appello Giovine e Franchino 66 bis 29 gennaio ultimo X CS

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appello Giovine e Franchino 66 bis 29 gennaio ultimo X CS
STUDIO LEGALE ASSOCIATO
STRAMBI E NIGRA
Via Cibrario n. 6 – 10144 TORINO
Tel. 011/437.40.24 –011/48.95.88
ECCELLENTISSMO CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
Ricorso in appello ex art. 131 c.p.a.
avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del
Piemonte n. 66/2014
con istanza di riunione ex art. 96 c.p.a. al procedimento n. 556/2014
Nell’interesse di
Michele GIOVINE, C.F. GVNMHL73B18L219S,
residente in Torino alla Via Mazzini n. 37 e di FRANCHINO Sara, C.F.
FRNSRA82L45L750W, residente in Collobiano (VC) alla Via Cervo n. 5,
rappresentati e difesi per procura speciale a margine dagli Avvocati
Giorgio Strambi (C.F STRGRG66T30L219G), e Giovanni NIGRA (C.F.
NGRGNN68D08L219E), con studio a Torino in Via Cibrario 6 i quali
dichiarano di voler ricevere le comunicazioni, gli avvisi o gli atti al numero
di fax 011/48.95.88 – indirizzo di Posta Elettronica Certificata
[email protected] ed eleggono domicilio in
Roma al Viale Carso n. 43 presso lo studio dell’Avvocato Carlo
Guglielmo Izzo
- appellanti CONTRO
Bresso Mercedes e
Staunovo Polacco Luigina e difese dagli
avvocati Sabrina Molinar Min, Paolo Davico Bonino, Anna Casavecchia,
Marco Casavecchia e Valentina Stefutti -- appellata NEI CONFRONTI DI
On. Avv. Roberto COTA nella sua qualità di Presidente della Giunta
Regionale della Regione Piemote, rappresentato e difeso, dal Prof. Avv.
Angelo Clarizia del Foro di Roma
- appellante -
1
PROCURA SPECIALE:
noi sottoscritti Michele
Giovine e Sara Franchino
nominiamo e costituiamo
nel presente giudizio di
appello, conferendo loro
ogni più ampia facoltà di
legge, gli Avv.ti Giorgio
Strambi e Giovanni Nigra
conferendo loro ogni facoltà
di legge, ivi comprese
quelle
di
transigere,
conciliare, rinunciare ed
accettare rinunce, farsi
rappresentare - sostituire da
altro
Procuratore
ed
eleggiamo domicilio presso
lo studio dell’Avv. Carlo
Guglielmo Izzo in Roma al
Viale Carso 43.
Torino-Roma, lì
NONCHÉ NEI CONFRONTI DI
- Antonello Angeleri, ed altri, già rappresentati e difesi dall’Avv. Fabrizio
Borasio;
- Botta Marco ed altri rappresentati e difesi dal Prof. Avv. Carlo
Emanuele Gallo e dall’Avv. Antonio Bertoldini, con domicilio eletto
presso Il Prof. Avv. Carlo Emanuele Gallo in Torino, via Pietro Palmieri
n. 40.
PER LA RIFORMA
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
Sezione Prima n. 66/2014 Reg. Sen. sul ricorso n. 555/2010 Reg. Ric.
depositata in Segreteria in data 15 gennaio 2014.
Svolgimento deI fatti
Mercedes BRESSO e STAUNUOVO POLACCO Luigina (Segretario
Politico, presentatrice della lista PENSIONATI E INVALIDI PER
BRESSO, nonché rinviata a giudizio per aver falsificato le proprie liste
alle elezioni regionali 2010) hanno impugnato il risultato elettorale
assumendo la falsità del luogo dell’autentica indicata sui moduli di
accettazione delle candidature della lista PENSIONATI CON COTA per
la sola Provincia di Torino, dove detta lista ha ottenuto 15.765
preferenze.
Il Presidente COTA e la coalizione di centrodestra hanno vinto le elezioni
del 29 marzo 2010 ottenendo 1.042.482 e quindi con uno scarto di 9.372
voti validi in più rispetto alla candidata BRESSO che aveva invece
ottenuto 1.033.326.
Controparte ha ricondotto il proprio interesse a ricorrere solo ed
esclusivamente al fatto che il predetto differenziale di voti sarebbe stato
sufficiente, in caso di accoglimento delle censure proposte, a sovvertire il
risultato elettorale.
Tale assunto risulta oggi mendace in quanto inesorabilmente destituito di
ogni fondamento a fronte delle statuizioni assunte in via definitiva con le
sentenze emesse dal Tribunale di Torino l’11 dicembre 2012 (prodotta
2
sub. doc. 20) e dalla Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza
Penale, n 42162 del 09.07.2013 (prodotta sub. doc. 22) con cui si
accertavano le gravi falsità in autentica degli atti di presentazione di tutte
le liste provinciali Pensionati e INVALIDI per BRESSO.
In particolare con la sentenza 42162/2013 la Corte di Cassazione non
solo ha disposto che si dichiarasse la falsità di tutti gli atti di
presentazione delle 8 liste provinciali PENSIONATI E INVALIDI PER
BRESSO presentate dalle ricorrenti alle elezioni regionali del Piemonte
2010, ma ha addirittura ordinato che si provvedesse alla loro
cancellazione, stante l’assenza di “soggetti individuabili che possano
considerarsi pregiudicati o pregiudicabili dalla applicazione dell’art 537,
comma 2”.
In forza di quanto statuito dalla Corte di Legittimità il Giudice per le
Indagini Preliminari del Tribunale di Torino, Dott.ssa Felicita Bertinetti,
con ordinanza del 20.12.2013 depositata in data 21.12.2013 e notificata
in data 07.01.2014 ha così statuito: “Visti gli artt. 537 e 621 ss. c.p.p. dichiara la falsità della dichiarazione di autenticazione della firma di
Andrea BUQUICCHIO sulle dichiarazioni "di presentazione di una lista
provinciale di candidati che non ha l'obbligo di raccogliere le
sottoscrizioni di candidati ai sensi della lettera e) comma 1 dell'articolo 1)
della legge regionale n. 21/2009 per l'elezione del presidente della
Giunta e del Consiglio regionale del Piemonte del 28 e 29 marzo 20I0"
depositate presso il Tribunale di Torino e presso il Tribunale di
Alessandria in occasione delle elezioni regionali del 2010 e ne dispone la
cancellazione, a cura della Cancelleria, mediante annotazione della
falsità sugli originali; - dichiara la falsità delle dichiarazioni di
autenticazione delle firme di accettazione della candidatura per la carica
di consigliere regionale nella lista provinciale "PENSIONATIED INVALIDI
PER BRESSO" apposte da D'AVENIA Luigi, ZANOLINI Carlo, DI
BENEDETTO Filippo, VINCIGUERRA Angelo, ACAMPA Mario, SCIRPO
Vincenzo, FOGLI Gabriella, CAMERIN Giorgio, MARANGON Renato, e
ne dispone la cancellazione, a cura della Cancelleria, mediante
annotazione della falsità sugli originali; … - dispone la cancellazione, a
cura della Cancelleria, mediante annotazione della falsità sull'originale,
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degli atti di cui è stata dichiarata la falsità con la sentenza pronunciata ex
art. 444 c.p.p. in data 30.11.2012 n. 2671. Manda la Cancelleria per
quanto di competenza.”.
Tale provvedimento, con il quale il Tribunale di Torino si è uniformato
all’ordine della Cassazione, non è stato impugnato (né poteva essere
altrimenti sia alla luce della cogente disposizione impartita dalla Suprema
Corte, sia per il fatto che la statuizione sulla responsabilità penale
dell’Autenticatore della lista PENSIONATI ED INVALIDI PER BRESSO
era già passata in giudicato). Trattandosi di provvedimento reso
nell’ambito di un incidente di esecuzione il termine di impugnativa era di
15 giorni dalla notifica del provvedimento stesso avvenuta il 7 gennaio e
quindi è passato in giudicato.
Le 8 liste provinciali dei PENSIONATI E INVALIDI PER BRESSO della
STAUNUOVO POLACCO Luigina non solo sono state dichiarate false
ma ne è stata disposta la cancellazione con provvedimento
definitivo e non più passibile di impugnazione.
Alle elezioni regionali 2010 le 8 liste provinciali dei PENSIONATI E
INVALIDI PER BRESSO della STAUNUOVO POLACCO Luigina hanno
portato in dote alla coalizione collegata al candidato presidente
Mercedes BRESSO 12.564 voti.
Ne consegue che la lista PENSIONATI E INVALIDI PER BRESSO non
poteva presentarsi e partecipare alle elezioni regionali piemontesi 2010
ed i voti raccolti da tale lista (12.564) sono invalidi e quindi da sottrarre
alla somma dei voti raccolti dalla coalizione di Mercedes BRESSO
(1.033.326), che in forza della disposta cancellazione viene quindi a
totalizzare la nuova minore somma di 1.020.762 voti espressi (cfr.
schema riepilogativo che segue).
Nella nuova e corretta formulazione, la distanza tra la coalizione di Cota
(1.042.482 voti validi) e la coalizione di Bresso (1.020.326 voti validi) è
pertanto pari a 21.720 voti, cioè un numero superiore rispetto ai 15.765
contestati dalle ricorrenti alla lista PENSIONATI CON COTA con la
conseguenza di una totale carenza di interesse ad agire delle appellate.
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Voti ottenuti dalla coalizione di Roberto Cota
1.043.275
Voti ottenuti dalla coalizione di Mercedes Bresso
1.033.989
– 12.564 voti Pensionati e INVALIDI per BRESSO =
1.021.425
----------------------------------------------------------------------------------------------Δ (differenziale)voti
COTA – BRESSO
Voti contestati Pensionati con Cota = 15.765
= + 21.850
15.765 < 21.850
Svolgimento del processo
Con ricorso elettorale depositato i data 07.05.2010 i ricorrenti adivano il
Tribunale Amministrativo per il Piemonte chiedendo “l’annullamento e/o
l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 4 della Legge 23 dicembre
1966 n. 1147 dell’atto di proclamazione degli eletti emesso dalla Corte
d’Appello di Torino con il quale in data 09.04.2010 veniva proclamata
l’elezione del Presidente della Giunta Regionale e del Listino e si
prendeva atto dell’avvenuta proclamazione dei consiglieri regionali per la
regione Piemonte a seguito della consultazione elettorale tenutasi nei
giorni 28-29 marzo 2010” allegando la falsità dell’autenticazione delle
dichiarazioni di accettazione delle relative candidature da parte di
Michele Giovine e di Carlo Giovine, in qualità, rispettivamente, di
consigliere comunale del Comune di Gurro (VCO) e del Comune di
Miasino (NO); la sig.ra Staunovo Polacco depositava in data 4 maggio
2010, presso la Procura della Repubblica di Torino, denuncia contro i
Giovine.
Le due ricorrenti chiedevano quindi l’annullamento della proclamazione
degli eletti domandando al TAR di “valutare autonomamente i fati
penalmente rilevanti emersi e dichiarare l’illegittimità della presentazione
e correlativa ammissione della lista contestata”.
