QUESITO
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Edizione Speciale Quesiti Quesiti Tutte le risposte degli esperti del Centro Studi Ancl Prossima "1081" In edicola dopo le festività pasquali nella veste ordinaria Chi siamo Dirigenti e sedi del sindacato nazionale e locale Terzo Speciale Quesiti, successo annunciato REDAZIONE Bollettino ufficiale Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro Sindacato Unitario Anno 2 - Numero 7 (10) Direttore responsabile Francesco Longobardi Capo redattore Diana Paola Onder Coordinatori di redazione Silvia Bradaschia Giuliana Della Bianca Redazione e impaginazione Solcom srl via Salvatore Matarrese, 2/G 70124 Bari Editore Ancl - Segreteria Nazionale via Cristoforo Colombo, 456 Scala B, II piano 00145 Roma Contatti www.anclsu.com [email protected] [email protected] chiuso alle ore 17.20 del 30 marzo 2010 SOMMARIO EDIZIONE SPECIALE QUESITI INtroduzione Terzo speciale quesiti, un successo annunciato pag. 3 quesiti 20 quesiti e le risposte degli esperti pag. 3 CHI SIAMO in ultima PAG. 3 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 QUESITI Terzo speciale quesiti, un successo annunciato Con questa terza parte dello speciale quesiti de "Il Consulente milleottantuno" si chiude il trittico tutto dedicato alla storica rubrica della rivista ufficiale dell'Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro Sindacato Unitario. Il Centro Studi e la redazione hanno lavorato alacremente per fornire ai colleghi consulenti del lavoro una banca dati di assoluto prestigio, riproponendo tutti i quesiti dell'ultimo anno in una pratica pubblicazione da stampare e da conservare. Tre parti con oltre 80 quesiti (ma ogni precedente numero della 1081 ne ha contenuti di ulteriori) che spaziano dalle indennità di maternità all'esenzione contributiva sulle indennità di malattia corrisposte direttamente dai datori di lavoro (in questa edizione ben tre quesiti con la stessa risposta a cura di Rosario D'Aponte). Un grazie sincero ai collaboratori della rivista, al Centro Studi diretto dalla dott.ssa Paola Diana Onder e a tutti gli esperti di questi ultimi due numeri (in rigoroso ordine alfabetico Giuseppe Bizzarro, Bruno Bravi, Carlo Cavalleri, Rosario Cassarino, Paola Cogo, Giovanni Cirmi, Rosario D'Aponte, Maria Luisa Di Marco, Renzo Ghiotto, Gabriele Giardini, Chiara Giovannini, Renzo La Costa, Anna Maistro, Cristiana Michieli, Giammaria Monticelli, Roberto Morini, Roberto Sartore, Antonio Stella, David Trotti, Giovambattista Vavalà, Paola Diana Onder, Alessandro Rizza, Renato Francesco Savio, Giulio Dapelo, Stefania Scoglio, Davide D'Ambrogio, Simone Nicolè, Alfio Catalano). La redazione Azienda con più punti vendita, sufficiente conservare il LUL nella sede legale a cura di Diana Paola Onder Coordinatrice Centro Studi Nazionale Ancl QUESITO Durante una verifica dell’ispettorato del lavoro in un’azienda che ha più punti vendita, l’ispettore sostiene che in ogni negozio ci deve essere una mia dichiarazione che il LUL é presso il mio studio. La mia dichiarazione é depositata presso la sede legale, é legale quanto sostenuto dall’ispettore? RISPOSTA Esperto: Renzo La Costa Ai fini della soluzione del quesito posto, si riporta di seguito la soluzione dettata dal Ministero del Lavoro, disponibile sul sito www. lavoro.gov.it alla sezione Libro Unico/domande ricorrenti: E) Vigilanza, illeciti e sanzioni 1 - L’azienda che ha più unità organizzative (come ad esempio una banca che ha più filiali) ai fini della corretta tenuta del libro unico del lavoro, tenuto in maniera accentrata presso la Funzione Personale di Direzione Generale, deve depositare in ognuna delle filiali una dichiarazione di tenuta del libro medesimo in Direzione Generale, o al momento di un’ispezione deve solo dichiarare luogo e ufficio di conservazione, indicando i numeri di telefoni e fax da contattare PAG. 4 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 QUESITI ai fini dell’ottenimento della documentazione? Ai fini di una corretta tenuta del LUL il datore di lavoro che tenga il nuovo libro obbligatorio presso di sé può scegliere liberamente la sede legale o stabile deputata alla tenuta accentrata per tutte le sedi o filiali. Non appare necessario conservare alcuna dichiarazione né comunicazione sui singoli luoghi di lavoro. Per quanto riguarda l’obbligo di esibizione del LUL in caso di ispezione, la norma richiede l’esibizione "immediata" (entro la fine della redazione del verbale di primo accesso ispettivo) del LUL del solo ultimo mese e solo con riferimento ai lavoratori occupati nella sede stabile o filiale oggetto di ispezione. Tenendo presente che lo scopo dell’immediata esibizione è, ove venga richiesta dal personale ispettivo, quello di verificare il corretto inquadramento del personale presente all’atto dell’ispezione, il problema può essere risolto, sul piano organizzativo, in qualsiasi modo, purché però gi accertatori possano visionare immediatamente, anche a seguito di invio telematico o fax, l’ultimo LUL dei lavoratori occupati presso la sede ispezionata. Lavoratore comunitario in un settore non liberalizzato, necessaria la richiesta di nulla osta alla Prefettura? QUESITO Assisto un'impresa di pulizie. Dovendo assumere un lavoratore rumeno senza permesso di soggiorno (perché comunitario) ma da gestire con un contratto di lavoro che rientra in un settore non liberalizzato, abbiamo fatto richiesta, per raccomandata a.r., di Nulla Osta utilizzando l'apposita modulistica (MOD. SUB NEOCOMUNITARI) alla Prefettura di Milano. L'azienda, dopo qualche giorno, viene contattata dalla Prefettura, telefonicamente e viene riferito che, il cittadino rumeno in possesso di carta di identità rilasciata da un comune d'Italia, può essere assunto senza Nulla Osta e direttamente come un italiano. Ovviamente l'Azienda mi ha riferito polemicamente questo aspetto di cui, però, io non sono convinta. Se, infatti, il documento d'identità viene rilasciato ma poi il lavoratore va assunto in un settore non liberalizzato, l'Azienda sarebbe in difetto se non chiedesse il nulla osta! Così si esprime la normativa, mi sembra e tali indicazioni da il sito della Prefettura. Il problema é che adesso l'Azienda non sa che fare. Se lo assume così, secondo me, è a rischio di sanzione ma il nulla osta sembra che non verrà rilasciato, dopo la chiamata della Prefettura perché la pratica sarebbe stata archiviata così. Potreste dirmi come dobbiamo procedere? Ho il sospetto che il funzionario che ci ha contattati telefonicamente non abbia considerato che il settore in cui rientra l'Azienda è non liberalizzato e quindi la sua risposta è valida per altri settori ma non per le imprese di pulizia. Eventualmente, si può conoscere in base a quale norma, un lavoratore rumeno in possesso di documento di identità può essere assunto, in un settore non liberalizzato, senza bisogno di chiedere il previsto nulla osta alla Prefettuta? RISPOSTA Esperto: Chiara Giovannini Il D.Lgs. n. 30 del 2007 disciplina la libera circolazione e il soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari. L’art. 9 del suddetto decreto prevede l’obbligo di richiedere l’iscrizione anagrafica nel comune di dimora da parte dei cittadini dell’Unione che PAG. 5 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 QUESITI intendono soggiornare nel nostro paese per un periodo superiore a tre mesi. L’art. 7 pone come condizione del soggiorno, tra le altre cose, lo svolgimento di un lavoro subordinato o autonomo. Una volta soddisfatte tutte le condizioni, il comune rilascia un attestato di iscrizione anagrafica e questo documento ha la medesima valenza di una carta di soggiorno per extracomunitari. Un rumeno, o un bulgaro, che si trova al primo ingresso in Italia dopo l’11 aprile 2007, o già presente sul territorio italiano prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 30/2007 senza possedere un permesso di soggiorno o una carta di soggiorno, per poter soggiornare liberamente nel nostro paese per oltre tre mesi deve chiedere l’iscrizione anagrafica e produrre idonea documentazione che attesti, tra le altre cose, che sta regolarmente lavorando. Nel caso in cui il lavoratore sia subordinato e sia stato assunto in un settore liberalizzato, il datore di lavoro non è tenuto a nessun ulteriore adempimento oltre quelli obbligatori previsti dalla normativa vigente per i cittadini italiani. Nel caso in cui, invece, il lavoratore sia assunto in un settore non liberalizzato (es.: industria alimentare) il datore di lavoro è tenuto a