per
riduzione di personale hanno la precedenza
nella riassunzione presso la medesima
azienda entro 6 mesi.
Al lavoratore viene attribuito un vero e
proprio diritto soggettivo alla riassunzione
da parte del datore di lavoro, nella
fattispecie, l’azienda datore di lavoro, nel
caso di aumento del lavoro può riassumere il
lavoratore licenziato senza rispetto di alcun
termine, fermo restando, l’eventuale perdita
totale e/o parziale da parte del lavoratore del
beneficio di ammortizzatori sociali.
PAG. 11 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010
QUESITI
CCNL edili artigiani e CCNL
edili industri, la diaria deve
far parte dell'imponibile
contributivo e fiscale?
QUESITO
Casistica del lavoro svolto dai lavoratori del settore edilizia. E’ il caso dei lavoratori assunti a
tempo indeterminato, con lettera di assunzione che stabilisce quale luogo di lavoro la sede della
ditta; poi comandati o portati in cantieri edili, stradali, ecc, diversi e siti fuori dal Comune in cui
ha sede la ditta.
Allo scrivente rimane di conoscere e trovare una documentazione sufficiente e chiara
per dirimere se la diaria corrisposta ai sensi e con le modalità di tali articoli, debba far parte
dell’imponibile contributivo e fiscale. (Diaria corrisposta a norma dell’ art 24 del ccnl 23.07.2008
edili artigiani e dell’art 21 del ccnl 18.06.2008 edili industria)
RISPOSTA
Esperto:
Giovambattista Vavalà
Con riferimento al quesito principale, che,
per quanto posto in maniera estremamente
articolata, sembra risolversi nella semplice
domanda “se la diaria corrisposta ai sensi
e con le modalità di tali articoli, debba far
parte dell’imponibile contributivo e fiscale”,
basta richiamare in proposito il disposto di
cui all’art. 51, comma 5, del D.P.R. 917/1986,
secondo il quale “le indennità percepite per
le trasferte o le missioni fuori del territorio
comunale concorrono a formare il reddito
per la parte eccedente euro 46,49 al giorno,
elevate a euro 77,47 per le trasferte all'estero,
al netto delle spese di viaggio e di trasporto
(omissis)”.
Pertanto, la diaria prevista dal contratto
richiamato, se erogata a fronte di trasferte
effettuate al di fuori del comune per il quale
il dipendente è stato inizialmente assunto
o successivamente trasferito, è esente
da prelievo fiscale e contributivo fino agli
importi giornalieri sopra riportati. Al di sopra
di tali importi, essa costituirà a tutti gli
effettireddito per il lavoratore dipendente.
Piuttosto, si richiama l’attenzione sul fatto
che, per giurisprudenza ormai consolidata,
il tempo di viaggio deve essere considerato
tempo di lavoro effettivo quando esso risulti
funzionalmente collegato con l’espletamento
della prestazione: ciò si verifica quando, ad
esempio, il lavoratore non venga lasciato
libero di decidere come recarsi sul luogo in
cui è comandato a prestare lavoro, ma sia
comunque condizionato a particolari direttive
datoriali, come potrebbe essere quella di
avvalersi obbligatoriamente del mezzo di
trasporto aziendale anzichè del proprio
automezzo o di altro vettore: in tal caso, se è
vero che al dipendente non spetta il rimborso
delle spese di viaggio (in quanto di fatto non
ne incontra), si ritiene che il tempo di viaggio
vada retribuito come orario di lavoro effettivo,
salvo specifiche previsioni contrattuali di
diverso tenore.
PAG. 12 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010
QUESITI
Ore giornaliere e ore
di allattamento di una
lavoratrice full time, quali
considerazioni in merito?
QUESITO
La dipendente di uno studio professionale ha un contratto di lavoro full time. La lavoratrice, essendo
mamma di un bambino di 8 mesi presta la sua attività lavorativa per 6 ore giornaliere godendo di 2
ore di allattamento. In una giornata del mese di aprile ha prestato la sua attività lavorativa per 6,5
ore richiedendone 2 di allattamento: vorremmo sapere se la mezz'ora deve essere considerata come
lavoro straordinario oppure deve essere decurtata dalle 2 ore di allattamento riconoscendo in questo
modo alla lavoratrice solo 1,5 ora di allattamento.
RISPOSTA
Esperto:
Paola Cogo
L’art. 10 della Legge 1204 del 1971 recita:
“c.1 - Il datore di lavoro deve consentire
alle lavoratrici madri, durante il primo anno di
vita del bambino, due periodi di riposo, anche
cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno
solo quando l’orario di lavoro giornaliero è
inferiore alle 6 ore.
c. 2 - I periodi di riposo di cui al comma
uno hanno la durata di un’ora ciascuno e sono
considerati ore lavorative agli effetti della durata
e della retribuzione del lavoro".
Null’altro viene aggiunto in riferimento
all’orario di lavoro né al superamento dello
stesso e ad oggi non si ravvisa alcuna norma
che vieti il lavoro straordinario o supplementare
da parte delle lavoratrici durante il periodo di
allattamento. Occorre anche ricordare che
all’epoca dell’emanazione della norma appena
esposta, la durata massima dell’orario di
lavoro giornaliera era prevista di 8 ore, per
cui il Legislatore ha precisato che il riposo per
allattamento dovesse al massimo durare due
ore se le ore lavorate nell’arco della giornata
fossero almeno 6.
Dall’entrata in vigore della nuova normativa
riguardante l’orario di lavoro del 2003
probabilmente si può riconsiderare il numero
massimo di ore lavorabili (13) in riferimento
alle prestazioni eccedenti le 6 ore di cui sopra.
