Gambler inside
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Gambler inside
Gambler inside - a novel by Stuar t Delta C'è solo una persona al mondo che può comprendere fino in fondo un gambler ed è un altro gambler. No, amici miei, non lasciatevi ingannare da immagini, parole e pregiudizi sommariamente elaborati dalla vostra coscienza. Il gioco d'azzardo non è una faccenda di denaro. O meglio, non è solo questione di soldi vinti o persi. O forse sì. Quando incontri un gambler la prima cosa che impari è che non devi mai credere ciecamente a ciò che ti racconta. Non che abbia un reale interesse a mentirti, ma se ti narra della complessità del mondo del gambling cercando di metaforizzarlo menzionando gli istinti più profondi dell'essere umano, è probabile che abbia appena scommesso che riuscirà a convincerti. Io queste cose le so perché sono un gambler, quindi potete fidarvi di me. Sapevate, ad esempio, che Einstein non pronunciò mai la celebre frase Dio non gioca a dadi? In realtà non disse nulla di neanche lontanamente simile, né nella forma, né nella sostanza. Nell'istante in cui un qualsiasi contesto sfiora di striscio il gioco d'azzardo diventa automaticamente inattendibile. E io lo so bene, sono un gambler, fidatevi di me. Io stesso potrei dimostrare che siete giocatori d'azzardo anche voi, inconsapevolmente, in ogni momento della vostra vita. Sapevate, ad esempio, che ogni anno più di trecentomila persone, perfettamente sane, muoiono nel sonno? Si chiama SUD, Sudden Unexpected Death, e medici e scienziati non sono ancora riusciti a isolarne le cause. La scena: siete nel dormiveglia, le prime allegorie oniriche cominciano a popolare il nero delle vostre palpebre, quando Dio vi si avvicina e, sottovoce, vi propone una giocata dalla vincita quasi garantita. Ti sveglierai domani mattina? Te la pago a 1,01. Credetemi, amici miei, sono un gambler e di certe cose parlo a ragion veduta. Sapevate, ad esempio, che il Re di Cuori è l'unico Re a non avere i baffi? Avrete sicuramente maneggiato un'infinità di volte le carte francesi, ma non preoccupatevi se non avete mai colto questo particolare. Il cervello, se non educato a dovere, decide arbitrariamente quali informazioni sono utili e quali sono superflue. Il gambler sa che la sua sopravvivenza dipende dalla capacità di tener traccia di ogni particolare, anche insignificante, e convertirlo in visioni e previsioni. Se stai parlando con un gambler, noterà immediatamente quelle scie di pelle morta che scuriscono leggermente il colletto della tua camicia, quel microscopico residuo biancastro tra il canino e il premolare, la sottile patina di grasso sulla fede nuziale scolpita, quasi fedelmente, sul disegno delle impronte digitali del pollice e dell'indice della mano destra. Nel suo sguardo vago, quasi assente, in apparenza privo della funzione di messa a fuoco, sta scorrendo la tua vita: tua moglie che ha smesso di prendersi cura di te, i pranzi e gli aperitivi e le cene che sempre più spesso ti tengono lontano da casa, l'anello che ti sfili perché non hai il coraggio di confessare alla tua amante che sei sposato. Per destare la sua attenzione puoi provare, ad esempio, a chiedergli che sapore ha uno scarafaggio. Quasi sicuramente ti risponderà che è vagamente aspro, con un piacevole retrogusto di mela. Sapevate, ad esempio, che un giocatore d'azzardo può indovinare l'esito di un incontro tennistico dopo soli due giochi? Cinque, massimo dieci, minuti gli sono sufficienti per analizzare gestualità, postura e segnali corporei dei due giocatori in campo e sarà in grado di prevedere, con ragionevole certezza, chi sarà il vincitore. A voi che siete persone comuni non è dato conoscere in anticipo il risultato di una partita a pochi istanti dal suo inizio, ma un gambler, abituato a cogliere ed interpretare ogni dettaglio, vi dirà, ad esempio, che