appello Giovine e Franchino 66 bis 29 gennaio ultimo X CS
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appello Giovine e Franchino 66 bis 29 gennaio ultimo X CS
STUDIO LEGALE ASSOCIATO STRAMBI E NIGRA Via Cibrario n. 6 – 10144 TORINO Tel. 011/437.40.24 –011/48.95.88 ECCELLENTISSMO CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE Ricorso in appello ex art. 131 c.p.a. avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte n. 66/2014 con istanza di riunione ex art. 96 c.p.a. al procedimento n. 556/2014 Nell’interesse di Michele GIOVINE, C.F. GVNMHL73B18L219S, residente in Torino alla Via Mazzini n. 37 e di FRANCHINO Sara, C.F. FRNSRA82L45L750W, residente in Collobiano (VC) alla Via Cervo n. 5, rappresentati e difesi per procura speciale a margine dagli Avvocati Giorgio Strambi (C.F STRGRG66T30L219G), e Giovanni NIGRA (C.F. NGRGNN68D08L219E), con studio a Torino in Via Cibrario 6 i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni, gli avvisi o gli atti al numero di fax 011/48.95.88 – indirizzo di Posta Elettronica Certificata [email protected] ed eleggono domicilio in Roma al Viale Carso n. 43 presso lo studio dell’Avvocato Carlo Guglielmo Izzo - appellanti CONTRO Bresso Mercedes e Staunovo Polacco Luigina e difese dagli avvocati Sabrina Molinar Min, Paolo Davico Bonino, Anna Casavecchia, Marco Casavecchia e Valentina Stefutti -- appellata NEI CONFRONTI DI On. Avv. Roberto COTA nella sua qualità di Presidente della Giunta Regionale della Regione Piemote, rappresentato e difeso, dal Prof. Avv. Angelo Clarizia del Foro di Roma - appellante - 1 PROCURA SPECIALE: noi sottoscritti Michele Giovine e Sara Franchino nominiamo e costituiamo nel presente giudizio di appello, conferendo loro ogni più ampia facoltà di legge, gli Avv.ti Giorgio Strambi e Giovanni Nigra conferendo loro ogni facoltà di legge, ivi comprese quelle di transigere, conciliare, rinunciare ed accettare rinunce, farsi rappresentare - sostituire da altro Procuratore ed eleggiamo domicilio presso lo studio dell’Avv. Carlo Guglielmo Izzo in Roma al Viale Carso 43. Torino-Roma, lì NONCHÉ NEI CONFRONTI DI - Antonello Angeleri, ed altri, già rappresentati e difesi dall’Avv. Fabrizio Borasio; - Botta Marco ed altri rappresentati e difesi dal Prof. Avv. Carlo Emanuele Gallo e dall’Avv. Antonio Bertoldini, con domicilio eletto presso Il Prof. Avv. Carlo Emanuele Gallo in Torino, via Pietro Palmieri n. 40. PER LA RIFORMA della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Prima n. 66/2014 Reg. Sen. sul ricorso n. 555/2010 Reg. Ric. depositata in Segreteria in data 15 gennaio 2014. Svolgimento deI fatti Mercedes BRESSO e STAUNUOVO POLACCO Luigina (Segretario Politico, presentatrice della lista PENSIONATI E INVALIDI PER BRESSO, nonché rinviata a giudizio per aver falsificato le proprie liste alle elezioni regionali 2010) hanno impugnato il risultato elettorale assumendo la falsità del luogo dell’autentica indicata sui moduli di accettazione delle candidature della lista PENSIONATI CON COTA per la sola Provincia di Torino, dove detta lista ha ottenuto 15.765 preferenze. Il Presidente COTA e la coalizione di centrodestra hanno vinto le elezioni del 29 marzo 2010 ottenendo 1.042.482 e quindi con uno scarto di 9.372 voti validi in più rispetto alla candidata BRESSO che aveva invece ottenuto 1.033.326. Controparte ha ricondotto il proprio interesse a ricorrere solo ed esclusivamente al fatto che il predetto differenziale di voti sarebbe stato sufficiente, in caso di accoglimento delle censure proposte, a sovvertire il risultato elettorale. Tale assunto risulta oggi mendace in quanto inesorabilmente destituito di ogni fondamento a fronte delle statuizioni assunte in via definitiva con le sentenze emesse dal Tribunale di Torino l’11 dicembre 2012 (prodotta 2 sub. doc. 20) e dalla Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, n 42162 del 09.07.2013 (prodotta sub. doc. 22) con cui si accertavano le gravi falsità in autentica degli atti di presentazione di tutte le liste provinciali Pensionati e INVALIDI per BRESSO. In particolare con la sentenza 42162/2013 la Corte di Cassazione non solo ha disposto che si dichiarasse la falsità di tutti gli atti di presentazione delle 8 liste provinciali PENSIONATI E INVALIDI PER BRESSO presentate dalle ricorrenti alle elezioni regionali del Piemonte 2010, ma ha addirittura ordinato che si provvedesse alla loro cancellazione, stante l’assenza di “soggetti individuabili che possano considerarsi pregiudicati o pregiudicabili dalla applicazione dell’art 537, comma 2”. In forza di quanto statuito dalla Corte di Legittimità il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Torino, Dott.ssa Felicita Bertinetti, con ordinanza del 20.12.2013 depositata in data 21.12.2013 e notificata in data 07.01.2014 ha così statuito: “Visti gli artt. 537 e 621 ss. c.p.p. dichiara la falsità della dichiarazione di autenticazione della firma di Andrea BUQUICCHIO sulle dichiarazioni "di presentazione di una lista provinciale di candidati che non ha l'obbligo di raccogliere le sottoscrizioni di candidati ai sensi della lettera e) comma 1 dell'articolo 1) della legge regionale n. 21/2009 per l'elezione del presidente della Giunta e del Consiglio regionale del Piemonte del 28 e 29 marzo 20I0" depositate presso il Tribunale di Torino e presso il Tribunale di Alessandria in occasione delle elezioni regionali del 2010 e ne dispone la cancellazione, a cura della Cancelleria, mediante annotazione della falsità sugli originali; - dichiara la falsità delle dichiarazioni di autenticazione delle firme di accettazione della candidatura per la carica di consigliere regionale nella lista provinciale "PENSIONATIED INVALIDI PER BRESSO" apposte da D'AVENIA Luigi, ZANOLINI Carlo, DI BENEDETTO Filippo, VINCIGUERRA Angelo, ACAMPA Mario, SCIRPO Vincenzo, FOGLI Gabriella, CAMERIN Giorgio, MARANGON Renato, e ne dispone la cancellazione, a cura della Cancelleria, mediante annotazione della falsità sugli originali; … - dispone la cancellazione, a cura della Cancelleria, mediante annotazione della falsità sull'originale, 3 degli atti di cui è stata dichiarata la falsità con la sentenza pronunciata ex art. 444 c.p.p. in data 30.11.2012 n. 2671. Manda la Cancelleria per quanto di competenza.”. Tale provvedimento, con il quale il Tribunale di Torino si è uniformato all’ordine della Cassazione, non è stato impugnato (né poteva essere altrimenti sia alla luce della cogente disposizione impartita dalla Suprema Corte, sia per il fatto che la statuizione sulla responsabilità penale dell’Autenticatore della lista PENSIONATI ED INVALIDI PER BRESSO era già passata in giudicato). Trattandosi di provvedimento reso nell’ambito di un incidente di esecuzione il termine di impugnativa era di 15 giorni dalla notifica del provvedimento stesso avvenuta il 7 gennaio e quindi è passato in giudicato. Le 8 liste provinciali dei PENSIONATI E INVALIDI PER BRESSO della STAUNUOVO POLACCO Luigina non solo sono state dichiarate false ma ne è stata disposta la cancellazione con provvedimento definitivo e non più passibile di impugnazione. Alle elezioni regionali 2010 le 8 liste provinciali dei PENSIONATI E INVALIDI PER BRESSO della STAUNUOVO POLACCO Luigina hanno portato in dote alla coalizione collegata al candidato presidente Mercedes BRESSO 12.564 voti. Ne consegue che la lista PENSIONATI E INVALIDI PER BRESSO non poteva presentarsi e partecipare alle elezioni regionali piemontesi 2010 ed i voti raccolti da tale lista (12.564) sono invalidi e quindi da sottrarre alla somma dei voti raccolti dalla coalizione di Mercedes BRESSO (1.033.326), che in forza della disposta cancellazione viene quindi a totalizzare la nuova minore somma di 1.020.762 voti espressi (cfr. schema riepilogativo che segue). Nella nuova e corretta formulazione, la distanza tra la coalizione di Cota (1.042.482 voti validi) e la coalizione di Bresso (1.020.326 voti validi) è pertanto pari a 21.720 voti, cioè un numero superiore rispetto ai 15.765 contestati dalle ricorrenti alla lista PENSIONATI CON COTA con la conseguenza di una totale carenza di interesse ad agire delle appellate. 4 Voti ottenuti dalla coalizione di Roberto Cota 1.043.275 Voti ottenuti dalla coalizione di Mercedes Bresso 1.033.989 – 12.564 voti Pensionati e INVALIDI per BRESSO = 1.021.425 ----------------------------------------------------------------------------------------------Δ (differenziale)voti COTA – BRESSO Voti contestati Pensionati con Cota = 15.765 = + 21.850 15.765 < 21.850 Svolgimento del processo Con ricorso elettorale depositato i data 07.05.2010 i ricorrenti adivano il Tribunale Amministrativo per il Piemonte chiedendo “l’annullamento e/o l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 4 della Legge 23 dicembre 1966 n. 1147 dell’atto di proclamazione degli eletti emesso dalla Corte d’Appello di Torino con il quale in data 09.04.2010 veniva proclamata l’elezione del Presidente della Giunta Regionale e del Listino e si prendeva atto dell’avvenuta proclamazione dei consiglieri regionali per la regione Piemonte a seguito della consultazione elettorale tenutasi nei giorni 28-29 marzo 2010” allegando la falsità dell’autenticazione delle dichiarazioni di accettazione delle relative candidature da parte di Michele Giovine e di Carlo Giovine, in qualità, rispettivamente, di consigliere comunale del Comune di Gurro (VCO) e del Comune di Miasino (NO); la sig.ra Staunovo Polacco depositava in data 4 maggio 2010, presso la Procura della Repubblica di Torino, denuncia contro i Giovine. Le due ricorrenti chiedevano quindi l’annullamento della proclamazione degli eletti domandando al TAR di “valutare autonomamente i fati penalmente rilevanti emersi e dichiarare l’illegittimità della presentazione e correlativa ammissione della lista contestata”. Con sentenza parziale n. 3196 del 6 agosto 2010 il TAR riteneva “di non poter accedere alla richiesta formulata da parte ricorrente [per l’espressa ragione] che le certificazioni di autenticazione sottoposte alla sua attenzione posseggono i tratti distintivi noti dell’atto pubblico, assunta da pubblico ufficiale e come tale assistito da fede privilegiata ex art. 2700 5 c.c., revocabile in dubbio e contestabile unicamente mediante lo strumento processuale della querela di falso disciplinata agli artt. 221 e seguenti c.p.c..” Il Giudice di prime cure assegnava quindi alla parte ricorrente “il termine di sessanta giorni … per consentire la proposizione dinanzi al competente Tribunale, della querela di falso, relativamente all’autenticità delle dichiarazioni di accettazione delle candidature della lista “Pensionati per Cota”, e delle autenticazioni delle relative sottoscrizioni, ai sensi dell’art. 41 del R.D. 17/8/1907, n. 642 e degli artt. 221 e ss. c.p.c.” e “Rinvia all’udienza pubblica del 18 novembre 2010 per la verifica dell’interposta querela di falso e per la conseguente sospensione del giudizio”. Avverso la citata sentenza parziale del Tar veniva interposto gravame dalle ricorrenti e codesto Ill.mo Consiglio di Stato con sentenza n. 999 del 16 febbraio 2011 che sollevava la questione di legittimità costituzionale “degli articoli 8, comma 2, 77, 126, 127, 128, 129, 130 e 131 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo); dell’articolo 7 del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2840 (Modificazioni all’ordinamento del Consiglio di Stato e della Giunta provinciale amministrativa in sede giurisdizionale); degli articoli 41, 42 e 43 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato); degli articoli 28, terzo comma, e 30, secondo comma, del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato); degli articoli 7, terzo comma, ultima parte, e 8 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali); nonché dell’articolo 2700 del codice civile, nella parte in cui precludono al giudice amministrativo di accertare anche solo incidentalmente la falsità degli atti pubblici nel giudizio amministrativo in materia elettorale.” Con sentenza n. 304, dell’11.11.2011 la Corte Costituzionale, dichiarava infondata la questione di legittimità costituzionale. 