Nel silenzio della norma, a parere di chi
scrive, qualora il datore di lavoro chiedesse
l’espletamento di lavoro straordinario in
assenza di comprovate esigenze aziendali,
l’eventuale rifiuto opposto dalla lavoratrice
dovrebbe essere considerato legittimo. In ogni
caso, anche se la richiesta fosse legittima, la
lavoratrice potrebbe comunque rifiutarsi di
prestare lavoro
straordinario. Partendo da questo assunto
e ricollegandoci al quesito posto, si potrebbe
ritenere fattibile la mezz’ora di lavoro
straordinario e non decurtabile dalle due ore di
allattamento che rimangono di diritto in capo alla
lavoratrice: infatti se avesse lavorate 7 di ore
non avrebbe perso le due ore di allattamento
ma avrebbe avuto un’ora di lavoro straordinario.
PAG. 13 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010
QUESITI
Dipendente con attività lavorativa
inferiore ai 15 giorni al mese matura il TFR?
QUESITO
La cassa edile di Milano mi richiede nel modulo MUT di denuncia mensile la compilazione del campo
relativo al versamento del TFR al Fondo Prevedi anche per gli operai iscritti al Prevedi in forza per un
periodo inferiore ai 15 giorni del mese (es operaio che cessa il 6 marzo). A mio avviso tale richiesta non
è corretta. Si richiede pertanto:
1) La riduzione prevista dall’art. 2120 del codice civile “La quota è proporzionalmente ridotta per le
frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni” vale
anche per il Ccnl edilizia industria disciplina relativa agli operai? Il dipendente che presta attività per un
periodo inferiore ai 15 giorni nel mese (assenze dovute ad assunzioni/cessazioni o permessi non retribuiti
ovviamente non a ferie o altri eventi tutelati) matura il tfr oppure no?
2) Tale riduzione è derogabile in genere dalla Contrattazione Collettiva?
RISPOSTA
Esperto:
Bruno Bravi
L’art. 2120 del codice civile, così come
modificato dall’art. 1 della L. n° 297/1982 prevede
che “in ogni caso di cessazione del rapporto di
lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha
diritto ad un trattamento di fine rapporto. Tale
trattamento si calcola sommando per ciascun
anno di servizio una quota pari e comunque non
superiore all'importo della retribuzione dovuta
per l'anno stesso divisa per 13,5. La quota è
proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno,
computandosi come mese intero le frazioni di
mese uguali o superiori a 15 giorni.” A parere
di chi scrive le indicazioni ivi contenute sono le
seguenti:
- una, di carattere restrittivo (…una quota pari
e comunque non superiore …), con la quale si
è inteso vietare la concessione di trattamenti più
favorevoli, come invece avveniva in passato per
i dirigenti, fissando una misura unica per tutti i
lavoratori;
- ed una, invece, di carattere migliorativo
(… computandosi come mese intero le frazioni
di mese uguali o superiori a 15 giorni) che,
impropriamente mutuando dal metodo di calcolo
generalmente previsto per il riconoscimento di tutti
gli istituti contrattuali e retributivi la cui maturazione
avviene “per ratei”, ha inteso introdurre quale “TFR
minimo garantito” quello derivante dall’utilizzo
dell’intera retribuzione mensile per quei lavoratori
che maturino l’intero rateo. Considerato che
il previsto riproporzionamento della quota di
accantonamento al minor periodo prestato nel
corso dell’anno avviene già automaticamente in
dipendenza del minor periodo prestato e della
conseguente minor retribuzione riconosciuta,
non pare si possa ravvisare alcuna esplicita
indicazione relativa alla non spettanza del tfr in
caso di rapporti lavorativi di durata inferiore a
15 giorni. Sicuramente, a tal riguardo, il dettato
legislativo non appare certamente chiaro,
tanto è vero che anche la giurisprudenza è
divisa: in un primo momento (Cassazione
27/4/1987, n° 4057) l’orientamento era per il non
riconoscimento dei periodi lavorativi inferiori a
15 giorni, con la conseguente esclusione della
relativa retribuzione da quella computabile;
successivamente (Cassazione 25/9/2002, n°
13934) l’interpretazione fu, invece, capovolta
tenendo conto che, come detto, la norma si
limita a precisare che vanno computate come
mese intero le frazioni pari o superiori a 15
giorni, ma non esclude la computabilità delle
retribuzioni afferenti a periodi inferiori. Si ritiene
che, trattandosi di orientamento più recente, sia
opportuno adeguarsi a tale ultima interpretazione
giurisprudenziale. Alla contrattazione collettiva è
data solo la possibilità di prevedere i criteri per
l’individuazione degli elementi da includere nella
determinazione della retribuzione utile per il
computo del Tfr.
PAG. 14 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010
QUESITI
Perito tributario amministratore di sas,
deve emettere parcella o compenso in busta paga?
QUESITO
RISPOSTA
Vi è notizia che i periti tributari iscritti
Ancot o Lapet avranno presto un loro ente
previdenziale.
Un simile professionista con partita
iva se è amministratore di una sas di cui
è l'unico socio accomandatario dovrebbe
emettere parcella per il compenso
percepito in qualità di amministratore della
società oppure lo deve avere con busta
paga?
Esperto:
Giovanni Crimi
Il quesito non può avere risposta perche parte
da un presupposto che non esiste. Se la Lapet o
Ancot vogliono istituite un loro Ente di Previdenza,
bisogna prima sapere cosa prevede lo Statuto
di questo Ente e poi si potrà dare un risposta.
Comunque, un "Amministratore di norma
percepisce un compenso che viene ricondotto
al lavoro parasubordinato e conseguentemente
gli verrà rilasciata una busta paga e come tale,
verrà iscritto alla Gestione separata INPS.
Scatti di anzianità degli studi odontoiatrici,
quale la normativa contrattuale?