se un tennista, durante i primi novanta secondi di pausa, osserva gli spalti, ruotando a destra e sinistra il capo, come se volesse contare ad uno ad uno gli spettatori, sta valutando a spanne il numero delle persone che assisteranno alla sua disfatta. Un tennista confessa attraverso impercettibili microespressioni facciali – durano all’incirca un quarto di secondo - ogni sorta di emozione negativa: paura, rabbia, disperazione, l'imminente sconfitta nella semifinale di Wimbledon. No, amici miei, il gioco d'azzardo è ben più che una manciata di banconote sul piatto dell'allibratore. Il gambler, dirà di sé, è la testimonianza vivente che esistono, che devono esistere, Leggi universali che disciplinano il corso della Storia. Di queste Regole egli è al tempo stesso ricercatore, postulatore e applicatore. Irrilevante, vi dirà, se tutti, finora, hanno fallito nell'impresa di codificare la matrice di quanto avviene nel mondo. Poco importa, vi dirà, se una scoperta così importante per l'umanità verrebbe sfruttata per pronosticare risultati calcistici e piazzamento dei cavalli: queste Leggi esistono, perché devono esistere, e la sua missione, che in caso di insuccesso sarebbe perpetuata da altri gambler, è quella di comprenderle e dopo averne tratto ogni possibile beneficio economico, divulgarle a giocatori come lui. Sì perché dovete sapere che tra gambler, credetemi, non esiste concorrenza o rivalità. Vero, ci sono di mezzo i soldi, che ancor più di una donna sono in grado di mandare in merda amicizie, famiglie e gruppi rock, ma il principio democratico della quota fissa e comuni antagonisti, il fato e il bookmaker, che del fato è naturale emissario, fanno sì che tra giocatori si instauri una sorta di complicità, un legame forse meramente strumentale ma proprio per questo sincero e indissolubile. Hai la febbre del gioco, direte voi, ricalcando il comun pensiero sul gambler. Un uomo in buona salute può sopravvivere ad un calore ambientale che supera i 60°c, ma quando la temperatura interna si avvicina a 43°c aumenta significativamente la probabilità di morire per avvelenamento. Iperpiressia. I globuli bianchi rallentano il loro moto fino ad implodere. Come il Sole al termine di miliardi di anni di onorato e ininterrotto servizio. E’ il principiante, vi risponderà, la vittima sacrificale sull'altare della dipendenza e della compulsione. La consapevolezza di essere, in ogni momento, esposto all'incapacità di controllare le proprie pulsioni, vi spiegherà, è il primo anticorpo che un gambler deve sviluppare. E’ come percorrere una lunga tratta in automobile. Con uno psicopatico, caricato a bordo chissà dove, forse per vincere la solitudine, che se ne sta seduto buono buono al lato passeggero. Tranquillo, innocuo, persino affabile. Ma sai bene, cazzo se lo sai, che da un momento all’altro trasfigurerà e cercherà in qualche modo di complicarti il viaggio. Urlerà, si dimenerà, agiterà le braccia e se dovesse accorgersi che, ignorandolo, cerchi di mantenere il controllo sul veicolo, si avventerà su di te. Graffi, gomitate, morsi, proverà persino ad afferrare il volante con tutta la forza che ha. Ed è solo la visione disturbante di te trasformato in una poltiglia sanguinolenta tra lamiere ancora fumanti e vetri sparsi a chilometri di distanza, a darti la forza di resistere fino a quando quel demone non si quieta. Puoi andare avanti per giorni, mesi, attraversare paesi e città senza accorgerti, quasi dimenticandotene, che hai di fianco un ordigno pronto ad esplodere, ma in cuor tuo sai che accadrà. Cazzo se accadrà! No, credetemi, la compulsione per il gioco non è un pericolo per il vero gambler. Neanche i bookmaker rappresentano una minaccia da quando hanno smesso di far credito ai giocatori declassandosi a meri attori di un contratto. Riduzione del personale. Un allibratore che ritirava giocate 'sulla