Gambler inside

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Gambler inside
Gambler inside
- a novel by Stuar t Delta
C'è solo una persona al mondo che può comprendere fino in fondo
un gambler ed è un altro gambler. No, amici miei, non lasciatevi
ingannare da immagini, parole e pregiudizi sommariamente
elaborati dalla vostra coscienza. Il gioco d'azzardo non è una
faccenda di denaro. O meglio, non è solo questione di soldi vinti o
persi. O forse sì. Quando incontri un gambler la prima cosa che
impari è che non devi mai credere ciecamente a ciò che ti
racconta. Non che abbia un reale interesse a mentirti, ma se ti
narra della complessità del mondo del gambling cercando di
metaforizzarlo menzionando gli istinti più profondi dell'essere
umano, è probabile che abbia appena scommesso che riuscirà a
convincerti. Io queste cose le so perché sono un gambler, quindi
potete fidarvi di me.
Sapevate, ad esempio, che Einstein non pronunciò mai la celebre
frase Dio non gioca a dadi? In realtà non disse nulla di neanche
lontanamente simile, né nella forma, né nella sostanza.
Nell'istante in cui un qualsiasi contesto sfiora di striscio il gioco
d'azzardo diventa automaticamente inattendibile. E io lo so bene,
sono un gambler, fidatevi di me.
Io stesso potrei dimostrare che siete giocatori d'azzardo anche voi,
inconsapevolmente, in ogni momento della vostra vita. Sapevate,
ad esempio, che ogni anno più di trecentomila persone,
perfettamente sane, muoiono nel sonno? Si chiama SUD, Sudden
Unexpected Death, e medici e scienziati non sono ancora riusciti a
isolarne le cause. La scena: siete nel dormiveglia, le prime
allegorie oniriche cominciano a popolare il nero delle vostre
palpebre, quando Dio vi si avvicina e, sottovoce, vi propone una
giocata dalla vincita quasi garantita. Ti sveglierai domani
mattina? Te la pago a 1,01.
Credetemi, amici miei, sono un gambler e di certe cose parlo a
ragion veduta. Sapevate, ad esempio, che il Re di Cuori è l'unico
Re a non avere i baffi? Avrete sicuramente maneggiato un'infinità
di volte le carte francesi, ma non preoccupatevi se non avete mai
colto questo particolare. Il cervello, se non educato a dovere,
decide arbitrariamente quali informazioni sono utili e quali sono
superflue. Il gambler sa che la sua sopravvivenza dipende dalla
capacità di tener traccia di ogni particolare, anche insignificante, e
convertirlo in visioni e previsioni. Se stai parlando con un
gambler, noterà immediatamente quelle scie di pelle morta che
scuriscono leggermente il colletto della tua camicia, quel
microscopico residuo biancastro tra il canino e il premolare, la
sottile patina di grasso sulla fede nuziale scolpita, quasi
fedelmente, sul disegno delle impronte digitali del pollice e
dell'indice della mano destra. Nel suo sguardo vago, quasi assente,
in apparenza privo della funzione di messa a fuoco, sta scorrendo
la tua vita: tua moglie che ha smesso di prendersi cura di te, i
pranzi e gli aperitivi e le cene che sempre più spesso ti tengono
lontano da casa, l'anello che ti sfili perché non hai il coraggio di
confessare alla tua amante che sei sposato. Per destare la sua
attenzione puoi provare, ad esempio, a chiedergli che sapore ha
uno scarafaggio. Quasi sicuramente ti risponderà che è vagamente
aspro, con un piacevole retrogusto di mela.
Sapevate, ad esempio, che un giocatore d'azzardo può indovinare
l'esito di un incontro tennistico dopo soli due giochi? Cinque,
massimo dieci, minuti gli sono sufficienti per analizzare
gestualità, postura e segnali corporei dei due giocatori in campo e
sarà in grado di prevedere, con ragionevole certezza, chi sarà il
vincitore. A voi che siete persone comuni non è dato conoscere in
anticipo il risultato di una partita a pochi istanti dal suo inizio, ma
un gambler, abituato a cogliere ed interpretare ogni dettaglio, vi
dirà, ad esempio, che se un tennista, durante i primi novanta
secondi di pausa, osserva gli spalti, ruotando a destra e sinistra il
capo, come se volesse contare ad uno ad uno gli spettatori, sta
valutando a spanne il numero delle persone che assisteranno alla
sua disfatta. Un tennista confessa attraverso impercettibili
microespressioni facciali – durano all’incirca un quarto di
secondo - ogni sorta di emozione negativa: paura, rabbia,
disperazione, l'imminente sconfitta nella semifinale di
Wimbledon.