6 All’esito della pronuncia della Corte Costituzionale veniva quindi riassunto il giudizio innanzi Codesto Ecc.mo Consiglio di Stato ed il procedimento si concludeva con la sentenza n. 4395/2012 che respingeva l’appello. Ma nella pronuncia di rigetto il Consiglio di Stato, pur richiamando la pronuncia della Corte Costituzionale ove motiva “il giudice delle leggi ha osservato innanzitutto che la devoluzione al giudice civile della querela di falso rappresenta una opzione di sistema, non soltanto di risalente e costante tradizione, ma rispondente a persistenti valori ed esigenze fondamentali, quali la necessaria tutela della fede pubblica, che in determinate ipotesi, quale è quella degli atti muniti di valore fidefacente privilegiato a norma dell’art. 2700 cod. civ., deve essere assicurata a prescindere dalla sede processuale in cui l’autenticità dell’atto sia stata, incidentalmente, messa in dubbio” di fatto non vi si uniformava. Per un verso infatti codesto Ill.mo Collegio tornava a ribadire che “è precluso l’accertamento in via diretta della asserita falsità delle firme di presentazione delle liste e delle candidature relative alla lista “Pensionati per Cota”. Per altro verso però e con efficacia di fatto vanificante del precetto Costituzionale andava a motivare che: “Ciò dunque non esclude che possano ora essere autonomamente valutate dal giudice di prime cure, dove il processo è ancora sostanzialmente pendente per effetto del concesso termine per la presentazione della querela di falso, anche le risultanze del processo penale a carico di Michele Giovine e Carlo Giovine, giunto peraltro ad un significativo grado di sviluppo (decisione della Corte di Appello di Torino … ” sul rilievo che, motiva ancora il Collegio, “in via di principio il giudizio civile di falso ed il procedimento penale di falso, ancorché differenti tra di loro, in quanto il primo tende solo a dimostrare la totale o parziale non rispondenza al vero di un determinato documento nel suo contenuto obiettivo, laddove il secondo tende invece ad identificare l’autore dell’immutatio veri per sottoporlo alla punizione prevista dalla legge, conducono tuttavia entrambi all’eliminazione dell’efficacia rappresentativa del documento risultato falso (Cass. Civ., sez. III, 7 febbraio 2006, n. 2524; 23 maggio 1969, n. 7 2862), sicché non può negarsi l’equivalenza tra l’accertamento civile e quello penale del documento falso quanto alla sua efficacia probatoria, tanto più che l’art. 537 c.p.p. stabilisce, al comma 1, che la falsità di un atto o di un documento, accertata con sentenza di condanna, è dichiarata nel dispositivo”. Contro tale pronuncia veniva proposto ricorso per cassazione per eccesso di potere giurisdizionale, che veniva dichiarato inammissibile per difetto di interesse con sentenza delle Sezioni Unite del 12 marzo 2013, n. 6082 sul rilievo che l’obiter dictum non aveva carattere vincolante né precettivo. A seguito dell’istanza di fissazione di udienza presentata dalla Bresso e dalla Staunovo il 18 novembre 2013 il TAR del Piemonte fissava udienza pubblica di discussione al 9 gennaio 2014. Il 10.01.2014 veniva quindi pubblicato il dispositivo della sentenza n. 58/2014 che accoglieva il ricorso principale, annullava l’atto di proclamazione degli eletti e dichiarava inammissibile il ricorso incidentale. Il 15.01.2014 veniva infine pubblicata la sentenza n. 66/2014 che è oggetto della presente impugnativa per i seguenti Motivi I La sentenza gravata dichiara inammissibile il ricorso incidentale sotto il duplice profilo della omessa notifica e della tardività nella proposizione. Nel trattare la questione il TAR ricostruisce la vicenda in modo parziale e distorto. Motiva il Giudice di prime cure al capo 1.9 che “il ricorrente incidentale si è limitato a depositare l’atto, in data 7 giugno 2012, senza tuttavia procedere alla sua notifica, né prima né a seguito del suo deposito, e nemmeno in vista dell’udienza del 21 settembre 2012, fissata con decreto presidenziale adottato a seguito dell’istanza inoltrata dalle ricorrenti in data 29 agosto 2012.”. Omette però il Tribunale Amministrativo di spiegare che sempre in data 7 giugno 2012 il ricorrente incidentale depositava istanza di fissazione 8 udienza che veniva negletta sul rilievo verbalmente espresso dalla Segreteria del TAR, a seguito di richiesta di spiegazioni inoltrata dai legali del conchiudente, che ratio della mancata fissazione di udienza andava evidentemente ravvisata nel fatto che il processo amministrativo era stato sospeso ai sensi dell’art. 77, comma 4, c.p.a. con ordinanza del 19 novembre 2010 e che non era venuto meno [ci vien da pensare per il solo ricorrente incidentale] ai sensi dell’art. 80, comma 1, c.p.a. “l’atto che fa venir meno la causa di sospensione” rappresentato dal passaggio in giudicato della sentenza che avrebbe definito il procedimento per querela di falso. Omette altresì il Tar di spiegare che a seguito del deposito del ricorso incidentale, ed a differenza di quanto correttamente aveva invece fatto per i ricorrenti principali, il Giudice di prime cure non aveva neppure provveduto ad alcuno degli adempimenti tassativamente previsti dall’art. 130 comma 2 c.p.a. e segnatamente il TAR a) non aveva fissato l'udienza di discussione della causa in via di urgenza; b) non aveva designato il relatore; c) non aveva ordinato le notifiche, autorizzando, ove necessario, qualunque mezzo idoneo; d) non aveva ordinato il deposito di documenti e l'acquisizione di ogni altra prova necessaria; e) non aveva ordinato che a cura della segreteria il decreto fosse immediatamente comunicato, con ogni mezzo utile, al ricorrente. Nessuno dei 5 tassativi adempimenti previsti dal richiamato art. 130 c.p.a. che il Giudice Amministrativo avrebbe dovuto adottare con decreto ed in via d’urgenza è stato assunto. Ma secondo il Tar, ed a nostro sommesso avviso con ulteriore errore motivazionale, ciò non sarebbe comunque stato rilevante in quanto il ricorrente incidentale avrebbe potuto giovarsi dell’udienza fissata al 21.09.2012 a seguito dell’istanza presentata dalla ricorrenti principali, ed urgentemente – questa volta sì presa in considerazione dal TAR, in data 29.08.2012 senza però tener conto che neppure nel richiamato provvedimento di fissazione di udienza alcuno dei provvedimenti previsti dal richiamato art. 130 del codice del processo amministrativo necessari e prodromici a dare impulso tanto alla procedura principale, quanto a quella incidentale, era ancora una volta stato assunto dal Giudice di prime cure. 9 Quindi proprio perché “il legislatore ha attribuito nello specifico e delicato settore della materia elettorale, valore predominante al principio della certezza dei rapporti di diritto pubblico, prevedendo rigorosi termini di decadenza entro i quali gli atti vanno contestati” devono essere preventivamente rispettati dal Tribunale adito gli incombenti che il legislatore gli ha imposto al fine di consentire alla parte il compimento dell’atto previsto ex lege. Difettando nella specie in toto il decreto presidenziale minuziosamente disciplinato dall’art. 130 c.p.a., e non essendo certamente il medesimo surrogabile dal decreto presidenziale adottato a seguito dell’istanza inoltrata dalle odierne appellate in data 29 agosto 2012 privo dei requisiti di forma e contenuto inderogabilmente stabiliti dal legislatore, ne è derivata la oggettiva e materiale impossibilità, per il ricorrente incidentale, di effettuare la notifica del medesimo “unitamente al [l’inesistente] decreto di fissazione di udienza” come previsto dal successivo comma 3 del richiamato art. 130. Va ancora considerato che essendo stato proposto il ricorso incidentale a seguito della notizia della sopravvenienza di un fatto nuovo (la chiusura indagini sulla lista Pensionati ed invalidi per Bresso) ed in via di eccezione, per paralizzare l’azione avversaria, nessuna tardività può essere imputabile agli scriventi anche sul rilievo che l’azione è limitata nel tempo, mentre l’eccezione è perpetua in forza del noto principio temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum. Non va poi sottaciuto come la dottrina prevalente (ex multis F. Benvenuti, Contraddittorio (Diritto amministrativo), in Enc. del dir., vol IX, Milano, 743 ss;; P. Stella Richter, L’inoppugnabilità, Milano 225) inquadri la funzione del ricorso incidentale nell’ambito delle eccezioni spettanti al controinteressato per il soddisfacimento di un interesse sorto soltanto a seguito dell’impugnazione principale e da questa dipendente. La citata ratio è rinvenibile nel dato letterale valorizzato dalla giurisprudenza e contenuto nell’ultimo comma dell’articolo 37 T.U. Cons. Stato che evidenzia il profilo strettamente accessorio del ricorso incidentale, la cui sorte processuale, in base a tale norma, era direttamente subordinata a quella dell’impugnazione principale. 10 La posizione subalterna del ricorrente incidentale deriva dalla circostanza che questi non esercita l’azione per primo ed autonomamente, ma agisce, nell’ambito di un rapporto processuale iniziato dal ricorrente principale, a tutela di un interesse proprio alla conservazione dell’atto impugnato e per prevenire il pregiudizio che gli deriverebbe dall’accoglimento del ricorso principale. L’azione incidentale di impugnazione, quindi, per il solo fatto di sottendere un pregiudizio solo virtuale, è strettamente collegata con l’azione principale e ne segue la sorte, nel senso che, come la nascita della prima presuppone l’esercizio della seconda, così l’estinzione di quest’ultima determina sempre il venire meno dell’azione incidentale. Ciò implica che la sentenza di merito che respinge il ricorso principale o quella di rito che ne accerta l’insussistenza di un presupposto processuale (come avrebbe dovuto accadere nel caso di specie stante la carenza di interesse delle ricorrenti rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado – contrariamente a quanto sostenuto dal TAR) deve dichiarare contemporaneamente l’improcedibilità del ricorso incidentale per sopravvenuta carenza di interesse, non viceversa come invece ha operato il Giudice di Prime Cure. Cons. Stato, sez. V, 22 ottobre 2007, n. 5532; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II ter, 1 aprile 2006, n. 2258. Ma soprattutto non va sottaciuto che la questione - che è stata sollevata tanto col ricorso incidentale quanto con tutte le memorie presentate da Sara Frachino e Michele Giovine in data 24 e 29 ottobre 2012 e poi ancora in data 23 e 27 dicembre 2013 - concerneva la carenza di interesse delle ricorrenti principali a coltivare il ricorso in relazione alle plurime prove di resistenza che erano state documentate e sottoposte all’attenzione del TAR dai conchiudenti e che, come argomenteremo nel prosieguo e contrariamente a quanto asserito dal TAR medesimo, rappresentano per pacifica e univoca giurisprudenza una questione sempre e comunque rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo. Ma vi è di più. Infatti assorbenti profili di carenza di interesse delle appellate - in relazione ad altre 6 liste collegate alla coalizione di centrosinistra - erano stati sollevati dai conchiudenti in epoca 11 ampiamente anteriore al deposito del ricorso incidentale e precisamente con l’intervento ad opponendum da parte di Franchino Sara del 30 giugno 2010 e con memoria di Michele Giovine del 9 luglio 2010 – atti menzionati nelle sentenza oggetto di gravame ed in relazione ai quali la sentenza è affetta da vizio di omessa pronuncia in quanto neppure questi originari profili di improcedibilità del ricorso principale, rilevabili anch’essi d’ufficio, sono stati trattati dal Giudice di primo grado . Ne consegue, alla luce delle argomentazioni testé esposte, che la questione adombrata dal TAR sulla, per così dire, convertibilità del ricorso incidentale in controdeduzioni o in memoria è meramente accademica e totalmente priva di riflessi sul fascicolo di causa per l’assorbente considerazione che oltre che col ricorso incidentale i profili afferenti la sopravvenuta carenza di interesse ad agire delle ricorrenti principali erano stati documentati e trattati con almeno altri 6 atti depositati nel fascicolo dai conchiudenti e richiamati nella narrativa del Tar, ancorché non disaminati nella loro valenza di eccezione pregiudiziale di merito nella motivazione. Il Tar trae quindi spunto da parziali ed erronee premesse per arrivare ad una ancor più erronea motivazione laddove argomenta al capo 1.15 e 1.16 che : “… alcuna rilevanza può attribuirsi alle risultanze probatorie dei procedimenti penali che hanno riguardato l’asserita falsità delle attestazioni di autenticazione della lista Pensionati e Invalidi per Bresso” assumendo che tali deduzioni non possono trovare ingresso nel presente procedimento e pertanto “non incidono in alcun modo sull’interesse ad agire delle ricorrenti”. Il macroscopico errore in cui incorre il Giudice di prime cure è scolpito nel capoverso immediatamente successivo ove afferma “E’ vero, infatti, che le condizioni dell’azione sono esaminabili d’ufficio. Ciò nondimeno, l’invocata detrazione dei voti attribuiti alla lista ‘Pensionati e Invalidi per Bresso’, dalla quale si farebbe discendere la carenza di interesse ad agire in capo alle ricorrenti, avrebbe imposto una rituale impugnazione incidentale dell’atto di ammissione di detta lista e, in parte qua, del conseguente atto di proclamazione degli eletti.” 