fiducia' doveva anche circondarsi di addetti alla riscossione del credito e, va da sé, non li reclutava tra i chierichetti di una Chiesta Metodista o tra i membri attivi del movimento Porgi L'Altra Guancia. Nelle case da gioco della vecchia scuola gli addetti a far quadrare i conti erano, preferibilmente, ex pugili, Serbi convinti che il conflitto con la Bosnia fosse terminato troppo presto e picchiatori importati più o meno legalmente dall'Albania. Capitava però che dopo qualche mese di fedele assistenza uno degli scagnozzi, il più delle volte un russo di nome Boris o Dimitri, tentasse la veloce scalata al potere mirando a sostituire il suo datore di lavoro. Cane mangia cane, tra un sovietico di due metri e un omino anziano e sovrappeso non c’è decisamente storia. Non ci si deve fidare di un gambler, ancor meno di un mercenario. Ristrutturazione aziendale. Gli allibratori si evolsero rapidamente in semplici intermediari, lasciando un vuoto che ben presto sarebbe stato colmato da piccoli e grandi usurai che spesso, spesso, sono per il mondo del gioco d’azzardo ciò che il cherosene è per il Boeing 747. La vera nemesi di un gambler, più stronza del pazzoide che ti sta di fianco in macchina, è quel dannato periodo durante il quale si inanella una sconfitta dietro l'altra. Un numero indeterminato di scommesse perse consecutivamente. Non importa a quali livelli di meticolosità si spingano le analisi di un evento sportivo, puoi tener conto di classifiche, infortuni, recenti divorzi, bilanci societari, astrologia e bioritmi, l'esito finale di un incontro sarà sempre, sempre, diverso da quello che avevi pronosticato. E’ durante queste lunghe, in apparenza interminabili, tappe obbligatorie della carriera di un giocatore d'azzardo che comprendi che non è solo una questione di denaro. No, non è solo una fottuta questione di vincere o perdere. Sul bancone dell'allibratore c'è molto di più: orgoglio, autostima, aspettative, i bilanci di una vita trascorsa dentro e fuori sale scommesse sudicie, stando bene attento a non incrociare lo sguardo indignato di amici e genitori. C'è solo una persona al mondo con cui un gambler sarà sempre sincero, ed è un altro gambler. Io lo so perché sono un gambler, potete credermi. Fu la cosiddetta striscia negativa a mettere nei guai, ma guai seri, un mio amico. Un giorno viene avvicinato da un tizio, un habitué della sala scommesse, un soggetto non particolarmente popolare ma che, tra giocate spettacolari e altre assolutamente fallimentari, riesce a mantenersi sempre, seppur di pochi spiccioli, in attivo. Ho una dritta sicura, gli dice, mimando l'azione di colpire una palla con una mazza immaginaria. Un incontro di baseball della MBA, Major League Baseball. I White Sox, contrariamente al buon senso e alle quote offerte dagli allibratori, vinceranno in gara 3 contro i Red Sox di Boston. La vittoria di Chicago è pagata a 5,00. Punti dieci, incassi cinquanta. Facilmente, velocemente, legalmente. Vi starete chiedendo se sia mai successo che una dritta sicura giungesse all’orecchio di un bookmaker. Posso dirvi che accade quasi sempre. Tuttavia coloro che ritirano le scommesse hanno, da questo punto di vista, le mani legate: offrire una quota esageratamente alta per la vittoria della squadra favorita sarebbe di per sé un suggerimento troppo esplicito su come l’incontro sia destinato a finire, e come ogni gambler potrà confermare, essi non possono e non devono fornire indicazioni o aiuti di alcun genere. Ora, il mio amico, per sua stessa ammissione, non capisce nulla di baseball. Sa che è uno sport che si svolge su un campo denominato diamante, sa che questo presenta una serie di basi e che i giocatori, indossando il tipico cappellino, comunicano a gesti con l’allenatore. Poco altro. Di certo non ha la minima idea delle ragioni per cui una squadra dovrebbe prevalere