QUESITO
Potreste riassumere la normativa contrattuale sugli scatti di anzianità degli studi odontoiatrici, area
professionale medico-sanitaria e odontoiatrica. Si è letto un articolo su Cadiprof in cui si diceva che
in sede di trattative del nuovo CCNL la Cassa intendeva inserire una misura a favore di chi non si
era ancora iscritto, prevedendo l’abbattimento delle spese pregresse e quindi degli oneri nel ritardo
dell’iscrizione, che cosa ne è stato?
RISPOSTA
Esperto:
Roberto Sartore
Riteniamo che a quanto richiesto si possa
rispondere altrettanto sinteticamente così come
appaiono le richieste medesime:
- Il verbale di accordo per il rinnovo del C.C.N.L.
degli Studi Professionali. Testo Unico del 3 maggio
2006 prevede anche la modifica dell’art. 131 del
C.C.N.L. stesso. Se si comparano le modifiche
proposte in relazione al preesistente testo
contrattuale non si può non rilevare unicamente
la scomparsa della “nota transitoria”. L’articolo
131 altresì ,così come modificato, si ritiene se pur
nella sua sinteticità sufficientemente chiaro per la
gestione di tutti gli scatti di anzianità per i settori cui
il C.C.N.L. si rivolge.
- Per quel che attiene al secondo quesito posto,
la risposta è presente nel sito della Ca.di.Prof. alla
voce”Regolamento”. Ciò premesso si ricorda che
all’atto dell’iscrizione si dovrà versare una “una
tantum” di euro 24 unitamente alla quota mensile
del dipendente iscritto, lo stesso potrà usufruire dei
benefici della cassa a partire dal 1° giorno del 4°
mese successivo alla nuova iscrizione.
PAG. 15 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010
QUESITI
Esenzione contributiva sulle indennità
di malattia corrisposte direttamente dai
datori di lavoro, quale l'interpretazione corretta?
QUESITO
QUESITO
Nel n. 28 del 20 Settembre 2008 ho letto un
quesito riguardante "Contribuzione nei giorni
di malattia in caso di pagamento di indennità
da parte del datore di lavoro". Il collega
chiedeva notizie in merito al comma 1 dell'art.
20 del DL 25.6.2008 n° 112. Si chiedeva
in pratica se la contribuzione, nei giorni di
malattia, non sia più dovuta quando a pagare
l'indennità di malattia è il datore di lavoro al
posto dell'Inps. L'Inps su tale argomento ha
emanato qualche circolare?
Si richiedono chiarimenti in relazione
all'esenzione contributiva sulle indennità
di malattia che vengono corrisposte
direttamente dai datori di lavoro (es.
impiegati nell'industria).
Si vorrebbe sapere in particolare se il
mancato versamento di tutti i contributi
determina il mancato accredito, a favore
del lavoratore, sulla contribuzione del
FPLD.
QUESITO
In base all’art. 20, comma1, del D.L. n. 112/2008 il datore di lavoro non è tenuto al versamento della
contribuzione durante il periodo di malattia nel caso in cui corrisponda direttamente la retribuzione
durante la malattia del dipendente. Mi domando se tale provvedimento è immediatamente applicabile
e quindi possiamo procedere con l’esonero della contribuzione già dalle prossime paghe, se l’esonero
riguarda l’intera contribuzione, quota dipendente e quota azienda, e se è possibile procedere con
il recupero degli arretrati. Nessuna circolare dell’Inps sull’argomento. Come si ritiene più consono
comportarsi in questo contesto. A pagina 530 de “Il Consulente 1081” c’è una risposta del Centro
Studi sull’argomento dal quale si evince un parere positivo ma da quella data in poi non si è più dato
seguito all’argomento ed ecco, pertanto, il motivo della presente istanza.
RISPOSTA
Esperto:
Rosario D'Aponte
L’articolo 20 comma 1 della Legge 6 agosto
2008, n. 133 di conversione, con modificazioni,
del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, è
una norma di interpretazione autentica dell’art.
6, comma 2, della legge n. 138/1943. Viene,
infatti, chiarito che i datori di lavoro che hanno
corrisposto per legge o per contratto collettivo,
anche di diritto comune, il trattamento economico
di malattia non sono tenuti al versamento della
relativa contribuzione all'Istituto medesimo.
L’interpretazione ancorché tardiva, legittima
il trattamento riservato nel corso di tutti questi
anni agli impiegati del settore industriale
durante i periodi di malattia. Infatti, già con
PAG. 16 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010
QUESITI
l’entrata in vigore della citata legge 138/1943, il
rapporto dell’impiego privato era disciplinato dal
RDL 1825/1924 che all’art. 6 espressamente
prevede che nei casi di interruzione di servizio
dovuta ad infortunio o malattia, l'impiegato avrà
diritto alla intera retribuzione. Questa disciplina
legale ha trovato, poi, conferma nei successivi
contratti collettivi di diritto comune tutt’ora
vigenti.
Così, ad esempio, il CCNL metalmeccanica
piccola e media industria, nella Disciplina
speciale, Parte terza, interamente dedicata
agli impiegati prevede, ai fini del trattamento
economico, che:
“Durante il periodo di conservazione del posto
al lavoratore non in prova, assente per malattia
od infortunio non sul lavoro, viene assicurato un
trattamento economico complessivo netto:
- per anzianità di servizio fino a 3 anni
compiuti, intera retribuzione globale per i primi
2 mesi e metà retribuzione globale per i 4 mesi
successivi;
- per anzianità di servizio oltre i 3 e sino a
6 anni, intera retribuzione globale per i primi 3
mesi e metà retribuzione globale per i 6 mesi
successivi;
- per anzianità di servizio oltre i 6 anni
compiuti, intera retribuzione globale per i primi
4 mesi e metà retribuzione globale per gli 8
mesi successivi”
Pertanto, di fatto, i datori di lavoro di lavoratori
con qualifica di impiegati del settore privato,
hanno corrisposto in applicazione alla legge
ed a contratti collettivi, l’intera retribuzione
durante i periodi di malattia, con ciò sostituendo
il trattamento economico di natura assicurativo
- previdenziale che l’INPS eroga ai lavoratori
dipendenti con altre qualifiche o di altri settori
produttivi.