No, amici miei, il gioco d'azzardo è ben più che una manciata di
banconote sul piatto dell'allibratore. Il gambler, dirà di sé, è la
testimonianza vivente che esistono, che devono esistere, Leggi
universali che disciplinano il corso della Storia. Di queste Regole
egli è al tempo stesso ricercatore, postulatore e applicatore.
Irrilevante, vi dirà, se tutti, finora, hanno fallito nell'impresa di
codificare la matrice di quanto avviene nel mondo. Poco importa,
vi dirà, se una scoperta così importante per l'umanità verrebbe
sfruttata per pronosticare risultati calcistici e piazzamento dei
cavalli: queste Leggi esistono, perché devono esistere, e la sua
missione, che in caso di insuccesso sarebbe perpetuata da altri
gambler, è quella di comprenderle e dopo averne tratto ogni
possibile beneficio economico, divulgarle a giocatori come lui. Sì
perché dovete sapere che tra gambler, credetemi, non esiste
concorrenza o rivalità. Vero, ci sono di mezzo i soldi, che ancor
più di una donna sono in grado di mandare in merda amicizie,
famiglie e gruppi rock, ma il principio democratico della quota
fissa e comuni antagonisti, il fato e il bookmaker, che del fato è
naturale emissario, fanno sì che tra giocatori si instauri una sorta
di complicità, un legame forse meramente strumentale ma
proprio per questo sincero e indissolubile.
Hai la febbre del gioco, direte voi, ricalcando il comun pensiero
sul gambler. Un uomo in buona salute può sopravvivere ad un
calore ambientale che supera i 60°c, ma quando la temperatura
interna si avvicina a 43°c aumenta significativamente la
probabilità di morire per avvelenamento. Iperpiressia. I globuli
bianchi rallentano il loro moto fino ad implodere. Come il Sole al
termine di miliardi di anni di onorato e ininterrotto servizio. E’ il
principiante, vi risponderà, la vittima sacrificale sull'altare della
dipendenza e della compulsione. La consapevolezza di essere, in
ogni momento, esposto all'incapacità di controllare le proprie
pulsioni, vi spiegherà, è il primo anticorpo che un gambler deve
sviluppare. E’ come percorrere una lunga tratta in automobile.
Con uno psicopatico, caricato a bordo chissà dove, forse per
vincere la solitudine, che se ne sta seduto buono buono al lato
passeggero. Tranquillo, innocuo, persino affabile. Ma sai bene,
cazzo se lo sai, che da un momento all’altro trasfigurerà e
cercherà in qualche modo di complicarti il viaggio. Urlerà, si
dimenerà, agiterà le braccia e se dovesse accorgersi che,
ignorandolo, cerchi di mantenere il controllo sul veicolo, si
avventerà su di te. Graffi, gomitate, morsi, proverà persino ad
afferrare il volante con tutta la forza che ha. Ed è solo la visione
disturbante di te trasformato in una poltiglia sanguinolenta tra
lamiere ancora fumanti e vetri sparsi a chilometri di distanza, a
darti la forza di resistere fino a quando quel demone non si quieta.
Puoi andare avanti per giorni, mesi, attraversare paesi e città
senza accorgerti, quasi dimenticandotene, che hai di fianco un
ordigno pronto ad esplodere, ma in cuor tuo sai che accadrà.
Cazzo se accadrà!