12 In tre righe su oltre 50 pagine di sentenza il Tar individua uno dei punti nevralgici del problema e lo risolve in senso sfavorevole ai resistenti ed ai controinteressati con due affermazioni palesemente infondate che da sole sarebbero sufficienti a travolgere l’intero costrutto motivazionale ed il conseguente dispositivo del Giudice Amministrativo. Primo, è pacifico che le risultanze probatorie a carico della lista Pensionati ed invalidi per Bresso configurano una carenza di interesse rilevabile d’ufficio. Secondo, a differenza di quanto riferito dal Tar, non si tratta affatto di una ”invocata detrazione dei voti attribuiti alla lista pensionati ed invalidi per Bresso”. La detrazione dei voti è la diretta conseguenza della intervenuta cancellazione degli atti di presentazione della citata lista, cancellazione che è stata disposta su ordine della Cassazione Penale, Sezione Terza con la pronuncia n. 42162 del 09.07.2013. Infatti in riferimento alle condotte di falsificazione delle liste Pensionati ed invalidi per Bresso la Corte di Legittimità non ha ritenuto sufficiente la mera statuizione dichiarativa della declaratoria di falsità, ma ha ritenuto che dovesse essere assunto un rimedio radicale di natura correttiva, quale la cancellazione degli atti falsificati. E’ dunque la Cassazione penale con la richiamata sentenza n. 42162 del 09.07.2013 ad aver corretto il risultato elettorale cancellando i 12.564 voti raccolti dalla lista Pensionati ed invalidi per Bresso. Non sono i signori Giovine e Franchino ad aver invocato la detrazione dei 12.564 voti della lista Pensionati ed invalidi per Bresso, né la questione va ricondotta al fatto che sia o meno attribuita al Giudice Amministrativo la facoltà di operare o meno “il riconteggio in pejus dei voti attribuiti alla lista Bresso” come erroneamente argomenta il Tar al citato paragafo 1.16. Peraltro sorprende verificare che il Tar cada in un simile equivoco, visto e considerato che è lo stesso Giudice amministrativo piemontese a ricondurre natura “esecutiva” e “riparatoria” alle misure di cancellazione (cfr. capo 6, punto 4 della gravata sentenza). 13 Là dove si riconosce che i provvedimenti che il giudice penale dispone ex art. 537, co. 2 c.p.p. hanno portata esecutiva, inevitabilmente si conferma che tali provvedimenti trovano diretta ricezione ordinamentale. Ne consegue quindi che il provvedimento di cancellazione degli 8 atti di presentazione delle liste Pensionati e Invalidi per Bresso, emesso dal Tribunale di Torino, con Ordinanza del 20 dicembre 2013 (doc. 25) su ordine della Suprema Corte di Cassazione, comporta, proprio in virtù della sua natura riparatoria, correzione autonoma, diretta ed automatica del risultato elettorale. D’altro canto, come potrebbero essere attribuiti voti a liste che, a fronte della loro cancellazione, liste più non sono? Ciò che non è non può essere e meno che mai vedersi utilmente riferiti voti. Gli atti di presentazione delle otto liste provinciali Pensionati e Invalidi per Bresso (a differenza delle controvertite accettazioni di candidatura della lista provinciale di Torino Pensionati con Cota che non sono oggetto di alcun provvedimento riparatorio correttivo) sono già stati espunti in via definitiva dall’ordinamento ad opera del Tribunale di Torino con l’ordinanza del 20 dicembre 2013 (doc. 25). Ecco dunque che per il Tar non sussisteva alcuno spazio di autonoma cognizione in relazione ai 12.564 voti attribuiti ai Pensionati e Invalidi per Bresso. Il Giudice Amministrativo Regionale, con sua buona pace, si sarebbe dovuto limitare a prendere atto di come, a fronte della intervenuta cancellazione delle otto liste provinciali Pensionati e Invalidi per Bresso, i voti ottenuti dalla coalizione capitanata dalla ricorrente Mercedes Bresso non sono più 1.033.989, come inizialmente computati, ma solo 1.021.425 e il presidente Roberto Cota ha vinto le elezioni per 21.850 voti. Su tale dato, meramente fattuale, il TAR avrebbe quindi dovuto procedere alla valutazione della sussistenza o meno del permanere dell’interesse a ricorrere in capo alle ricorrenti principali. Infatti l’effetto previsto dall’art. 130 comma 10 e 11 c.p.a.: correzione del risultato elettorale si era già prodotto in esito alla richiamata sentenza della Cassazione Penale n. 42162/2013; il paradosso è che tale effetto 14 non aveva colpito la lista Pensionati con Cota, bensì aveva demolito la lista Pensionati ed invalidi per Bresso. Peraltro gli argomenti spesi dal Tar a dimostrazione del fatto che nel caso di specie non sussisterebbe carenza d’interesse ad agire delle appellate collidono anche contro la consolidata ed univoca giurisprudenza in materia ed addirittura si infrangono contro le argomentazioni spese dal medesimo TAR Piemonte ai punti 3.5.2 e 3.5.3 della sentenza parziale del 6.08.2010 ove motiva “L’ammissione di una lista è solo “possibilmente”, ossia potenzialmente, lesiva ed è predicabile tale, per lo più solo all’esito della competizione, allorché la lista illegittimamente ammessa, con i voti conseguiti, abbia inciso sul risultato elettorale, spiegando efficacia causale sulla vittoria di un candidato piuttosto che del secondo in graduatoria e sulla primazia di una coalizione piuttosto che di un’altra. Circostanza che può essere apprezzata con sufficiente verosimile aderenza al dato reale solo all’esito delle elezioni, allorché a seguito dello spoglio sono noti nel numero i voti che quella lista ha ottenuto e che automaticamente si estendono al candidato alla carica di Presidente. Invero, in linea di ulteriore affinamento concettuale, potrebbe dirsi che la lesività del provvedimenti di ammissione di una lista si atteggia in maniera diversa in rapporto alla qualità della parte ricorrente. L’elettore semplice,che in forza dell’actio popularis ammessa in materia, insorga contro una lista che assume illegittimamente ammessa, può astrattamente qualificarsi leso da una competizione elettorale in qualche modo alterata dall’illegittima partecipazione di quella lista e teoricamente ritenersi immediatamente leso. Ma, osserva il Collegio, ove, come nella presente controversia, a ricorrere avverso l’ammissione di una lista sia una compagine politica, un candidato sconfitto, ancorché egli agisca anche nella sua accessoria e secondaria qualità di semplice elettore – qualità evidentemente strumentale e servente a corroborare la sua legittimazione a ricorrere – lo sguardo dell’interprete che debba assodare la sussistenza della condizione dell’azione costituita dall’interesse a ricorrere immediato ed attuale attraverso il faro guida illuminante della lesività 15 immediata ed attuale, quello sguardo deve necessariamente proiettarsi sull’incidenza della partecipazione della lista asseritamente illegittimamente ammessa, sul concreto esito delle elezioni. Perché è questo il bene della vita cui il candidato sconfitto concretamente aspira”. Ciò almeno era quanto aveva sostenuto il TAR Piemonte nel giudizio pendente tra le parti in causa con la sentenza parziale del 6 agosto 2010, quando si cimentava nell’impervio tentativo di giustificare la tardività del ricorso delle ricorrenti, proposto diverse settimane oltre il termine di decadenza (termine che opera sotto il profilo sostanziale come sanatoria del voto, rendendo il risultato elettorale imperturbabile), utilizzando all’uopo proprio il pretesto della verifica in concreto della prova di resistenza come requisito fondante l’interesse ad agire. All’epoca evidentemente il TAR Piemonte non era così convinto che “Al contrario, una volta acclarata la rilevanza numerica delle liste illegittimamente ammesse alla competizione elettorale, l’effetto perturbatore che ne discende sull’espressione della volontà degli elettori è da intendersi come direttamente proporzionale al numero e alla portata di dette liste illegittime”. Assunto che, pur tralasciando quello che direbbe il povero Newton di un tale fine ragionamento, va a cozzare con i più banali principi dell’aritmetica e della meccanica classica, per cui intuitivamente anche un bambino comprende che quantitativi opposti non si rafforzano vicendevolmente ma si elidono. Oggi, invece, profondamente mutato il proprio convincimento, il Giudice sabaudo, arriva ad ammettere il paradossale, sostenendo di fatto che le elezioni devono essere annullate tutte le volte in cui il numero dei voti non correttamente assegnati, ovvero il numero di voti ottenuti da liste contestate (indifferentemente interne o esterne alla coalizione vittoriosa) sia superiore al delta differenziale di voti le due coalizioni che hanno ottenuto il maggior numero di voti. Con la inevitabile ricaduta pratica, che, creato il precedente, per il futuro qualsiasi soggetto per il quale risultato elettorale non corrisponda alla propria massima aspettativa, potrà anche autodenunciando irregolarità presenti nelle proprie liste ottenere l’annullamento di elezioni non confacenti alle proprie ambizioni. 16 A differenza di quanto erroneamente sostenuto dal Giudice piemontese è invero vastissimo il panorama giurisprudenziale che ribadisce che il mancato superamento della prova di resistenza determina la carenza di interesse a ricorrere rilevabile d’ufficio, anche con specifico riferimento alla materia elettorale, citiamo le seguenti massime: Consiglio di Stato, sez. V, 15 ottobre 2012 n. 5276: “È inammissibile, per carenza d'interesse, il ricorso contro un provvedimento qualora, dall'esperimento della cd. prova di resistenza e in esito a una verifica a priori, risulti con certezza che il ricorrente non avrebbe comunque ottenuto il bene della vita perseguito nel caso di accoglimento del ricorso, occorrendo infatti avere riguardo alla possibilità concreta di vedere soddisfatta la pretesa sostanziale fatta valere”; Consiglio di Stato, sez. VI, 05 ottobre 2010 n. 7300: “È inammissibile il ricorso per il quale non viene fornita la c.d. prova di resistenza ossia che, in mancanza delle illegittimità denunciate, la ricorrente avrebbe vinto la gara”; Consiglio di Stato, sez. V, 25 maggio 2010 n. 3305: “Nel processo in materia elettorale al g.a. è consentito esercitare i suoi poteri istruttori, in tal modo riesaminando l'attività amministrativa svoltasi durante la consultazione, … solo se i vizi siano enunciati con un'analiticità sufficiente a delimitare sia la doglianza dedotta, sia la sua incidenza, ai fini dell'accertamento dell'interesse a ricorrere, sul risultato elettorale conclusivo, onde evitare ogni uso strumentale del giudizio, conseguentemente rivelandosi inammissibile un ricorso generico … oppure che non superi la c.d. prova di resistenza, in presenza di elementi oggettivi che impediscano d'intravedere un qualunque vantaggio giuridico per il ricorrente”. Conf. T.A.R. Firenze (Toscana), sez. II, 17 ottobre 2012 n. 1629; T.A.R. Salerno (Campania), sez. I, 14 novembre 2011 n. 1830 “… è inammissibile quel ricorso elettorale che … non superi la cd. prova di resistenza, laddove sussistano elementi oggettivi che impediscono di intravedere un qualunque vantaggio giuridico per il ricorrente; in particolare chiarendosi, in applicazione del principio relativo alla cd. «prova di resistenza», che ove l'eliminazione della illegittimità non 17 determini alcuna favorevole modifica del risultato acquisito dalla lista del ricorrente, deve dichiararsi inammissibile per difetto di interesse la censura proposta”. Il fatto poi che, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza gravata, la carenza di interesse quale condizione dell’azione sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo e la sua assenza determini l’improcedibilità del ricorso principale è principio altrettanto pacifico e corroborato da copiosa ed univoca giurisprudenza. Ex multis Consiglio di Stato, sez. III, 18 giugno 2013 n. 3330: “...L'improcedibilità del ricorso per carenza di interesse è questione rilevabile anche d'ufficio in ogni fase del giudizio, e quindi anche solo in appello”. Ed ancora Consiglio di Stato, sez. V, 03 giugno 2013 n. 3035: “l'eventuale inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse può formare oggetto di motivo d'appello anche qualora la relativa eccezione non sia stata sollevata in primo grado, trattandosi di questione rilevabile anche d'ufficio dal giudice in quanto attinente alla sussistenza di una condizione dell'azione”. Consiglio di Stato, sez. IV, 25 gennaio 2013 n. 489: “Se il giudice di primo grado non si è pronunciato sulla legittimazione e sull'interesse a ricorrere … la relativa eccezione può essere sollevata per la prima volta in appello anche con semplice memoria, afferendo a questione rilevabile d'ufficio”. Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 09 luglio 2012 n. 576: “L'interesse al ricorso è una condizione dell'azione e deve persistere sino al momento della decisione. L’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse può essere rilevata, anche d'ufficio, ogni qualvolta si verifichi una situazione di fatto o di diritto del tutto nuova e sostitutiva rispetto a quella esistente al momento della proposizione del gravame, tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza, essendo venuta meno per il ricorrente qualsiasi utilità, anche soltanto strumentale, della pronuncia del giudice”. Consiglio di Stato, sez. V, 23 ottobre 2013 n. 5131: “le condizioni che devono sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere fino al momento della decisione sono: il cd. titolo o possibilità giuridica dell'azione … l'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. (o interesse al ricorso, nel linguaggio corrente 18 del processo amministrativo) … la "legitimatio ad causam" (o legittimazione attiva/passiva, discendente dall'affermazione di colui che agisce/resiste in giudizio di essere titolare del rapporto controverso dal lato attivo o passivo)… L'eventuale inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse può formare oggetto di motivo d'appello o, comunque, essere sollevata in grado d'appello anche con semplice memoria, sempre che il giudice di primo grado non si sia espressamente pronunciato sul punto di diritto e sullo stesso non si sia pertanto formato il giudicato, anche qualora la relativa eccezione non sia stata sollevata in primo grado, trattandosi di questione rilevabile anche d'ufficio dal giudice in quanto attinente alla sussistenza di una condizione dell'azione”. Ed ancora Consiglio di Stato, sez. III, 30 gennaio 2012 n. 445; Consiglio di Stato, sez. III, 11 dicembre 2012 n. 6353; Consiglio di Stato, sez. IV, 30 novembre 2010 n. 8350. E proprio in virtù del fatto che la carenza di interesse ad agire, in assenza del superamento della prova di resistenza, si configura come condizione dell’azione la cui sussistenza va accertata in via pregiudiziale rispetto all’esame del merito della vicenda risultano inficiate le ulteriori argomentazioni illustrate dal TAR Piemonte al capoverso 1.17 della sentenza gravata ove motiva: “la radicalità dell’interesse dedotto supera la necessità di un riconteggio di voti in funzione di una loro possibile diversa attribuzione, sicché non vi è spazio per verificare se effettivamente - in applicazione del criterio della prova di resistenza l’illegittimità denunciata possa tradursi in un rovesciamento dell’esito elettorale in misura favorevole alle posizioni rappresentate dalla parte ricorrente. Al contrario, una volta acclarata la rilevanza numerica delle liste illegittimamente ammesse alla competizione elettorale, l’effetto perturbatore che ne discende sull’espressione della volontà degli elettori è da intendersi come direttamente proporzionale al numero e alla portata di dette liste illegittime. Sicché, come meglio si chiarirà nel prosieguo esaminando gli effetti invalidanti degli atti impugnati, l’assommarsi di liste illegittime, anche se collocate su fronti contrapposti della competizione elettorale, giammai attenua, ma al più aggrava, l’effetto di alterazione della corretta espressione del voto, che è alla base, laddove se ne 19 apprezzi una non trascurabile consistenza quantitativa, della invalidazione generale della procedura elettorale” “La radicalità dell’interesse dedotto” non supera certo l’ordine di esame delle questioni e certamente non comporta né uno stravolgimento né un asservimento né l’anteposizione dell’esame delle domande di merito alle questioni pregiudiziali di merito. Ed ancora una volta a smentire seccamente la suggestiva ma infondata tesi del TAR è la copiosa ed univoca giurisprudenza che precisa che “l’assenza di interesse ad agire è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento poiché costituisce un requisito per la trattazione del merito per la domanda” Cass. Civ. 3330/2002, Cass. 5593/1999, Cass. 3429/1994.. Del tutto infondata pare quindi la tesi del TAR ove sostiene che “la radicalità dell’interesse dedotto” azzererebbe lo “spazio per verificare se effettivamente - in applicazione del criterio della prova di resistenza l’illegittimità denunciata possa tradursi in un rovesciamento dell’esito elettorale”. Qualunque sia l’interesse dedotto le questioni pregiudiziali di merito, tra le quali pacificamente rientra l’interesse ad agire, devono essere esaminate in via pregiudiziale rispetto al merito e laddove il Giudice – che è tenuto alla valutazione della pregiudiziale - ravvisi la fondatezza della pregiudiziale non può spingersi all’esame del merito. Trancianti paiono sul punto le seguenti massime: “l’accertamento e la valutazione dell’interesse ad agire (da compiersi in via preliminare prescindendo dall’esame del merito della controversia e dall’ammissibilità della domanda sotto altri e diversi profili) si risolve in un’indagine sull’idoneità astratta della pronuncia richiesta al conseguimento del risultato utile sperato e non altrimenti conseguibile se non con l’intervento del giudice e va, pertanto, distinta dalla valutazione del diritto sostanziale fatto valere in giudizio…” Cassazione 4984/2001; “l’interesse ad agire o a resistere in giudizio ex art. 100 deve essere apprezzato in relazione all’utilità concreta che dall’eventuale accoglimento della domanda dell’eccezione o del gravame può derivare al proponente prescindendo da ogni indagine sul merito della controversia e dal suo prevedibile esito” Cass. Civ. 13906/2002, 10708/93, 7319/93, 11319/90, 7709/90. 20 Ai paragrafi 2 e seguenti sino al 2.4 il TAR considera “le ulteriori eccezioni preliminari sollevate dai controinteressati in ordine alla carenza di legittimazione ad agire di Staunovo Polacco Luigina [parentesi: rinviata a giudizio per i falsi della propria lista, udienza 19 giugno 2014] (pag. 5, memoria depositata il 24 dicembre 2013) e alla inammissibilità del ricorso per conflitto di interessi delle ricorrenti” evidenziando come “l’ampia latitudine delle posizioni azionate inficia la dedotta inammissibilità del ricorso introduttivo”. In un enfatico crescendo addirittura individua tra gli “interessi strumentali, tra le due ricorrenti” meritevole di tutela il fatto che “il risultato elettorale non ha corrisposto alla massima aspettativa della Bresso di conseguire la presidenza della Giunta Regionale” come dire: il frustrato interesse della Bresso val bene il ritorno al voto di tutti gli elettori del Piemonte. Ebbene. Come già precedentemente evidenziato, il Giudice che aveva argomentato, a contrario, azzerando la rilevanza attribuita nella sentenza impugnata alla variegata moltitudine di interessi attribuiti alle ricorrenti principali a fondamento della loro legittimazione è paradossalmente lo stesso TAR che nel pronunciare la sentenza parziale n. 3196 del 06.08.2010 aveva deciso “osserva il Collegio, ove, come nella presente controversia, a ricorrere avverso l’ammissione di una lista sia una compagine politica, un candidato sconfitto, ancorché egli agisca anche nella sua accessoria e secondaria qualità di semplice elettore – qualità evidentemente strumentale e servente a corroborare la sua legittimazione a ricorrere – lo sguardo dell’interprete che debba assodare la sussistenza della condizione dell’azione costituita dall’interesse a ricorrere immediato ed attuale attraverso il faro guida illuminante della lesività immediata ed attuale, quello sguardo deve necessariamente proiettarsi sull’incidenza della partecipazione della lista asseritamente illegittimamente ammessa, sul concreto esito delle elezioni. Perché è questo il bene della vita cui il candidato sconfitto concretamente aspira”. Solamente che lì l’argomento era fondamentale per sostenere l’errore scusabile e la non tardività del ricorso, ora al TAR Piemonte, invece, è 21 utile asserire incredibilmente il contrario per sostenere l’interesse ad agire delle ricorrenti. Della serie vale tutto e, se necessita, il contrario di tutto al TAR Piemonte! II Al paragrafo 3 il TAR argomenta che “Nessuna statuizione e conseguente preclusione è intervenuta, invece, in ordine alla possibilità per questo T.A.R. di valutare autonomamente altre pronunce giurisdizionali attestanti, con efficacia equivalente a quella emessa in esito a querela ex art. 221 c.p.c., dette ipotesi di falso. La tematica del falso penale, infatti, oltre a risultare estranea alle argomentazioni contenute in sentenza, non appare in alcun modo connessa alla questione - oggetto della pronuncia parziale - dell’accertamento autonomo del falso da parte del giudice amministrativo. In definitiva, dal giudicato maturato sulla pronuncia parziale non discende alcun effetto preclusivo alla disamina degli esiti del giudizio penale maturati in parallelo allo svolgimento del presente procedimento”. Tale argomento, totalmente destituito di fondamento, sottende invero la necessità per il Giudice amministrativo di scavalcare il corpus normativo processuale e sostanziale che gli impone di attendere l’esito del giudizio per querela di falso, per accedere direttamente ad un non codificato e non meglio identificato giudizio incidentale di “equipollenza tra il giudizio civile di falso e procedimento penale di falso” . La inconsistenza motivazionale del TAR si infrange però contro il baluardo rappresentato dalla lapidaria motivazione della Corte Costituzionale che con la sentenza n. 304 /2011 (quella a noi afferente!) ha scolpito il seguente principio di diritto: “La devoluzione al giudice civile della querela di falso rappresenta una opzione di sistema, non soltanto, come si è accennato, di risalente e costante tradizione, ma anche rispondente a persistenti valori ed esigenze di primario risalto: tra questi la necessaria tutela della fede pubblica, che in determinate ipotesi – quale è quella degli atti muniti di valore fidefacente privilegiato a norma 22 dell’art. 2700 cod. civ. – deve essere assicurata a prescindere dalla sede processuale in cui l’autenticità dell’atto sia stata, incidentalmente, messa in dubbio. La certezza e la speditezza del traffico giuridico – che rappresentano, come è noto, il bene finale presidiato dal regime probatorio normativamente riservato a determinati atti – potrebbero risultare, infatti, non adeguatamente assicurate ove l’accertamento sulla autenticità dell’atto fosse rimesso ad un mero “incidente”, risolto all’interno di un determinato procedimento giurisdizionale, senza che tale verifica avesse effetti giuridici al di là delle parti e dell’oggetto dello specifico procedimento ….. La verifica della falsità da parte del giudice ordinario – destinata a confluire nel processo amministrativo ai fini della definizione della controversia – oltre a rinvenire la sua giustificazione nel sistema delle tutele di cui alle linee di sviluppo sommariamente indicate, è comunque in grado di assicurare un livello di protezione conforme alle prescrizioni costituzionali e internazionali.” Va ancora stigmatizzato che il costrutto argomentativo del TAR è contraddetto e vanificato dalla sua precedente sentenza parziale 3196/2010 con cui aveva già stabilito che: “le certificazioni di autenticazione sottoposte alla sua attenzione posseggono i tratti distintivi noti dell’atto pubblico, assunta da pubblico ufficiale e come tale assistito da fede privilegiata ex art. 2700 c.c., revocabile in dubbio e contestabile unicamente mediante lo strumento processuale della querela di falso disciplinata agli artt. 221 e seguenti c.p.c..”. Ma anche qui, evidentemente, vale tutto ed il contrario di tutto! Come se ciò non bastasse, sul capo della sentenza che ha stabilito la necessità della querela di falso, avverso l’appello delle ricorrenti codesto Ecc.mo Consiglio di Stato con sentenza n. 4395 del 01.08.2012 ha ribadito con identiche parole il principio secondo cui “le certificazioni di autenticazione sottoposte alla sua attenzione posseggono i tratti distintivi noti dell’atto pubblico, assunto da pubblico ufficiale e come tale assistito da fede privilegiata ex art. 2700 c.c., revocabile in dubbio e contestabile unicamente mediante lo strumento processuale della querela di falso disciplinata agli artt. 221 e seguenti c.p.c..”. 