Di contro, tale comportamento ha giustificato
il mancato versamento, da parte dei datori di
lavoro inquadrati previdenzialmente nel settore
industriale, della quota di contribuzione prevista
per la gestione della malattia. Infine, nel
legittimare la prassi amministrativa degli ultimi
65 anni, l’art.20 in esame fa salve eventuali
contribuzioni versate e non dovute alla gestione
in data anteriore al 1° gennaio 2009.
Trasformazione da determinato a indeterminato,
quali i benefici possibili? Quali le regole?
Come va interpretato il parere dell'Inps?
QUESITO
Un’azienda assume a tempo determinato un dipendente iscritto alle liste di mobilità, trasforma il
contratto a tempo indeterminato il giorno dopo la scadenza del contratto a termine (senza soluzione
di continuità) e comunica al centro per l’impiego l’avvenuta trasformazione entro i cinque giorni
previsti dalla legge.
Può l’azienda usufruire degli ulteriori benefici previsti dall’art. 8 comma 2 della legge 223/91?
Ho fatto lo stesso quesito ad [email protected], la risposta è stata la seguente: “Si può
accedere ai benefici dell’art.8 comma 4 l. 223/91 solo nel caso in cui la trasformazione a tempo
indeterminato avvenga prima della scadenza del contratto a tempo determinato.
Ho fatto presente all’INPS che leggendo la loro circolare n° 19018 del 7/12/99 mi sembrava di
aver capito che l’azienda avrebbe invece comunque potuto usufruire dei benefici previsti dall’art. 8
comma 2 della legge 223/91. Mi è stato risposto che l’azienda non ha diritto ai benefici per i motivi
suesposti. Io non sono convinto, anche perchè, facendo una ricerca, ho trovato delle sentenze che
davano torto all’interpretazione dell’INPS.
PAG. 17 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010
QUESITI
RISPOSTA
Esperto:
David Trotti
Il tema che affrontiamo nasce da una
risposta data da [email protected] ad
una azienda che ha chiesto se poteva godere
dei benefici contributivi trasformando in
indeterminato il contratto a tempo determinato
instaurato con un dipendente iscritto nelle liste
di mobilità il giorno dopo la data fissata dalle
parti (rispettando il termine di 5 giorni stabilito
per l’invio della comunicazione obbligatoria).
Questa la risposta: “Si può accedere ai benefici
dell’art.8 comma 4 L.223/91 solo nel caso in
cui la trasformazione a tempo indeterminato
avvenga prima della scadenza del contratto a
tempo determinato”.
Essa, a parere di chi scrive, non coglie il
senso della norma; per dimostrare ciò, partiamo
dal comma 2 dell’articolo 8 richiamato: “I
lavoratori in mobilità possono essere assunti
con contratto di lavoro a termine di durata non
superiore a dodici mesi.
La quota di contribuzione a carico del
datore di lavoro è pari a quella prevista per gli
apprendisti dalla legge 19 gennaio 1955, n. 25
e successive modificazioni. Nel caso in cui, nel
corso del suo svolgimento, il predetto contratto
venga trasformato a tempo indeterminato, il
beneficio contributivo spetta per ulteriori dodici
mesi in aggiunta a quello previsto dal comma
4”.
E’ subito da sottolineare che nel testo non
è detto “prima della scadenza”, ma “nel corso
del suo svolgimento”; differenza non marginale
che è stata colta dallo stesso istituto in una
sua circolare la n.134/1999 che si è occupata
del beneficio.
Questa
esaminando
le
innovazioni
apportate alle norme dalla L.196/97 sottolinea
che si è data la possibilità di continuare il
rapporto a tempo determinato, “slittandone”
la scadenza di 20 o 30 giorni (se il rapporto
originario è inferiore o superiore a sei mesi),
per cui: “Si può quindi affermare, in seguito alla
previsione di tale "slittamento" del momento
in cui opera la conversione in rapporto a
tempo indeterminato, che il rapporto a termine
legittimamente permane in vita fino ai limiti
temporali individuati dalla nuova norma.
Si ritiene che i criteri individuati in tali
disposizioni normative possano essere
validamente utilizzati in sede applicativa anche
per l'individuazione del termine di invio della
comunicazione di trasformazione del contratto
a termine stipulato ai sensi dell'art. 8, c. 2 della
legge n. 223/1991.
Ciò consente di attuare una gestione
meno rigida della fase di trasformazione del
contratto, nell'intento di favorire in ogni modo
il reimpiego dei lavoratori che si trovano in
mobilità.”
Posizione condivisibile, che è rafforzata
da un messaggio successivo il n.19018/1999:
“L'Istituto ha emanato la circolare n. 134 del
15 giugno 1999, con la quale ha consentito
la concessione delle agevolazioni per
ulteriori dodici mesi anche nel caso in cui la
comunicazione alla sezione circoscrizionale
per l'impiego sia effettuata oltre il termine di
5 giorni, purché comunque non oltre i termini
di slittamento previsto dall'articolo 12 della
legge n. 196/97, ossia non oltre il ventesimo
giorno o non oltre il trentesimo a seconda che
il contratto abbia durata inferiore o superiore
a sei mesi. Nell'intento di rendere meno rigida
la gestione della fase successiva all'entrata
in vigore del D.L. 1 ottobre 1996, n. 511, e
precedente l'emanazione della citata circolare
si ritiene possibile concedere i benefici
contributivi derivanti dalla trasformazione dei
contratti a termine stipulati in base all'art. 8, c.
2 della legge 23 luglio 1991, n. 223. nel caso in
cui l'impiego dei lavoratori sia avvenuto senza
soluzione di continuità e la comunicazione
dell'avvenuta trasformazione sia avvenuta nei
termini previsti.”