richiedere, prima dell’instaurazione del rapporto, il nulla osta all’assunzione presso lo sportello unico competente per territorio. Quest’ultimo adempimento è posto in capo al datore di lavoro che intende assumere un lavoratore rumeno o bulgaro che non possiede nessun titolo di soggiorno nel nostro paese. Una volta ottenuto il nulla osta il datore di lavoro procede ad una regolare assunzione. Il lavoratore, quindi, produrrà presso l’anagrafe del Comune in cui intende risiedere la certificazione dell’avvenuta instaurazione del rapporto di lavoro. In questa fase l’Anagrafe del Comune si sostituisce alla Questura nel rilascio dei documenti di soggiorno. Una volta ottenuto un idoneo documento di soggiorno, il lavoratore può svolgere qualsiasi attività lavorativa, sia autonoma sia subordinata, sia in un settore liberalizzato che non liberalizzato. Il documento di soggiorno non ha scadenza, se non a causa del venir meno dei requisiti che ne hanno determinato il rilascio. Quindi, se il lavoratore, in possesso di attestato di iscrizione anagrafica, continua comunque a svolgere attività lavorativa, oppure si trova in stato di disoccupazione involontaria ed è regolarmente iscritto presso il centro per l’impiego e ha reso la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, può continuare a soggiornare liberamente sul territorio italiano e non è necessario chiedere un nulla osta all’assunzione. La Circolare n. 19/2007 del Ministero dell’Interno riporta ed esplica i vari passaggi del D.Lgs. n. 30/2007. Si può concludere dicendo che di fatto non esiste una norma che esoneri il datore di lavoro dalla richiesta di nulla osta, piuttosto si deve interpretare la disciplina del rilascio dell’attestato di iscrizione anagrafica in analogia con il rilascio del primo permesso di soggiorno o della carta di soggiorno per extracomunitari. Se così non fosse, assisteremmo ad un’ingiusta discriminazione tra chi è titolare di un permesso di soggiorno o di una carta di soggiorno e chi invece è titolare di un attestato di iscrizione anagrafica, in quanto il primo potrebbe lavorare in qualsiasi settore, mentre il secondo solo in settori liberalizzati. Sarebbe tuttavia opportuno che il Ministero fornisse ulteriori chiarimenti in tal senso. PAG. 6 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 QUESITI Soggetto percettore di prestazioni integrative, possibile lavoro accessorio entro i 3000 euro? QUESITO Un soggetto percettore di prestazioni integrative del salario può per l'anno 2009 svolgere prestazioni di lavoro accessorio nei limiti di € 3000? In che modo dovrà rendere l'immediata disponibilità al lavoro secondo quanto stabilito dall'art. 19 comma 10 del DL 185? RISPOSTA Esperto: Giuseppe Bizzarro D - Un soggetto percettore di prestazioni integrative del salario può per l'anno 2009 svolgere prestazioni di lavoro accessorio nei limiti di € 3000? R - La possibilità di svolgere attività remunerata – durante il periodo di sospensione di attività lavorativa – senza decadere dai diritti derivanti dallo status acquisito - nel solo 2009 ( salvo proroghe) - con “lavoro accessorio” - nei limiti di € 3000 trova la fonte nella legge 33/2009, art. 7ter, comma 12, che ha modificato l’art. 70 del D.Lgs. 10.09.2003. n. 276 sul lavoro accessorio, in particolare con riferimento alla lettera e) che ha introdotto un nuovo comma 1bis all’art 70 del D.Lgs. 10/09/2003 n. 276. Le condizioni e le modalità sono dettagliatamente specificate dalla circ. Inps n. 75 del 26 maggio 2009, precisamente al paragrafo 2.4 intitolato “Compatibilità delle integrazioni salariali e di altre prestazioni di sostegno con le prestazioni di sostegno del reddito con le prestazioni di lavoro accessorio nel limite massimo di € 3.000 per l’anno 2009” e dalla circ. Inps n.88 del 09/07/09 paragrafo 1.4), alle quali si fa espresso rinvio. D - In che modo dovrà rendere l'immediata disponibilità al lavoro secondo quanto stabilito dall'art. 19 co. 10 del DL 185 ? R - Le modalità per ottemperare a quanto previsto dall'art. 19 co. 10 del DL 185 deve essere data nei tempi e nei modi e con la modulistica prevista dall’ INPS, si veda l’art. 11 del Decreto del Min. del Lavoro 19/05/2009 (pubb. in G.U. 22/07/09 n. 168), che prevede che l’Ente, entro 15 giorni dalla pubblicazione in G.U. del decreto, avrebbe dovuto emanare apposite istruzioni. Al momento ci risulta che abbia pubblicato solo in data 22/07/09 la Versione 2.0 del Mod. DID-COD. SR105. Premesso che dal quesito non risulta chiara la reale posizione del lavoratore, ma sembra di capire che non si tratti di lavoratore licenziato (nel qual caso la DID sarebbe già stata presentata al Centro Impiego), si ritiene che, se il trattamento di cui sta beneficiando il lavoratore è la CIG in Deroga, i tempi e i modi di redazione della DID sono già definiti, mentre risulterebbe problematico identificare le modalità di definizione della DID se si tratta di lavoratore CIGO o CIGS non in deroga, stante la portata generale dell’obbligo (infatti, l’art. 19 c.10. del DL 185/08, prevede tale obbligo per “qualsiasi trattamento di sostegno al reddito”). In assenza di istruzioni, si potrebbe ricorrere all’utilizzo del Mod. DID-COD. SR105, inviandolo alla Sede Inps competente, in relazione al fatto che, in base a quanto stabilito dal D.M.(art. 11 c.2), è previsto che tale dichiarazione debba essere resa nota all’Inps. PAG. 7 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 QUESITI Possibile variare mansione e piano formativo di un apprendista? QUESITO E' possibile variare mansione e quindi piano formativo ad un apprendista? In caso affermativo il nuovo piano formativo va depositato o certificato dalla D.P.L. ? Sono trascorsi cinque mesi all'assunzione e l'azienda, valutato che l'apprendista non sarà in grado di conseguire la mansione per la quale è stato assunto, vorrebbe adibirlo ad altra mansione. RISPOSTA Esperto: Roberto Morini Il contratto di apprendistato professionalizzante costituisce uno speciale rapporto di lavoro finalizzato al conseguimento di una qualificazione professionale, attraverso un percorso formativo sul lavoro. La precisa indicazione della qualifica da raggiungere al termine dell’addestramento è un elemento essenziale del contratto, a tutela dell’apprendista a cui deve essere garantita una qualifica spendibile eventualmente anche presso altre ditte. Il datore di lavoro è obbligato ad impartire, o a far impartire, un insegnamento necessario ed adeguato all’apprendista affinché egli possa diventare un lavoratore qualificato, nel rispetto del piano formativo allegato al contratto. La normativa in materia di apprendistato dispone a favore dell’imprenditore, a fronte dell’impegno organizzativo aziendale e della ridotta produttività dell’apprendista, una diminuzione del suo carico retributivo e contributivo. In merito al cambiamento di mansione occorre rilevare che il potere del datore di lavoro ha dei limiti. In particolare l’articolo 2103 del c.c. “Mansioni del lavoratore” prevede che il prestatore di lavoro non possa essere adibito a mansioni diverse da quelle oggetto dell’assunzione. La limitazione introdotta dal legislatore, con la previsione di cui al precedente punto, è diretta ad incidere su certi provvedimenti unilaterali assunti dal datore di lavoro che, non sorretti da ragioni organizzative, tecniche e/o produttive, mirano al cambiamento di mansioni contro la volontà del lavoratore. In un percorso di apprendistato professionalizzante costituito, normalmente, da una durata compresa fra i tre e i cinque anni, il fatto specifico evidenziato dal quesito - che al termine di cinque mesi l’azienda si rende conto che l’apprendista “non sarà in grado” di conseguire la mansione per la quale è stato assunto, - a parere di chi scrive, può essere motivo di dubbio sulla effettiva qualità della formazione aziendale. Tuttavia, da ciò non si deve escludere per le parti, sussistendo un comune accordo, la possibilità di pattuire una novazione del rapporto di apprendistato professionalizzante in un nuovo rapporto mirato a conseguire una diversa qualifica, (e nuovo piano formativo), da quella originariamente prevista, con riconoscimento del periodo lavorativo pregresso. Allo scopo di evitare che un simile accordo possa configurarsi, da parte del lavoratore, come una rinunzia inammissibile di cui all’articolo 2113 c.c., si consiglia di formalizzare l’atto in commissione conciliatrice presso la D.P.L. territorialmente competente. PAG. 8 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 QUESITI Cessione di ramo