23 Sulla questione si era quindi formato un giudicato interno che non poteva essere modificato né riesaminato dal TAR. Sul punto citiamo Cass. 2494/2012 che ha argomentato che: “Nel caso di pronunzia di sentenza non definitiva, il giudice si spoglia della potestas iudicandi relativa alle questioni decise, delle quali gli resta precluso il riesame – sia in ordine alle questioni definite che in ordine a quelle da esse dipendenti – salvo che detta sentenza non venga riformata con pronunzia passata in giudicato a seguito di impugnazione immediata. Ne consegue che tale giudice non può risolvere le medesime questioni in senso diverso con la sentenza definitiva: il giudice del gravame, anche di legittimità, può rilevare d'ufficio la violazione del giudicato interno originante dalla sentenza non definitiva, a nulla rilevando che la violazione non abbia costituito oggetto di specifica impugnazione (Cass. civ., sez. III, agosto 2009, n. 18898/2009)” Ed ancora: “Nel caso di pronuncia di sentenza non definitiva, il giudice si spoglia della potestas iudicandi relativa alle questioni decise, delle quali gli resta precluso il riesame - sia in ordine alle questioni definite che in ordine a quelle da esse dipendenti - salvo che detta sentenza non venga riformata con pronuncia passata in giudicato, a seguito di impugnazione immediata; ne consegue che tale giudice non può risolvere le medesime questioni in senso diverso con la sentenza definitiva e, ove lo faccia, il giudice del gravame, anche di legittimità, può rilevare d'ufficio la violazione del giudicato interno originante dalla sentenza non definitiva, a nulla rilevando che la violazione non abbia costituito oggetto di specifica impugnazione.” Cassazione civile sez. III del 31 agosto 2009 n. 18898. In ogni caso non è il “giudicato maturato sulla pronuncia parziale” a non far discendere “alcun effetto preclusivo alla disamina degli esiti del giudizio penale maturati in parallelo allo svolgimento del presente procedimento” come chiosa, errando, il TAR, al paragrafo 3.6. L’effetto preclusivo è la conseguenza immediata e diretta del corpus normativo sostanziale e processuale che impone, che: “per contestare l'autenticità di un atto pubblico [2700 c.c. o scrittura privata autenticata 2703 c.c.] occorre provarne la falsità davanti al competente giudice attraverso l'apposita querela di falso. Querela di falso che è proponibile unicamente innanzi al Tribunale Ordinario, ai sensi dell'art. 9 comma 2, c.p.c., e ciò, 24 per quanto disposto dall'art. 28, comma 3, del r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 e dell'art. 8 comma 2, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034( v. ora l'art. 77 del d. lgs. n. 104 del 2 luglio 2010, recante il Codice del Processo amministrativo), anche quando la questione riguarda una controversia giurisdizionale amministrativa.” Consiglio di Stato sez. V sentenza n. 11 del 04 gennaio 2011. III Il paragrafo 4 della sentenza impugnata, pur non veicolando argomenti di immediata portata precettiva contiene però errori sia nella ricostruzione dei fatti sia negli argomenti giuridici. L’aspetto curioso è che gli errori del TAR afferenti le vicende processuali dei signori Giovine ripropongano, assumendola come vera, la medesima fallace ricostruzione dei fatti operata dalle appellanti nelle difese di primo Grado. Il TAR, pur disponendo di tutti gli atti penali a carico di Michele e Carlo Giovine non considera minimamente che in detti atti non viene trattato il falso materiale in capo ai signori Giovine in quanto viene approfondito unicamente quello ideologico, ma operando una sorta di valutazione di equipollenza tra le ricostruzioni storica e giuridiche assunte dalle appellate e la “verità assoluta”, sposa a priori tutte le tesi sostenute delle appellate. Motiva sul punto il Collegio, dando prova di aver male approfondito forse anche per l’influenza travisante dei media la vicenda penale che ha coinvolto Michele e Carlo Giovine, che nelle condotte sanzionate “si sono estrinsecate fattispecie di falso materiale (l’apposizione di firme mediante utilizzo di nome e cognome di altra persona) e di falso ideologico (l’autenticazione di firme effettivamente apposte dagli aventi diritto ma certificate in data e luoghi diversi da quelli riportati sui documenti). In particolare, il falso ideologico accertato è originato dal fatto che alcuni dei pretesi firmatari dei moduli di accettazione della candidatura in qualche caso non li avevano sottoscritti in presenza degli imputati, mentre in altri casi non avevano mai neppure avallato [così in motivazione] l’accettazione della candidatura, apponendo a tal fine la 25 propria firma, oppure erano addirittura allo scuro di essere inseriti nella lista dei candidati”. Tali premesse ed in particolare quelle inerenti le condotte di falso materiale, al contrario, non sono state penalmente accertate e risultano solo allegate negli atti difensivi delle ricorrenti Staunovo e Bresso (da ultimo alle pagg. 24 e 28 nella memoria depositata al Tar in data 24 dicembre 2013). Infatti proprio nelle motivazioni della sentenza della Corte di Appello di Torino il giudice, rifiutando la domanda di rinnovazione dibattimentale tesa all’esperimento di una perizia grafica avanzata nei motivi di impugnazione dalle difese degli imputati, ha affermato come risultasse superfluo ed estraneo al giudizio accertare eventuali condotte di falso materiale. Il risultato di tale valutazione è che condotte di falso materiale non risultano comprovate come peraltro si evince dalla stessa declaratoria di falsità del giudice di prime cure, la quale interessa esclusivamente le autenticazioni di candidatura, senza riferirsi in alcun modo alle sottoscrizioni dei candidati. E’ dato pacifico che a fronte del portato di cui all’art. 537 c.p.p. ove il giudice accerti la falsità di un atto o un documento lo dichiari nel dispositivo. Là dove il giudice penale avesse ritenuto accertata la falsità materiale anche delle sottoscrizioni dei candidati avrebbe provveduto con specifica declaratoria di falsità, proprio come il Tribunale di Torino fa rispetto alle accettazioni di candidatura dei candidati delle liste Pensionati e Invalidi per Bresso nella sentenza dell’11 dicembre 2012 e nella successiva ordinanza del 21 dicembre 2013 con cui si dichiara la falsità sia delle sottoscrizioni dei candidati presenti sulle accettazioni di alcune candidature, sia dell’autenticazione degli atti di presentazione delle otto liste provinciali, orinandone la cancellazione e operando solo così una distinzione tra condotte di falso materiale solo in questo caso effettivamente accertate e falso ideologico. Oltre che nei fatti invero il ragionamento del Giudice Piemontese è viziato in diritto in quanto con ripetute affermazioni apodittiche dà per scontati ed assodati fatti che invece assodati non sono. Afferma il TAR al capo 4.2 “L’accertata falsità delle diciassette autenticazioni di firma si innesta come dato rilevante nel presente giudizio in quanto inficia la validità 26 dell’atto di ammissione della lista provinciale “Pensionati per Cota”. 4.3 “La mancanza o la irritualità di detto elemento essenziale della fattispecie determina non la mera irregolarità, ma la nullità insanabile della sottoscrizione, e, quindi, dello stesso atto di presentazione delle candidature” 4.5 “ … risultando irrilevanti le ulteriori produzioni documentali riferite alle motivazioni della pronuncia penale, in quanto afferenti a materia estranea alla statuizione accessoria del falso documentale.” Invero ciò che è irrilevante nel processo amministrativo è l’intero processo penale a carico dei signori Giovine perché afferente a materia estranea al giudizio per querela di falso. L’accertamento del falso in sede penale ha tutt’altra finalità rispetto all’accertamento per querela di falso in atto fidefaciente che deve necessariamente essere operato dal Giudice naturale precostituito per legge rappresentato dal Giudice Civile investito dal legislatore di cognizione esclusiva. Il processo penale è finalizzato alla tutela di un diverso bene giuridico rispetto al processo per querela di falso. Si svolge nei confronti di parti differenti rispetto ai necessari contraddittori del processo per querela di falso e con differenti guarentigie. Non si possono quindi surrettiziamente equiparare i due procedimenti (quello penale di falso e quello civile per querela di falso) assumendo che entrambi hanno ad oggetto la falsità delle autentiche per travasare gli esiti di quello penale in quello civile di falso. Non si possono, in ultima analisi, equiparare i differenti piani ed ambiti processuali per superare l’ostacolo rappresentato dal fatto che il processo civile, esclusivamente a causa dell’inerzia e della condotta processuale degli attrici, si è svolto più lentamente di quello penale, ovvero lo scoglio ancor più grave determinato dall’incertezza dell’esito del processo civile per querela di falso stante la mancata integrazione del contraddittorio ad opera delle appellate nel termine perentorio assegnato dal Giudice Civile. IV 27 Al capo 5 della sentenza gravata il TAR finalmente arriva a trattare quello che definisce il tema centrale del processo, ovvero “l’equipollenza tra il giudizio civile di falso e procedimento penale di falso”. Nell’intraprendere la valutazione di “equipollenza” Il Tar decide di ignorare le norme processuali (art. 8 e 77 c.p.a. e 221 e segg. c.p.c.) e le norme sostanziali (art. 2700 e segg. c.c.) che impongono la sospensione del processo amministrativo e l’accertamento della falsità dell’atto fidefaciente con lo strumento della querela di falso. Decide di superare il fatto che sulla necessità di procedere col giudizio per querela di falso si era già espresso in termini positivi con la sentenza 3196/2010 e sul punto la pronuncia era passata in giudicato e non più suscettibile di revisione. Decide di ignorare che il procedimento per querela di falso è tuttora incardinato e pendente avanti la Corte d’Appello di Torino con rischio di contrasto di giudicati. Decide di ignorare le precise indicazioni fornite dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 304/2011 che evidenziava come “l’ultracentenaria tradizione … perseguita via via con le norme di riforma del sistema e degli istituti di giustizia amministrativa … di riservare al giudice civile la risoluzione … dell’incidente di falso” rispondesse ad esigenze di “assicurare in tema di atti muniti di fede privilegiata … la necessità di una certezza erga omnes e …. Una sede ed un modello unitari…”. Decide di ignorare che secondo la motivazione della Cassazione a Sezioni Unite 6082/2013 ove si seguisse la strada dell’equipollenza si concretizzerebbe un eccesso di potere del Giudice amministrativo per invasione della sfera esclusiva di competenza del Tribunale. Ritenendo quindi erroneamente di aver bypassato il quadro normativo e giurisprudenziale che impone di procedere con la querela di falso e di aver superato l’ostacolo della sopravvenuta carenza di interesse ad agire delle appellate in forza della cancellazione delle lista Pensionati ed invalidi per Bresso operata dalla Cassazione Pen. 42162/13, il TAR si dedica alla trattazione della “equipollenza tra il giudizio civile di falso e procedimento penale di falso”. 