Questa la situazione dal punto di vista
della prassi; confermata ampiamente dalla
giurisprudenza che è intervenuta in diverse
occasioni. Riportiamo, a sostegno della teoria
che si sta sviluppando, due stralci significativi
di sentenze della Cassazione sez. Lavoro.
Nella prima la n.1446 del 2004 ragionando
sul termine dei cinque giorni e, rinviando al
giudice di merito, si afferma: "Al fine di ottenere
il beneficio contributivo di cui all'art. 8, comma
2, l. n. 223 del 1991, la trasformazione del
rapporto di lavoro subordinato, costituito con
un lavoratore in mobilità, da rapporto a tempo
determinato in rapporto a tempo indeterminato,
deve essere comunicata dal datore di lavoro
agli organi del collocamento entro cinque
giorni, ai sensi dell'art. 9 bis, commi 2 e 5, l. n.
508 del 1996. Il ritardo della comunicazione non
comporta la perdita del beneficio contributivo,
ma questo può decorrere solo dalla ricezione
PAG. 18 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010
QUESITI
della medesima"; nella seconda del Dicembre
2007 (n.25315), ancora più chiaramente lo
stesso giudice statuisce: "Nella Legge 23
luglio 1991, n. 223 articolo 8 comma 2, che
attribuisce il beneficio degli sgravi contributivi
per un ulteriore periodo ai datori di lavoro che
trasformino il contratto a tempo determinato dei
lavoratori assunti dalla mobilità' in contratto a
tempo indeterminato, l'espressione "nel corso
del suo svolgimento", deve essere interpretata
nel senso che il beneficio spetta ai datori di
lavoro che trasformino volontariamente
il rapporto a termine in rapporto a tempo
indeterminato senza soluzione di continuità'
tra il primo ed il secondo.".
Tutto questo ci porta a dire che l’azienda
che ha posto il quesito ha il diritto di usufruire
delle agevolazioni contributive, e se si vuol
parlare di scadenza del rapporto (ai fini del
beneficio) questa deve essere rintracciata nel
20/30° giorno successivo al termine fissato
dalle parti.
Maschere teatrali con 15 giorni retribuiti,
come si calcolano le detrazioni?
QUESITO
Maschere teatrali assunte per l'intera stagione ma chiamate secondo necessità degli spettacoli. Se
in un mese hanno 15 gg retribuiti, per quanti giorni devo calcolare le detrazioni per spese di produzione?
Colf e part time: nel caso prestino attività per 3 giorni a settimana, quanti sono i giorni spettanti per
le detrazioni?
RISPOSTA
Esperto:
Paola Cogo
Maschere teatrali: la circolare del 09/01/1998
n. 3 E del Ministero delle Finanze ha precisato
che, in base all’art. 13 del TUIR, le detrazioni per
lavoro dipendente vanno rapportate al periodo di
lavoro o di pensione nell’anno, cioè al numero dei
giorni compresi nel periodo di durata del rapporto
di lavoro dipendente.
Si tratta del numero dei giorni che hanno dato
diritto a reddito da lavoro dipendente : vanno
quindi compresi i giorni per festività, i riposi
settimanali e gli altri giorni non lavorativi che
comunque facciano maturare una retribuzione al
dipendente, anche se differita come le mensilità
aggiuntive; vanno invece sottratti i giorni per
i quali non spetta alcun reddito, nemmeno
come retribuzione differita come ad esempio le
aspettative senza corresponsione di compenso.
Non deve essere effettuata nessuna riduzione
delle detrazioni in caso di particolare distribuzione
dell’orario di lavoro, come il part-time orizzontale
o verticale, né in presenza di giornate di
sciopero. Per determinare le detrazioni l’anno
va considerato composto da 365 giorni, anche
se l’anno è bisestile. Non si può fruire di doppie
detrazioni nello stesso periodo, per cui bisogna
porre particolare attenzione in presenza di più
redditi da lavoro dipendente.
Colf e part-time: per quanto riguarda le
lavoratrici/lavoratori domestici (colf- badanti), al di
là della diversa distribuzione dell’ orario di lavoro,
non hanno diritto alle detrazioni evidenziate
nel cedolino paga mensile, se viene elaborato,
in quanto il datore di lavoro non è un sostituto
d’imposta, come nel caso di un rapporto di lavoro
dipendente. In occasione della denuncia annuale
dei redditi della colf, se il rapporto di lavoro
domestico ancorché part time ha durato un anno
intero, avrà diritto ad usufruire delle detrazioni
intere che indicherà opportunamente nella sua
dichiarazione.
PAG. 19 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010
quesiti
Deroga al divieto di licenziamento delle lavoratrici
in maternità, come ci si comporta nel caso di
attività con chiusura stagionale?
QUESITO
Si chiede come debba intendersi la deroga al divieto di licenziamento delle lavoratrici in maternità
nel caso di attività con chiusura stagionale. Nello specifico il caso riguarda una azienda alberghiera
che chiude per fine stagione il 30 di settembre, licenzia tutti i dipendenti, che vanno in disoccupazione,
per poi riassumerli il 15 dicembre (nel periodo ottobre novembre e parte di dicembre si eseguono
lavoro di manutenzione della struttura).
Tecnicamente l´azienda non cessa l´attività ma sospende la stessa (si operano le comunicazioni
di sospensione dell´attività con dipendenti all´Inps e all´Inail) per poi riattivarla nel mese di dicembre.
La norma (art 54 Dlgs 151/2001) prevede infatti che il divieto di licenziamento non si applica nel
caso di: a) colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del
rapporto di lavoro (ex art. 2119 cod. civ.); b) cessazione dell’attività dell’azienda cui essa é addetta;
c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice é stata assunta o di risoluzione del rapporto
di lavoro per la scadenza del termine; d) esito negativo della prova (v. anche ML circ. n. 113/1996).