sull’altra. Quando un gambler confida ad un altro gambler di avere una dritta sicura gli si crede. E’ un atto d’onore. Fideistico. Il mio amico, il cui senso critico è già appannato dall’ennesima giocata andata a vuoto, decide che quella soffiata è l’occasione non solo per risanare un bilancio pesantemente negativo, ma per chiudere, in un sol colpo, la scommessa definitiva, il Sacro Graal di ogni gambler: punti tanto, incassi tantissimo. A rischio zero. Per mettere a segno la madre di tutte le scommesse, tuttavia, servono soldi. Tanti soldi. Soldi che il mio amico non ha. Quando frequenti una casa scommesse e frequenti persone che frequentano le case scommesse, racimolare una certa quantità di denaro, in breve tempo, non è mai realmente un problema, c’è sempre qualcuno che conosce qualcuno che ha l’indirizzo di qualcuno che può prestarti quel denaro. In poche ore. Senza domande. Certo, devi rinunciare a qualsiasi tutela da parte dell’Associazione dei Consumatori, ma qui si parla di rischio zero. Punti, incassi, saldi il debito e ordini una Porsche. Dietro una scrivania, posta nel retro scarsamente illuminato di quella che voi scambiereste per una comune panetteria di quartiere, siede chi è in grado, senza troppe formalità, di concederti il prestito che ti serve. Una stretta di mano e un cilindro di plastica morbida chiuso da una cerniera, simile a quei contenitori dove i bambini conservano penne e matite, con dentro il contante desiderato. Qualche cenno di intesa. Nessuna causale, nessuna domanda imbarazzante. Non c'è bisogno di controlli fiscali incrociati o analisi dei parametri di solvibilità del richiedente, non sono necessari beni registrati da aggredire. Mi restituirai i soldi, più gli interessi, tra una settimana, o avrai di che pentirtene. Un congedo che è molto più di un manifesto programmatico, più vincolante di qualsiasi pegno o ipoteca. E’ un portamatite, chiede il mio amico, sorridendo e facendo ruotare l'astuccio tra le mani. L'uomo non ricambia il sorriso. C'è solo una cosa che può tenere lontano un gambler dalla sala scommesse per un periodo superiore alle 24 ore ed è una dritta sicura, da lui diffusa per giorni, che si rivela essere una gigantesca fregatura. No, credetemi, non è la paura la ragione di questa temporanea defezione, chi decide di seguire una soffiata lo fa nel pieno esercizio del proprio libero arbitrio e con la consapevolezza che nulla è mai davvero certo nel mondo del gioco d’azzardo. E’ la vergogna, la vera motivazione. Con la reputazione ormai indelebilmente segnata, le occhiate di scherno che sentirebbe su di sé ogniqualvolta accennasse ad un pronostico, anche banale, farebbero più male di qualsiasi fisica ritorsione. Mister White Sox e i suoi ampi gesti illustratori non si fanno vedere alla casa da gioco ormai da un paio di giorni. Ma non è certo questo il problema principale del mio amico. Se anche se lo trovasse di fronte che potrebbe fare? Mica siglano patti di sangue i gambler! Il sentimento dominante, mentre sente la pelle del viso colare giù dal cranio in rivoli di sudore freddo, è la vergogna. Imbarazzo. Come se la dritta sicura l’avesse messa in circolazione lui. Un giocatore professionista, come egli stesso ama definirsi, che in una sola scommessa è riuscito a trasgredire a due, dico due, princìpi di base, non scritti, dei gambler: mai scommettere su sport di cui non si abbia perfetta conoscenza e mai scommettere più denaro di quanto se ne abbia, materialmente, a disposizione. Mentre ripete ossessivamente, ad alta e a bassa voce, come fossero dei mantra, le leggi fondamentali che ha violato, evitando di guardarsi allo specchio perché l’immagine che vedrebbe riflessa sarebbe quella di un coglione, comincia a farsi strada un’emozione tanto forte da sovrascrivere il senso di mortificazione, così intensa da non lasciargli il tempo di illudersi