No, credetemi, la compulsione per il gioco non è un pericolo per il
vero gambler. Neanche i bookmaker rappresentano una minaccia
da quando hanno smesso di far credito ai giocatori declassandosi
a meri attori di un contratto. Riduzione del personale. Un
allibratore che ritirava giocate 'sulla fiducia' doveva anche
circondarsi di addetti alla riscossione del credito e, va da sé, non li
reclutava tra i chierichetti di una Chiesta Metodista o tra i membri
attivi del movimento Porgi L'Altra Guancia. Nelle case da gioco
della vecchia scuola gli addetti a far quadrare i conti erano,
preferibilmente, ex pugili, Serbi convinti che il conflitto con la
Bosnia fosse terminato troppo presto e picchiatori importati più o
meno legalmente dall'Albania. Capitava però che dopo qualche
mese di fedele assistenza uno degli scagnozzi, il più delle volte un
russo di nome Boris o Dimitri, tentasse la veloce scalata al potere
mirando a sostituire il suo datore di lavoro. Cane mangia cane, tra
un sovietico di due metri e un omino anziano e sovrappeso non c’è
decisamente storia. Non ci si deve fidare di un gambler, ancor
meno di un mercenario. Ristrutturazione aziendale. Gli allibratori
si evolsero rapidamente in semplici intermediari, lasciando un
vuoto che ben presto sarebbe stato colmato da piccoli e grandi
usurai che spesso, spesso, sono per il mondo del gioco d’azzardo
ciò che il cherosene è per il Boeing 747.
La vera nemesi di un gambler, più stronza del pazzoide che ti sta
di fianco in macchina, è quel dannato periodo durante il quale si
inanella una sconfitta dietro l'altra. Un numero indeterminato di
scommesse perse consecutivamente. Non importa a quali livelli di
meticolosità si spingano le analisi di un evento sportivo, puoi
tener conto di classifiche, infortuni, recenti divorzi, bilanci
societari, astrologia e bioritmi, l'esito finale di un incontro sarà
sempre, sempre, diverso da quello che avevi pronosticato.
E’ durante queste lunghe, in apparenza interminabili, tappe
obbligatorie della carriera di un giocatore d'azzardo che
comprendi che non è solo una questione di denaro. No, non è solo
una fottuta questione di vincere o perdere. Sul bancone
dell'allibratore c'è molto di più: orgoglio, autostima, aspettative, i
bilanci di una vita trascorsa dentro e fuori sale scommesse
sudicie, stando bene attento a non incrociare lo sguardo indignato
di amici e genitori.
C'è solo una persona al mondo con cui un gambler sarà sempre
sincero, ed è un altro gambler. Io lo so perché sono un gambler,
potete credermi. Fu la cosiddetta striscia negativa a mettere nei
guai, ma guai seri, un mio amico.
Un giorno viene avvicinato da un tizio, un habitué della sala
scommesse, un soggetto non particolarmente popolare ma che,
tra giocate spettacolari e altre assolutamente fallimentari, riesce a
mantenersi sempre, seppur di pochi spiccioli, in attivo. Ho una
dritta sicura, gli dice, mimando l'azione di colpire una palla con
una mazza immaginaria. Un incontro di baseball della MBA,
Major League Baseball. I White Sox, contrariamente al buon
senso e alle quote offerte dagli allibratori, vinceranno in gara 3
contro i Red Sox di Boston. La vittoria di Chicago è pagata a 5,00.
Punti dieci, incassi cinquanta. Facilmente, velocemente,
legalmente.
Vi starete chiedendo se sia mai successo che una dritta sicura
giungesse all’orecchio di un bookmaker. Posso dirvi che accade
quasi sempre. Tuttavia coloro che ritirano le scommesse hanno,
da questo punto di vista, le mani legate: offrire una quota
esageratamente alta per la vittoria della squadra favorita sarebbe
di per sé un suggerimento troppo esplicito su come l’incontro sia
destinato a finire, e come ogni gambler potrà confermare, essi non
possono e non devono fornire indicazioni o aiuti di alcun genere.
Ora, il mio amico, per sua stessa ammissione, non capisce nulla di
baseball. Sa che è uno sport che si svolge su un campo
denominato diamante, sa che questo presenta una serie di basi e
che i giocatori, indossando il tipico cappellino, comunicano a
gesti con l’allenatore. Poco altro. Di certo non ha la minima idea
delle ragioni per cui una squadra dovrebbe prevalere sull’altra.