Con sentenza parziale n. 3196 del 6 agosto 2010 il TAR riteneva “di non
poter accedere alla richiesta formulata da parte ricorrente [per l’espressa
ragione] che le certificazioni di autenticazione sottoposte alla sua
attenzione posseggono i tratti distintivi noti dell’atto pubblico, assunta da
pubblico ufficiale e come tale assistito da fede privilegiata ex art. 2700
5
c.c., revocabile in dubbio e contestabile unicamente mediante lo
strumento processuale della querela di falso disciplinata agli artt. 221 e
seguenti c.p.c..”
Il Giudice di prime cure assegnava quindi alla parte ricorrente “il termine
di sessanta giorni … per consentire la proposizione dinanzi al
competente Tribunale, della querela di falso, relativamente all’autenticità
delle
dichiarazioni
di
accettazione
delle
candidature
della
lista
“Pensionati per Cota”, e delle autenticazioni delle relative sottoscrizioni,
ai sensi dell’art. 41 del R.D. 17/8/1907, n. 642 e degli artt. 221 e ss.
c.p.c.” e “Rinvia all’udienza pubblica del 18 novembre 2010 per la verifica
dell’interposta querela di falso e per la conseguente sospensione del
giudizio”.
Avverso la citata sentenza parziale del Tar veniva interposto gravame
dalle ricorrenti e codesto Ill.mo Consiglio di Stato con sentenza n. 999
del 16 febbraio 2011 che sollevava la questione di legittimità
costituzionale “degli articoli 8, comma 2, 77, 126, 127, 128, 129, 130 e
131 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’art. 44
della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il
riordino del processo amministrativo); dell’articolo 7 del regio decreto 30
dicembre 1923, n. 2840 (Modificazioni all’ordinamento del Consiglio di
Stato e della Giunta provinciale amministrativa in sede giurisdizionale);
degli articoli 41, 42 e 43 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642
(Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del
Consiglio di Stato); degli articoli 28, terzo comma, e 30, secondo comma,
del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico
delle leggi sul Consiglio di Stato); degli articoli 7, terzo comma, ultima
parte, e 8 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali
amministrativi regionali); nonché dell’articolo 2700 del codice civile, nella
parte in cui precludono al giudice amministrativo di accertare anche solo
incidentalmente la falsità degli atti pubblici nel giudizio amministrativo in
materia elettorale.”
Con sentenza n. 304, dell’11.11.2011 la Corte Costituzionale, dichiarava
infondata la questione di legittimità costituzionale.
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All’esito della pronuncia della Corte Costituzionale veniva quindi
riassunto il giudizio innanzi Codesto Ecc.mo Consiglio di Stato ed il
procedimento si concludeva con la sentenza n. 4395/2012 che
respingeva l’appello.
Ma nella pronuncia di rigetto il Consiglio di Stato, pur richiamando la
pronuncia della Corte Costituzionale ove motiva “il giudice delle leggi ha
osservato innanzitutto che la devoluzione al giudice civile della querela di
falso rappresenta una opzione di sistema, non soltanto di risalente e
costante tradizione, ma rispondente a persistenti valori ed esigenze
fondamentali, quali la necessaria tutela della fede pubblica, che in
determinate ipotesi, quale è quella degli atti muniti di valore fidefacente
privilegiato a norma dell’art. 2700 cod. civ., deve essere assicurata a
prescindere dalla sede processuale in cui l’autenticità dell’atto sia stata,
incidentalmente, messa in dubbio” di fatto non vi si uniformava.
Per un verso infatti codesto Ill.mo Collegio tornava a ribadire che “è
precluso l’accertamento in via diretta della asserita falsità delle firme di
presentazione delle liste e delle candidature relative alla lista “Pensionati
per Cota”.
Per altro verso però e con efficacia di fatto vanificante del precetto
Costituzionale andava a motivare che: “Ciò dunque non esclude che
possano ora essere autonomamente valutate dal giudice di prime cure,
dove il processo è ancora sostanzialmente pendente per effetto del
concesso termine per la presentazione della querela di falso, anche le
risultanze del processo penale a carico di Michele Giovine e Carlo
Giovine, giunto peraltro ad un significativo grado di sviluppo (decisione
della Corte di Appello di Torino … ” sul rilievo che, motiva ancora il
Collegio, “in via di principio il giudizio civile di falso ed il procedimento
penale di falso, ancorché differenti tra di loro, in quanto il primo tende
solo a dimostrare la totale o parziale non rispondenza al vero di un
determinato documento nel suo contenuto obiettivo, laddove il secondo
tende invece ad identificare l’autore dell’immutatio veri per sottoporlo alla
punizione
prevista
dalla
legge,
conducono
tuttavia
entrambi
all’eliminazione dell’efficacia rappresentativa del documento risultato
falso (Cass. Civ., sez. III, 7 febbraio 2006, n. 2524; 23 maggio 1969, n.
7
2862), sicché non può negarsi l’equivalenza tra l’accertamento civile e
quello penale del documento falso quanto alla sua efficacia probatoria,
tanto più che l’art. 537 c.p.p. stabilisce, al comma 1, che la falsità di un
atto o di un documento, accertata con sentenza di condanna, è
dichiarata nel dispositivo”.
Contro tale pronuncia veniva proposto ricorso per cassazione per
eccesso di potere giurisdizionale, che veniva dichiarato inammissibile per
difetto di interesse con sentenza delle Sezioni Unite del 12 marzo 2013,
n. 6082 sul rilievo che l’obiter dictum non aveva carattere vincolante né
precettivo.
A seguito dell’istanza di fissazione di udienza presentata dalla Bresso e
dalla Staunovo il 18 novembre 2013 il TAR del Piemonte fissava udienza
pubblica di discussione al 9 gennaio 2014.
Il 10.01.2014 veniva quindi pubblicato il dispositivo della sentenza n.
58/2014 che accoglieva il ricorso principale, annullava l’atto di
proclamazione
degli
eletti
e
dichiarava
inammissibile
il
ricorso
incidentale.
Il 15.01.2014 veniva infine pubblicata la sentenza n. 66/2014 che è
oggetto della presente impugnativa per i seguenti
Motivi
I
La sentenza gravata dichiara inammissibile il ricorso incidentale sotto il
duplice profilo della omessa notifica e della tardività nella proposizione.
Nel trattare la questione il TAR ricostruisce la vicenda in modo parziale e
distorto. Motiva il Giudice di prime cure al capo 1.9 che “il ricorrente
incidentale si è limitato a depositare l’atto, in data 7 giugno 2012, senza
tuttavia procedere alla sua notifica, né prima né a seguito del suo
deposito, e nemmeno in vista dell’udienza del 21 settembre 2012, fissata
con decreto presidenziale adottato a seguito dell’istanza inoltrata dalle
ricorrenti in data 29 agosto 2012.”.
Omette però il Tribunale Amministrativo di spiegare che sempre in data 7
giugno 2012 il ricorrente incidentale depositava istanza di fissazione
8
udienza che veniva negletta sul rilievo verbalmente espresso dalla
Segreteria del TAR, a seguito di richiesta di spiegazioni inoltrata dai
legali del conchiudente, che ratio della mancata fissazione di udienza
andava evidentemente ravvisata nel fatto che il processo amministrativo
era stato sospeso ai sensi dell’art. 77, comma 4, c.p.a. con ordinanza del
19 novembre 2010 e che non era venuto meno [ci vien da pensare per il
solo ricorrente incidentale] ai sensi dell’art. 80, comma 1, c.p.a. “l’atto
che fa venir meno la causa di sospensione” rappresentato dal passaggio
in giudicato della sentenza che avrebbe definito il procedimento per
querela di falso.
Omette altresì il Tar di spiegare che a seguito del deposito del ricorso
incidentale, ed a differenza di quanto correttamente aveva invece fatto
per i ricorrenti principali, il Giudice di prime cure non aveva neppure
provveduto ad alcuno degli adempimenti tassativamente previsti dall’art.
130 comma 2 c.p.a. e segnatamente il TAR a) non aveva fissato
l'udienza di discussione della causa in via di urgenza; b) non aveva
designato il relatore; c) non aveva ordinato le notifiche, autorizzando, ove
necessario, qualunque mezzo idoneo; d) non aveva ordinato il deposito
di documenti e l'acquisizione di ogni altra prova necessaria; e) non aveva
ordinato che a cura della segreteria il decreto fosse immediatamente
comunicato, con ogni mezzo utile, al ricorrente.
Nessuno dei 5 tassativi adempimenti previsti dal richiamato art. 130
c.p.a. che il Giudice Amministrativo avrebbe dovuto adottare con decreto
ed in via d’urgenza è stato assunto. Ma secondo il Tar, ed a nostro
sommesso avviso con ulteriore errore motivazionale, ciò non sarebbe
comunque stato rilevante in quanto il ricorrente incidentale avrebbe
potuto giovarsi dell’udienza fissata al 21.09.2012 a seguito dell’istanza
presentata dalla ricorrenti principali, ed urgentemente – questa volta sì presa in considerazione dal TAR, in data 29.08.2012 senza però tener
conto che neppure nel richiamato provvedimento di fissazione di udienza
alcuno dei provvedimenti previsti dal richiamato art. 130 del codice del
processo amministrativo necessari e prodromici a dare impulso tanto alla
procedura principale, quanto a quella incidentale, era ancora una volta
stato assunto dal Giudice di prime cure.
9
Quindi proprio perché “il legislatore ha attribuito nello specifico e delicato
settore della materia elettorale, valore predominante al principio della
certezza dei rapporti di diritto pubblico, prevedendo rigorosi termini di
decadenza entro i quali gli atti vanno contestati” devono essere
preventivamente rispettati dal Tribunale adito gli incombenti che il
legislatore gli ha imposto al fine di consentire alla parte il compimento
dell’atto previsto ex lege.
Difettando nella specie in toto il decreto presidenziale minuziosamente
disciplinato dall’art. 130 c.p.a., e non essendo certamente il medesimo
surrogabile dal decreto presidenziale adottato a seguito dell’istanza
inoltrata dalle odierne appellate in data 29 agosto 2012 privo dei requisiti
di forma e contenuto inderogabilmente stabiliti dal legislatore,
ne è
derivata la oggettiva e materiale impossibilità, per il ricorrente incidentale,
di effettuare la notifica del medesimo “unitamente al [l’inesistente]
decreto di fissazione di udienza” come previsto dal successivo comma 3
del richiamato art. 130.
Va ancora considerato che essendo stato proposto il ricorso incidentale a
seguito della notizia della sopravvenienza di un fatto nuovo (la chiusura
indagini sulla lista Pensionati ed invalidi per Bresso) ed in via di
eccezione, per paralizzare l’azione avversaria, nessuna tardività può
essere imputabile agli scriventi anche sul rilievo che l’azione è limitata
nel tempo, mentre l’eccezione è perpetua in forza del noto principio
temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum.