28 La questione viene affrontata dal Giudice Amministrativo sostanzialmente sotto un duplice profilo: “l’efficacia e opponibilità in altri giudizi del giudicato sulla declaratoria di falso, pronunciata ai sensi dell’art. 537 c.p.p.” Paragrafo 5.1 della sentenza gravata che configurerebbe “statuizione di accertamento di valenza civilistica” paragrafo 5.9. La “ratio di favor veri dell’art. 537 c.p.p., al quale si ascrive la duplice funzione di tutela della fede pubblica - realizzabile mediante la rimozione integrale dalla circolazione dell'efficacia probatoria del documento riconosciuto falso - e di attuazione dell’economia processuale nell’ambito dei rapporti tra giudizio civile e penale di falso” Paragrafo 5.4 della sentenza gravata. Diciamo subito che entrambi gli argomenti sono totalmente destituiti di fondamento e gli equilibrismi giuridici in cui è confinato il ragionamento del TAR si infrangono contro un corpus normativo e giurisprudenziale che va in direzione diametralmente opposta. Sulla prima questione: l’efficacia e opponibilità in altri giudizi del giudicato sulla declaratoria di falso, pronunciata ai sensi dell’art. 537 c.p.p. il TAR si premura immediatamente di spiegare che la giurisprudenza ha offerto scarse e inappaganti occasioni di approfondimento, ragion per cui le occasioni di approfondimento le crea direttamente il TAR affermando con un argomento a dir poco strabiliante che l’art. 537 c.p.p. consterebbe di un’azione accessoria con valenza civilistica. Non è così. Intanto l’art. 537 c.p.p. è collocato nel libro VII Titolo III Sez. II del codice di procedura penale che tratta la “Sentenza di Condanna” penale mentre solo dall’art. 538 in poi il codice di procedura penale tratta della “Decisione sulle questioni civili”. In secondo luogo la giurisprudenza esistente è approfondita e tutt’altro che poco appagante e non vi è alcun altro Giudice all’infuori del TAR Piemonte che abbia mai osato sostenere che l’art. 537 ha valenza civilistica. Invero le pronunce giurisprudenziali sul punto si sono sempre ed unicamente limitate ad affermare che nell’art. 537 c.p.p. sono rinvenibili 29 due azioni distinte: una principale volta all’accertamento della colpevolezza dell’autore della condotta e l’altra accessoria. Accessoria quindi e non di valenza civilistica che è concetto distinto e ben diverso. Prima di esaminare la giurisprudenza in materia è opportuno però svolgere una breve premessa che dimostra quanto il ragionamento del TAR sia errato e lacunoso in quanto la motivazione non tiene conto di un presupposto fondamentale. Ci si riferisce al fatto che l’art. 537 c.p.p. tratta dei falsi in genere e non specificamente dei falsi in atto pubblico. La querela di falso invece è l’unico strumento previsto dall’ordinamento per revocare in dubbio l’efficacia di un atto fidefacente. Assumere che la valenza civilistica (che non esiste) della pronuncia ex art. 537 c.p.p. sarebbe sovrapponibile alla pronuncia in ambito civile sulla querela di falso significa sostenere che il Dott. Pescatore, estensore della motivazione, con tre righe è riuscito a cancellare magicamente la “ultra centenaria” tradizione del processo per querela di falso richiamata dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza 304/2011. Per il TAR Piemonte i falsi non sono tutti uguali: quelli che riguardano la lista della Bresso e della Luigina Staunovo Polacco, evidentemente sono “meno falsi” o “non proprio falsi” (insomma, quasi veri!) rispetto ai falsi dei Pensionati con Cota! Per il TAR Piemonte invece la tipologia dei falsi è tutta uguale: sia quelli in atti pubblici che quelli privati. Vale tutto! Non solo. Per il TAR Piemonte anche i processi sono tutti uguali e quindi non cambia nulla se l’accertamento di falsità in atto pubblico, devoluto al giudice civile (in composizione collegiale), viene invece svolto solo da quello penale (monocratico) in quanto l’art. 537 c.p.p. avrebbe valenza civilistica. Di tutt’altro avviso rispetto agli assunti del TAR sono però le sentenze in materia. Tra i precedenti menzionati dal TAR la Cass. Civ., sez. I, 22 novembre 1996, n. 10358 così motiva: “È stato ritenuto in giurisprudenza che la declaratoria di falsità di un documento che a norma degli art. 380 30 e 480 C.P.P. sia stata resa nel corso di procedimento penale instaurato a carico del presunto autore di detta falsità e conclusosi con proscioglimento in rito (nella specie per prescrizione) non può spiegare autorità di giudicato nel giudizio civile a norma dell'art. 28 C.P.P. nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 551971 nei confronti di terzi che siano rimasti estranei a quel procedimento penale (Cass. civ. 1 13 luglio 1979 n. 4084). E lo stesso principio va riaffermato con riferimento all'art. 654 del codice di procedura penale attualmente vigente, secondo cui nei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o sia intervenuto nel procedimento penale, la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo quando in questo si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione giuridica soggettiva controversa". Ed invero, il procedimento civile e il procedimento penale relativi alla falsità di uno stesso documento, pur potendo di fatto sfociare nel medesimo risultato consistente nella eliminazione dell'efficacia probatoria del documento (rispettivamente, mediante i provvedimenti di cui all'art. 480 del C.P.P. precedente e dell'art. 537 C.P.P. attuale), hanno tuttavia diverso oggetto e rispondono a diverse finalità, in quanto il procedimento civile riguarda esclusivamente il suo contenuto e la sua sottoscrizione; il provvedimento penale, accertata la falsità, tende a identificarne l'autore (v. al riguardo Cass. pen. 5 2 maggio 1983 n. 4101, Esposito). Coerentemente, l'art. 537 del nuovo codice, che riproduce sostanzialmente l'art. 480 di quello precedente, stabilisce nel primo comma che ‘la falsità di un atto o di un documento, accertata con sentenza di condanna, è dichiarata nel dispositivo’ e nel secondo comma che ‘con lo stesso dispositivo è ordinata la cancellazione totale o parziale, secondo le circostanze, e, se è il caso, la ripristinazione, la rinnovazione, la riforma dell'atto o del documento.....’, peraltro con la precisazione che ‘la cancellazione, la ripristinazione, la rinnovazione o la riforma non è ordinata quando 31 possono essere pregiudicati interessi di terzi non intervenuti come parti nel procedimento’ (le disposizioni di cui sopra si applicano anche nel caso di sentenza di proscioglimento a norma del quarto comma).” La citata motivazione contraddice tutti gli argomenti spesi dal TAR. 1) La sentenza penale irrevocabile di condanna non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo quando la legge civile ponga limitazioni alla prova della posizione giuridica soggettiva controversa (leggasi querela di falso). 2) il procedimento civile e il procedimento penale relativi alla falsità di uno stesso documento hanno diverso oggetto e rispondono a diverse finalità; 3) l’accertamento di falsità pronunciato ai sensi dell’art. 537 c.p.p. non ha efficacia erga omnes in quanto tale effetto eventualmente può derivare solo dall’ordine di cancellazione totale o parziale che non può essere impartito quando possono essere pregiudicati interessi di terzi non intervenuti come parti nel procedimento. Nel medesimo solco si sono collocate tutte le successive pronunce di legittimità che escludono qualsiasi possibilità di valenza civilistica dell’azione accessoria insita nell’art. 537 c.p.p. con riferimento al processo civilstico per querela di falso disciplinato dagli artt. 221 e segg. c.p.c.. E certamente escludono la equiparabilità tra il processo civile per querela di falso con quello di falso ex art. 537 c.p.p.. Dalla semplice lettura dell’art. 221 c.p.c. emerge immediatamente come detto processo sia strutturato in modo totalmente differente rispetto a quello penale di falso. Nel processo civile il Tribunale (che, in materia, ha competenza funzionale ed inderogabile - cfr. Cassazione civile, sez. III, 11 dicembre 1991, n. 13384), giudica in composizione collegiale, dal momento che sia l’art. 225 c.p.c., non modificato dalla Legge 26 novembre 1990, n. 353, dispone espressamente che “sulla querela di falso pronuncia sempre il collegio”, sia l’art. 221, 3° comma, prevede l’intervento obbligatorio del pubblico ministero (per gli eventuali riflessi penalistici e per l’eventuale indiretta 32 disposizione di situazioni indisponibili) ex art. 70, 1° comma, n. 5), c.p.c... Nel processo penale di falso non è prevista la collegialità. Nel processo civile la querela deve contenere, a pena di nullità, “l’indicazione degli elementi e delle prove della falsità” e le prove devono essere acquisite con modalità e garanzie tali da consentire il diritto di difesa sulle medesime ad opera di tutte le parti interessate, deve essere garantito il contraddittorio con l’integrazione necessaria del medesimo nei confronti dei soggetti che dall’eventuale pronuncia di falsità possono essere pregiudicati. Nessuna delle guarentigie espressamente previste nel processo disciplinato dagli artt. 221 e segg. c.p.c. è invece rinvenibile nell’accertamento penale del falso. A riprova citiamo la Cassazione penale sez. III 23 giugno 2005 n. 33790 che nel richiamare un’autorevole precedente delle Sezioni Unite, in ordine alla formazione della prova nel falso penale afferma: “Come noto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno evidenziato che, nel caso di falsità documentali, concorrono due distinte ed autonome azioni, suscettibili di epiloghi differenziati: l'azione penale principale, volta all'accertamento della colpevolezza, o non, dell'imputato ed, eventualmente, alla pronuncia di condanna, e l'azione, accessoria e complementare, preordinata alla tutela della fede pubblica e destinata a concludersi con la declaratoria di falsità allorché, indipendentemente dall'esito dell'altra azione, la falsità stessa sia accertata dal giudice (SU RV 214637). Peraltro, dal combinato disposto dell'art. 241 cod. proc. pen. e secondo comma dell'art. 425 cod. proc. pen., emerge l'esistenza, nell'ordinamento processuale, di un principio che impone, addirittura, al giudice la declaratoria della falsità di atti o documenti, quando essa sia accertata sulla base degli atti, anche a seguito di proscioglimento in esito all'udienza preliminare (Sez. 6, Sentenza n. 4086 del 13/02/1997 Rv. 207477). Il richiamo all'art. 537 contenuto nell'art. 425 cpp rende evidente che l'accertamento non deve necessariamente passare per la fase dibattimentale e, quindi, la prova della falsità richiesta non deve necessariamente seguire le regole che presiedono alla formazione di essa nel dibattimento. Le stesse Sezioni Unite, esaminando il caso della declaratoria di falsità successiva alla sentenza di patteggiamento, hanno 33 ritenuto legittimamente valutabili gli elementi raccolti nella fase delle indagini preliminari.” Nel processo penale la prova idonea alla declaratoria di falsità può quindi essere raggiunta addirittura al di fuori della fase dibattimentale. Le garanzie e le malleverie caratterizzanti i due processi sono totalmente differenti. E’ in ultima analisi evidente che l’azione accessoria e complementare insita nell’art. 537 c.p.p. non ha né può avere alcuna valenza civilistica i due procedimenti non possono essere considerati equipollenti o equiparabili tra loro. La seconda questione su cui il TAR fonda la motivazione è la “circolazione dell'efficacia probatoria del documento riconosciuto falso” (par. 5.4) che a suo dire sarebbe atta “a rimuovere erga omnes l'efficacia probatoria del documento che ne forma oggetto” (par. 5.9) in quanto diversamente opinando “si innescherebbe un evidente cortocircuito logico-giuridico che vanificherebbe, nuovamente, il senso e l’applicazione della norma” (par. 5.12). Collega quindi il TAR l’asserita efficacia erga omnes della declaratoria di falsità contemplata dall’art. 537 c.p.p. alla “tutela di un interesse inerente alla fede pubblica, sottratto alla disponibilità delle parti” per cui “condizionare la valenza assoluta e generalizzata di detto accertamento alla scelta della parte privata di intervenire o meno nel giudizio penale, significherebbe degradare l’interesse pubblico indisponibile ad un condizione di piena disponibilità da parte del privato, vanificando l’utilità e l’impronta pubblicistica della stessa disposizione di cui all’art. 537 c.p.p.. “ (par. 5.10). Prosegue nel ragionamento sostenendo che ai fini dall’opponibilità erga omnes non contraddittorio” è neppure (par. necessaria 5.12) la essendo “piena integrazione “pressoché del impossibile l’individuazione nominativa dei terzi potenzialmente pregiudicati dalla pronuncia ex art. 537 c.p.p” Per chiudere il cerchio si torna al paragrafo 5.4. L’efficacia erga omnes a dire del TAR accederebbe alla semplice declaratoria di falsità di cui al 34 primo comma dell’art. 537 c.p.p. e ciò determinerebbe automaticamente “la rimozione integrale dalla circolazione dell'efficacia probatoria del documento riconosciuto falso” (par. 5.4). Gli argomenti del TAR, sebbene espressi in maniera suggestiva sono profondamente errati e la ragione dell’erroneità è immediatamente desumibile sia dal tenore letterale dello stesso art. 537 c.p.p. che dalle chiarissime motivazioni della Cassazione Penale contenute nella sentenza 42162/2013 (prodotta sub. doc. 22) ed ancor prima nelle motivazioni contenute nella sentenza emessa dalla Cassazione Penale a Sezioni Unite in data 27.10.1999 al n. 20. Dal dettato normativo e dai richiami giurisprudenziali operati emerge infatti che non è assolutamente vero che il procedimento penale di falso conduce sic et simpliciter “all’eliminazione dell’efficacia rappresentativa del documento risultato falso”. L’eliminazione dell’efficacia dell’atto deriva solo ed esclusivamente dall’applicazione del 2° comma dell’art. 537 c.p.p. ove, con sentenza, sia “ordinata la cancellazione totale o parziale” dell’atto di cui è stata accertata la falsità. La cancellazione deve essere ordinata nel dispositivo della sentenza che ha accertato la falsità del documento. Quindi qualora non sia ordinata la cancellazione dell’atto non ne viene eliminata l’efficacia rappresentativa. Nell’ambito del processo penale a carico di GIOVINE Michele, i Giudici investiti della questione non hanno mai ordinato la cancellazione delle autentiche delle accettazioni di candidature. Di contro invece nell’ambito del procedimento penale a carico di Di SILVESTRO la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 42162/13 (doc. 22) ha disposto insindacabilmente (trattandosi di annullamento senza rinvio) che venissero cancellate le dichiarazioni di collegamento relative alle 8 liste provinciali della lista PENSIONATI ED INVVALIDI PER BRESSO. 