Quando un gambler confida ad un altro gambler di avere una
dritta sicura gli si crede. E’ un atto d’onore. Fideistico. Il mio
amico, il cui senso critico è già appannato dall’ennesima giocata
andata a vuoto, decide che quella soffiata è l’occasione non solo
per risanare un bilancio pesantemente negativo, ma per chiudere,
in un sol colpo, la scommessa definitiva, il Sacro Graal di ogni
gambler: punti tanto, incassi tantissimo. A rischio zero.
Per mettere a segno la madre di tutte le scommesse, tuttavia,
servono soldi. Tanti soldi. Soldi che il mio amico non ha. Quando
frequenti una casa scommesse e frequenti persone che
frequentano le case scommesse, racimolare una certa quantità di
denaro, in breve tempo, non è mai realmente un problema, c’è
sempre qualcuno che conosce qualcuno che ha l’indirizzo di
qualcuno che può prestarti quel denaro. In poche ore. Senza
domande. Certo, devi rinunciare a qualsiasi tutela da parte
dell’Associazione dei Consumatori, ma qui si parla di rischio zero.
Punti, incassi, saldi il debito e ordini una Porsche.
Dietro una scrivania, posta nel retro scarsamente illuminato di
quella che voi scambiereste per una comune panetteria di
quartiere, siede chi è in grado, senza troppe formalità, di
concederti il prestito che ti serve. Una stretta di mano e un
cilindro di plastica morbida chiuso da una cerniera, simile a quei
contenitori dove i bambini conservano penne e matite, con dentro
il contante desiderato. Qualche cenno di intesa. Nessuna causale,
nessuna domanda imbarazzante. Non c'è bisogno di controlli
fiscali incrociati o analisi dei parametri di solvibilità del
richiedente, non sono necessari beni registrati da aggredire. Mi
restituirai i soldi, più gli interessi, tra una settimana, o avrai di
che pentirtene. Un congedo che è molto più di un manifesto
programmatico, più vincolante di qualsiasi pegno o ipoteca. E’ un
portamatite, chiede il mio amico, sorridendo e facendo ruotare
l'astuccio tra le mani. L'uomo non ricambia il sorriso.
C'è solo una cosa che può tenere lontano un gambler dalla sala
scommesse per un periodo superiore alle 24 ore ed è una dritta
sicura, da lui diffusa per giorni, che si rivela essere una gigantesca
fregatura. No, credetemi, non è la paura la ragione di questa
temporanea defezione, chi decide di seguire una soffiata lo fa nel
pieno esercizio del proprio libero arbitrio e con la consapevolezza
che nulla è mai davvero certo nel mondo del gioco d’azzardo. E’ la
vergogna, la vera motivazione. Con la reputazione ormai
indelebilmente segnata, le occhiate di scherno che sentirebbe su
di sé ogniqualvolta accennasse ad un pronostico, anche banale,
farebbero più male di qualsiasi fisica ritorsione.
Mister White Sox e i suoi ampi gesti illustratori non si fanno
vedere alla casa da gioco ormai da un paio di giorni. Ma non è
certo questo il problema principale del mio amico. Se anche se lo
trovasse di fronte che potrebbe fare? Mica siglano patti di sangue i
gambler! Il sentimento dominante, mentre sente la pelle del viso
colare giù dal cranio in rivoli di sudore freddo, è la vergogna.
Imbarazzo. Come se la dritta sicura l’avesse messa in circolazione
lui. Un giocatore professionista, come egli stesso ama definirsi,
che in una sola scommessa è riuscito a trasgredire a due, dico due,
princìpi di base, non scritti, dei gambler: mai scommettere su
sport di cui non si abbia perfetta conoscenza e mai scommettere
più denaro di quanto se ne abbia, materialmente, a disposizione.
Mentre ripete ossessivamente, ad alta e a bassa voce, come
fossero dei mantra, le leggi fondamentali che ha violato, evitando
di guardarsi allo specchio perché l’immagine che vedrebbe riflessa
sarebbe quella di un coglione, comincia a farsi strada un’emozione
tanto forte da sovrascrivere il senso di mortificazione, così intensa
da non lasciargli il tempo di illudersi che tutto questo sia un
incubo. La paura.