Non va poi sottaciuto come la dottrina prevalente (ex multis F. Benvenuti,
Contraddittorio (Diritto amministrativo), in Enc. del dir., vol IX, Milano,
743 ss;; P. Stella Richter, L’inoppugnabilità, Milano
225) inquadri la
funzione del ricorso incidentale nell’ambito delle eccezioni spettanti al
controinteressato per il soddisfacimento di un interesse sorto soltanto a
seguito dell’impugnazione principale e da questa dipendente.
La citata ratio è rinvenibile nel dato letterale valorizzato dalla
giurisprudenza e contenuto nell’ultimo comma dell’articolo 37 T.U. Cons.
Stato che evidenzia il profilo strettamente accessorio del ricorso
incidentale, la cui sorte processuale, in base a tale norma, era
direttamente subordinata a quella dell’impugnazione principale.
10
La posizione subalterna del ricorrente incidentale deriva dalla circostanza
che questi non esercita l’azione per primo ed autonomamente, ma
agisce, nell’ambito di un rapporto processuale iniziato dal ricorrente
principale, a tutela di un interesse proprio alla conservazione dell’atto
impugnato
e
per
prevenire
il
pregiudizio
che
gli
deriverebbe
dall’accoglimento del ricorso principale.
L’azione incidentale di impugnazione, quindi, per il solo fatto di
sottendere un pregiudizio solo virtuale, è strettamente collegata con
l’azione principale e ne segue la sorte, nel senso che, come la nascita
della prima presuppone l’esercizio della seconda, così l’estinzione di
quest’ultima determina sempre il venire meno dell’azione incidentale.
Ciò implica che la sentenza di merito che respinge il ricorso principale o
quella di rito che ne accerta l’insussistenza di un presupposto
processuale (come avrebbe dovuto accadere nel caso di specie stante la
carenza di interesse delle ricorrenti rilevabile d’ufficio in ogni stato e
grado – contrariamente a quanto sostenuto dal TAR) deve dichiarare
contemporaneamente
l’improcedibilità
del
ricorso
incidentale
per
sopravvenuta carenza di interesse, non viceversa come invece ha
operato il Giudice di Prime Cure. Cons. Stato, sez. V, 22 ottobre 2007,
n. 5532; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II ter, 1 aprile 2006, n. 2258.
Ma soprattutto non va sottaciuto che la questione - che è stata sollevata
tanto col ricorso incidentale quanto con tutte le memorie presentate da
Sara Frachino e Michele Giovine in data 24 e 29 ottobre 2012 e poi
ancora in data 23 e 27 dicembre 2013 - concerneva la carenza di
interesse delle ricorrenti principali a coltivare il ricorso in relazione alle
plurime prove di resistenza che erano state documentate e sottoposte
all’attenzione del TAR dai conchiudenti e che, come argomenteremo nel
prosieguo e contrariamente a quanto asserito dal TAR medesimo,
rappresentano per pacifica e univoca giurisprudenza una questione
sempre e comunque rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del
processo.
Ma vi è di più. Infatti assorbenti profili di carenza di interesse delle
appellate - in relazione ad altre 6 liste collegate alla coalizione di
centrosinistra - erano stati sollevati dai conchiudenti in epoca
11
ampiamente anteriore al deposito del ricorso incidentale e precisamente
con l’intervento ad opponendum da parte di Franchino Sara del 30
giugno 2010 e con memoria di Michele Giovine del 9 luglio 2010 – atti
menzionati nelle sentenza oggetto di gravame ed in relazione ai quali la
sentenza è affetta da vizio di omessa pronuncia in quanto neppure questi
originari profili di improcedibilità del ricorso principale, rilevabili anch’essi
d’ufficio, sono stati trattati dal Giudice di primo grado .
Ne consegue, alla luce delle argomentazioni testé esposte, che la
questione adombrata dal TAR sulla, per così dire, convertibilità del
ricorso incidentale in controdeduzioni o in memoria è meramente
accademica e totalmente priva di riflessi sul fascicolo di causa per
l’assorbente considerazione che oltre che col ricorso incidentale i profili
afferenti la sopravvenuta carenza di interesse ad agire delle ricorrenti
principali erano stati documentati e trattati con almeno altri 6 atti
depositati nel fascicolo dai conchiudenti e richiamati nella narrativa del
Tar, ancorché non disaminati nella loro valenza di eccezione
pregiudiziale di merito nella motivazione.
Il Tar trae quindi spunto da parziali ed erronee premesse per arrivare ad
una ancor più erronea motivazione laddove argomenta al capo 1.15 e
1.16 che : “… alcuna rilevanza può attribuirsi alle risultanze probatorie
dei procedimenti penali che hanno riguardato l’asserita falsità delle
attestazioni di autenticazione della lista Pensionati e Invalidi per Bresso”
assumendo che tali deduzioni non possono trovare ingresso nel presente
procedimento e pertanto “non incidono in alcun modo sull’interesse ad
agire delle ricorrenti”.
Il macroscopico errore in cui incorre il Giudice di prime cure è scolpito nel
capoverso immediatamente successivo ove afferma “E’ vero, infatti, che
le condizioni dell’azione sono esaminabili d’ufficio. Ciò nondimeno,
l’invocata detrazione dei voti attribuiti alla lista ‘Pensionati e Invalidi per
Bresso’, dalla quale si farebbe discendere la carenza di interesse ad
agire in capo alle ricorrenti, avrebbe imposto una rituale impugnazione
incidentale dell’atto di ammissione di detta lista e, in parte qua, del
conseguente atto di proclamazione degli eletti.”
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In tre righe su oltre 50 pagine di sentenza il Tar individua uno dei punti
nevralgici del problema e lo risolve in senso sfavorevole ai resistenti ed
ai controinteressati con due affermazioni palesemente infondate che da
sole sarebbero sufficienti a travolgere l’intero costrutto motivazionale ed il
conseguente dispositivo del Giudice Amministrativo.
Primo, è pacifico che le risultanze probatorie a carico della lista
Pensionati ed invalidi per Bresso configurano una carenza di interesse
rilevabile d’ufficio.
Secondo, a differenza di quanto riferito dal Tar, non si tratta affatto di una
”invocata detrazione dei voti attribuiti alla lista pensionati ed invalidi per
Bresso”. La detrazione dei voti è la diretta conseguenza della intervenuta
cancellazione degli atti di presentazione della citata lista, cancellazione
che è stata disposta su ordine della Cassazione Penale, Sezione Terza
con la pronuncia n. 42162 del 09.07.2013.
Infatti in riferimento alle condotte di falsificazione delle liste
Pensionati ed invalidi per Bresso la Corte di Legittimità non ha ritenuto
sufficiente la mera statuizione dichiarativa della declaratoria di falsità, ma
ha ritenuto che dovesse essere assunto un rimedio radicale di natura
correttiva, quale la cancellazione degli atti falsificati.
E’ dunque la Cassazione penale con la richiamata sentenza n. 42162
del 09.07.2013 ad aver corretto il risultato elettorale cancellando i
12.564 voti raccolti dalla lista Pensionati ed invalidi per Bresso.
Non sono i signori Giovine e Franchino ad aver invocato la detrazione dei
12.564 voti della lista Pensionati ed invalidi per Bresso, né la questione
va ricondotta al fatto che sia o meno attribuita al Giudice Amministrativo
la facoltà di operare o meno “il riconteggio in pejus dei voti attribuiti alla
lista Bresso” come erroneamente argomenta il Tar al citato paragafo
1.16.
Peraltro sorprende verificare che il Tar cada in un simile equivoco, visto e
considerato che è lo stesso Giudice amministrativo piemontese a
ricondurre natura “esecutiva” e “riparatoria” alle misure di cancellazione
(cfr. capo 6, punto 4 della gravata sentenza).
13
Là dove si riconosce che i provvedimenti che il giudice penale dispone ex
art. 537, co. 2 c.p.p. hanno portata esecutiva, inevitabilmente si conferma
che tali provvedimenti trovano diretta ricezione ordinamentale.
Ne consegue quindi che il provvedimento di cancellazione degli 8 atti di
presentazione delle liste Pensionati e Invalidi per Bresso, emesso dal
Tribunale di Torino, con Ordinanza del 20 dicembre 2013 (doc. 25) su
ordine della Suprema Corte di Cassazione, comporta, proprio in virtù
della sua natura riparatoria, correzione autonoma, diretta ed automatica
del risultato elettorale.
D’altro canto, come potrebbero essere attribuiti voti a liste che, a
fronte della loro cancellazione, liste più non sono? Ciò che non è non
può essere e meno che mai vedersi utilmente riferiti voti.
Gli atti di presentazione delle otto liste provinciali Pensionati e Invalidi per
Bresso (a differenza delle controvertite accettazioni di candidatura della
lista provinciale di Torino Pensionati con Cota che non sono oggetto di
alcun provvedimento riparatorio correttivo) sono già stati espunti in via
definitiva dall’ordinamento ad opera del Tribunale di Torino con
l’ordinanza del 20 dicembre 2013 (doc. 25).
Ecco dunque che per il Tar non sussisteva alcuno spazio di autonoma
cognizione in relazione ai 12.564 voti attribuiti ai Pensionati e Invalidi per
Bresso. Il Giudice Amministrativo Regionale, con sua buona pace, si
sarebbe dovuto limitare a prendere atto di come, a fronte della
intervenuta cancellazione delle otto liste provinciali Pensionati e Invalidi
per Bresso, i voti ottenuti dalla coalizione capitanata dalla ricorrente
Mercedes Bresso non sono più 1.033.989, come inizialmente computati,
ma solo 1.021.425 e il presidente Roberto Cota ha vinto le elezioni per
21.850 voti.
Su tale dato, meramente fattuale, il TAR avrebbe quindi dovuto
procedere alla valutazione della sussistenza o meno del permanere
dell’interesse a ricorrere in capo alle ricorrenti principali.
Infatti l’effetto previsto dall’art. 130 comma 10 e 11 c.p.a.: correzione del
risultato elettorale si era già prodotto in esito alla richiamata sentenza
della Cassazione Penale n. 42162/2013; il paradosso è che tale effetto
14
non aveva colpito la lista Pensionati con Cota, bensì aveva demolito la
lista Pensionati ed invalidi per Bresso.
Peraltro gli argomenti spesi dal Tar a dimostrazione del fatto che nel
caso di specie non sussisterebbe carenza d’interesse ad agire delle
appellate
collidono
anche
contro
la
consolidata
ed
univoca
giurisprudenza in materia ed addirittura si infrangono contro le
argomentazioni spese dal medesimo TAR Piemonte ai punti 3.5.2 e 3.5.3
della sentenza parziale del 6.08.2010 ove motiva “L’ammissione di una
lista è solo “possibilmente”, ossia potenzialmente, lesiva ed è predicabile
tale, per lo più solo all’esito della competizione, allorché la lista
illegittimamente ammessa, con i voti conseguiti, abbia inciso sul risultato
elettorale, spiegando efficacia causale sulla vittoria di un candidato
piuttosto che del secondo in graduatoria e sulla primazia di una
coalizione piuttosto che di un’altra.