che tutto questo sia un incubo. La paura. A pochi isolati dal suo appartamento, nel retro scarsamente illuminato di quella che voi scambiereste per una comune panetteria di quartiere, lavora un prestasoldi che ha recentemente allargato la squadra degli addetti al recupero crediti assoldando un ex pugile, un serbo e un picchiatore albanese. Credetemi, non conosco l’esatto ammontare della somma che il mio amico doveva restituirgli, posso solo ipotizzare che fosse una quantità di soldi che né io né voi abbiamo mai avuto la possibilità di vedere tutta insieme. Perlomeno in contanti. Si sa, alla gente piace chiacchierare, e in qualche modo la voce di una grossa scommessa finita in merda è giunta allo strozzino, che esattamente tre giorni prima della scadenza e senza alcun preavviso, si presenta, da solo, alla porta del mio amico. Posso sbagliarmi, gli dice rimanendo fermo sulla soglia, ma non hai affatto l’aria di uno che è appena diventato ricco. E se devo essere sincero, continua mentre entra nell’appartamento, non sembri neanche così sorpreso di vedermi. Il mio amico lo invita a sedersi al tavolo della cucina, illuminato da un saliscendi in vetro soffiato abbassato fino a quasi toccarne la superficie. Intorno, la penombra. C’è un motivo preciso, l’uomo prosegue, per cui le banche fanno credito con così tanta riluttanza ed è il rischio, più che rischio potremmo definirlo ormai una certezza, che il debitore, tra il pagamento della prima rata e la totale estinzione del debito, abbia un problema – sottolinea la parola problema virgolettandola con un movimento ad uncino dell’indice e del medio di entrambe le mani. Certo, dice, puoi legalmente pignorare l’immobile del soggetto insolvente, ma questo significa decreti ingiuntivi, cause in Tribunale, opposizioni, appelli, in poche parole anni, tanti anni, prima che la pratica possa essere archiviata. Il mio amico non sta realmente ascoltando. Non è neanche realmente seduto a quel tavolo. In questo momento sta osservando dall’esterno un universo parallelo in cui un altro se stesso non ha infranto le due, dico due, regole basilari del gambler. E non si è cacciato in questa situazione. Non credere che il mio sia un lavoro facile, il monologo continua, ho quotidianamente a che fare con quei problemi – ripete il gesto delle virgolette – e non c’è giudice al mondo che perorerebbe la mia causa. Non chiedo garanzie e non mi interessa che cosa le persone facciano con i miei soldi, possono pagarci le tasse, comprarsi una motocicletta, rifare il culo ciccione della loro moglie. Io non faccio domande, chiedo solo di rientrare in possesso dei miei contanti. Più, ovviamente, un piccolo premio, puoi chiamarlo interesse se preferisci, per l’utile funzione sociale che svolgo. Il mio amico, non è dato sapere se questa possa considerarsi una fortuna o una sfortuna, non ha investito tutti i soldi del prestito in quella dannata scommessa. Non capita di frequente di trovarsi per le mani una quantità simile di banconote da 100, da 200 e da 500. E no, non è riuscito a sacrificarli tutti per una singola scommessa, anche se sicura, a rischio zero. E no, il gioco d’azzardo non è solo una questione di denaro ma quella montagna di soldi meritava rispetto. Cazzo se meritava rispetto! In quel portamatite – perché era un portamatite, vi dirà – c’è ancora l’equivalente di un paio di stipendi di un impiegato. Prendi quelli, propone indicando il cilindro di plastica posto vicino alla porta di ingresso, dovrebbero bastare, per il momento, a saldare il tuo disturbo. Questa offerta provoca nell’uomo, il finto panettiere, un sincero, ma tutto fuorché benevolo, sorriso. Ascoltami bene, dice, non sono una Finanziaria e tu non hai acquistato un frigorifero a rate. Fra tre giorni, dice, farai il tuo dovere, soldi e interessi. Sono sicuro, conclude, che onorerai il nostro accordo. Sapevate, ad