A pochi isolati dal suo appartamento, nel retro scarsamente
illuminato di quella che voi scambiereste per una comune
panetteria di quartiere, lavora un prestasoldi che ha recentemente
allargato la squadra degli addetti al recupero crediti assoldando
un ex pugile, un serbo e un picchiatore albanese.
Credetemi, non conosco l’esatto ammontare della somma che il
mio amico doveva restituirgli, posso solo ipotizzare che fosse una
quantità di soldi che né io né voi abbiamo mai avuto la possibilità
di vedere tutta insieme.
Perlomeno in contanti.
Si sa, alla gente piace chiacchierare, e in qualche modo la voce di
una grossa scommessa finita in merda è giunta allo strozzino, che
esattamente tre giorni prima della scadenza e senza alcun
preavviso, si presenta, da solo, alla porta del mio amico. Posso
sbagliarmi, gli dice rimanendo fermo sulla soglia, ma non hai
affatto l’aria di uno che è appena diventato ricco. E se devo essere
sincero, continua mentre entra nell’appartamento, non sembri
neanche così sorpreso di vedermi. Il mio amico lo invita a sedersi
al tavolo della cucina, illuminato da un saliscendi in vetro soffiato
abbassato fino a quasi toccarne la superficie. Intorno, la
penombra. C’è un motivo preciso, l’uomo prosegue, per cui le
banche fanno credito con così tanta riluttanza ed è il rischio, più
che rischio potremmo definirlo ormai una certezza, che il
debitore, tra il pagamento della prima rata e la totale estinzione
del debito, abbia un problema – sottolinea la parola problema
virgolettandola con un movimento ad uncino dell’indice e del
medio di entrambe le mani. Certo, dice, puoi legalmente
pignorare l’immobile del soggetto insolvente, ma questo significa
decreti ingiuntivi, cause in Tribunale, opposizioni, appelli, in
poche parole anni, tanti anni, prima che la pratica possa essere
archiviata. Il mio amico non sta realmente ascoltando. Non è
neanche realmente seduto a quel tavolo. In questo momento sta
osservando dall’esterno un universo parallelo in cui un altro se
stesso non ha infranto le due, dico due, regole basilari del
gambler. E non si è cacciato in questa situazione. Non credere che
il mio sia un lavoro facile, il monologo continua, ho
quotidianamente a che fare con quei problemi – ripete il gesto
delle virgolette – e non c’è giudice al mondo che perorerebbe la
mia causa. Non chiedo garanzie e non mi interessa che cosa le
persone facciano con i miei soldi, possono pagarci le tasse,
comprarsi una motocicletta, rifare il culo ciccione della loro
moglie. Io non faccio domande, chiedo solo di rientrare in
possesso dei miei contanti. Più, ovviamente, un piccolo premio,
puoi chiamarlo interesse se preferisci, per l’utile funzione sociale
che svolgo.
Il mio amico, non è dato sapere se questa possa considerarsi una
fortuna o una sfortuna, non ha investito tutti i soldi del prestito in
quella dannata scommessa. Non capita di frequente di trovarsi
per le mani una quantità simile di banconote da 100, da 200 e da
500. E no, non è riuscito a sacrificarli tutti per una singola
scommessa, anche se sicura, a rischio zero. E no, il gioco
d’azzardo non è solo una questione di denaro ma quella montagna
di soldi meritava rispetto. Cazzo se meritava rispetto!
In quel portamatite – perché era un portamatite, vi dirà – c’è
ancora l’equivalente di un paio di stipendi di un impiegato. Prendi
quelli, propone indicando il cilindro di plastica posto vicino alla
porta di ingresso, dovrebbero bastare, per il momento, a saldare il
tuo disturbo. Questa offerta provoca nell’uomo, il finto panettiere,
un sincero, ma tutto fuorché benevolo, sorriso. Ascoltami bene,
dice, non sono una Finanziaria e tu non hai acquistato un
frigorifero a rate. Fra tre giorni, dice, farai il tuo dovere, soldi e
interessi. Sono sicuro, conclude, che onorerai il nostro accordo.