d'azienda, deve essere rinnovato il documento di scelta del TFR? QUESITO Un'azienda commerciale cede, per cessione di ramo d'azienda, un punto vendita ad un'altra azienda. I dipendenti passano alla nuova azienda senza soluzione di continuità, senza la liquidazione del tfr e con i ratei maturati nella vecchia azienda. Deve essere rinnovato il documento di scelta del tfr rilasciato alla ditta ceduta, oppure rimane valido il modello Tfr 1 - Tfr 2 già consegnato. I dipendenti dovranno compilare una dichiarazione dove confermano la scelta effettuata durante il rapporto di lavoro con la vecchia azienda oppure non serve far nulla? Come si concilia il contrasto delle date (scelta effettuata nel 2007/2008 mentre la nuova azienda è nata nel 2009? RISPOSTA Esperto: Roberto Morini La nuova versione dell’articolo 2112 del c.c., dopo la modifica legislativa apportata a decorrere dal 1 luglio 2001, definisce trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, a seguito di cessione contrattuale o fusione, comporta mutamento di titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza fini di lucro, al fine della produzione di beni o di servizi. Inoltre, in virtù di questa disposizione di legge, il rapporto di lavoro continua con il cessionario mantenendo la conservazione di tutti i diritti acquisiti dal lavoratore. Ciò comporta che il rapporto di lavoro prosegue immutato con il cessionario in tutti i suoi aspetti, venendo considerato unitariamente e senza alcuna interruzione dovuta alla modificazione della parte datoriale (Cass, 8/09/1999 n. 9545). Le disposizioni sul trasferimento d’azienda si applicano, altresì, al trasferimento di parte dell’azienda (c.d. ramo), intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata ed identificata come tale al momento della cessione. Il ruolo assegnato dalla legge al cedente ed al cessionario è, comunque, di mera ricognizione di una capacità produttiva autonoma che deve già esistere e che non può essere creata strumentalmente al momento della cessione in quanto ciò consentirebbe di non rispettare le garanzie previste dal rapporto di lavoro preesistente (Cass. 09/03/2005 n. 5138). In correlazione a quanto opportunamente è stato evidenziato sopra da un punto di vista normativo e a quanto emerso dall’operazione di acquisizione di aziende da parte di una famosa ed importante multinazionale nella quale fu interessata, fra l’altro, la previdenza complementare si rileva che: 1. Necessariamente si deve effettuare una comparazione fra le prestazioni del Fondo Pensione scelto dai lavoratori in costanza del precedente rapporto, con le prestazioni del Fondo applicato nell’azienda del cessionario; 2. I lavoratori possono rimanere iscritti al Fondo applicato nell’azienda di provenienza; 3. I lavoratori possono trasferire l’intero accantonato nel Fondo applicato nell’azienda di provenienza al Fondo applicato nell’azienda del cessionario; 4. Per quanto riguarda la modulistica è, chiaramente, consigliabile contattare i rispettivi Fondi; 5. Non esiste “contrasto delle date” dal momento che il rapporto di lavoro prosegue col cessionario senza soluzione di continuità. PAG. 9 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 QUESITI Arretrati pensionistici 2000-2005, si può godere della no tax area come se fossero stati percepiti nell'anno di spettanza? QUESITO Un contribuente, finalmente nel corso del 2006, percepisce una pensione al minimo dall'INPS (circa 5.000 euro l'anno). Poiché la decorrenza della pensione riconosciuta è del 01/01/2000, gli vengono corrisposti gli arretrati per gli anni 2000-2005 che vengono sottoposti a tassazione separata. L'AdE, rielaborando i dati comunicati dall'INPS, richiede al contribuente un saldo da tassazione separata molto alto, nel calcolo non sono evidenziate le detrazioni spettanti. L'INPS, su richiesta, rilascia un prospetto con l'indicazione annuale degli arretrati corrisposti, delle detrazioni fruite e delle detrazioni non fruite. Nel prospetto, relativamente agli anni 2003-2005, l'INPS non evidenzia importi di "no tax area" goduti o non goduti, sostenendo che in caso di tassazione separata essa non spetti. Il pensionato, pertanto, dovrebbe versare gran parte del saldo richiesto e pari a circa un anno degli arretrati percepiti, se invece, avesse percepito la propria pensione annualmente, non avrebbe versato alcunché di IRPEF in quanto la no tax area avrebbe assorbito l'intero imponibile. Nelle mie ricerche non sono riuscito a farmi una opinione certa sul godimento o meno della "no tax area" in caso di arretrati. La mia domanda: il contribuente, al fine di mitigare la pretesa tributaria come se avesse percepito gli arretrati nell'anno di spettanza, può godere della "no tax area" su questi emolumenti al pari delle detrazioni? RISPOSTA Esperto: Cristiana Michieli L'art. 51 del TUIR stabilisce che “il reddito di lavoro dipendente è costituto da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta (…). Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a quello a cui si riferiscono”. La norma, quindi, prevede che per tutte le somme appartenenti alla categoria di reddito del lavoro dipendente, tra le quali rientrano anche le pensioni di ogni genere, si debba applicare il principio di cassa, in forza del quale i redditi percepiti devono essere assoggettati ad imposizione nello stesso anno in cui sono corrisposti. Unica deroga al dettato normativo è il c.d. principio di cassa allargato che permette l'imputazione al periodo di imposta precedente delle somme erogate entro il 12 gennaio dell'anno successivo. Comunque, il Legislatore, per evitare i possibili effetti negativi derivanti dall'applicazione di questo criterio ha previsto, in particolari situazioni, un diverso tipo di tassazione da applicare ai c.d. emolumenti arretrati. In questi casi, infatti, viene applicata la tassazione separata prevista e regolamentata dall'art. 17 e seguenti del TUIR. Lo spirito di questa norma è mitigare un peso eccessivo della tassazione ordinaria, derivante dal fatto di percepire con ritardo redditi maturati in anni precedenti e vedere, quindi, un aggravio dell'imposizione derivante dall'applicazione dell'aliquota marginale più elevata. Tuttavia, in situazioni particolari, quando gli arretrati si riferiscono ad un intervallo temporale molto ampio, come in questo caso, si rischia di veder vanificato lo spirito della legge ed, anzi, di essere penalizzati da una tassazione troppo onerosa. PAG. 10 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 QUESITI Il caso prospettato nel quesito ricade sotto due tipi di tassazione completamente diversi; il primo con riconoscimento delle detrazioni d'imposta, mentre il secondo, quello della riforma del 2004, con l'istituzione della c.d. no tax area. Purtroppo, il Legislatore del 2004 non ha previsto la «no tax area» per i redditi soggetti a Irpef a tassazione separata e, quindi, si è creata una disparità di trattamento rispetto a quanto a quanto previsto dall'art. 21, comma 4, del TUIR. Risulta, pertanto, corretto il comportamento dell'INPS nel non aver indicato gli importi di no tax area. Tuttavia, l'articolo 17 ultimo comma del Tuir prevede che per i redditi indicati alle lettere a), b), c) e c-bis) del comma 1 dello stesso articolo (e quindi anche per gli arretrati soggetti a tassazione separata) gli uffici provvedono a iscrivere a ruolo le maggiori imposte dovute con le modalità stabilite negli articoli 19 e 21 ovvero facendo concorrere i redditi stessi alla formazione del reddito complessivo dell'anno in cui sono percepiti, se ciò risulta più favorevole per il contribuente. Quindi, risulta corretto considerare la tassazione ordinaria per gli arretrati 20032005, percepiti nel corso del 2006, poiché meno onerosa. Del resto la stessa Agenzia delle Entrate dovrebbe calcolare d'ufficio il trattamento più favorevole per il contribuente. Lavoratore licenziato e da riassumere, quali obblighi di tempo? QUESITO Licenziamento per riduzione del personale ditta edile artigiana, quanti mesi di obbligo ci sono per riassumerlo nel caso di aumento del lavoro? RISPOSTA Esperto: Rosario Cassarino Il quesito non è molto chiaro, fermo restando la legittimità del licenziamento operato dal datore di lavoro, si badi che la norma non fa riferimento al "caso di riduzione di personale", di cui al quesito proposto, e, pertanto, tale fattispecie a mio parere è ricompresa nella più generale categoria delle "ragioni inerenti all’attività produttiva", il riferimento normativo al quesito proposto è individuato nel diritto di precedenza