esempio, che negli anni Sessanta un tale di nome Randy Gardner riuscì a rimanere sveglio per ben duecentosessantaquattro ore al termine delle quali l’unica cosa che chiese fu un letto comodo su cui addormentarsi? A parte questa eccezione, un uomo in buona salute può subire alterazioni psicotiche del comportamento dopo appena ventiquattro ore di veglia ininterrotta. Nei tre giorni successivi il mio amico non riesce a dormire e poco a poco il suo elegante appartamento arredato in stile finto neoclassico prende a popolarsi di fantasmi, rumori, ombre. E’ il cervello, che, quando è costretto a fare gli straordinari, organizza l’ammutinamento della coscienza e si svaga proiettando su muri e soffitto immagini grottesche, frutto di paranoie assurde vagamente imparentate con il passato, il presente e il futuro. Ecco, il mio amico vive così il tempo che intercorre tra il secondo incontro con l’uomo dell’astuccio – vi dirà, era un portamatite – e il giorno fissato per l’estinzione del suo debito. Interessi inclusi. Questione di punti di vista. Voi che siete persone comuni - e non avete il vostro nome scarabocchiato in rosso sul taccuino di un usuraio- la definireste violazione di domicilio. Quando non hai un'attività commerciale o una famiglia su cui rivalersi, ogni tipo di vendetta è indirizzata verso di te. Fisicamente. Dopo aver passato le ultime ore a fissare un televisore al plasma spento su cui scorrevano, in loop, le immagini della propria ex, inginocchiata, che succhiava il cazzo di quell'attore che impersonava Batman negli anni '70 e aver visto uscire dalla lavatrice gli spettri di decine di sconosciuti, ognuno dei quali si annunciava come il suo vero padre, la vista di tre gorilla, tridimensionali, che realmente stanno calpestando il tappetino finto persiano posto all'entrata del suo appartamento rappresenta per lui un sollievo. O quasi. L'astuccio è adagiato su una console di color nero lucido in finto stile barocco collocata vicino alla porta d'ingresso. Al suo interno non un centesimo in più rispetto a quanti ce ne fossero il giorno prima. O il giorno ancora prima. Uno dei tre rimane sempre mezzo passo davanti agli altri. L'unico che parli una lingua comprensibile. Dalle cartilagini collassate di quello che un tempo doveva essere un naso si capisce che, qualche volta, ha tirato di boxe. I tatuaggi dai contorni indefiniti sul dorso della mano tradiscono anni di galera per reati di chissà quale livello di violenza ed efferatezza. Ascolti questa roba, chiede il pugile, avvicinandosi ad un ripiano ancorato al muro da mensole a scomparsa dove sono posti, in sequenza, cd dei R.E.M., dagli esordi a oggi, degli Stone Sour, dei Matchbox Twenty e una trentina di dischi di musica rock e pop internazionale, la maggior parte dei quali include almeno un contributo di Pitbull. Hai preferenze, chiede, mentre esamina la retrocopertina di 'Something to be' di Rob Thomas, prima di ricollocarlo, con cura, tra 'Songs About Jane' dei Maroon 5 e 'The Fame Monster' di Lady Gaga. La seccatura principale, nei regolamenti di conti a domicilio, sono i vicini. In particolar modo se il domicilio è un cubo incastrato con altri cubi in un condominio signorile abitato da persone perbene. Meglio sarebbe effettuare una rapida incursione notturna, prelevare il debitore insolvente e trascinarlo in un luogo isolato. Ma non in questo caso. Così si organizza quella che in gergo criminale viene chiamata La Festa. La vittima viene immobilizzata e, sotto la minaccia di un’arma, un coltello, un bastone o una pistola, costretta a tacere; dopodiché si seleziona un cd dalla sua collezione, lo si inserisce nel lettore dell'impianto stereo e si alza al massimo il volume. Canzoni che la vecchietta del piano di sopra, o la cordiale famiglia dell'appartamento di lato avranno sentito, attraverso i sottili muri in mattone