35 Solo per la lista PENSIONATI ED INVALIDI PER BRESSO è quindi stata espressis verbis disposta l’eliminazione dell’efficacia rappresentativa delle 8 liste provinciali e, conseguentemente, dei 12.564 voti ottenuti dalla lista su base regionale. La ratio legis è chiaramente espressa sempre dal 2° comma del citato art. 537 c.p.p. che stabilisce che “la cancellazione, la ripristinazione, la rinnovazione o la riconferma non è ordinata quando possono essere pregiudicati interessi di terzi non intervenuti come parti nel procedimento”. Se si ammettesse che attraverso il giudizio di “equipollenza” può essere eliminata l’efficacia rappresentativa dell’atto dichiarato falso con la conseguenza ultima del ritorno alle urne, sarebbe chiaro a tutti che in tale guisa si opererebbe di fatto una cancellazione (peraltro mai comminata con sentenza) degli atti in questione con evidente e gravissimo pregiudizio dei terzi (nel caso di specie i Consiglieri Regionali in carica) che non sono intervenuti nel procedimento penale né avrebbero avuto la possibilità di intervenirvi se non come parti civili per esercitare l’azione civile e cioè per far valere un interesse contrario rispetto a quello di cui sono portatori.. Ed è questa la ragione per cui è imprescindibile che la declaratoria di falsità di un atto fidefaciente debba avvenire solo ed unicamente attraverso lo strumento processuale dei giudizio per querela di falso che, come ripetutamente ribadito dal Tribunale di Torino con la sentenza n. 7520/2011 che ha definito il giudizio di primo grado per querela di falso, garantisce a tutti i terzi che possono essere pregiudicati di svolgere compiutamente le loro difese. Per la stessa ragione nell’ambito del procedimento penale contro la lista PENSIONATI ED INVALIDI PER BRESSO la Corte di Legittimità ha ordinato la cancellazione di tutte le autentiche, e conseguentemente dell’intera lista, in quanto non vi sono diritti di terzi pregiudicati o pregiudicabili da tale provvedimento. Si tratta di un principio pacifico e risalente nel tempo. La Cassazione penale a Sezioni Unite già con la sentenza n. 20 del 27/10/1999 in 36 materia di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici aveva infatti chiarito che: “Non possono trovare accoglimento neppure le censure dei ricorrenti contro il punto della sentenza impugnata con cui è stata ordinata la cancellazione degli atti falsi, motivate in base alla prospettata violazione della disposizione contenuta nell'art. 537, comma 2, ultima parte, a norma della quale "la cancellazione.... non è ordinata quando possono essere pregiudicati interessi di terzi non intervenuti come parti nel procedimento. Deve premettersi, anzitutto, che l'interpretazione testuale e logica del secondo comma dell'art. 537 rivela, in modo non equivoco, che mentre la dichiarazione di falsità costituisce una conseguenza necessaria dell'accertamento di essa, i provvedimenti c.d. riparatori (cancellazione totale o parziale, ripristinazione, rinnovazione, riforma), volti a realizzare la restitutio in pristinum dell'atto o del documento su cui è caduta la falsificazione, hanno, invece, carattere soltanto eventuale, nel senso che incontrano il limite esplicitamente indicato nella disposizione medesima e, quindi, non possono essere adottati quando possono essere pregiudicati interessi di terzi non intervenuti come parti nel procedimento.” Identico è il ragionamento svolto dalla Suprema Corte con la sentenza 42162/13 (doc. fascicolo TAR 22) che, nell’ordinare la cancellazione della lista PENSIONATI ED INVALIDI PER BRESSO, oltre all’assenza di pregiudizio dei terzi rimarca anche come la medesima non abbia dimostrato il superamento della prova di resistenza (esattamente come sostenuto da codesta difesa sin dall’atto introduttivo) e sul punto così argomenta: “Quanto agli eletti, alle liste collegate ed ai candidati, essi potrebbero ritenersi pregiudicati dalla applicazione dell’art. 537 comma 2, ultima parte, nella misura in cui l'annullamento o la dichiarazione di nullità dei voti alle liste illegittimamente ammesse alla competizione elettorale possano aver inciso sulla loro elezione (se vi è stata) o sulle percentuale di seggi ottenuti. Il che però, comporta l’espletamento della prova di resistenza, che invece non è stata in alcun modo esperita dalla sentenza appellata che, quindi, appare totalmente immotivata sotto tale profilo. D'altra parte, stante la diffusività dell'interesse al corretto espletamento della competizione elettorale, può 37 ritenersi che, in linea di massima, manchino soggetti individuabili che possano considerarsi pregiudicati o pregiudicabili dalla applicazione dell’art 537, comma 2. In ogni caso l'esistenza di soggetti pregiudicati sembra costituire l'eccezione, e non la regola, e pertanto deve essere adeguatamente e congruamente motivata. La sentenza impugnata deve dunque essere annullata limitatamente alle situazioni consequenziali in ordine alle falsità ed alle cancellazioni, con rinvio al tribunale di Torino per nuovo giudizio sul punto”. D’altro canto al Giudice Amministrativo, a differenza di quanto pretenda di arrogarsi il TAR Piemonte, non è data possibilità di delibazione in relazione agli atti falsi fidefacenti, neppure con riguardo alla valutazione degli effetti sull’atto di una componente dell’atto falsa. Là dove, a partire dalla declaratoria di falsità delle autentiche pronunciata dal giudice penale, il TAR ricava la nullità dell’atto, travalica quindi la propria giurisdizione, ingerendosi in una materia riservata in via esclusiva al giudice civile. Atti pubblici e scritture private autenticate (quest’ultime per quanto a noi rileva) costituiscono invero prove legali assolute. Si annoverano ossia tra le prove i cui effetti fuoriescono dall’ambito entro il quale opera il criterio del libero convincimento del giudice. L’atto pubblico, e la scrittura privata autenticata, stante la invincibile portata sostanziale di cui all’art. 2700 c.c., come ribadito dalla Consulta, fa piena prova fino a querela di falso, il che significa che il giudice deve tenerne conto, senza alcuna libertà di opinione – senza che il giudice abbia un margine per esprimere un convincimento in contrasto con l’attestazione pubblica operata dall’autenticatore – e ciò fino a che la eventuale forza rappresentativa del documento venga privata di effetti a seguito del vittorioso esperimento dell’apposito procedimento disciplinato dagli artt. 221 e ss. c.p.c. . Per le ragioni esposte alcuna equipollenza può quindi essere ravvisata tra il giudizio civile di falso ed il procedimento penale di falso in relazione alla lista PENSIONATI CON COTA, mentre potrebbe al limite essere valutata in ordine alla lista PENSIONATI ED INVALIDI PER BRESSO stante l’ordine di cancellazione della medesima contenuta nella pronuncia 42162/13 della Corte di Legittimità. 38 V L’argomentazione spesa dal giudice amministrativo sabaudo al principio del capo sesto delle motivazioni risulta a nostro sommesso avviso non solo fallace ma inquietante. I controinteressati rappresentavano infatti al giudice amministrativo l’impossibilità di risolvere l’incidente di falso se non per mezzo del procedimento di querela di falso di cui all’art. 221 c.p.c. e ss., perché altrimenti sarebbe stato irrimediabilmente leso il proprio diritto di difesa e di partecipazione al giudizio. Replica il Tar, ancora una volta recependo in maniera acritica le argomentazioni della difesa Bresso-Staunovo, che viceversa “gli stessi controinteressati hanno beneficiato della facoltà di costituirsi parte civile nel processo penale e che volutamente non se ne sono avvalsi; né si sono avvalsi della facoltà, pure prevista dall’art. 537, 3° comma, c.p.p., di un’impugnativa in via autonoma la pronuncia sulla falsità”. Premesso che tale argomentazione è fondata su premesse errate tanto sotto l’aspetto sostanziale che procedurale, quello che più turba è l’impostazione sistemica che emerge dalla prospettazione dell’ordinamento che il TAR Piemonte ci offre. Secondo un’impostazione spiccatamente inquisitoria, configgente con i precetti costituzionali che tutelano il diritto di difesa e il giusto processo, forse in una sorta di nostalgica riviviscenza del precedente codice penale di rito, il TAR Piemonte pare quasi voler costringere le parti ad un ruolo di partecipazione attiva e di promozione dell’azione penale in aiuto/supplenza del pubblico ministero pena la definitiva limitazione e compromissione dei propri diritti di difesa. Tale ricostruzione è inaccettabile ed incompatibile non solo con l’ordinamento italiano ma anche con i più basilari principi che le fonti soprannazionali e del diritto europeo ci impongono di rispettare. Per di più in una simile attività di ricostruzione del sistema ordinamentale il TAR pare dimenticare che sotto il profilo sostanziale la premessa necessaria per la costituzione di parte civile è la rivendicazione di un danno, “l’azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all’art. 185 c.p. del codice penale può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno (art. 74 c.p.p.)”. 39 Non si comprende però di quale danno i controinteressati del centrodestra dovessero dolersi!, atteso peraltro che per essere legittimati all’azione civile nel processo penale si richiede la dimostrazione di un danno diretto e immediato. Ma vi è di più. Infatti tale disquisizione sulla carenza di un danno in capo ai controinteressati è meramente accademica, là ove si osservi come nel processo penale le costituzioni di parte civile sono scandite da precisi termini decadenziali. Recita l’art. 79 c.p.p.: “La costituzione di parte civile può avvenire per l’udienza preliminare e, successivamente, fino a che non siano compiti gli adempimenti previsti dall’art. 484”. Con riferimento alla vicenda de quo vertitur l’udienza preliminare non si è tenuta perché il giudizio Giovine è stato immediato. Tuttavia secondo il TAR subalpino i controinteressati per non perdere il proprio diritto di difesa, sarebbero dovuti, non raggiunti da alcuna formale comunicazione o notifica, correre a costituirsi parte civile a pena di decadenza entro la prima udienza dibattimentale di un processo penale di cui ex ante non potevano conoscere o prevedere le risultanze. Appare allora evidente che quanto sostenuto dal TAR nelle proprie motivazioni è fuorviante; il diritto di difesa dei controinteressati non può essere ritenuto recessivo rispetto ad esigenze di economia processuale, né tanto meno assicurato nell’ambito di un processo penale del quale non si è parte, se non meramente eventuale. Ad avviso degli odierni appellanti, sempre in relazione al paragrafo sesto della impugnata sentenza, deve poi essere respinta la soluzione adottata dal Giudice piemontese quando nega che le uniche misure che eventualmente potrebbero essere utilmente assunte dal giudice penale per privare di efficacia l’atto fidefacente, siano quelle contemplate dal secondo comma dell’art. 537 c.p.p.. In relazione a questo aspetto si richiamano le considerazioni precedentemente svolte in narrativa. Ci si limita per brevità a sottolineare ancora una volta come, contrariamente a quanto fatto dal TAR Piemonte, fuori dalle ipotesi rimediali di all’art. 537, co. 2, stante la riserva di giurisdizione, sia preclusa a qualsiasi giudice altro da quello della querela di falso la possibilità di valutare le conseguenze scaturenti sull’atto 40 integralmente o parzialmente interessato da un provvedimento meramente dichiarativo quale la declaratoria di falsità. VI Il paragrafo 9 della sentenza gravata è aberrante, errato, lesivo del decoro e dell’onore della dott.ssa Franchino oltre che dei più elementari principi giuridici. Affermare come sostiene il TAR che è legittimo calunniare una persona “a condizione che la calunnia sia espressa in forma elegante” significa evidentemente aver perso la bussola