di cui all’art.15 comma 6 ex Legge 264/1949, secondo cui i lavoratori licenziati per riduzione di personale hanno la precedenza nella riassunzione presso la medesima azienda entro 6 mesi. Al lavoratore viene attribuito un vero e proprio diritto soggettivo alla riassunzione da parte del datore di lavoro, nella fattispecie, l’azienda datore di lavoro, nel caso di aumento del lavoro può riassumere il lavoratore licenziato senza rispetto di alcun termine, fermo restando, l’eventuale perdita totale e/o parziale da parte del lavoratore del beneficio di ammortizzatori sociali. PAG. 11 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 QUESITI CCNL edili artigiani e CCNL edili industri, la diaria deve far parte dell'imponibile contributivo e fiscale? QUESITO Casistica del lavoro svolto dai lavoratori del settore edilizia. E’ il caso dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, con lettera di assunzione che stabilisce quale luogo di lavoro la sede della ditta; poi comandati o portati in cantieri edili, stradali, ecc, diversi e siti fuori dal Comune in cui ha sede la ditta. Allo scrivente rimane di conoscere e trovare una documentazione sufficiente e chiara per dirimere se la diaria corrisposta ai sensi e con le modalità di tali articoli, debba far parte dell’imponibile contributivo e fiscale. (Diaria corrisposta a norma dell’ art 24 del ccnl 23.07.2008 edili artigiani e dell’art 21 del ccnl 18.06.2008 edili industria) RISPOSTA Esperto: Giovambattista Vavalà Con riferimento al quesito principale, che, per quanto posto in maniera estremamente articolata, sembra risolversi nella semplice domanda “se la diaria corrisposta ai sensi e con le modalità di tali articoli, debba far parte dell’imponibile contributivo e fiscale”, basta richiamare in proposito il disposto di cui all’art. 51, comma 5, del D.P.R. 917/1986, secondo il quale “le indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori del territorio comunale concorrono a formare il reddito per la parte eccedente euro 46,49 al giorno, elevate a euro 77,47 per le trasferte all'estero, al netto delle spese di viaggio e di trasporto (omissis)”. Pertanto, la diaria prevista dal contratto richiamato, se erogata a fronte di trasferte effettuate al di fuori del comune per il quale il dipendente è stato inizialmente assunto o successivamente trasferito, è esente da prelievo fiscale e contributivo fino agli importi giornalieri sopra riportati. Al di sopra di tali importi, essa costituirà a tutti gli effettireddito per il lavoratore dipendente. Piuttosto, si richiama l’attenzione sul fatto che, per giurisprudenza ormai consolidata, il tempo di viaggio deve essere considerato tempo di lavoro effettivo quando esso risulti funzionalmente collegato con l’espletamento della prestazione: ciò si verifica quando, ad esempio, il lavoratore non venga lasciato libero di decidere come recarsi sul luogo in cui è comandato a prestare lavoro, ma sia comunque condizionato a particolari direttive datoriali, come potrebbe essere quella di avvalersi obbligatoriamente del mezzo di trasporto aziendale anzichè del proprio automezzo o di altro vettore: in tal caso, se è vero che al dipendente non spetta il rimborso delle spese di viaggio (in quanto di fatto non ne incontra), si ritiene che il tempo di viaggio vada retribuito come orario di lavoro effettivo, salvo specifiche previsioni contrattuali di diverso tenore. PAG. 12 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 QUESITI Ore giornaliere e ore di allattamento di una lavoratrice full time, quali considerazioni in merito? QUESITO La dipendente di uno studio professionale ha un contratto di lavoro full time. La lavoratrice, essendo mamma di un bambino di 8 mesi presta la sua attività lavorativa per 6 ore giornaliere godendo di 2 ore di allattamento. In una giornata del mese di aprile ha prestato la sua attività lavorativa per 6,5 ore richiedendone 2 di allattamento: vorremmo sapere se la mezz'ora deve essere considerata come lavoro straordinario oppure deve essere decurtata dalle 2 ore di allattamento riconoscendo in questo modo alla lavoratrice solo 1,5 ora di allattamento. RISPOSTA Esperto: Paola Cogo L’art. 10 della Legge 1204 del 1971 recita: “c.1 - Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l’orario di lavoro giornaliero è inferiore alle 6 ore. c. 2 - I periodi di riposo di cui al comma uno hanno la durata di un’ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro". Null’altro viene aggiunto in riferimento all’orario di lavoro né al superamento dello stesso e ad oggi non si ravvisa alcuna norma che vieti il lavoro straordinario o supplementare da parte delle lavoratrici durante il periodo di allattamento. Occorre anche ricordare che all’epoca dell’emanazione della norma appena esposta, la durata massima dell’orario di lavoro giornaliera era prevista di 8 ore, per cui il Legislatore ha precisato che il riposo per allattamento dovesse al massimo durare due ore se le ore lavorate nell’arco della giornata fossero almeno 6. Dall’entrata in vigore della nuova normativa riguardante l’orario di lavoro del 2003 probabilmente si può riconsiderare il numero massimo di ore lavorabili (13) in riferimento alle prestazioni eccedenti le 6 ore di cui sopra. Nel silenzio della norma, a parere di chi scrive, qualora il datore di lavoro chiedesse l’espletamento di lavoro straordinario in assenza di comprovate esigenze aziendali, l’eventuale rifiuto opposto dalla lavoratrice dovrebbe essere considerato legittimo. In ogni caso, anche se la richiesta fosse legittima, la lavoratrice potrebbe comunque rifiutarsi di prestare lavoro straordinario. Partendo da questo assunto e ricollegandoci al quesito posto, si potrebbe ritenere fattibile la mezz’ora di lavoro straordinario e non decurtabile dalle due ore di allattamento che rimangono di diritto in capo alla lavoratrice: infatti se avesse lavorate 7 di ore non avrebbe perso le due ore di allattamento ma avrebbe avuto un’ora di lavoro straordinario. PAG. 13 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 QUESITI Dipendente con attività lavorativa inferiore ai 15 giorni al mese matura il TFR? QUESITO La cassa edile di Milano mi richiede nel modulo MUT di denuncia mensile la compilazione del campo relativo al versamento del TFR al Fondo Prevedi anche per gli operai iscritti al Prevedi in forza per un periodo inferiore ai 15 giorni del mese (es operaio che cessa il 6 marzo). A mio avviso tale richiesta non è corretta. Si richiede pertanto: 1) La riduzione prevista dall’art. 2120 del codice civile “La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni” vale anche per il Ccnl edilizia industria disciplina relativa agli operai? Il dipendente che presta attività per un periodo inferiore ai 15 giorni nel mese (assenze dovute ad assunzioni/cessazioni o permessi non retribuiti ovviamente non a ferie o altri eventi tutelati) matura il tfr oppure no? 2) Tale riduzione è derogabile in genere dalla Contrattazione Collettiva? RISPOSTA Esperto: Bruno Bravi L’art. 2120 del codice civile, così come modificato dall’art. 1 della L. n° 297/1982 prevede che “in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni.” A parere di chi scrive le indicazioni ivi contenute sono le seguenti: - una, di carattere restrittivo (…una quota pari e comunque non superiore …), con la quale si è inteso vietare la concessione di trattamenti più favorevoli, come invece avveniva in passato per i dirigenti, fissando una misura unica per tutti i lavoratori; - ed una, invece, di carattere migliorativo (… computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni) che, impropriamente mutuando dal metodo di calcolo generalmente previsto per il riconoscimento di tutti gli istituti contrattuali e retributivi la cui maturazione avviene “per ratei”, ha inteso introdurre quale “TFR minimo garantito” quello derivante dall’utilizzo dell’intera retribuzione mensile per quei lavoratori che maturino l’intero rateo. Considerato che il previsto riproporzionamento della quota di accantonamento al minor periodo prestato nel corso dell’anno avviene già automaticamente in dipendenza del minor periodo prestato e della conseguente minor retribuzione riconosciuta, non pare si possa ravvisare alcuna esplicita indicazione relativa alla non spettanza del tfr in caso di rapporti lavorativi di durata inferiore a 15 giorni. Sicuramente, a tal riguardo, il dettato legislativo non appare certamente chiaro, tanto è vero che anche la giurisprudenza è divisa: in un primo momento (Cassazione 27/4/1987, n° 