intonacato, centinaia di volte. Nessun sospetto. Nessuna chiamata alla Polizia. Sapevate, ad esempio, che è estremamente difficile far saltare gli incisivi di un uomo in buona salute con un singolo pugno? Normalmente sono necessari tre fendenti, purché ben indirizzati e concentrati in un punto posto nel solco tra i due frontali superiori. Il primo serve a scalzare le radici dalla gengiva, provocando la fuoriuscita di un liquido rossastro composto perlopiù da acqua e siero. Il secondo ne indebolisce, talvolta disintegrandola, la struttura superficiale, lo smalto, scoprendo la dentina, l'ultima, fragile, protezione della polpa dentale, un tessuto molle ricco di nervi e vasi sanguigni. Il dolore che ne deriva, pur non immediatamente percepito, è lancinante. Parossistico, secondo la nomenclatura odontoiatrica. E’ l'energia cinetica del terzo diretto a provocare un impatto tale che ciò che è rimasto dei denti, insieme a frantumi di ossa e lembi di tessuto gengivale, venga proiettato violentemente sulle flaccide pareti del palato. Anche i più alti luminari della chirurgia maxillo-facciale, mani al volto, si dichiareranno incapaci di rimetterti in sesto la bocca se -ed è il caso del mio amico- sei sdraiato supino, un albanese ti tiene ferma la testa premendola contro il parquet con la pesante suola di un anfibio da carpentiere e un serbo guerrafondaio è a cavalcioni su di te con un girapugni di ghisa ben stretto nella mano destra e continua a colpirti, senza controllo, come se volesse stuprarti la gola, fino a quando non rischi di morire soffocato da un frullato di sangue e tessuti ossei e connettivi ammassato tra l'esofago e la trachea. Risuonano nell’aria le note di ‘ Animal I have become’ dei Three Days Grace. Dove cazzo tieni gli alcolici, chiede il pugile, aprendo una dopo l'altra le ante in finto palissandro dei mobili della cucina, rovistando tra spezie, salse, e scatolame assortito. Il mio amico viene fatto rialzare. Prima che soffochi sul serio. Ora è sorretto dall’albanese che ne cinge i fianchi. Non puoi morire, dice. O meglio, sembra dire. Credo lo sappiate, il nostro apparato digerente non si è evoluto per accogliere il latte di vacca, tanto meno budella e ossa umane. Così il mio amico vomita, lordando il pavimento con un liquame che è un misto di acido cloridrico, sangue, denti e gengive ridotte a pezzettini tanto piccoli che sembrano essere frutto di una prolungata masticazione. L'albanese, che è sì un tagliagole, ma non è preparato a scene tanto ributtanti, inorridisce, quasi sviene, molla la presa e il mio amico, ridotto ad un corpo morto di settanta chili, cade rovinosamente sul pavimento. Atterrando, con tutto il suo peso, sulla mano sinistra. Scivolando sulle sue puzzolenti eiezioni. Pancia rivolta verso il soffitto, braccio all’altezza del petto, piegato a novanta gradi. La cosiddetta posizione antalgica. Preserva da una dolorosissima flessione e da una ancor più dolorosa distensione. Frattura composta del capitello radiale. Poco importa, perché il pugile, che finora aveva evitato di partecipare attivamente al pestaggio, solleva la poltrona chesterfield in finta pelle bianca e struttura in mogano che faceva bella mostra di sé nel salotto. Un istante, il tempo di prender bene la mira, e la poltrona viene lasciata cadere. Nove virgola otto metri al secondo quadrato. Sul braccio. Frattura esposta. E non solo del capitello radiale. Che, passato lo stato di shock, si trasformerà nel dolore più acuto mai provato. Parossistico. Il serbo, in preda ad un raptus, propone di abusarne sessualmente - non chiedetemi come - utilizzando un frullatore ad immersione, uno di quei gingilli fallici con cui le massaie preparano la maionese e la panna montata. La squadra del recupero crediti lascia l’appartamento. Il pugile, che rimane mezzo passo indietro rispetto ai suoi compagni, si ferma sulla