giuridica. Le appellate a pag. 23 della memoria del 21 dicembre hanno calunniosamente affermato che: “la sig.ra Franchino Sara … la quale, in sede di indagini, affermò di aver accompagnato Michele Giovine a Gurro nella giornata del 25 febbraio 2010, mentre dall’analisi dei tabulati telefonici risulta come la stessa non si sia mai allontanata da Torino in tale data”. Con detta affermazione artatamente maliziosa, del tutto irrilevante ai fini della decisione del ricorso, le appellate attribuiscono in modo falso e calunnioso alla dott.ssa Franchino il reato di favoreggiamento e/o quello di false informazioni al P.M.. Attribuire scientemente, dato che controparte aveva copia dell’intero fascicolo penale, un inesistente fatto reato a chicchessia è di per sé espressione sconveniente e offensiva. La calunnia è sconveniente ed offensiva a prescindere dall’eleganza con cui viene espressa. Il deviato ragionamento del TAR è ancor più grave se si considera che il giudice amministrativo di prime grado aveva copia del fascicolo penale e quindi aveva la possibilità e soprattutto il dovere di valutare la sussistenza o meno del fatto reato attribuito alla dott.ssa Franchino e non la raffinatezza con cui l’inesistente fatto reato gli era stato raccontato dalle appellate. VII 41 Omessa motivazione in merito alla Inammissibilità del ricorso per carenza di interesse dei ricorrenti in relazione alla Prova di resistenza sulle dichiarazione di 6 documenti di collegamento di 6 liste di provinciali con quelle regionali della coalizione di centro sinistra nonché in ordine alla irregolarità delle dichiarazioni del delegato della lista regionale “Uniti per Bresso” per il collegamento con tutte le liste circoscrizionali provinciali della coalizione in sostegno a Mercedes Bresso (doc. 19) – Nulla dice il TAR per il Piemonte con la sentenza gravata circa la carenza di interesse delle appellate in relazione alla prova di resistenza comprovata dai citati documenti prodotti sub. 19 in primo grado. Per presentare le candidature relative alle liste provinciali ed alle liste Regionali per l’elezione del Consiglio Regionale nelle Regioni a statuto ordinario la Legge elettorale prevede il deposito di una serie di documenti tra cui le dichiarazioni di collegamento delle liste provinciali che hanno efficacia solo se convergenti con analoghe dichiarazioni della lista regionale. La Disciplina delle dichiarazioni di collegamento è contenuta nell’art. 1 della Legge 23 febbraio 1995 n. 43 che prevede espressamente che “Per ogni lista provinciale i rispettivi delegati alla presentazione debbono dichiarare tale collegamento con una lista regionale; la dichiarazione di collegamento ha efficacia solo se convergente con analoga dichiarazione resa dai delegati alla presentazione della lista regionale con la quale sia stata dichiarato il collegamento”. Le dichiarazioni di collegamento dei delegati alla presentazione delle liste Provinciali e di quelli delegati alla presentazione della Lista Regionale di seguito illustrate, e riferite alla Coalizione di Centro – Sinistra, presentano profili di nullità rilevabili d’ufficio ex art. 31, 8 comma c.p.a. che determinano la nullità dei collegamenti e conseguentemente il difetto di interesse delle appellate per mancato superamento della “prova di resistenza”. Ricordiamo che: «… in base alla cosiddetta prova di resistenza deve ritenersi infondato il ricorso avverso le operazioni elettorali qualora le 42 censure dedotte non siano idonee a sovvertire il risultato elettorale» (TAR Campania Napoli, sez. I, 04/03/2005 n. 1576) e che «non sono annullabili atti la cui eventuale illegittimità non influirebbe sul risultato elettorale ovvero la cui ipotetica caducazione o riforma non muterebbe, in termini di posizione di graduatoria, il risultato stesso» (TAR Molise Campobasso, sez. I, 10/06/2009). Passiamo all’esame analitico dei vizi che inficiano i documenti di collegamento prodotti in questa sede premettendo che le dichiarazioni di collegamento non devono presentare errori formali. Ex multis TAR Catanzaro Calabria 17 luglio 2000 n. 971: “Qualora la singola lista regionale sia collegata a più gruppi di liste provinciali deve ritenersi che la condizione richiesta ed imposta dal comma 3 dell'art. 1 l. 23 febbraio 1995, n. 43 - per la presentazione della lista regionale - sia soddisfatta dalla produzione della dichiarazione di collegamento, a condizione ovviamente che sia valida e pienamente efficace”. Il principio dell’invalidità dei voti raccolti da liste che presentano nullità nei collegamenti è costantemente ribadito dalla giurisprudenza in materia, a titolo esemplificativo: TAR Napoli Campania 09 gennaio 2007 n. 159: “La dichiarazione ha efficacia solo se convergente con analoga dichiarazione resa dai delegati delle liste interessate, si ricava la prescrizione di un preciso obbligo, considerato che esse impongono la necessità di una reciproca e convergente manifestazione di volontà nel senso del collegamento … la cui violazione determina, tenuto conto del principio inerente al formalismo della procedura in materia elettorale, l'esclusione dalle elezioni amministrative”. Nello stesso senso vedasi anche Corte d’Appello Roma del 04 marzo 2010 in Foro It., 2010, 4, 1287. Premesso quanto sopra, in dettaglio, le dichiarazioni di collegamento della coalizione di centro sinistra “UNITI PER BRESSO” presentano i seguenti vizi di nullità. 1) lista “PIEMONTESì” nella dichiarazione del delegato provinciale (in particolare quinta riga del citato documento) per il collegamento con la lista Regionale “UNITI PER BRESSO” manca l’indicazione della circoscrizione elettorale per cui viene effettuata la dichiarazione di 43 collegamento e con luogo e data lasciati in bianco (nonostante sul modello sia indicato l’apposito spazio). 2.562 voti a Torino. Nella stessa lista la dichiarazione del delegato della lista Regionale “Uniti per Bresso”, sig. Ardissone Gianni, è priva, in calce, della data e del luogo di sottoscrizione da parte del delegato stesso. 2) lista “VERDI CIVICA” nella dichiarazione del delegato provinciale (in particolare quinta riga del citato documento) per il collegamento con la lista Regionale “UNITI PER BRESSO” manca l’indicazione della circoscrizione elettorale per cui viene effettuata la dichiarazione di collegamento. 9.953 voti a Torino. Nella stessa lista la dichiarazione del delegato della lista Regionale “Uniti per Bresso”, sig. Ardissone Gianni, è priva, in calce, della data e del luogo di sottoscrizione da parte del delegato stesso. 3) lista “FEDERAZIONE DELLA SINISTRA-RIFONDAZIONE COMUNISTI ITALIANI” nella dichiarazione del delegato provinciale per il collegamento con la lista Regionale “UNITI PER BRESSO” non sono indicati il nome, cognome e la qualifica dell’autenticatore che pertanto risulta non identificato né identificabile. 31.565 voti a Torino. Nella stessa lista la dichiarazione del delegato della lista Regionale “Uniti per Bresso”, sig. Ardissone Gianni, è priva, in calce, della data e del luogo di sottoscrizione da parte del delegato stesso. 4) lista “BONINO PANNELLA” nella dichiarazione del delegato provinciale manca, in calce, la data ed il luogo di sottoscrizione da parte del delegato. 8.026 voti a Torino. Nella stessa lista la dichiarazione del delegato della lista Regionale “Uniti per Bresso”, sig. Ardissone Gianni, è priva, in calce, della data e del luogo di sottoscrizione da parte del delegato stesso. 5) lista “PD Partito Democratico BRESSO Presidente” nella dichiarazione del delegato provinciale manca, in calce, la data ed il luogo di sottoscrizione da parte del delegato. 234.382 voti a Torino. 44 Nella stessa lista la dichiarazione del delegato della lista Regionale “Uniti per Bresso”, sig. Ardissone Gianni, è priva, in calce, della data e del luogo di sottoscrizione da parte del delegato stesso. 6) lista “INSIEME PER BRESSO” nella dichiarazione del delegato provinciale manca, in calce, la data ed il luogo di sottoscrizione da parte del delegato. 37.296 voti a Torino. Nella stessa lista la dichiarazione del delegato della lista Regionale “Uniti per Bresso”, sig. Ardissone Gianni, è priva, in calce, della data e del luogo di sottoscrizione da parte del delegato stesso. Le descritte violazioni determinano l’inesistenza e/o nullità dei collegamenti e dei conseguenti voti di lista in quanto privi “dei connotati essenziali dell' atto amministrativo, quali possono essere la radicale carenza … dell' oggetto” TAR Catania Sicilia 24 maggio 2006 n. 827. Identica ratio è espressa dal Consiglio Stato 25 ottobre 2005, 6023: “Il provvedimento amministrativo può considerarsi assolutamente nullo od inesistente nelle ipotesi in cui esso … manchi dei connotati essenziali dell'atto amministrativo, necessario ‘ex lege’ a costituirlo, quali possono essere la radicale carenza di potere da parte dell'autorità procedente, ovvero il difetto della forma, della volontà, dell'oggetto o del destinatario” L’inesistenza è a forziori: “La nullità dei provvedimenti dinanzi al giudice amministrativo è rilevabile d'ufficio, alla stregua dei principi generali in tema di nullità e dell'art. 1421 c.c., evidentemente applicabili anche nel processo amministrativo” Consiglio Stato 20 gennaio 2009 n. 265. Nel medesimo senso si vedano, tra le molte pronunce TAR L’Aquila Abruzzo 17 luglio 2007, n. 484 “La nullità dei provvedimenti amministrativi dinanzi al g.a. è rilevabile anche d'ufficio, alla stregua dei principi generali in tema di nullità, applicabili anche nel processo amministrativo nelle ipotesi in cui la validità ed esecutività del provvedimento costituisca oggetto della controversia, non potendo l'azione, volta a far valere tale nullità, essere sottoposta a termini di decadenza.” e TAR Genova Liguria 16 maggio 2007, n. 790 45 Nello specifico, i punti sub 1) e sub 29 sono i classici casi in cui manca completamente l’oggetto, i punti sub 39, 4) 59 e 6) rilevano un difetto di forma: grazie al modo con il quale maliziosamente sono state autenticate le firme dei delegati è possibile solo sapere dove è stata fisicamente fatta l’autentica e apposto il timbro, NON CERTO dove è stata fisicamente apposta la firma del delegato. Così facendo l’autenticatore potrebbe benissimo avere completato l’autentica nel luogo deputato, mentre la firma averla raccolta in tutt’altro luogo, senza così dichiarare il falso, né farlo dichiarare al firmatario. Sarebbe un modo astuto per evitare anche l’ombra di una sanzione penale, se non ci fosse neppure la possibilità di penalità amministrative e civili. In ultima analisi, anche sotto questo profilo, la sentenza impugnata risulta viziata per non aver preso in considerazione i vizi inficianti le dichiarazioni di collegamento della coalizione di centro sinistra, e non avere, per l’effetto, rigettato il ricorso avversario per carenza di interesse in ordine alla prova di resistenza. P.Q.M. voglia codesto ecc.mo Consiglio di Stato, in accoglimento del presente appello, riformare integralmente la sentenza impugnata e per l’effetto: - in via preliminare disporre ai sensi dell’art. 96 comma 1° cod. proc. amm. la riunione della presente impugnazione a quella pendente innanzi Codesto Ill.mo Collegio e rubricata al n. 556/14 di Reg. Gen. (Clarizia) - in via pregiudiziale sospendere il presente giudizio di appello, ai sensi degli artt. 8 e 77, comma 4° cod. proc. amm. sino alla definizione del procedimento per querela di falso attualmente pendente innanzi alla Corte d’Appello civile di Torino; - in via pregiudiziale accogliersi il ricorso incidentale; - in via principale respingere il ricorso elettorale di primo grado promosso da Bresso e Staunovo. - disporre ai sensi dell’art. 89 c.p.c. la cancellazione del seguente capoverso contenuto a pag. 23 della memoria di parte appellata 46 23.12.2013 “lo stesso dicasi per la sig.ra Franchino Sara, interveniente nel presente giudizio (attuale fidanzata di Michele Giovine) e primo candidato tra i non eletti della lista Pensionati per Cota la quale, in sede di indagini, affermò di aver accompagnato Michele Giovine a Gurro nella giornata del 25 febbraio 2010, mentre dall’analisi dei tabulati telefonici risulta come la stessa non si sia mai allontanata da Torino in tale data”. - assegnare alla dott.ssa FRANCHINO, quale persona offesa, una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale da liquidarsi in via equitativa. - trasferire gli atti alla Procura della Repubblica affinché possa vagliare se si sia configurato il reato di calunnia ai danni della d.ssa Sara Franchino. Il presente ricorso è esente da contributo unificato ai sensi dell’art. 127, cod. proc. amm. Torino – Roma 47