Circostanza che può essere apprezzata con sufficiente verosimile
aderenza al dato reale solo all’esito delle elezioni, allorché a seguito
dello spoglio sono noti nel numero i voti che quella lista ha ottenuto e che
automaticamente si estendono al candidato alla carica di Presidente.
Invero, in linea di ulteriore affinamento concettuale, potrebbe dirsi che la
lesività del provvedimenti di ammissione di una lista si atteggia in
maniera diversa in rapporto alla qualità della parte ricorrente. L’elettore
semplice,che in forza dell’actio popularis ammessa in materia, insorga
contro
una
lista
che
assume
illegittimamente
ammessa,
può
astrattamente qualificarsi leso da una competizione elettorale in qualche
modo alterata dall’illegittima partecipazione di quella lista e teoricamente
ritenersi immediatamente leso.
Ma, osserva il Collegio, ove, come nella presente controversia, a
ricorrere avverso l’ammissione di una lista sia una compagine politica, un
candidato sconfitto, ancorché egli agisca anche nella sua accessoria e
secondaria qualità di semplice elettore – qualità evidentemente
strumentale e servente a corroborare la sua legittimazione a
ricorrere – lo sguardo dell’interprete che debba assodare la sussistenza
della
condizione
dell’azione
costituita
dall’interesse
a
ricorrere
immediato ed attuale attraverso il faro guida illuminante della lesività
15
immediata ed attuale, quello sguardo deve necessariamente proiettarsi
sull’incidenza
della
partecipazione
della
lista
asseritamente
illegittimamente ammessa, sul concreto esito delle elezioni.
Perché è questo il bene della vita cui il candidato sconfitto
concretamente aspira”.
Ciò almeno era quanto aveva sostenuto il TAR Piemonte nel giudizio
pendente tra le parti in causa con la sentenza parziale del 6 agosto 2010,
quando si cimentava nell’impervio tentativo di giustificare la tardività del
ricorso delle ricorrenti, proposto diverse settimane oltre il termine di
decadenza (termine che opera sotto il profilo sostanziale come sanatoria
del voto, rendendo il risultato elettorale imperturbabile), utilizzando
all’uopo proprio il pretesto della verifica in concreto della prova di
resistenza come requisito fondante l’interesse ad agire.
All’epoca evidentemente il TAR Piemonte non era così convinto che “Al
contrario, una volta acclarata la rilevanza numerica delle liste
illegittimamente
ammesse
alla
competizione
elettorale,
l’effetto
perturbatore che ne discende sull’espressione della volontà degli elettori
è da intendersi come direttamente proporzionale al numero e alla portata
di dette liste illegittime”. Assunto che, pur tralasciando quello che direbbe
il povero Newton di un tale fine ragionamento, va a cozzare con i più
banali principi dell’aritmetica e della meccanica classica, per cui
intuitivamente anche un bambino comprende che quantitativi opposti non
si rafforzano vicendevolmente ma si elidono.
Oggi, invece, profondamente mutato il proprio convincimento, il Giudice
sabaudo, arriva ad ammettere il paradossale, sostenendo di fatto che le
elezioni devono essere annullate tutte le volte in cui il numero dei voti
non correttamente assegnati, ovvero il numero di voti ottenuti da liste
contestate (indifferentemente interne o esterne alla coalizione vittoriosa)
sia superiore al delta differenziale di voti le due coalizioni che hanno
ottenuto il maggior numero di voti. Con la inevitabile ricaduta pratica,
che, creato il precedente, per il futuro qualsiasi soggetto per il quale
risultato elettorale non corrisponda alla propria massima aspettativa,
potrà anche autodenunciando irregolarità presenti nelle proprie liste
ottenere l’annullamento di elezioni non confacenti alle proprie ambizioni.
16
A differenza di quanto erroneamente sostenuto dal Giudice piemontese è
invero vastissimo il panorama giurisprudenziale che ribadisce che il
mancato superamento della prova di resistenza determina la carenza di
interesse a ricorrere rilevabile d’ufficio, anche con specifico riferimento
alla materia elettorale, citiamo le seguenti massime:
Consiglio di Stato, sez. V, 15 ottobre 2012 n. 5276: “È inammissibile, per
carenza d'interesse, il ricorso contro un provvedimento qualora,
dall'esperimento della cd. prova di resistenza e in esito a una verifica a
priori, risulti con certezza che il ricorrente non avrebbe comunque
ottenuto il bene della vita perseguito nel caso di accoglimento del ricorso,
occorrendo infatti avere riguardo alla possibilità concreta di vedere
soddisfatta la pretesa sostanziale fatta valere”;
Consiglio di Stato, sez. VI, 05 ottobre 2010 n. 7300: “È inammissibile il
ricorso per il quale non viene fornita la c.d. prova di resistenza ossia che,
in mancanza delle illegittimità denunciate, la ricorrente avrebbe vinto la
gara”;
Consiglio di Stato, sez. V, 25 maggio 2010 n. 3305: “Nel processo in
materia elettorale al g.a. è consentito esercitare i suoi poteri istruttori, in
tal modo riesaminando l'attività amministrativa svoltasi durante la
consultazione, … solo se i vizi siano enunciati con un'analiticità
sufficiente a delimitare sia la doglianza dedotta, sia la sua incidenza, ai
fini dell'accertamento dell'interesse a ricorrere, sul risultato elettorale
conclusivo,
onde
evitare
ogni
uso
strumentale
del
giudizio,
conseguentemente rivelandosi inammissibile un ricorso generico …
oppure che non superi la c.d. prova di resistenza, in presenza di
elementi
oggettivi
che
impediscano
d'intravedere
un
qualunque
vantaggio giuridico per il ricorrente”. Conf. T.A.R. Firenze (Toscana), sez.
II, 17 ottobre 2012 n. 1629;
T.A.R. Salerno (Campania), sez. I, 14 novembre 2011 n. 1830 “… è
inammissibile quel ricorso elettorale che … non superi la cd. prova di
resistenza, laddove sussistano elementi oggettivi che impediscono di
intravedere un qualunque vantaggio giuridico per il ricorrente; in
particolare chiarendosi, in applicazione del principio relativo alla cd.
«prova di resistenza», che ove l'eliminazione della illegittimità non
17
determini alcuna favorevole modifica del risultato acquisito dalla
lista del ricorrente, deve dichiararsi inammissibile per difetto di
interesse la censura proposta”.
Il fatto poi che, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza
gravata, la carenza di interesse quale condizione dell’azione sia rilevabile
d’ufficio in ogni stato e grado del processo e la sua assenza determini
l’improcedibilità del ricorso principale è principio altrettanto pacifico e
corroborato da copiosa ed univoca giurisprudenza.
Ex multis Consiglio di Stato, sez. III, 18 giugno 2013 n. 3330:
“...L'improcedibilità del ricorso per carenza di interesse è questione
rilevabile anche d'ufficio in ogni fase del giudizio, e quindi anche solo in
appello”. Ed ancora Consiglio di Stato, sez. V, 03 giugno 2013 n. 3035:
“l'eventuale inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di
interesse può formare oggetto di motivo d'appello anche qualora la
relativa eccezione non sia stata sollevata in primo grado, trattandosi di
questione rilevabile anche d'ufficio dal giudice in quanto attinente alla
sussistenza di una condizione dell'azione”. Consiglio di Stato, sez. IV,
25 gennaio 2013 n. 489: “Se il giudice di primo grado non si è
pronunciato sulla legittimazione e sull'interesse a ricorrere … la relativa
eccezione può essere sollevata per la prima volta in appello anche con
semplice memoria, afferendo a questione rilevabile d'ufficio”. Cons.
giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 09 luglio 2012 n. 576: “L'interesse al
ricorso è una condizione dell'azione e deve persistere sino al momento
della decisione. L’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza
di interesse può essere rilevata, anche d'ufficio, ogni qualvolta si verifichi
una situazione di fatto o di diritto del tutto nuova e sostitutiva rispetto a
quella esistente al momento della proposizione del gravame, tale da
rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza, essendo venuta meno
per il ricorrente qualsiasi utilità, anche soltanto strumentale, della
pronuncia del giudice”. Consiglio di Stato, sez. V, 23 ottobre 2013 n.
5131: “le
condizioni che devono sussistere al momento della
proposizione della domanda e permanere fino al momento della
decisione sono: il cd. titolo o possibilità giuridica dell'azione … l'interesse
ad agire ex art. 100 c.p.c. (o interesse al ricorso, nel linguaggio corrente
18
del processo amministrativo) … la "legitimatio ad causam" (o
legittimazione attiva/passiva, discendente dall'affermazione di colui che
agisce/resiste in giudizio di essere titolare del rapporto controverso dal
lato attivo o passivo)… L'eventuale inammissibilità del ricorso di primo
grado per carenza di interesse può formare oggetto di motivo d'appello o,
comunque, essere sollevata in grado d'appello anche con semplice
memoria, sempre che il giudice di primo grado non si sia espressamente
pronunciato sul punto di diritto e sullo stesso non si sia pertanto formato
il giudicato, anche qualora la relativa eccezione non sia stata sollevata in
primo grado, trattandosi di questione rilevabile anche d'ufficio dal giudice
in quanto attinente alla sussistenza di una condizione dell'azione”. Ed
ancora Consiglio di Stato, sez. III, 30 gennaio 2012 n. 445; Consiglio di
Stato, sez. III, 11 dicembre 2012 n. 6353; Consiglio di Stato, sez. IV, 30
novembre 2010 n. 8350.
E proprio in virtù del fatto che la carenza di interesse ad agire, in
assenza del superamento della prova di resistenza, si configura come
condizione dell’azione la cui sussistenza va accertata in via pregiudiziale
rispetto all’esame del merito della vicenda risultano inficiate le ulteriori
argomentazioni illustrate dal TAR Piemonte al capoverso 1.17 della
sentenza gravata ove motiva: “la radicalità dell’interesse dedotto supera
la necessità di un riconteggio di voti in funzione di una loro possibile
diversa attribuzione, sicché non vi è spazio per verificare se
effettivamente - in applicazione del criterio della prova di resistenza l’illegittimità denunciata possa tradursi in un rovesciamento dell’esito
elettorale in misura favorevole alle posizioni rappresentate dalla parte
ricorrente. Al contrario, una volta acclarata la rilevanza numerica delle
liste illegittimamente ammesse alla competizione elettorale, l’effetto
perturbatore che ne discende sull’espressione della volontà degli elettori
è da intendersi come direttamente proporzionale al numero e alla portata
di dette liste illegittime. Sicché, come meglio si chiarirà nel prosieguo
esaminando gli effetti invalidanti degli atti impugnati, l’assommarsi di liste
illegittime, anche se collocate su fronti contrapposti della competizione
elettorale, giammai attenua, ma al più aggrava, l’effetto di alterazione
della corretta espressione del voto, che è alla base, laddove se ne
19
apprezzi
una
non
trascurabile
consistenza
quantitativa,
della
invalidazione generale della procedura elettorale”
“La radicalità dell’interesse dedotto” non supera certo l’ordine di esame
delle questioni e certamente non comporta né uno stravolgimento né un
asservimento né l’anteposizione dell’esame delle domande di merito alle
questioni pregiudiziali di merito. Ed ancora una volta a smentire
seccamente la suggestiva ma infondata tesi del TAR è la copiosa ed
univoca giurisprudenza che precisa che “l’assenza di interesse ad
agire è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento
poiché costituisce un requisito per la trattazione del merito per la
domanda” Cass. Civ. 3330/2002, Cass. 5593/1999, Cass. 3429/1994..