La casistica ipotizzata al punto b) ricomprende le sospensioni dell´attività per chiusura stagionale?
Leggendo la norma non sembra una ipotesi sostenibile anche alla luce del comma 4 dell´art 54 del
Dlgs 151/2001 che rende possibile come ipotesi residuale la sospensione del rapporto (non quindi la
sua risoluzione) nel caso sia correlata alla sospensione l´intera attività aziendale. Il problema sorge
analizzando l´art. 54 in relazione all´art 59 dello stesso decreto che prevede al comma 1) che “Le
lavoratrici addette ad industrie e lavorazioni che diano luogo a disoccupazione stagionale, di cui alla
tabella annessa al decreto ministeriale 30 novembre 1964, e successive modificazioni, le quali siano
licenziate a norma della lett. b) del comma 3 dell’art. 54, hanno diritto, per tutto il periodo in cui opera
il divieto di licenziamento, sempreché non si trovino in periodo di congedo di maternità, alla ripresa
dell’attività lavorativa stagionale e alla precedenza nelle riassunzioni.”
Nello specifico il problema risiede nel fatto che si ipotizza una risoluzione del rapporto per le
aziende stagionali secondo la lettera b) dell´articolo 54 apparentemente quindi normalizzando un
licenziamento per cessazione dell´attività interpretato come sospensione stagionale. Allo scrivente
non pare possibile che un articolo che mira a garantire il diritto di precedenza della lavoratrice possa
essere usato per interpretare una norma tesa a limitare i licenziamenti nelle ipotesi tutelate. Quindi
non si ritiene si possa usare l´art 59 per considerare la sospensione stagionale come ipotesi di
cessazione dell´attività. Oltre a ciò si desidera sapere se in tale periodo di sospensione il datore di
lavoro é tenuto ad erogare l´indennità di maternità conto INPS e se maturano i relativi ratei.
RISPOSTA
Esperto:
David Trotti
Il quesito che ci viene posto è relativo alla
possibilità di licenziamento per fine stagione
in una impresa turistica di lavoratrice assunta
a tempo indeterminato ed in maternità
(l’impresa cessa l’attività stagionale il 30
ottobre sospendendo le posizioni Inps
ed Inail per riassumere tutti a partire
dal 15 dicembre). Si tratta di un quesito
apparentemente semplice, ma che invece
richiede dei distinguo complessi. Innanzi tutto
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bisogna subito partire dalla constatazione
che la scelta di assumere una lavoratrice a
tempo indeterminato presuppone l’esistenza
di attività che vadano aldilà della stagionalità
dell’impresa, infatti in caso contrario sarebbe
stato scelto il contratto a tempo determinato.
Fatta questa costatazione, che comunque
apre delle prospettive logiche e d organiche,
non possiamo che prendere visione
della normativa connessa al quesito ed
esattamente di alcuni articoli del testo unico
della maternità , il decreto legislativo n.151
del 2001; in specifico:
Articolo 54 - Divieto di licenziamento
1. Le lavoratrici non possono essere
licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza
fino al termine dei periodi di interdizione dal
lavoro previsti dal Capo III, nonché fino al
compimento di un anno di età del bambino.
2. Il divieto di licenziamento opera in
connessione con lo stato oggettivo di
gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel
corso del periodo in cui opera il divieto, è
tenuta a presentare al datore di lavoro idonea
certificazione dalla quale risulti l'esistenza
all'epoca del licenziamento, delle condizioni
che lo vietavano.
3. Il divieto di licenziamento non si applica
nel caso:
a) di colpa grave da parte della lavoratrice,
costituente giusta causa per la risoluzione del
rapporto di lavoro;
b) di cessazione dell'attività dell'azienda
cui essa è addetta;
c) di ultimazione della prestazione per
la quale la lavoratrice è stata assunta o
di risoluzione del rapporto di lavoro per la
scadenza del termine;
d) di esito negativo della prova; resta
fermo il divieto di discriminazione di cui
all'articolo 4 della legge 10 aprile 1991, n.
125, e successive modificazioni.
4. Durante il periodo nel quale opera il
divieto di licenziamento, la lavoratrice non
può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso
che sia sospesa l'attività dell'azienda o del
reparto cui essa è addetta, sempreché il
reparto stesso abbia autonomia funzionale. La
lavoratrice non può altresì essere collocata in
mobilità a seguito di licenziamento collettivo
ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223
e successive modificazioni, salva l'ipotesi
di collocamento in mobilità a seguito della
cessazione dell'attività dell'azienda di cui al
quesiti
comma 3, lettera b).
Articolo 59 - Lavoro stagionale
1. Le lavoratrici addette ad industrie e
lavorazioni che diano luogo a disoccupazione
stagionale, di cui alla tabella annessa al
decreto ministeriale 30 novembre 1964,
e successive modificazioni, le quali siano
licenziate a norma della lettera b) del comma
3 dell'articolo 54, hanno diritto, per tutto il
periodo in cui opera il divieto di licenziamento,
sempreché non si trovino in periodo di
congedo di maternità, alla ripresa dell'attività
lavorativa stagionale e alla precedenza nelle
riassunzioni.
2. Alle lavoratrici e ai lavoratori stagionali
si applicano le disposizioni dell' articolo 7 del
decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564,
in materia contributiva.
Articolo 24 - Prolungamento del diritto alla
corresponsione del trattamento economico
1. L'indennità di maternità è corrisposta
anche nei casi di risoluzione del rapporto
di lavoro previsti dall'articolo 54, comma 3,
lettere b) e c), che si verifichino durante i
periodi di congedo di maternità previsti dagli
articoli 16 e 17.
2. Le lavoratrici gestanti che si trovino,
all'inizio del periodo di congedo di
maternità, sospese, assenti dal lavoro
senza retribuzione, ovvero, disoccupate,
sono ammesse al godimento dell'indennità
giornaliera di maternità purché tra l'inizio
della sospensione, dell'assenza o della
disoccupazione e quello di detto periodo non
siano decorsi più di sessanta giorni.