4057) l’orientamento era per il non riconoscimento dei periodi lavorativi inferiori a 15 giorni, con la conseguente esclusione della relativa retribuzione da quella computabile; successivamente (Cassazione 25/9/2002, n° 13934) l’interpretazione fu, invece, capovolta tenendo conto che, come detto, la norma si limita a precisare che vanno computate come mese intero le frazioni pari o superiori a 15 giorni, ma non esclude la computabilità delle retribuzioni afferenti a periodi inferiori. Si ritiene che, trattandosi di orientamento più recente, sia opportuno adeguarsi a tale ultima interpretazione giurisprudenziale. Alla contrattazione collettiva è data solo la possibilità di prevedere i criteri per l’individuazione degli elementi da includere nella determinazione della retribuzione utile per il computo del Tfr. PAG. 14 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 QUESITI Perito tributario amministratore di sas, deve emettere parcella o compenso in busta paga? QUESITO RISPOSTA Vi è notizia che i periti tributari iscritti Ancot o Lapet avranno presto un loro ente previdenziale. Un simile professionista con partita iva se è amministratore di una sas di cui è l'unico socio accomandatario dovrebbe emettere parcella per il compenso percepito in qualità di amministratore della società oppure lo deve avere con busta paga? Esperto: Giovanni Crimi Il quesito non può avere risposta perche parte da un presupposto che non esiste. Se la Lapet o Ancot vogliono istituite un loro Ente di Previdenza, bisogna prima sapere cosa prevede lo Statuto di questo Ente e poi si potrà dare un risposta. Comunque, un "Amministratore di norma percepisce un compenso che viene ricondotto al lavoro parasubordinato e conseguentemente gli verrà rilasciata una busta paga e come tale, verrà iscritto alla Gestione separata INPS. Scatti di anzianità degli studi odontoiatrici, quale la normativa contrattuale? QUESITO Potreste riassumere la normativa contrattuale sugli scatti di anzianità degli studi odontoiatrici, area professionale medico-sanitaria e odontoiatrica. Si è letto un articolo su Cadiprof in cui si diceva che in sede di trattative del nuovo CCNL la Cassa intendeva inserire una misura a favore di chi non si era ancora iscritto, prevedendo l’abbattimento delle spese pregresse e quindi degli oneri nel ritardo dell’iscrizione, che cosa ne è stato? RISPOSTA Esperto: Roberto Sartore Riteniamo che a quanto richiesto si possa rispondere altrettanto sinteticamente così come appaiono le richieste medesime: - Il verbale di accordo per il rinnovo del C.C.N.L. degli Studi Professionali. Testo Unico del 3 maggio 2006 prevede anche la modifica dell’art. 131 del C.C.N.L. stesso. Se si comparano le modifiche proposte in relazione al preesistente testo contrattuale non si può non rilevare unicamente la scomparsa della “nota transitoria”. L’articolo 131 altresì ,così come modificato, si ritiene se pur nella sua sinteticità sufficientemente chiaro per la gestione di tutti gli scatti di anzianità per i settori cui il C.C.N.L. si rivolge. - Per quel che attiene al secondo quesito posto, la risposta è presente nel sito della Ca.di.Prof. alla voce”Regolamento”. Ciò premesso si ricorda che all’atto dell’iscrizione si dovrà versare una “una tantum” di euro 24 unitamente alla quota mensile del dipendente iscritto, lo stesso potrà usufruire dei benefici della cassa a partire dal 1° giorno del 4° mese successivo alla nuova iscrizione. PAG. 15 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 QUESITI Esenzione contributiva sulle indennità di malattia corrisposte direttamente dai datori di lavoro, quale l'interpretazione corretta? QUESITO QUESITO Nel n. 28 del 20 Settembre 2008 ho letto un quesito riguardante "Contribuzione nei giorni di malattia in caso di pagamento di indennità da parte del datore di lavoro". Il collega chiedeva notizie in merito al comma 1 dell'art. 20 del DL 25.6.2008 n° 112. Si chiedeva in pratica se la contribuzione, nei giorni di malattia, non sia più dovuta quando a pagare l'indennità di malattia è il datore di lavoro al posto dell'Inps. L'Inps su tale argomento ha emanato qualche circolare? Si richiedono chiarimenti in relazione all'esenzione contributiva sulle indennità di malattia che vengono corrisposte direttamente dai datori di lavoro (es. impiegati nell'industria). Si vorrebbe sapere in particolare se il mancato versamento di tutti i contributi determina il mancato accredito, a favore del lavoratore, sulla contribuzione del FPLD. QUESITO In base all’art. 20, comma1, del D.L. n. 112/2008 il datore di lavoro non è tenuto al versamento della contribuzione durante il periodo di malattia nel caso in cui corrisponda direttamente la retribuzione durante la malattia del dipendente. Mi domando se tale provvedimento è immediatamente applicabile e quindi possiamo procedere con l’esonero della contribuzione già dalle prossime paghe, se l’esonero riguarda l’intera contribuzione, quota dipendente e quota azienda, e se è possibile procedere con il recupero degli arretrati. Nessuna circolare dell’Inps sull’argomento. Come si ritiene più consono comportarsi in questo contesto. A pagina 530 de “Il Consulente 1081” c’è una risposta del Centro Studi sull’argomento dal quale si evince un parere positivo ma da quella data in poi non si è più dato seguito all’argomento ed ecco, pertanto, il motivo della presente istanza. RISPOSTA Esperto: Rosario D'Aponte L’articolo 20 comma 1 della Legge 6 agosto 2008, n. 133 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, è una norma di interpretazione autentica dell’art. 6, comma 2, della legge n. 138/1943. Viene, infatti, chiarito che i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione all'Istituto medesimo. L’interpretazione ancorché tardiva, legittima il trattamento riservato nel corso di tutti questi anni agli impiegati del settore industriale durante i periodi di malattia. Infatti, già con PAG. 16 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 QUESITI l’entrata in vigore della citata legge 138/1943, il rapporto dell’impiego privato era disciplinato dal RDL 1825/1924 che all’art. 6 espressamente prevede che nei casi di interruzione di servizio dovuta ad infortunio o malattia, l'impiegato avrà diritto alla intera retribuzione. Questa disciplina legale ha trovato, poi, conferma nei successivi contratti collettivi di diritto comune tutt’ora vigenti. Così, ad esempio, il CCNL metalmeccanica piccola e media industria, nella Disciplina speciale, Parte terza, interamente dedicata agli impiegati prevede, ai fini del trattamento economico, che: “Durante il periodo di conservazione del posto al lavoratore non in prova, assente per malattia od infortunio non sul lavoro, viene assicurato un trattamento economico complessivo netto: - per anzianità di servizio fino a 3 anni compiuti, intera retribuzione globale per i primi 2 mesi e metà retribuzione globale per i 4 mesi successivi; - per anzianità di servizio oltre i 3 e sino a 6 anni, intera retribuzione globale per i primi 3 mesi e metà retribuzione globale per i 6 mesi successivi; - per anzianità di servizio oltre i 6 anni compiuti, intera retribuzione globale per i primi 4 mesi e metà retribuzione globale per gli 8 mesi successivi” Pertanto, di fatto, i datori di lavoro di lavoratori con qualifica di impiegati del settore privato, hanno corrisposto in applicazione alla legge ed a contratti collettivi, l’intera retribuzione durante i periodi di malattia, con ciò sostituendo il trattamento economico di natura assicurativo - previdenziale che l’INPS eroga ai lavoratori dipendenti con altre qualifiche o di altri settori produttivi. Di contro, tale comportamento ha giustificato il mancato versamento, da parte dei datori di lavoro inquadrati previdenzialmente nel settore industriale, della quota di contribuzione prevista per la gestione della malattia. Infine, nel legittimare la prassi amministrativa degli ultimi 65 anni, l’art.20 in esame fa salve eventuali contribuzioni versate e non dovute alla gestione in data anteriore al 1° gennaio 2009. Trasformazione da determinato a indeterminato, quali i benefici possibili? Quali le regole? Come va interpretato il parere dell'Inps? QUESITO Un’azienda assume a tempo determinato un dipendente iscritto alle liste di mobilità, trasforma il contratto a tempo indeterminato il giorno dopo la scadenza del contratto a termine (senza soluzione di continuità) e comunica al centro per l’impiego l’avvenuta trasformazione entro i cinque giorni previsti dalla legge. Può l’azienda usufruire degli