Del tutto infondata pare quindi la tesi del TAR ove sostiene che “la
radicalità dell’interesse dedotto” azzererebbe lo “spazio per verificare se
effettivamente - in applicazione del criterio della prova di resistenza l’illegittimità denunciata possa tradursi in un rovesciamento dell’esito
elettorale”.
Qualunque sia l’interesse dedotto le questioni pregiudiziali di merito, tra
le quali pacificamente rientra l’interesse ad agire, devono essere
esaminate in via pregiudiziale rispetto al merito e laddove il Giudice –
che è tenuto alla valutazione della pregiudiziale - ravvisi la fondatezza
della pregiudiziale non può spingersi all’esame del merito. Trancianti
paiono sul punto le seguenti massime: “l’accertamento e la valutazione
dell’interesse ad agire (da compiersi in via preliminare prescindendo
dall’esame del merito della controversia e dall’ammissibilità della
domanda sotto altri e diversi profili) si risolve in un’indagine sull’idoneità
astratta della pronuncia richiesta al conseguimento del risultato utile
sperato e non altrimenti conseguibile se non con l’intervento del giudice e
va, pertanto, distinta dalla valutazione del diritto sostanziale fatto valere
in giudizio…” Cassazione 4984/2001; “l’interesse ad agire o a resistere in
giudizio ex art. 100 deve essere apprezzato in relazione all’utilità
concreta che dall’eventuale accoglimento della domanda dell’eccezione
o del gravame può derivare al proponente prescindendo da ogni indagine
sul merito della controversia e dal suo prevedibile esito” Cass. Civ.
13906/2002, 10708/93, 7319/93, 11319/90, 7709/90.
20
Ai paragrafi 2 e seguenti sino al 2.4 il TAR considera “le ulteriori
eccezioni preliminari sollevate dai controinteressati in ordine alla carenza
di legittimazione ad agire di Staunovo Polacco Luigina [parentesi:
rinviata a giudizio per i falsi della propria lista, udienza 19 giugno
2014] (pag. 5, memoria depositata il 24 dicembre 2013) e alla
inammissibilità del ricorso per conflitto di interessi delle ricorrenti”
evidenziando come “l’ampia latitudine delle posizioni azionate inficia la
dedotta inammissibilità del ricorso introduttivo”. In un enfatico crescendo
addirittura individua tra gli “interessi strumentali, tra le due ricorrenti”
meritevole di tutela il fatto che “il risultato elettorale non ha corrisposto
alla massima aspettativa della Bresso di conseguire la presidenza della
Giunta Regionale” come dire: il frustrato interesse della Bresso val
bene il ritorno al voto di tutti gli elettori del Piemonte.
Ebbene. Come già precedentemente evidenziato, il Giudice che aveva
argomentato, a contrario, azzerando la rilevanza attribuita nella sentenza
impugnata alla variegata moltitudine di interessi attribuiti alle ricorrenti
principali a fondamento della loro legittimazione è paradossalmente lo
stesso TAR che nel pronunciare la sentenza parziale
n. 3196 del
06.08.2010 aveva deciso “osserva il Collegio, ove, come nella presente
controversia, a ricorrere avverso l’ammissione di una lista sia una
compagine politica, un candidato sconfitto, ancorché egli agisca anche
nella sua accessoria e secondaria qualità di semplice elettore – qualità
evidentemente strumentale e servente a corroborare la sua
legittimazione a ricorrere – lo sguardo dell’interprete che debba
assodare
la
sussistenza
della
condizione
dell’azione
costituita
dall’interesse a ricorrere immediato ed attuale attraverso il faro guida
illuminante della lesività immediata ed attuale, quello sguardo deve
necessariamente proiettarsi sull’incidenza della partecipazione
della lista asseritamente illegittimamente ammessa, sul concreto
esito delle elezioni. Perché è questo il bene della vita cui il candidato
sconfitto concretamente aspira”.
Solamente che lì l’argomento era fondamentale per sostenere l’errore
scusabile e la non tardività del ricorso, ora al TAR Piemonte, invece, è
21
utile asserire incredibilmente il contrario per sostenere l’interesse ad
agire delle ricorrenti.
Della serie vale tutto e, se necessita, il contrario di tutto al TAR
Piemonte!
II
Al paragrafo 3 il TAR argomenta che “Nessuna statuizione e
conseguente preclusione è intervenuta, invece, in ordine alla possibilità
per
questo
T.A.R.
di
valutare
autonomamente
altre
pronunce
giurisdizionali attestanti, con efficacia equivalente a quella emessa in
esito a querela ex art. 221 c.p.c., dette ipotesi di falso. La tematica del
falso penale, infatti, oltre a risultare estranea alle argomentazioni
contenute in sentenza, non appare in alcun modo connessa alla
questione - oggetto della pronuncia parziale - dell’accertamento
autonomo del falso da parte del giudice amministrativo. In definitiva, dal
giudicato maturato sulla pronuncia parziale non discende alcun effetto
preclusivo alla disamina degli esiti del giudizio penale maturati in
parallelo allo svolgimento del presente procedimento”. Tale argomento,
totalmente destituito di fondamento, sottende invero la necessità per il
Giudice amministrativo di scavalcare il corpus normativo processuale e
sostanziale che gli impone di attendere l’esito del giudizio per querela di
falso, per accedere direttamente ad un non codificato e non meglio
identificato giudizio incidentale di “equipollenza tra il giudizio civile di
falso e procedimento penale di falso” .
La inconsistenza motivazionale del TAR si infrange però contro il
baluardo
rappresentato
dalla
lapidaria
motivazione
della
Corte
Costituzionale che con la sentenza n. 304 /2011 (quella a noi
afferente!) ha scolpito il seguente principio di diritto: “La devoluzione al
giudice civile della querela di falso rappresenta una opzione di sistema,
non soltanto, come si è accennato, di risalente e costante tradizione, ma
anche rispondente a persistenti valori ed esigenze di primario risalto: tra
questi la necessaria tutela della fede pubblica, che in determinate ipotesi
– quale è quella degli atti muniti di valore fidefacente privilegiato a norma
22
dell’art. 2700 cod. civ. – deve essere assicurata a prescindere dalla sede
processuale in cui l’autenticità dell’atto sia stata, incidentalmente, messa
in dubbio. La certezza e la speditezza del traffico giuridico – che
rappresentano, come è noto, il bene finale presidiato dal regime
probatorio normativamente riservato a determinati atti – potrebbero
risultare, infatti, non adeguatamente assicurate ove l’accertamento sulla
autenticità dell’atto fosse rimesso ad un mero “incidente”, risolto
all’interno di un determinato procedimento giurisdizionale, senza che tale
verifica avesse effetti giuridici al di là delle parti e dell’oggetto dello
specifico procedimento ….. La verifica della falsità da parte del giudice
ordinario – destinata a confluire nel processo amministrativo ai fini della
definizione della controversia – oltre a rinvenire la sua giustificazione nel
sistema delle tutele di cui alle linee di sviluppo sommariamente indicate,
è comunque in grado di assicurare un livello di protezione conforme alle
prescrizioni costituzionali e internazionali.”
Va ancora stigmatizzato che il costrutto argomentativo del TAR è
contraddetto e vanificato dalla sua precedente sentenza parziale
3196/2010 con cui aveva già stabilito che: “le certificazioni di
autenticazione sottoposte alla sua attenzione posseggono i tratti distintivi
noti dell’atto pubblico, assunta da pubblico ufficiale e come tale assistito
da fede privilegiata ex art. 2700 c.c., revocabile in dubbio e contestabile
unicamente mediante lo strumento processuale della querela di falso
disciplinata agli artt. 221 e seguenti c.p.c..”. Ma anche qui,
evidentemente, vale tutto ed il contrario di tutto!
Come se ciò non bastasse, sul capo della sentenza che ha stabilito la
necessità della querela di falso, avverso l’appello delle ricorrenti codesto
Ecc.mo Consiglio di Stato con sentenza n. 4395 del 01.08.2012 ha
ribadito con identiche parole il principio secondo cui “le certificazioni di
autenticazione sottoposte alla sua attenzione posseggono i tratti distintivi
noti dell’atto pubblico, assunto da pubblico ufficiale e come tale assistito
da fede privilegiata ex art. 2700 c.c., revocabile in dubbio e contestabile
unicamente mediante lo strumento processuale della querela di falso
disciplinata agli artt. 221 e seguenti c.p.c..”.
23
Sulla questione si era quindi formato un giudicato interno che non
poteva essere modificato né riesaminato dal TAR. Sul punto citiamo
Cass. 2494/2012 che ha argomentato che: “Nel caso di pronunzia di
sentenza non definitiva, il giudice si spoglia della potestas iudicandi
relativa alle questioni decise, delle quali gli resta precluso il riesame – sia
in ordine alle questioni definite che in ordine a quelle da esse dipendenti
– salvo che detta sentenza non venga riformata con pronunzia passata in
giudicato a seguito di impugnazione immediata. Ne consegue che tale
giudice non può risolvere le medesime questioni in senso diverso con la
sentenza definitiva: il giudice del gravame, anche di legittimità, può
rilevare d'ufficio la violazione del giudicato interno originante dalla
sentenza non definitiva, a nulla rilevando che la violazione non abbia
costituito oggetto di specifica impugnazione (Cass. civ., sez. III, agosto
2009, n. 18898/2009)” Ed ancora: “Nel caso di pronuncia di sentenza
non definitiva, il giudice si spoglia della potestas iudicandi relativa alle
questioni decise, delle quali gli resta precluso il riesame - sia in ordine
alle questioni definite che in ordine a quelle da esse dipendenti - salvo
che detta sentenza non venga riformata con pronuncia passata in
giudicato, a seguito di impugnazione immediata; ne consegue che tale
giudice non può risolvere le medesime questioni in senso diverso con la
sentenza definitiva e, ove lo faccia, il giudice del gravame, anche di
legittimità, può rilevare d'ufficio la violazione del giudicato interno
originante dalla sentenza non definitiva, a nulla rilevando che la
violazione non abbia costituito oggetto di specifica impugnazione.”
Cassazione civile sez. III del 31 agosto 2009 n. 18898.