Sapevate, ad esempio, che negli anni Sessanta un tale di nome
Randy Gardner riuscì a rimanere sveglio per ben
duecentosessantaquattro ore al termine delle quali l’unica cosa
che chiese fu un letto comodo su cui addormentarsi? A parte
questa eccezione, un uomo in buona salute può subire alterazioni
psicotiche del comportamento dopo appena ventiquattro ore di
veglia ininterrotta. Nei tre giorni successivi il mio amico non
riesce a dormire e poco a poco il suo elegante appartamento
arredato in stile finto neoclassico prende a popolarsi di fantasmi,
rumori, ombre. E’ il cervello, che, quando è costretto a fare gli
straordinari, organizza l’ammutinamento della coscienza e si
svaga proiettando su muri e soffitto immagini grottesche, frutto di
paranoie assurde vagamente imparentate con il passato, il
presente e il futuro. Ecco, il mio amico vive così il tempo che
intercorre tra il secondo incontro con l’uomo dell’astuccio – vi
dirà, era un portamatite – e il giorno fissato per l’estinzione del
suo debito. Interessi inclusi.
Questione di punti di vista. Voi che siete persone comuni - e non
avete il vostro nome scarabocchiato in rosso sul taccuino di un
usuraio- la definireste violazione di domicilio. Quando non hai
un'attività commerciale o una famiglia su cui rivalersi, ogni tipo di
vendetta è indirizzata verso di te. Fisicamente.
Dopo aver passato le ultime ore a fissare un televisore al plasma
spento su cui scorrevano, in loop, le immagini della propria ex,
inginocchiata, che succhiava il cazzo di quell'attore che
impersonava Batman negli anni '70 e aver visto uscire dalla
lavatrice gli spettri di decine di sconosciuti, ognuno dei quali si
annunciava come il suo vero padre, la vista di tre gorilla,
tridimensionali, che realmente stanno calpestando il tappetino
finto persiano posto all'entrata del suo appartamento rappresenta
per lui un sollievo. O quasi.
L'astuccio è adagiato su una console di color nero lucido in finto
stile barocco collocata vicino alla porta d'ingresso. Al suo interno
non un centesimo in più rispetto a quanti ce ne fossero il giorno
prima. O il giorno ancora prima. Uno dei tre rimane sempre
mezzo passo davanti agli altri. L'unico che parli una lingua
comprensibile. Dalle cartilagini collassate di quello che un tempo
doveva essere un naso si capisce che, qualche volta, ha tirato di
boxe. I tatuaggi dai contorni indefiniti sul dorso della mano
tradiscono anni di galera per reati di chissà quale livello di
violenza ed efferatezza.
Ascolti questa roba, chiede il pugile, avvicinandosi ad un ripiano
ancorato al muro da mensole a scomparsa dove sono posti, in
sequenza, cd dei R.E.M., dagli esordi a oggi, degli Stone Sour, dei
Matchbox Twenty e una trentina di dischi di musica rock e pop
internazionale, la maggior parte dei quali include almeno un
contributo di Pitbull. Hai preferenze, chiede, mentre esamina la
retrocopertina di 'Something to be' di Rob Thomas, prima di
ricollocarlo, con cura, tra 'Songs About Jane' dei Maroon 5 e 'The
Fame Monster' di Lady Gaga.
La seccatura principale, nei regolamenti di conti a domicilio, sono
i vicini. In particolar modo se il domicilio è un cubo incastrato con
altri cubi in un condominio signorile abitato da persone perbene.
Meglio sarebbe effettuare una rapida incursione notturna,
prelevare il debitore insolvente e trascinarlo in un luogo isolato.
Ma non in questo caso. Così si organizza quella che in gergo
criminale viene chiamata La Festa. La vittima viene
immobilizzata e, sotto la minaccia di un’arma, un coltello, un
bastone o una pistola, costretta a tacere; dopodiché si seleziona
un cd dalla sua collezione, lo si inserisce nel lettore dell'impianto
stereo e si alza al massimo il volume. Canzoni che la vecchietta del
piano di sopra, o la cordiale famiglia dell'appartamento di lato
avranno sentito, attraverso i sottili muri in mattone intonacato,
centinaia di volte. Nessun sospetto. Nessuna chiamata alla Polizia.