Dalla lettura di questi articoli emerge
chiaramente
(soprattutto
dalle
parti
sottolineate) che la chiusura della attività
per stagionalità non interessa le lavoratrici
a tempo indeterminato, in quanto l’attività
stagionale sospende e non fa cessare l’attività
dell’azienda o di un reparto funzionalmente
autonomo (requisito minore richiesto da una
parte della giurisprudenza), in modo simile,
ci si perdoni il paragone non completamente
congruo, a quanto avviene nel part time
verticale, in cui il rapporto viene sospeso e
non cessa, anche in presenza di periodi di
inattività. In questo senso poiché il termine
della attività stagionale non è una cessazione,
essa non ricade nei casi di cui al punto b del
terzo comma dell’art.54, rendendo impossibile
il licenziamento della lavoratrice assunta a
tempo indeterminato.
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quesiti
Indennità di mensa, 5,30 euro in busta
paga o ticket restaurant di pari importo?
QUESITO
Il CCNL dei Centri Elaborazione Dati rinnovato in data 21/04/2009 ha ampliato la base per
l'applicazione delle indennità accessorie, che diventano obbligatorie per tutti i CED con più di
dieci dipendenti. Tra queste indennità accessorie c'è anche quella di cui all'articolo 132 (Indennità
di mensa).
Tale articolo prevede che i CED che non abbiano attivato il servizio di mensa ed il cui orario
di lavoro preveda la pausa pranzo, devono erogare ai propri dipendenti un'indennità sostitutiva
del servizio mensa, c.d. ticket restaurant pari a 5,30 euro giornalieri. Nella sottostante nota a
verbale comunica che le parti richiamano la giurisprudenza e la normativa sull'assoluto carattere
non retributivo dell'indennità sostitutiva di mensa. Poiché l'articolo fa riferimento all'erogazione
di un'indennità sostitutiva del servizio di mensa e contestualmente accenna al "ticket restaurant"
ci si chiede:
1) se i datori di lavoro siano tenuti ad erogare in busta paga l'indennità sostitutiva pari a 5,30
euro giornalieri oppure a fornire dei ticket restaurant di pari importo;
2) se la nota a verbale richiamando il carattere non retributivo dell'indennità sostitutiva di mensa
intenda riferirsi al ticket restaurant (totalmente escluso dalla base imponibile) o all'indennità
sostitutiva di mensa vera e propria (esente nel limite di euro 5,29 giornalieri in presenza di
alcune condizioni concomitanti tra loro ovvero orario che comporti una pausa pranzo, sede
stabile di lavoro, ubicazione dell'unità produttiva in un luogo che non consenta di raggiungere
senza utilizzo di mezzi di trasporto un luogo di ristorazione).
RISPOSTA
Esperto:
Antonio Stella
Il CCNL dei Centri Elaborazioni Dati all’art.
132 prevede – nell’ambito delle “Indennità
disagio e prestazioni speciali” – per tutte le
strutture con più di 10 dipendenti che non
abbiano provveduto ad attivare il servizio
mensa, l’erogazione di un’indennità sostitutiva
pari ad € 5,30 giornalieri.
Detta indennità sostitutiva denominata
“ticket restaurant” compete solo per le
prestazioni lavorative in cui sia presente la
pausa pasto oppure con prestazione spezzata
in due parti.
In altri termini non compete in caso di
prestazione giornaliera unica continuativa
svolta nei termini massimi della vigente
normativa di legge in materia di orario di
lavoro (art. 8 D.Lgs. 66/2003).
Dal tenore letterale del testo contrattuale
emerge un chiaro obbligo in capo ai datori di
lavoro di opzione tra tre distinte alternative:
attivare un servizio mensa diretto o
convenzionato; riconoscere buoni pasto del
valore di € 5,30 giornalieri; erogare a libro
paga un’indennità sostitutiva pari ad € 5,30
giornalieri, sempre in relazione ai giorni di
effettiva prestazione lavorativa.
La nota verbale citata non risulta felice
nella formulazione e per quanto ci interessa
contrariamente a quanto riportato dai soggetti
stipulanti si pone in contrasto con il vigente
dettato normativo. Non risulta infatti coerente
l'indicazione riportata “l’assoluto carattere
non retributivo dell’indennità sostitutiva della
mensa” anche alla luce di recenti pronunce
giurisprudenziali (Cass. 16761/2005 – Cass.
10218/2007). Da un punto di vista normativo
si ricorda come ai sensi dell’art. 48, comma
2, lettera C del TUIR, confermato sotto il
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profilo ermeneutico dalla risoluzione 41/E del
30/03/2000, l’esclusione della base imponibile
dell’indennità di mensa fino all’attuale importo
di € 5,29 ricorre soltanto per quelle categorie di
lavoratori ove ricorrono contemporaneamente
tutte le seguenti condizioni: avere un orario di
lavoro che comporti la pausa per il vitto; essere
addetti ad una unità produttiva da intendere
come sede di lavoro; ubicazione della sede
di lavoro in luoghi che non permettono,
durante l’intervallo per il pasto, di recarsi
(senza l’impiego di mezzi di trasporto) al più
quesiti
vicino luogo di ristorazione in cui sia possibile
utilizzare i buoni pasto che rappresentano la
naturale alternativa all’indennità in denaro.
Alla luce delle considerazioni esposte,
qualora si intenda meramente sostituire
il servizio mensa ovvero la consegna dei
buoni pasto con l'inserimento a libro paga
di un'indennità sostitutiva senza verificare
la rigorosa presenza delle condizioni sopra
evidenziate, il relativo importo dovrà rientrare
nella base imponibile sotto il profilo fiscale e
previdenziale.
Diverse interpretazioni del permesso elettorale.
Quale quella corretta?