In ogni caso non è il “giudicato maturato sulla pronuncia parziale” a non
far discendere “alcun effetto preclusivo alla disamina degli esiti del
giudizio penale maturati in parallelo allo svolgimento del presente
procedimento” come chiosa, errando, il TAR, al paragrafo 3.6. L’effetto
preclusivo è la conseguenza immediata e diretta del corpus normativo
sostanziale e processuale che impone, che: “per contestare l'autenticità
di un atto pubblico [2700 c.c. o scrittura privata autenticata 2703 c.c.]
occorre provarne la falsità davanti al competente giudice attraverso
l'apposita querela di falso. Querela di falso che è proponibile unicamente
innanzi al Tribunale Ordinario, ai sensi dell'art. 9 comma 2, c.p.c., e ciò,
24
per quanto disposto dall'art. 28, comma 3, del r.d. 26 giugno 1924 n.
1054 e dell'art. 8 comma 2, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034( v. ora
l'art. 77 del d. lgs. n. 104 del 2 luglio 2010, recante il Codice del
Processo amministrativo), anche quando la questione riguarda una
controversia giurisdizionale amministrativa.” Consiglio di Stato sez. V
sentenza n. 11 del 04 gennaio 2011.
III
Il paragrafo 4 della sentenza impugnata, pur non veicolando argomenti di
immediata portata precettiva contiene però errori sia nella ricostruzione
dei fatti sia negli argomenti giuridici.
L’aspetto curioso è che gli errori del TAR afferenti le vicende processuali
dei signori Giovine ripropongano, assumendola come vera, la medesima
fallace ricostruzione dei fatti operata dalle appellanti nelle difese di primo
Grado. Il TAR, pur disponendo di tutti gli atti penali a carico di Michele e
Carlo Giovine non considera minimamente che in detti atti non viene
trattato il falso materiale in capo ai signori Giovine in quanto viene
approfondito unicamente quello ideologico, ma operando una sorta di
valutazione di equipollenza tra le ricostruzioni storica e giuridiche
assunte dalle appellate e la “verità assoluta”, sposa a priori tutte le tesi
sostenute delle appellate.
Motiva sul punto il Collegio, dando prova di aver male approfondito forse
anche per l’influenza travisante dei media la vicenda penale che ha
coinvolto Michele e Carlo Giovine, che nelle condotte sanzionate “si sono
estrinsecate fattispecie di falso materiale (l’apposizione di firme mediante
utilizzo di nome e cognome di altra persona) e di falso ideologico
(l’autenticazione di firme effettivamente apposte dagli aventi diritto ma
certificate in data e luoghi diversi da quelli riportati sui documenti).
In particolare, il falso ideologico accertato è originato dal fatto che alcuni
dei pretesi firmatari dei moduli di accettazione della candidatura in
qualche caso non li avevano sottoscritti in presenza degli imputati,
mentre in altri casi non avevano mai neppure avallato [così in
motivazione] l’accettazione della candidatura, apponendo a tal fine la
25
propria firma, oppure erano addirittura allo scuro di essere inseriti nella
lista dei candidati”.
Tali premesse ed in particolare quelle inerenti le condotte di falso
materiale, al contrario, non sono state penalmente accertate e
risultano solo allegate negli atti difensivi delle ricorrenti Staunovo e
Bresso (da ultimo alle pagg. 24 e 28 nella memoria depositata al Tar in
data 24 dicembre 2013). Infatti proprio nelle motivazioni della sentenza
della Corte di Appello di Torino il giudice, rifiutando la domanda di
rinnovazione dibattimentale tesa all’esperimento di una perizia grafica
avanzata nei motivi di impugnazione dalle difese degli imputati, ha
affermato come risultasse superfluo ed estraneo al giudizio accertare
eventuali condotte di falso materiale. Il risultato di tale valutazione è che
condotte di falso materiale non risultano comprovate come peraltro si
evince dalla stessa declaratoria di falsità del giudice di prime cure, la
quale interessa esclusivamente le autenticazioni di candidatura, senza
riferirsi in alcun modo alle sottoscrizioni dei candidati.
E’ dato pacifico che a fronte del portato di cui all’art. 537 c.p.p. ove il
giudice accerti la falsità di un atto o un documento lo dichiari nel
dispositivo. Là dove il giudice penale avesse ritenuto accertata la falsità
materiale anche delle sottoscrizioni dei candidati avrebbe provveduto con
specifica declaratoria di falsità, proprio come il Tribunale di Torino fa
rispetto alle accettazioni di candidatura dei candidati delle liste
Pensionati e Invalidi per Bresso nella sentenza dell’11 dicembre 2012 e
nella successiva ordinanza del 21 dicembre 2013 con cui si dichiara la
falsità sia delle sottoscrizioni dei candidati presenti sulle accettazioni di
alcune candidature, sia dell’autenticazione degli atti di presentazione
delle otto liste provinciali, orinandone la cancellazione e operando solo
così una distinzione tra condotte di falso materiale solo in questo caso
effettivamente accertate e falso ideologico.
Oltre che nei fatti invero il ragionamento del Giudice Piemontese è viziato
in diritto in quanto con ripetute affermazioni apodittiche dà per scontati ed
assodati fatti che invece assodati non sono. Afferma il TAR al capo 4.2
“L’accertata falsità delle diciassette autenticazioni di firma si innesta
come dato rilevante nel presente giudizio in quanto inficia la validità
26
dell’atto di ammissione della lista provinciale “Pensionati per Cota”. 4.3
“La mancanza o la irritualità di detto elemento essenziale della fattispecie
determina non la mera irregolarità, ma la nullità insanabile della
sottoscrizione, e, quindi, dello stesso atto di presentazione delle
candidature” 4.5 “ … risultando irrilevanti le ulteriori produzioni
documentali riferite alle motivazioni della pronuncia penale, in quanto
afferenti a materia estranea alla statuizione accessoria del falso
documentale.” Invero ciò che è irrilevante nel processo amministrativo è
l’intero processo penale a carico dei signori Giovine perché afferente a
materia estranea al giudizio per querela di falso.
L’accertamento del falso in sede penale ha tutt’altra finalità rispetto
all’accertamento per querela di falso in atto fidefaciente che deve
necessariamente essere operato dal Giudice naturale precostituito per
legge rappresentato dal Giudice Civile investito dal legislatore di
cognizione esclusiva. Il processo penale è finalizzato alla tutela di un
diverso bene giuridico rispetto al processo per querela di falso. Si svolge
nei confronti di parti differenti rispetto ai necessari contraddittori del
processo per querela di falso e con differenti guarentigie. Non si possono
quindi surrettiziamente equiparare i due procedimenti (quello penale di
falso e quello civile per querela di falso) assumendo che entrambi hanno
ad oggetto la falsità delle autentiche per travasare gli esiti di quello
penale in quello civile di falso.
Non si possono, in ultima analisi, equiparare i differenti piani ed ambiti
processuali per superare l’ostacolo rappresentato dal fatto che il
processo civile, esclusivamente a causa dell’inerzia e della condotta
processuale degli attrici, si è svolto più lentamente di quello penale,
ovvero lo scoglio ancor più grave determinato dall’incertezza dell’esito
del processo civile per querela di falso stante la mancata integrazione del
contraddittorio ad opera delle appellate nel termine perentorio assegnato
dal Giudice Civile.
IV
27
Al capo 5 della sentenza gravata il TAR finalmente arriva a trattare quello
che definisce il tema centrale del processo, ovvero “l’equipollenza tra il
giudizio civile di falso e procedimento penale di falso”.
Nell’intraprendere la valutazione di “equipollenza” Il Tar decide di
ignorare le norme processuali (art. 8 e 77 c.p.a. e 221 e segg. c.p.c.) e le
norme sostanziali (art. 2700 e segg. c.c.) che impongono la sospensione
del processo amministrativo e l’accertamento della falsità dell’atto
fidefaciente con lo strumento della querela di falso.
Decide di superare il fatto che sulla necessità di procedere col giudizio
per querela di falso si era già espresso in termini positivi con la sentenza
3196/2010 e sul punto la pronuncia era passata in giudicato e non più
suscettibile di revisione.
Decide di ignorare che il procedimento per querela di falso è tuttora
incardinato e pendente avanti la Corte d’Appello di Torino con rischio di
contrasto di giudicati.
Decide di ignorare le precise indicazioni fornite dalla sentenza della
Corte Costituzionale n. 304/2011 che evidenziava come “l’ultracentenaria
tradizione … perseguita via via con le norme di riforma del sistema e
degli istituti di giustizia amministrativa … di riservare al giudice civile la
risoluzione … dell’incidente di falso” rispondesse ad esigenze di
“assicurare in tema di atti muniti di fede privilegiata … la necessità di
una certezza erga omnes e …. Una sede ed un modello unitari…”.
Decide di ignorare che secondo la motivazione della Cassazione a
Sezioni Unite 6082/2013 ove si seguisse la strada dell’equipollenza si
concretizzerebbe un eccesso di potere del Giudice amministrativo per
invasione della sfera esclusiva di competenza del Tribunale.
Ritenendo quindi erroneamente di aver bypassato il quadro normativo e
giurisprudenziale che impone di procedere con la querela di falso e di
aver superato l’ostacolo della sopravvenuta carenza di interesse ad agire
delle appellate in forza della cancellazione delle lista Pensionati ed
invalidi per Bresso operata dalla Cassazione Pen. 42162/13, il TAR si
dedica alla trattazione della “equipollenza tra il giudizio civile di falso e
procedimento penale di falso”.
28
La
questione
viene
affrontata
dal
Giudice
Amministrativo
sostanzialmente sotto un duplice profilo:
“l’efficacia e opponibilità in altri giudizi del giudicato sulla declaratoria di
falso, pronunciata ai sensi dell’art. 537 c.p.p.” Paragrafo 5.1 della
sentenza gravata
che configurerebbe “statuizione di accertamento di
valenza civilistica” paragrafo 5.9.
La “ratio di favor veri dell’art. 537 c.p.p., al quale si ascrive la duplice
funzione di tutela della fede pubblica - realizzabile mediante la rimozione
integrale dalla circolazione dell'efficacia probatoria del documento
riconosciuto falso - e di attuazione dell’economia processuale nell’ambito
dei rapporti tra giudizio civile e penale di falso” Paragrafo 5.4 della
sentenza gravata.
Diciamo subito che entrambi gli argomenti sono totalmente destituiti di
fondamento e gli equilibrismi giuridici in cui è confinato il ragionamento
del TAR si infrangono contro un corpus normativo e giurisprudenziale
che va in direzione diametralmente opposta.
Sulla prima questione: l’efficacia e opponibilità in altri giudizi del giudicato
sulla declaratoria di falso, pronunciata ai sensi dell’art. 537 c.p.p. il TAR
si premura immediatamente di spiegare che la giurisprudenza ha offerto
scarse e inappaganti occasioni di approfondimento, ragion per cui le
occasioni di approfondimento le crea direttamente il TAR affermando
con un argomento a dir poco strabiliante che l’art. 537 c.p.p. consterebbe
di un’azione accessoria con valenza civilistica.
Non è così. Intanto l’art. 537 c.p.p. è collocato nel libro VII Titolo III Sez.
II del codice di procedura penale che tratta la “Sentenza di Condanna”
penale mentre solo dall’art. 538 in poi il codice di procedura penale tratta
della “Decisione sulle questioni civili”. In secondo luogo la giurisprudenza
esistente è approfondita e tutt’altro che poco appagante e non vi è alcun
altro Giudice all’infuori del TAR Piemonte che abbia mai osato sostenere
che l’art. 537 ha valenza civilistica.