Sapevate, ad esempio, che è estremamente difficile far saltare gli
incisivi di un uomo in buona salute con un singolo pugno?
Normalmente sono necessari tre fendenti, purché ben indirizzati e
concentrati in un punto posto nel solco tra i due frontali superiori.
Il primo serve a scalzare le radici dalla gengiva, provocando la
fuoriuscita di un liquido rossastro composto perlopiù da acqua e
siero. Il secondo ne indebolisce, talvolta disintegrandola, la
struttura superficiale, lo smalto, scoprendo la dentina, l'ultima,
fragile, protezione della polpa dentale, un tessuto molle ricco di
nervi e vasi sanguigni. Il dolore che ne deriva, pur non
immediatamente percepito, è lancinante. Parossistico, secondo la
nomenclatura odontoiatrica. E’ l'energia cinetica del terzo diretto
a provocare un impatto tale che ciò che è rimasto dei denti,
insieme a frantumi di ossa e lembi di tessuto gengivale, venga
proiettato violentemente sulle flaccide pareti del palato. Anche i
più alti luminari della chirurgia maxillo-facciale, mani al volto, si
dichiareranno incapaci di rimetterti in sesto la bocca se -ed è il
caso del mio amico- sei sdraiato supino, un albanese ti tiene ferma
la testa premendola contro il parquet con la pesante suola di un
anfibio da carpentiere e un serbo guerrafondaio è a cavalcioni su
di te con un girapugni di ghisa ben stretto nella mano destra e
continua a colpirti, senza controllo, come se volesse stuprarti la
gola, fino a quando non rischi di morire soffocato da un frullato
di sangue e tessuti ossei e connettivi ammassato tra l'esofago e la
trachea. Risuonano nell’aria le note di ‘ Animal I have become’ dei
Three Days Grace. Dove cazzo tieni gli alcolici, chiede il pugile,
aprendo una dopo l'altra le ante in finto palissandro dei mobili
della cucina, rovistando tra spezie, salse, e scatolame assortito. Il
mio amico viene fatto rialzare. Prima che soffochi sul serio. Ora è
sorretto dall’albanese che ne cinge i fianchi. Non puoi morire,
dice. O meglio, sembra dire.
Credo lo sappiate, il nostro apparato digerente non si è evoluto
per accogliere il latte di vacca, tanto meno budella e ossa umane.
Così il mio amico vomita, lordando il pavimento con un liquame
che è un misto di acido cloridrico, sangue, denti e gengive ridotte
a pezzettini tanto piccoli che sembrano essere frutto di una
prolungata masticazione.
L'albanese, che è sì un tagliagole, ma non è preparato a scene
tanto ributtanti, inorridisce, quasi sviene, molla la presa e il mio
amico, ridotto ad un corpo morto di settanta chili, cade
rovinosamente sul pavimento. Atterrando, con tutto il suo peso,
sulla mano sinistra. Scivolando sulle sue puzzolenti eiezioni.
Pancia rivolta verso il soffitto, braccio all’altezza del petto, piegato
a novanta gradi. La cosiddetta posizione antalgica. Preserva da
una dolorosissima flessione e da una ancor più dolorosa
distensione. Frattura composta del capitello radiale. Poco
importa, perché il pugile, che finora aveva evitato di partecipare
attivamente al pestaggio, solleva la poltrona chesterfield in finta
pelle bianca e struttura in mogano che faceva bella mostra di sé
nel salotto. Un istante, il tempo di prender bene la mira, e la
poltrona viene lasciata cadere. Nove virgola otto metri al secondo
quadrato. Sul braccio. Frattura esposta. E non solo del capitello
radiale. Che, passato lo stato di shock, si trasformerà nel dolore
più acuto mai provato. Parossistico.
Il serbo, in preda ad un raptus, propone di abusarne sessualmente
- non chiedetemi come - utilizzando un frullatore ad immersione,
uno di quei gingilli fallici con cui le massaie preparano la
maionese e la panna montata.
La squadra del recupero crediti lascia l’appartamento. Il pugile,
che rimane mezzo passo indietro rispetto ai suoi compagni, si
ferma sulla soglia, afferra l’astuccio, lo scuote come per
rimarcarne, ancora una volta, l’insufficiente contenuto e lo riposa
sul tavolino dell’ingresso. Il capo, dice, ti ha concesso un’altra
settimana.