ulteriori benefici previsti dall’art. 8 comma 2 della legge 223/91? Ho fatto lo stesso quesito ad [email protected], la risposta è stata la seguente: “Si può accedere ai benefici dell’art.8 comma 4 l. 223/91 solo nel caso in cui la trasformazione a tempo indeterminato avvenga prima della scadenza del contratto a tempo determinato. Ho fatto presente all’INPS che leggendo la loro circolare n° 19018 del 7/12/99 mi sembrava di aver capito che l’azienda avrebbe invece comunque potuto usufruire dei benefici previsti dall’art. 8 comma 2 della legge 223/91. Mi è stato risposto che l’azienda non ha diritto ai benefici per i motivi suesposti. Io non sono convinto, anche perchè, facendo una ricerca, ho trovato delle sentenze che davano torto all’interpretazione dell’INPS. PAG. 17 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 QUESITI RISPOSTA Esperto: David Trotti Il tema che affrontiamo nasce da una risposta data da [email protected] ad una azienda che ha chiesto se poteva godere dei benefici contributivi trasformando in indeterminato il contratto a tempo determinato instaurato con un dipendente iscritto nelle liste di mobilità il giorno dopo la data fissata dalle parti (rispettando il termine di 5 giorni stabilito per l’invio della comunicazione obbligatoria). Questa la risposta: “Si può accedere ai benefici dell’art.8 comma 4 L.223/91 solo nel caso in cui la trasformazione a tempo indeterminato avvenga prima della scadenza del contratto a tempo determinato”. Essa, a parere di chi scrive, non coglie il senso della norma; per dimostrare ciò, partiamo dal comma 2 dell’articolo 8 richiamato: “I lavoratori in mobilità possono essere assunti con contratto di lavoro a termine di durata non superiore a dodici mesi. La quota di contribuzione a carico del datore di lavoro è pari a quella prevista per gli apprendisti dalla legge 19 gennaio 1955, n. 25 e successive modificazioni. Nel caso in cui, nel corso del suo svolgimento, il predetto contratto venga trasformato a tempo indeterminato, il beneficio contributivo spetta per ulteriori dodici mesi in aggiunta a quello previsto dal comma 4”. E’ subito da sottolineare che nel testo non è detto “prima della scadenza”, ma “nel corso del suo svolgimento”; differenza non marginale che è stata colta dallo stesso istituto in una sua circolare la n.134/1999 che si è occupata del beneficio. Questa esaminando le innovazioni apportate alle norme dalla L.196/97 sottolinea che si è data la possibilità di continuare il rapporto a tempo determinato, “slittandone” la scadenza di 20 o 30 giorni (se il rapporto originario è inferiore o superiore a sei mesi), per cui: “Si può quindi affermare, in seguito alla previsione di tale "slittamento" del momento in cui opera la conversione in rapporto a tempo indeterminato, che il rapporto a termine legittimamente permane in vita fino ai limiti temporali individuati dalla nuova norma. Si ritiene che i criteri individuati in tali disposizioni normative possano essere validamente utilizzati in sede applicativa anche per l'individuazione del termine di invio della comunicazione di trasformazione del contratto a termine stipulato ai sensi dell'art. 8, c. 2 della legge n. 223/1991. Ciò consente di attuare una gestione meno rigida della fase di trasformazione del contratto, nell'intento di favorire in ogni modo il reimpiego dei lavoratori che si trovano in mobilità.” Posizione condivisibile, che è rafforzata da un messaggio successivo il n.19018/1999: “L'Istituto ha emanato la circolare n. 134 del 15 giugno 1999, con la quale ha consentito la concessione delle agevolazioni per ulteriori dodici mesi anche nel caso in cui la comunicazione alla sezione circoscrizionale per l'impiego sia effettuata oltre il termine di 5 giorni, purché comunque non oltre i termini di slittamento previsto dall'articolo 12 della legge n. 196/97, ossia non oltre il ventesimo giorno o non oltre il trentesimo a seconda che il contratto abbia durata inferiore o superiore a sei mesi. Nell'intento di rendere meno rigida la gestione della fase successiva all'entrata in vigore del D.L. 1 ottobre 1996, n. 511, e precedente l'emanazione della citata circolare si ritiene possibile concedere i benefici contributivi derivanti dalla trasformazione dei contratti a termine stipulati in base all'art. 8, c. 2 della legge 23 luglio 1991, n. 223. nel caso in cui l'impiego dei lavoratori sia avvenuto senza soluzione di continuità e la comunicazione dell'avvenuta trasformazione sia avvenuta nei termini previsti.” Questa la situazione dal punto di vista della prassi; confermata ampiamente dalla giurisprudenza che è intervenuta in diverse occasioni. Riportiamo, a sostegno della teoria che si sta sviluppando, due stralci significativi di sentenze della Cassazione sez. Lavoro. Nella prima la n.1446 del 2004 ragionando sul termine dei cinque giorni e, rinviando al giudice di merito, si afferma: "Al fine di ottenere il beneficio contributivo di cui all'art. 8, comma 2, l. n. 223 del 1991, la trasformazione del rapporto di lavoro subordinato, costituito con un lavoratore in mobilità, da rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, deve essere comunicata dal datore di lavoro agli organi del collocamento entro cinque giorni, ai sensi dell'art. 9 bis, commi 2 e 5, l. n. 508 del 1996. Il ritardo della comunicazione non comporta la perdita del beneficio contributivo, ma questo può decorrere solo dalla ricezione PAG. 18 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 QUESITI della medesima"; nella seconda del Dicembre 2007 (n.25315), ancora più chiaramente lo stesso giudice statuisce: "Nella Legge 23 luglio 1991, n. 223 articolo 8 comma 2, che attribuisce il beneficio degli sgravi contributivi per un ulteriore periodo ai datori di lavoro che trasformino il contratto a tempo determinato dei lavoratori assunti dalla mobilità' in contratto a tempo indeterminato, l'espressione "nel corso del suo svolgimento", deve essere interpretata nel senso che il beneficio spetta ai datori di lavoro che trasformino volontariamente il rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato senza soluzione di continuità' tra il primo ed il secondo.". Tutto questo ci porta a dire che l’azienda che ha posto il quesito ha il diritto di usufruire delle agevolazioni contributive, e se si vuol parlare di scadenza del rapporto (ai fini del beneficio) questa deve essere rintracciata nel 20/30° giorno successivo al termine fissato dalle parti. Maschere teatrali con 15 giorni retribuiti, come si calcolano le detrazioni? QUESITO Maschere teatrali assunte per l'intera stagione ma chiamate secondo necessità degli spettacoli. Se in un mese hanno 15 gg retribuiti, per quanti giorni devo calcolare le detrazioni per spese di produzione? Colf e part time: nel caso prestino attività per 3 giorni a settimana, quanti sono i giorni spettanti per le detrazioni? RISPOSTA Esperto: Paola Cogo Maschere teatrali: la circolare del 09/01/1998 n. 3 E del Ministero delle Finanze ha precisato che, in base all’art. 13 del TUIR, le detrazioni per lavoro dipendente vanno rapportate al periodo di lavoro o di pensione nell’anno, cioè al numero dei giorni compresi nel periodo di durata del rapporto di lavoro dipendente. Si tratta del numero dei giorni che hanno dato diritto a reddito da lavoro dipendente : vanno quindi compresi i giorni per festività, i riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi che comunque facciano maturare una retribuzione al dipendente, anche se differita come le mensilità aggiuntive; vanno invece sottratti i giorni per i quali non spetta alcun reddito, nemmeno come retribuzione differita come ad esempio le aspettative senza corresponsione di compenso. Non deve essere effettuata nessuna riduzione delle detrazioni in caso di particolare distribuzione dell’orario di lavoro, come il part-time orizzontale o verticale, né in presenza di giornate di sciopero. Per determinare le detrazioni l’anno va considerato composto da 365 giorni, anche se l’anno è bisestile. Non si può fruire di doppie detrazioni nello stesso periodo, per cui bisogna porre particolare attenzione in presenza di più redditi da lavoro dipendente. Colf e part-time: per quanto riguarda le lavoratrici/lavoratori domestici (colf- badanti), al di là della diversa distribuzione dell’ orario di lavoro, non hanno diritto alle detrazioni evidenziate nel cedolino paga mensile, se viene elaborato, in quanto il datore di lavoro non è un sostituto d’imposta, come nel caso di un rapporto di lavoro dipendente. In occasione della