Invero le pronunce giurisprudenziali sul punto si sono sempre ed
unicamente limitate ad affermare che nell’art. 537 c.p.p. sono rinvenibili
29
due
azioni
distinte:
una
principale
volta
all’accertamento
della
colpevolezza dell’autore della condotta e l’altra accessoria.
Accessoria quindi e non di valenza civilistica che è concetto distinto e
ben diverso.
Prima di esaminare la giurisprudenza in materia è opportuno però
svolgere una breve premessa che dimostra quanto il ragionamento del
TAR sia errato e lacunoso in quanto la motivazione non tiene conto di un
presupposto fondamentale.
Ci si riferisce al fatto che l’art. 537 c.p.p. tratta dei falsi in genere e non
specificamente dei falsi in atto pubblico. La querela di falso invece è
l’unico strumento previsto dall’ordinamento per revocare in dubbio
l’efficacia di un atto fidefacente. Assumere che la valenza civilistica (che
non esiste) della pronuncia ex art. 537 c.p.p. sarebbe sovrapponibile alla
pronuncia in ambito civile sulla querela di falso significa sostenere che il
Dott. Pescatore, estensore della motivazione, con tre righe è riuscito a
cancellare magicamente la “ultra centenaria” tradizione del processo per
querela di falso richiamata dalla Corte Costituzionale con la nota
sentenza 304/2011.
Per il TAR Piemonte i falsi non sono tutti uguali: quelli che
riguardano la lista della Bresso e della Luigina Staunovo Polacco,
evidentemente sono “meno falsi” o “non proprio falsi” (insomma,
quasi veri!) rispetto ai falsi dei Pensionati con Cota!
Per il TAR Piemonte invece la tipologia dei falsi è tutta uguale: sia quelli
in atti pubblici che quelli privati. Vale tutto! Non solo.
Per il TAR Piemonte anche i processi sono tutti uguali e quindi non
cambia nulla se l’accertamento di falsità in atto pubblico, devoluto al
giudice civile (in composizione collegiale), viene invece svolto solo da
quello penale (monocratico) in quanto l’art. 537 c.p.p. avrebbe valenza
civilistica.
Di tutt’altro avviso rispetto agli assunti del TAR sono però le sentenze in
materia. Tra i precedenti menzionati dal TAR la Cass. Civ., sez. I, 22
novembre 1996, n. 10358 così motiva: “È stato ritenuto in giurisprudenza
che la declaratoria di falsità di un documento che a norma degli art. 380
30
e 480 C.P.P. sia stata resa nel corso di procedimento penale instaurato a
carico
del
presunto
autore
di
detta
falsità
e
conclusosi
con
proscioglimento in rito (nella specie per prescrizione) non può spiegare
autorità di giudicato nel giudizio civile a norma dell'art. 28 C.P.P. nel
testo risultante a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 551971 nei confronti di terzi che siano rimasti estranei a quel procedimento
penale (Cass. civ. 1 13 luglio 1979 n. 4084). E lo stesso principio va
riaffermato con riferimento all'art. 654 del codice di procedura penale
attualmente vigente, secondo cui nei confronti dell'imputato, della parte
civile e del responsabile civile che si sia costituito o sia intervenuto nel
procedimento penale, la sentenza penale irrevocabile di condanna o di
assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di
giudicato nel giudizio civile o amministrativo quando in questo si
controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui
riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che
furono oggetto del giudizio penale e purché la legge civile non ponga
limitazioni
alla
prova
della
posizione
giuridica
soggettiva
controversa". Ed invero, il procedimento civile e il procedimento
penale relativi alla falsità di uno stesso documento, pur potendo di
fatto sfociare nel medesimo risultato consistente nella eliminazione
dell'efficacia probatoria del documento (rispettivamente, mediante i
provvedimenti di cui all'art. 480 del C.P.P. precedente e dell'art. 537
C.P.P. attuale), hanno tuttavia diverso oggetto e rispondono a
diverse finalità, in quanto il procedimento civile riguarda esclusivamente
il suo contenuto e la sua sottoscrizione; il provvedimento penale,
accertata la falsità, tende a identificarne l'autore (v. al riguardo Cass.
pen. 5 2 maggio 1983 n. 4101, Esposito). Coerentemente, l'art. 537 del
nuovo codice, che riproduce sostanzialmente l'art. 480 di quello
precedente, stabilisce nel primo comma che ‘la falsità di un atto o di un
documento, accertata con sentenza di condanna, è dichiarata nel
dispositivo’ e nel secondo comma che ‘con lo stesso dispositivo è
ordinata la cancellazione totale o parziale, secondo le circostanze, e, se
è il caso, la ripristinazione, la rinnovazione, la riforma dell'atto o del
documento.....’, peraltro con la precisazione che ‘la cancellazione, la
ripristinazione, la rinnovazione o la riforma non è ordinata quando
31
possono essere pregiudicati interessi di terzi non intervenuti come
parti nel procedimento’ (le disposizioni di cui sopra si applicano anche
nel caso di sentenza di proscioglimento a norma del quarto comma).”
La citata motivazione contraddice tutti gli argomenti spesi dal TAR.
1) La sentenza penale irrevocabile di condanna non ha efficacia di
giudicato nel giudizio civile o amministrativo quando la legge
civile ponga limitazioni alla prova della posizione giuridica
soggettiva controversa (leggasi querela di falso).
2) il procedimento civile e il procedimento penale relativi alla falsità
di uno stesso documento hanno diverso oggetto e rispondono a
diverse finalità;
3) l’accertamento di falsità pronunciato ai sensi dell’art. 537 c.p.p.
non ha efficacia erga omnes in quanto tale effetto eventualmente
può derivare solo dall’ordine di cancellazione totale o parziale che
non può essere impartito quando possono essere pregiudicati
interessi di terzi non intervenuti come parti nel procedimento.
Nel medesimo solco si sono collocate tutte le successive pronunce di
legittimità che escludono qualsiasi possibilità di valenza civilistica
dell’azione accessoria insita nell’art. 537 c.p.p. con riferimento al
processo civilstico per querela di falso disciplinato dagli artt. 221 e segg.
c.p.c..
E certamente escludono la equiparabilità tra il processo civile per querela
di falso con quello di falso ex art. 537 c.p.p..
Dalla semplice lettura dell’art. 221 c.p.c. emerge immediatamente come
detto processo sia strutturato in modo totalmente differente rispetto a
quello penale di falso. Nel processo civile il Tribunale (che, in materia, ha
competenza funzionale ed inderogabile - cfr. Cassazione civile, sez. III,
11 dicembre 1991, n. 13384), giudica in composizione collegiale, dal
momento che sia l’art. 225 c.p.c., non modificato dalla Legge 26
novembre 1990, n. 353, dispone espressamente che “sulla querela di
falso pronuncia sempre il collegio”, sia l’art. 221, 3° comma, prevede
l’intervento obbligatorio del pubblico ministero (per gli eventuali riflessi
penalistici
e
per
l’eventuale
indiretta
32
disposizione
di
situazioni
indisponibili) ex art. 70, 1° comma, n. 5), c.p.c... Nel processo penale di
falso non è prevista la collegialità. Nel processo civile la querela deve
contenere, a pena di nullità, “l’indicazione degli elementi e delle prove
della falsità” e le prove devono essere acquisite con modalità e garanzie
tali da consentire il diritto di difesa sulle medesime ad opera di tutte le
parti
interessate,
deve
essere
garantito
il
contraddittorio
con
l’integrazione necessaria del medesimo nei confronti dei soggetti che
dall’eventuale pronuncia di falsità possono essere pregiudicati.
Nessuna delle guarentigie espressamente previste nel processo
disciplinato dagli artt. 221 e segg. c.p.c. è invece rinvenibile
nell’accertamento penale del falso.
A riprova citiamo la Cassazione penale sez. III 23 giugno 2005 n.
33790 che nel richiamare un’autorevole precedente delle Sezioni Unite,
in ordine alla formazione della prova nel falso penale afferma: “Come
noto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno evidenziato che, nel caso di
falsità documentali, concorrono due distinte ed autonome azioni,
suscettibili di epiloghi differenziati: l'azione penale principale, volta
all'accertamento
della
colpevolezza,
o
non,
dell'imputato
ed,
eventualmente, alla pronuncia di condanna, e l'azione, accessoria e
complementare, preordinata alla tutela della fede pubblica e destinata a
concludersi con la declaratoria di falsità allorché, indipendentemente
dall'esito dell'altra azione, la falsità stessa sia accertata dal giudice (SU
RV 214637). Peraltro, dal combinato disposto dell'art. 241 cod. proc.
pen. e secondo comma dell'art. 425 cod. proc. pen., emerge l'esistenza,
nell'ordinamento processuale, di un principio che impone, addirittura, al
giudice la declaratoria della falsità di atti o documenti, quando essa sia
accertata sulla base degli atti, anche a seguito di proscioglimento in esito
all'udienza preliminare (Sez. 6, Sentenza n. 4086 del 13/02/1997 Rv.
207477). Il richiamo all'art. 537 contenuto nell'art. 425 cpp rende
evidente che l'accertamento non deve necessariamente passare per la
fase dibattimentale e, quindi, la prova della falsità richiesta non deve
necessariamente seguire le regole che presiedono alla formazione di
essa nel dibattimento. Le stesse Sezioni Unite, esaminando il caso della
declaratoria di falsità successiva alla sentenza di patteggiamento, hanno
33
ritenuto legittimamente valutabili gli elementi raccolti nella fase delle
indagini preliminari.”
Nel processo penale la prova idonea alla declaratoria di falsità può quindi
essere raggiunta addirittura al di fuori della fase dibattimentale. Le
garanzie e le malleverie caratterizzanti i due processi sono totalmente
differenti.
E’ in ultima analisi evidente che l’azione accessoria e complementare
insita nell’art. 537 c.p.p. non ha né può avere alcuna valenza civilistica i
due procedimenti non possono essere considerati equipollenti o
equiparabili tra loro.
La seconda questione su cui il TAR fonda la motivazione è la
“circolazione dell'efficacia probatoria del documento riconosciuto falso”
(par. 5.4) che a suo dire sarebbe atta “a rimuovere erga omnes l'efficacia
probatoria del documento che ne forma oggetto” (par. 5.9) in quanto
diversamente opinando “si innescherebbe un evidente cortocircuito
logico-giuridico che vanificherebbe, nuovamente, il senso e l’applicazione
della norma” (par. 5.12).
Collega quindi il TAR l’asserita efficacia erga omnes della declaratoria di
falsità contemplata dall’art. 537 c.p.p. alla “tutela di un interesse inerente
alla fede pubblica, sottratto alla disponibilità delle parti” per cui
“condizionare la valenza assoluta e generalizzata di detto accertamento
alla scelta della parte privata di intervenire o meno nel giudizio penale,
significherebbe degradare l’interesse pubblico indisponibile ad un
condizione di piena disponibilità da parte del privato, vanificando l’utilità e
l’impronta pubblicistica della stessa disposizione di cui all’art. 537 c.p.p..