Adam Gontier sta ancora cantando ‘Somebody get me through
this nightmare…’
Sette giorni, un mese, un anno, ormai non farebbe differenza. In
un appartamento in cui tutto è finto, la pelle della poltrona
chesterfield, il barocco della console, il palissandro delle ante dei
mobili della cucina, giacciono un giocatore d'azzardo e l'unico
errore commesso in anni di onorata carriera da scommettitore. I
colpi alla testa hanno provocato danni cerebrali da trauma che
inibiscono qualsiasi movimento che non sia il tenersi il braccio
ben saldo al petto. Da lì a poco la frammentazione dei segmenti
ossei provocherà l'ostruzione della circolazione venosa che
causerà una trombosi. Oppure un’infezione. Entrambe
potenzialmente letali. Si urina nei pantaloni. Il naso, della forma e
del colore di una prugna matura, le narici ridotte a due piccoli fori
ostruiti da muco e pezzi di gengiva. Dove di norma dovrebbero
trovarsi una bocca, un paio di labbra, una trentina di denti, c'è ora
un enorme varco circolare attraverso il quale potrebbe passare
senza problemi un pompelmo. O una mano chiusa a pugno. La
mandibola è tenuta insieme al cranio solo grazie alla sottile pelle
del volto. La lingua, visibile nella sua interezza, inclusa la sezione
faringea, si muove freneticamente alla ricerca di un dente, uno
solo, cui ancorarsi, prima di ripiegarsi su se stessa lungo la
trachea.
Si definisce asfissia un qualsiasi fenomeno, in questo caso
l'occlusione delle vie aeree, che causi impossibilità di respirare
correttamente, con conseguente innalzamento dei livelli di
anidride carbonica e progressivo impoverimento di ossigeno nel
sangue. Di norma il soggetto perde coscienza e nel giro di qualche
ora subentra la morte.
Si celebra l'estetica dello schifo mentre, lentamente, tra
singhiozzi, piscio e vomito, il mio amico si spegne.
Sono un gambler e conosco i gambler. Credetemi, potrei
intrattenervi per ore, per giorni, narrandovi altre storie come
questa. Un gambler ha sempre storie di altri gambler da narrare.
Nonostante sia irrimediabilmente affetto da superbia, peccato
capitale di cui si macchia chiunque cerchi di prevedere l’epilogo di
eventi che devono ancora avere luogo, un gambler mostrerà
sempre una certa riluttanza a parlare di sé. Perché tanto, vi dirà,
non ci si fida mai ciecamente di un gambler.
Qualcosa di me però voglio confidarvela, poiché difficilmente
avremo modo di rincontrarci. Sto per partire, non posso rivelare
quale sia la mia destinazione. Si sa, alla gente piace chiacchierare
e le voci corrono. No, non ho deciso di cambiar vita, in qualsiasi
posto io vada riconoscerò la presenza di una casa scommesse dai
capannelli di anziani in impermeabile beige e giovani disoccupati
con i tatuaggi sul collo. Ancora qualche ora, prima che decolli il
mio volo. Non ho tempo per salutare gli amici e i miei genitori.
Dove vai, mi chiederebbero, e ho mentito tante, troppe volte nella
mia vita. Partire così, senza neanche due righe di addio, senza
lasciare un’eredità, tuttavia, non sarebbe carino. Potrei scrivere
una guida che impartisca agli aspiranti gambler le regole
fondamentali di questo mondo, ovvero una serie di errori da non
commettere più che tecniche da applicare. Potrei intitolarla
Gambler Inside, scommettitore dentro, nell’anima. Inizierei con
la mia biografia, poi una breve introduzione seguita da numerose
indicazioni puramente motivazionali. Sì, può funzionare. Inizierò
immediatamente e, una volta completata, lascerò il computer
acceso. Magari chi la troverà ne farà un libro, lo pubblicherà e
guadagnerà una quantità di soldi che né io né voi abbiamo mai
avuto la possibilità di vedere tutta insieme.
Perlomeno in contanti.