QUESITO
Due diverse interpretazioni riguardo al corretto riconoscimento retributivo o di riposo compensativo
dovuto al lavoratore impegnato nelle operazioni elettorali. La circolare n.6 del 25/5/2009 della
Fondazione Studi riconosce per l’impegno elettorale del sabato e domenica due quote di retribuzione
giornaliera, in aggiunta allo stipendio, oppure due riposi compensativi. L’Informativa SEAC N.157
del 5/6/2009 che si rifà al comunicato Confcommercio n.19 del 28/3/2006 prot.732, riconosce invece
una sola quota giornaliera di retribuzione (oppure un riposo compensativo) per l’impegno svolto in
domenica a motivo del fatto che il sabato lo considera giornata lavorativa a zero ore già retribuita
dallo stipendio mensilizzato.
RISPOSTA
Esperto:
Paola Diana Onder
Sia nella circolare n. 6/2009 della Fondazione
Studi che nella circolare n. 157/2009 del Seac,
si chiarisce che qualora il sabato sia lavorativo e
quindi compreso nei 26 gg, viene retribuita con
1/26 in più la sola domenica, o in alternativa goduto
il riposo compensativo. Qualora nella giornata del
sabato non sia prevista prestazione lavorativa,
il lavoratore avrà diritto a due quote giornaliere
(sabato e domenica) o in alternativa sempre
riposo compensativo. La distinzione del sabato
lavorativo che tanti dubbi ingenera in particolare
nel settore del commercio, è conseguente al
dettato contrattuale.
In estrema sintesi:
- qualora l'orario settimanale di 40 ore sia
distribuito su 6 giornate, il sabato è lavorativo e
quindi incluso nei 26 gg retribuiti;
- qualora l'orario settimanale di 40 ore
sia distribuito su 5 giornate, il sabato è
sempre lavorativo, perchè lo dice il contratto
definendolo "giornata lavorativa a zero ore",
conseguentemente inclusa, come sopra, nei 26
gg.
Per quanto sopra, sarà retribuita o compensata
con il riposo la sola giornata di permesso elettorale
della domenica.
Ultima - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010
CHI SIAMO
Dirigenti e sedi Associazione Nazionale
Consulenti del Lavoro Sindacato Unitario
GIUNTA ESECUTIVA NAZIONALE
Da chi è composta la Giunta
Segretario Generale Nazionale Francesco Longobardi - Vice Segretario Generale Nazionale Vicario Stefano
Sassara - Vice Segretario Generale Nazionale Franco Dolli - Segretario Tesoriere Giammaria Monticelli
Segretario Amministrativo Guido Sciacca - Coordinatore Centro Studi Paola Diana Onder
ALTRI COMPONENTI GIUNTA ESECUTIVA
Tutti i componenti della Giunta
Claudio Baldassari, Giovanni Besio, Adele Borelli, Marina Canavesio, Nestore D’Alessandro, Roberto
Morini, Danilo Notarnicola, Leonardo Pascazio, Roberto Sartore, Rossano Zanella,
Collegio Nazionale Sindaci Revisori
Dario Montanaro (presidente), Renato Boscutti e Giovanni Gherzi (revisori)
Collegio Nazionale Probiviri
Patrizia Gagliardi (presidente), Luciano Ognissanti e Andrea Pozzatti (probiviri)
CONSIGLIO NAZIONALE
Da chi è composto il Consiglio
Consiglieri di estrazione congressuale
Agostini Walter, Alborno Mario, Arteritano Pasquale, Baldassari Claudio, Besio Giovanni, Biscarini Paolo,
Borelli Adele, Bravi Bruno, Bruno Luciana, Canavesio Marina, Cocchi Maria Rosaria, Cocorullo Fernando,
D’Alessandro Nestore, D’Angelo Franco, De Febe Giulia, Della Bianca Giuliana, Di Paolo Mauro, Dolli Franco,
Eleonori Guglielmo R., Faggiotto Claudio, Fanfani Antonio, Formentin Giovanna, Furlan Debora,
Giacomin Antonietta, Giarola Zeno, Granata Annamaria, Graziano Alessandro, Izzo Alfonso, Maffiotti
Manuela, Mirtoni Annamaria, Monticelli Giammaria, Morini Roberto, Nicoli Loredana, Notarnicola Danilo,
Onder Paola Diana, Paone Luca Andrea, Pascazio Leonardo, Pasquini Roberto, Piceci Roberto, Rama
Valeria, Rota Porta Alessandro, Sanna Mauro, Sartore Roberto, Sassara Stefano, Schiavello Antonio,
Sciacca Guido, Scoglio Stefania, Sighinolfi Roberta, Spalletti Antonella, Tonegutti Stefano, Umbaldo
Massimiliano, Vannicola Enrico, Zanella Rossano, Zeppi Leonardo, Zimmile Calogero
PRESIDENTI CONSIGLI REGIONALI ANCL
I presidenti dei Consigli Regionali dell'Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro
Crocifisso Baldari (Puglia), Elisabetta Battistella (prov. aut. Bolzano), Pier Luigi Begliuomini (Valle
d'Aosta), Alessandro Bonzio (Veneto), Filippo Carrozzo (Piemonte), Galileo Casimiro (Molise), Giuseppe
Corrias (Sardegna), Giulio Dapelo (Liguria), Nicola De Laurentis (Abruzzo), Maria Rosaria Cocchi
(Lombardia), Anna Maria Granata (Campania), Giovanna Manca (Basilicata), Carlo Marcucci (Marche),
Pasquale Mazzuca (Calabria), Luca Piscaglia (Emilia Romagna), Paolo Rossi (Lazio),
Nunzio
Scribano
(Sicilia),
Alessandro
Signorini
(Toscana),
Marinella
Tinonin
(Friuli Venezia Giulia), Bruno Toniolatti (Umbria), Mauro Zanella (prov. aut. Trento).