soglia, afferra l’astuccio, lo scuote come per rimarcarne, ancora una volta, l’insufficiente contenuto e lo riposa sul tavolino dell’ingresso. Il capo, dice, ti ha concesso un’altra settimana. Adam Gontier sta ancora cantando ‘Somebody get me through this nightmare…’ Sette giorni, un mese, un anno, ormai non farebbe differenza. In un appartamento in cui tutto è finto, la pelle della poltrona chesterfield, il barocco della console, il palissandro delle ante dei mobili della cucina, giacciono un giocatore d'azzardo e l'unico errore commesso in anni di onorata carriera da scommettitore. I colpi alla testa hanno provocato danni cerebrali da trauma che inibiscono qualsiasi movimento che non sia il tenersi il braccio ben saldo al petto. Da lì a poco la frammentazione dei segmenti ossei provocherà l'ostruzione della circolazione venosa che causerà una trombosi. Oppure un’infezione. Entrambe potenzialmente letali. Si urina nei pantaloni. Il naso, della forma e del colore di una prugna matura, le narici ridotte a due piccoli fori ostruiti da muco e pezzi di gengiva. Dove di norma dovrebbero trovarsi una bocca, un paio di labbra, una trentina di denti, c'è ora un enorme varco circolare attraverso il quale potrebbe passare senza problemi un pompelmo. O una mano chiusa a pugno. La mandibola è tenuta insieme al cranio solo grazie alla sottile pelle del volto. La lingua, visibile nella sua interezza, inclusa la sezione faringea, si muove freneticamente alla ricerca di un dente, uno solo, cui ancorarsi, prima di ripiegarsi su se stessa lungo la trachea. Si definisce asfissia un qualsiasi fenomeno, in questo caso l'occlusione delle vie aeree, che causi impossibilità di respirare correttamente, con conseguente innalzamento dei livelli di anidride carbonica e progressivo impoverimento di ossigeno nel sangue. Di norma il soggetto perde coscienza e nel giro di qualche ora subentra la morte. Si celebra l'estetica dello schifo mentre, lentamente, tra singhiozzi, piscio e vomito, il mio amico si spegne. Sono un gambler e conosco i gambler. Credetemi, potrei intrattenervi per ore, per giorni, narrandovi altre storie come questa. Un gambler ha sempre storie di altri gambler da narrare. Nonostante sia irrimediabilmente affetto da superbia, peccato capitale di cui si macchia chiunque cerchi di prevedere l’epilogo di eventi che devono ancora avere luogo, un gambler mostrerà sempre una certa riluttanza a parlare di sé. Perché tanto, vi dirà, non ci si fida mai ciecamente di un gambler. Qualcosa di me però voglio confidarvela, poiché difficilmente avremo modo di rincontrarci. Sto per partire, non posso rivelare quale sia la mia destinazione. Si sa, alla gente piace chiacchierare e le voci corrono. No, non ho deciso di cambiar vita, in qualsiasi posto io vada riconoscerò la presenza di una casa scommesse dai capannelli di anziani in impermeabile beige e giovani disoccupati con i tatuaggi sul collo. Ancora qualche ora, prima che decolli il mio volo. Non ho tempo per salutare gli amici e i miei genitori. Dove vai, mi chiederebbero, e ho mentito tante, troppe volte nella mia vita. Partire così, senza neanche due righe di addio, senza lasciare un’eredità, tuttavia, non sarebbe carino. Potrei scrivere una guida che impartisca agli aspiranti gambler le regole fondamentali di questo mondo, ovvero una serie di errori da non commettere più che tecniche da applicare. Potrei intitolarla Gambler Inside, scommettitore dentro, nell’anima. Inizierei con la mia biografia, poi una breve introduzione seguita da numerose indicazioni puramente motivazionali. Sì, può funzionare. Inizierò immediatamente e, una volta completata, lascerò il computer acceso. Magari chi la troverà ne farà un libro, lo pubblicherà e guadagnerà una quantità di soldi che né io né voi abbiamo mai avuto la possibilità di vedere tutta insieme. Perlomeno in contanti.