denuncia annuale dei redditi della colf, se il rapporto di lavoro domestico ancorché part time ha durato un anno intero, avrà diritto ad usufruire delle detrazioni intere che indicherà opportunamente nella sua dichiarazione. PAG. 19 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 quesiti Deroga al divieto di licenziamento delle lavoratrici in maternità, come ci si comporta nel caso di attività con chiusura stagionale? QUESITO Si chiede come debba intendersi la deroga al divieto di licenziamento delle lavoratrici in maternità nel caso di attività con chiusura stagionale. Nello specifico il caso riguarda una azienda alberghiera che chiude per fine stagione il 30 di settembre, licenzia tutti i dipendenti, che vanno in disoccupazione, per poi riassumerli il 15 dicembre (nel periodo ottobre novembre e parte di dicembre si eseguono lavoro di manutenzione della struttura). Tecnicamente l´azienda non cessa l´attività ma sospende la stessa (si operano le comunicazioni di sospensione dell´attività con dipendenti all´Inps e all´Inail) per poi riattivarla nel mese di dicembre. La norma (art 54 Dlgs 151/2001) prevede infatti che il divieto di licenziamento non si applica nel caso di: a) colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro (ex art. 2119 cod. civ.); b) cessazione dell’attività dell’azienda cui essa é addetta; c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice é stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine; d) esito negativo della prova (v. anche ML circ. n. 113/1996). La casistica ipotizzata al punto b) ricomprende le sospensioni dell´attività per chiusura stagionale? Leggendo la norma non sembra una ipotesi sostenibile anche alla luce del comma 4 dell´art 54 del Dlgs 151/2001 che rende possibile come ipotesi residuale la sospensione del rapporto (non quindi la sua risoluzione) nel caso sia correlata alla sospensione l´intera attività aziendale. Il problema sorge analizzando l´art. 54 in relazione all´art 59 dello stesso decreto che prevede al comma 1) che “Le lavoratrici addette ad industrie e lavorazioni che diano luogo a disoccupazione stagionale, di cui alla tabella annessa al decreto ministeriale 30 novembre 1964, e successive modificazioni, le quali siano licenziate a norma della lett. b) del comma 3 dell’art. 54, hanno diritto, per tutto il periodo in cui opera il divieto di licenziamento, sempreché non si trovino in periodo di congedo di maternità, alla ripresa dell’attività lavorativa stagionale e alla precedenza nelle riassunzioni.” Nello specifico il problema risiede nel fatto che si ipotizza una risoluzione del rapporto per le aziende stagionali secondo la lettera b) dell´articolo 54 apparentemente quindi normalizzando un licenziamento per cessazione dell´attività interpretato come sospensione stagionale. Allo scrivente non pare possibile che un articolo che mira a garantire il diritto di precedenza della lavoratrice possa essere usato per interpretare una norma tesa a limitare i licenziamenti nelle ipotesi tutelate. Quindi non si ritiene si possa usare l´art 59 per considerare la sospensione stagionale come ipotesi di cessazione dell´attività. Oltre a ciò si desidera sapere se in tale periodo di sospensione il datore di lavoro é tenuto ad erogare l´indennità di maternità conto INPS e se maturano i relativi ratei. RISPOSTA Esperto: David Trotti Il quesito che ci viene posto è relativo alla possibilità di licenziamento per fine stagione in una impresa turistica di lavoratrice assunta a tempo indeterminato ed in maternità (l’impresa cessa l’attività stagionale il 30 ottobre sospendendo le posizioni Inps ed Inail per riassumere tutti a partire dal 15 dicembre). Si tratta di un quesito apparentemente semplice, ma che invece richiede dei distinguo complessi. Innanzi tutto PAG. 20 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 bisogna subito partire dalla constatazione che la scelta di assumere una lavoratrice a tempo indeterminato presuppone l’esistenza di attività che vadano aldilà della stagionalità dell’impresa, infatti in caso contrario sarebbe stato scelto il contratto a tempo determinato. Fatta questa costatazione, che comunque apre delle prospettive logiche e d organiche, non possiamo che prendere visione della normativa connessa al quesito ed esattamente di alcuni articoli del testo unico della maternità , il decreto legislativo n.151 del 2001; in specifico: Articolo 54 - Divieto di licenziamento 1. Le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino. 2. Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, è tenuta a presentare al datore di lavoro idonea certificazione dalla quale risulti l'esistenza all'epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano. 3. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso: a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro; b) di cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta; c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine; d) di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione di cui all'articolo 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni. 4. Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l'attività dell'azienda o del reparto cui essa è addetta, sempreché il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La lavoratrice non può altresì essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223 e successive modificazioni, salva l'ipotesi di collocamento in mobilità a seguito della cessazione dell'attività dell'azienda di cui al quesiti comma 3, lettera b). Articolo 59 - Lavoro stagionale 1. Le lavoratrici addette ad industrie e lavorazioni che diano luogo a disoccupazione stagionale, di cui alla tabella annessa al decreto ministeriale 30 novembre 1964, e successive modificazioni, le quali siano licenziate a norma della lettera b) del comma 3 dell'articolo 54, hanno diritto, per tutto il periodo in cui opera il divieto di licenziamento, sempreché non si trovino in periodo di congedo di maternità, alla ripresa dell'attività lavorativa stagionale e alla precedenza nelle riassunzioni. 2. Alle lavoratrici e ai lavoratori stagionali si applicano le disposizioni dell' articolo 7 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, in materia contributiva. Articolo 24 - Prolungamento del diritto alla corresponsione del trattamento economico 1. L'indennità di maternità è corrisposta anche nei casi di risoluzione del rapporto di lavoro previsti dall'articolo 54, comma 3, lettere b) e c), che si verifichino durante i periodi di congedo di maternità previsti dagli articoli 16 e 17. 2. Le lavoratrici gestanti che si trovino, all'inizio del periodo di congedo di maternità, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero, disoccupate, sono ammesse al godimento dell'indennità giornaliera di maternità purché tra l'inizio della sospensione, dell'assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi più di sessanta giorni. Dalla lettura di questi articoli emerge chiaramente (soprattutto dalle parti sottolineate) che la chiusura della attività per stagionalità non interessa le lavoratrici a tempo indeterminato, in quanto l’attività stagionale sospende e non fa cessare l’attività dell’azienda o di un reparto funzionalmente autonomo (requisito minore richiesto da una parte della giurisprudenza), in modo simile, ci si perdoni il paragone non completamente congruo, a quanto avviene nel part time verticale, in cui il rapporto viene sospeso e non cessa, anche in presenza di periodi di inattività. In questo senso poiché il termine della attività stagionale non è una cessazione, essa non ricade nei casi di cui al punto b del terzo comma dell’art.54, rendendo impossibile il licenziamento della lavoratrice assunta a tempo indeterminato. PAG. 21 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 quesiti Indennità di mensa, 5,30 euro in busta paga o ticket restaurant di pari importo? QUESITO Il CCNL dei Centri Elaborazione Dati rinnovato in data 21/04/2009 ha ampliato la base per l'applicazione delle indennità accessorie, che diventano obbligatorie per tutti i CED con più di dieci dipendenti. Tra queste indennità accessorie c'è anche quella di cui all'articolo 132 (Indennità di mensa). Tale articolo prevede che i CED che non abbiano attivato il servizio di mensa ed il cui orario di lavoro preveda la pausa pranzo, devono erogare ai propri dipendenti un'indennità sostitutiva del servizio mensa, c.d. ticket restaurant pari a 5,30 euro giornalieri. Nella sottostante nota a verbale comunica che le parti richiamano la giurisprudenza e la normativa sull'assoluto carattere non retributivo dell'indennità sostitutiva di mensa. Poiché l'articolo fa riferimento all'erogazione di un'indennità sostitutiva del servizio di mensa e contestualmente accenna al "ticket restaurant" ci si chiede: 1) se i datori di lavoro siano tenuti ad erogare in busta paga l'indennità sostitutiva pari a 5,30 euro giornalieri oppure a fornire dei ticket restaurant di pari importo; 2) se la nota a verbale richiamando il carattere non retributivo dell'indennità sostitutiva di mensa intenda riferirsi al ticket restaurant (totalmente escluso dalla base imponibile) o all'indennità sostitutiva di mensa vera e propria (esente nel limite di euro 5,29 giornalieri in presenza di alcune condizioni concomitanti tra loro ovvero orario che comporti una pausa pranzo, sede stabile di lavoro, ubicazione dell'unità produttiva in un luogo che non consenta di raggiungere senza utilizzo di mezzi di trasporto un luogo di ristorazione). RISPOSTA Esperto: Antonio Stella Il CCNL dei Centri Elaborazioni Dati all’art. 132 prevede – nell’ambito delle “Indennità disagio e prestazioni speciali” – per tutte le strutture con più di 10 dipendenti che non abbiano provveduto ad attivare il servizio mensa, l’erogazione di un’indennità sostitutiva pari ad € 5,30 giornalieri. Detta indennità sostitutiva denominata “ticket restaurant” compete solo per le prestazioni lavorative in cui sia presente la pausa pasto oppure con prestazione spezzata in due parti. In altri termini non compete in caso di prestazione giornaliera unica continuativa svolta nei termini massimi della vigente normativa di legge in materia di orario di lavoro (art. 8 D.Lgs. 66/2003). Dal tenore letterale del testo contrattuale emerge un chiaro obbligo in capo ai datori di lavoro di opzione tra tre distinte alternative: attivare un servizio mensa diretto o convenzionato; riconoscere buoni pasto del valore di € 5,30 giornalieri; erogare a libro paga un’indennità sostitutiva pari ad € 5,30 giornalieri, sempre in relazione ai giorni di effettiva prestazione lavorativa. La nota verbale citata non risulta felice nella formulazione e per quanto ci interessa contrariamente a quanto riportato dai soggetti stipulanti si pone in contrasto con il vigente dettato normativo. Non risulta infatti coerente l'indicazione riportata “l’assoluto carattere non retributivo dell’indennità sostitutiva della mensa” anche alla luce di recenti pronunce giurisprudenziali (Cass. 16761/2005 – Cass. 10218/2007). Da un punto di vista normativo si ricorda come ai sensi dell’art. 48, comma 2, lettera C del TUIR, confermato sotto il PAG. 22 - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 profilo ermeneutico dalla risoluzione 41/E del 30/03/2000, l’esclusione della base imponibile dell’indennità di mensa fino all’attuale importo di € 5,29 ricorre soltanto per quelle categorie di lavoratori ove ricorrono contemporaneamente tutte le seguenti condizioni: avere un orario di lavoro che comporti la pausa per il vitto; essere addetti ad una unità produttiva da intendere come sede di lavoro; ubicazione della sede di lavoro in luoghi che non permettono, durante l’intervallo per il pasto, di recarsi (senza l’impiego di mezzi di trasporto) al più quesiti vicino luogo di ristorazione in cui sia possibile utilizzare i buoni pasto che rappresentano la naturale alternativa all’indennità in denaro. Alla luce delle considerazioni esposte, qualora si intenda meramente sostituire il servizio mensa ovvero la consegna dei buoni pasto con l'inserimento a libro paga di un'indennità sostitutiva senza verificare la rigorosa presenza delle condizioni sopra evidenziate, il relativo importo dovrà rientrare nella base imponibile sotto il profilo fiscale e previdenziale. Diverse interpretazioni del permesso elettorale. Quale quella corretta? QUESITO Due diverse interpretazioni riguardo al corretto riconoscimento retributivo o di riposo compensativo dovuto al lavoratore impegnato nelle operazioni elettorali. La circolare n.6 del 25/5/2009 della Fondazione Studi riconosce per l’impegno elettorale del sabato e domenica due quote di retribuzione giornaliera, in aggiunta allo stipendio, oppure due riposi compensativi. L’Informativa SEAC N.157 del 5/6/2009 che si rifà al comunicato Confcommercio n.19 del 28/3/2006 prot.732, riconosce invece una sola quota giornaliera di retribuzione (oppure un riposo compensativo) per l’impegno svolto in domenica a motivo del fatto che il sabato lo considera giornata lavorativa a zero ore già retribuita dallo stipendio mensilizzato. RISPOSTA Esperto: Paola Diana Onder Sia nella circolare n. 6/2009 della Fondazione Studi che nella circolare n. 157/2009 del Seac, si chiarisce che qualora il sabato sia lavorativo e quindi compreso nei 26 gg, viene retribuita con 1/26 in più la sola domenica, o in alternativa goduto il riposo compensativo. Qualora nella giornata del sabato non sia prevista prestazione lavorativa, il lavoratore avrà diritto a due quote giornaliere (sabato e domenica) o in alternativa sempre riposo compensativo. La distinzione del sabato lavorativo che tanti dubbi ingenera in particolare nel settore del commercio, è conseguente al dettato contrattuale. In estrema sintesi: - qualora l'orario settimanale di 40 ore sia distribuito su 6 giornate, il sabato è lavorativo e quindi incluso nei 26 gg retribuiti; - qualora l'orario settimanale di 40 ore sia distribuito su 5 giornate, il sabato è sempre lavorativo, perchè lo dice il contratto definendolo "giornata lavorativa a zero ore", conseguentemente inclusa, come sopra, nei 26 gg. Per quanto sopra, sarà retribuita o compensata con il riposo la sola giornata di permesso elettorale della domenica. Ultima - Edizione Speciale Quesiti - n. 10 - VII del 2010 CHI SIAMO Dirigenti e sedi Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro Sindacato Unitario GIUNTA ESECUTIVA NAZIONALE Da chi è composta la Giunta Segretario Generale Nazionale Francesco Longobardi - Vice Segretario Generale Nazionale Vicario Stefano Sassara - Vice Segretario Generale Nazionale Franco Dolli - Segretario Tesoriere Giammaria Monticelli Segretario Amministrativo Guido Sciacca - Coordinatore Centro Studi Paola Diana Onder ALTRI COMPONENTI GIUNTA ESECUTIVA Tutti i componenti della Giunta Claudio Baldassari, Giovanni Besio, Adele Borelli, Marina Canavesio, Nestore D’Alessandro, Roberto Morini, Danilo Notarnicola, Leonardo Pascazio, Roberto Sartore, Rossano Zanella, Collegio Nazionale Sindaci Revisori Dario Montanaro (presidente), Renato Boscutti e Giovanni Gherzi (revisori) Collegio Nazionale Probiviri Patrizia Gagliardi (presidente), Luciano Ognissanti e Andrea Pozzatti (probiviri) CONSIGLIO NAZIONALE Da chi è composto il Consiglio Consiglieri di estrazione congressuale Agostini Walter, Alborno Mario, Arteritano Pasquale, Baldassari Claudio, Besio Giovanni, Biscarini Paolo, Borelli Adele, Bravi Bruno, Bruno Luciana, Canavesio Marina, Cocchi Maria Rosaria, Cocorullo Fernando, D’Alessandro Nestore, D’Angelo Franco, De Febe Giulia, Della Bianca Giuliana, Di Paolo Mauro, Dolli Franco, Eleonori Guglielmo R., Faggiotto Claudio, Fanfani Antonio, Formentin Giovanna, Furlan Debora, Giacomin Antonietta, Giarola Zeno, Granata Annamaria, Graziano Alessandro, Izzo Alfonso, Maffiotti Manuela, Mirtoni Annamaria, Monticelli Giammaria, Morini Roberto, Nicoli Loredana, Notarnicola Danilo, Onder Paola Diana, Paone Luca Andrea, Pascazio Leonardo, Pasquini Roberto, Piceci Roberto, Rama Valeria, Rota Porta Alessandro, Sanna Mauro, Sartore Roberto, Sassara Stefano, Schiavello Antonio, Sciacca Guido, Scoglio Stefania, Sighinolfi Roberta, Spalletti Antonella, Tonegutti Stefano, Umbaldo Massimiliano, Vannicola Enrico, Zanella Rossano, Zeppi Leonardo, Zimmile Calogero PRESIDENTI CONSIGLI REGIONALI ANCL I presidenti dei Consigli Regionali dell'Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro Crocifisso Baldari (Puglia), Elisabetta Battistella (prov. aut. Bolzano), Pier Luigi Begliuomini (Valle d'Aosta), Alessandro Bonzio (Veneto), Filippo Carrozzo (Piemonte), Galileo Casimiro (Molise), Giuseppe Corrias (Sardegna), Giulio Dapelo (Liguria), Nicola De Laurentis (Abruzzo), Maria Rosaria Cocchi (Lombardia), Anna Maria Granata (Campania), Giovanna Manca (Basilicata), Carlo Marcucci (Marche), Pasquale Mazzuca (Calabria), Luca Piscaglia (Emilia Romagna), Paolo Rossi (Lazio), Nunzio Scribano (Sicilia), Alessandro Signorini (Toscana), Marinella Tinonin (Friuli Venezia Giulia), Bruno Toniolatti (Umbria), Mauro Zanella (prov. aut. Trento).