“ (par. 5.10).
Prosegue nel ragionamento sostenendo che ai fini dall’opponibilità erga
omnes
non
contraddittorio”
è
neppure
(par.
necessaria
5.12)
la
essendo
“piena
integrazione
“pressoché
del
impossibile
l’individuazione nominativa dei terzi potenzialmente pregiudicati dalla
pronuncia ex art. 537 c.p.p”
Per chiudere il cerchio si torna al paragrafo 5.4. L’efficacia erga omnes a
dire del TAR accederebbe alla semplice declaratoria di falsità di cui al
34
primo comma dell’art. 537 c.p.p. e ciò determinerebbe automaticamente
“la rimozione integrale dalla circolazione dell'efficacia probatoria del
documento riconosciuto falso” (par. 5.4).
Gli argomenti del TAR, sebbene espressi in maniera suggestiva sono
profondamente errati e la ragione dell’erroneità è immediatamente
desumibile sia dal tenore letterale dello stesso art. 537 c.p.p. che dalle
chiarissime motivazioni della Cassazione Penale contenute nella
sentenza 42162/2013 (prodotta sub. doc. 22) ed ancor prima nelle
motivazioni contenute nella sentenza emessa dalla Cassazione Penale a
Sezioni Unite in data 27.10.1999 al n. 20.
Dal dettato normativo e dai richiami giurisprudenziali operati emerge
infatti che non è assolutamente vero che il procedimento penale di falso
conduce sic et simpliciter “all’eliminazione dell’efficacia rappresentativa
del documento risultato falso”.
L’eliminazione dell’efficacia dell’atto deriva solo ed esclusivamente
dall’applicazione del 2° comma dell’art. 537 c.p.p. ove, con sentenza,
sia “ordinata la cancellazione totale o parziale” dell’atto di cui è stata
accertata la falsità.
La cancellazione deve essere ordinata nel dispositivo della sentenza che
ha accertato la falsità del documento.
Quindi qualora non sia ordinata la cancellazione dell’atto non ne
viene eliminata l’efficacia rappresentativa.
Nell’ambito del processo penale a carico di GIOVINE Michele, i Giudici
investiti della questione non hanno mai ordinato la cancellazione delle
autentiche delle accettazioni di candidature.
Di contro invece nell’ambito del procedimento penale a carico di Di
SILVESTRO la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 42162/13
(doc. 22) ha disposto insindacabilmente (trattandosi di annullamento
senza rinvio) che venissero cancellate le dichiarazioni di collegamento
relative alle 8 liste provinciali della lista PENSIONATI ED INVVALIDI
PER BRESSO.
35
Solo per la lista PENSIONATI ED INVALIDI PER BRESSO è quindi stata
espressis verbis disposta l’eliminazione dell’efficacia rappresentativa
delle 8 liste provinciali e, conseguentemente, dei 12.564 voti ottenuti
dalla lista su base regionale.
La ratio legis è chiaramente espressa sempre dal 2° comma del citato
art. 537 c.p.p. che stabilisce che “la cancellazione, la ripristinazione, la
rinnovazione o la riconferma non è ordinata quando possono essere
pregiudicati
interessi
di
terzi
non
intervenuti
come
parti
nel
procedimento”.
Se si ammettesse che attraverso il giudizio di “equipollenza” può essere
eliminata l’efficacia rappresentativa dell’atto dichiarato falso con la
conseguenza ultima del ritorno alle urne, sarebbe chiaro a tutti che in tale
guisa si opererebbe di fatto una cancellazione (peraltro mai comminata
con sentenza) degli atti in questione con evidente e gravissimo
pregiudizio dei terzi (nel caso di specie i Consiglieri Regionali in carica)
che non sono intervenuti nel procedimento penale né avrebbero avuto la
possibilità di intervenirvi se non come parti civili per esercitare l’azione
civile e cioè per far valere un interesse contrario rispetto a quello di cui
sono portatori..
Ed è questa la ragione per cui è imprescindibile che la declaratoria di
falsità di un atto fidefaciente debba avvenire solo ed unicamente
attraverso lo strumento processuale dei giudizio per querela di falso che,
come ripetutamente ribadito dal Tribunale di Torino con la sentenza n.
7520/2011 che ha definito il giudizio di primo grado per querela di falso,
garantisce a tutti i terzi che possono essere pregiudicati di svolgere
compiutamente le loro difese.
Per la stessa ragione nell’ambito del procedimento penale contro la lista
PENSIONATI ED INVALIDI PER BRESSO la Corte di Legittimità ha
ordinato la cancellazione di tutte le autentiche, e conseguentemente
dell’intera lista, in quanto non vi sono diritti di terzi pregiudicati o
pregiudicabili da tale provvedimento.
Si tratta di un principio pacifico e risalente nel tempo. La Cassazione
penale a Sezioni Unite già con la sentenza n. 20 del 27/10/1999 in
36
materia di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti
pubblici aveva infatti chiarito che: “Non possono trovare accoglimento
neppure le censure dei ricorrenti contro il punto della sentenza
impugnata con cui è stata ordinata la cancellazione degli atti falsi,
motivate in base alla prospettata violazione della disposizione contenuta
nell'art. 537, comma 2, ultima parte, a norma della quale "la
cancellazione.... non è ordinata quando possono essere pregiudicati
interessi di terzi non intervenuti come parti nel procedimento. Deve
premettersi, anzitutto, che l'interpretazione testuale e logica del secondo
comma dell'art. 537 rivela, in modo non equivoco, che mentre la
dichiarazione
di
falsità
costituisce una
conseguenza
necessaria
dell'accertamento di essa, i provvedimenti c.d. riparatori (cancellazione
totale o parziale, ripristinazione, rinnovazione, riforma), volti a realizzare
la restitutio in pristinum dell'atto o del documento su cui è caduta la
falsificazione, hanno, invece, carattere soltanto eventuale, nel senso che
incontrano il limite esplicitamente indicato nella disposizione medesima
e, quindi, non possono essere adottati quando possono essere
pregiudicati
interessi
di
terzi
non
intervenuti
come
parti
nel
procedimento.”
Identico è il ragionamento svolto dalla Suprema Corte con la sentenza
42162/13 (doc. fascicolo TAR 22) che, nell’ordinare la cancellazione
della lista PENSIONATI ED INVALIDI PER BRESSO, oltre all’assenza di
pregiudizio dei terzi rimarca anche come la medesima non abbia
dimostrato il superamento della prova di resistenza (esattamente
come sostenuto da codesta difesa sin dall’atto introduttivo) e sul
punto così argomenta: “Quanto agli eletti, alle liste collegate ed ai
candidati, essi potrebbero ritenersi pregiudicati dalla applicazione dell’art.
537 comma 2, ultima parte, nella misura in cui l'annullamento o la
dichiarazione di nullità dei voti alle liste illegittimamente ammesse alla
competizione elettorale possano aver inciso sulla loro elezione (se vi è
stata) o sulle percentuale di seggi ottenuti. Il che però, comporta
l’espletamento della prova di resistenza, che invece non è stata in
alcun modo esperita dalla sentenza appellata che, quindi, appare
totalmente immotivata sotto tale profilo. D'altra parte, stante la diffusività
dell'interesse al corretto espletamento della competizione elettorale, può
37
ritenersi che, in linea di massima, manchino soggetti individuabili che
possano considerarsi pregiudicati o pregiudicabili dalla applicazione
dell’art 537, comma 2. In ogni caso l'esistenza di soggetti pregiudicati
sembra costituire l'eccezione, e non la regola, e pertanto deve essere
adeguatamente e congruamente motivata. La sentenza impugnata
deve
dunque
essere
annullata
limitatamente
alle
situazioni
consequenziali in ordine alle falsità ed alle cancellazioni, con rinvio
al tribunale di Torino per nuovo giudizio sul punto”.
D’altro canto al Giudice Amministrativo, a differenza di quanto pretenda
di arrogarsi il TAR Piemonte, non è data possibilità di delibazione in
relazione agli atti falsi fidefacenti, neppure con riguardo alla valutazione
degli effetti sull’atto di una componente dell’atto falsa. Là dove, a partire
dalla declaratoria di falsità delle autentiche pronunciata dal giudice
penale, il TAR ricava la nullità dell’atto, travalica quindi la propria
giurisdizione, ingerendosi in una materia riservata in via esclusiva al
giudice civile. Atti pubblici e scritture private autenticate (quest’ultime
per quanto a noi rileva) costituiscono invero prove legali assolute. Si
annoverano ossia tra le prove i cui effetti fuoriescono dall’ambito entro il
quale opera il criterio del libero convincimento del giudice. L’atto
pubblico, e la scrittura privata autenticata, stante la invincibile portata
sostanziale di cui all’art. 2700 c.c., come ribadito dalla Consulta, fa piena
prova fino a querela di falso, il che significa che il giudice deve tenerne
conto, senza alcuna libertà di opinione – senza che il giudice abbia un
margine per esprimere un convincimento in contrasto con l’attestazione
pubblica operata dall’autenticatore – e ciò fino a che la eventuale forza
rappresentativa del documento venga privata di effetti a seguito del
vittorioso esperimento dell’apposito procedimento disciplinato dagli artt.
221 e ss. c.p.c. .
Per le ragioni esposte alcuna equipollenza può quindi essere ravvisata
tra il giudizio civile di falso ed il procedimento penale di falso in relazione
alla lista PENSIONATI CON COTA, mentre potrebbe al limite essere
valutata in ordine alla lista PENSIONATI ED INVALIDI PER BRESSO
stante l’ordine di cancellazione della medesima contenuta nella
pronuncia 42162/13 della Corte di Legittimità.
38
V
L’argomentazione spesa dal giudice amministrativo sabaudo al principio
del capo sesto delle motivazioni risulta a nostro sommesso avviso non
solo fallace ma inquietante. I controinteressati rappresentavano infatti al
giudice amministrativo l’impossibilità di risolvere l’incidente di falso se
non per mezzo del procedimento di querela di falso di cui all’art. 221
c.p.c. e ss., perché altrimenti sarebbe stato irrimediabilmente leso il
proprio diritto di difesa e di partecipazione al giudizio. Replica il Tar,
ancora una volta recependo in maniera acritica le argomentazioni della
difesa Bresso-Staunovo, che viceversa
“gli stessi controinteressati
hanno beneficiato della facoltà di costituirsi parte civile nel processo
penale e che volutamente non se ne sono avvalsi; né si sono avvalsi
della facoltà, pure prevista dall’art. 537, 3° comma, c.p.p., di
un’impugnativa in via autonoma la pronuncia sulla falsità”. Premesso che
tale argomentazione è fondata su premesse errate tanto sotto l’aspetto
sostanziale che procedurale, quello che più turba è l’impostazione
sistemica che emerge dalla prospettazione dell’ordinamento che il TAR
Piemonte ci offre. Secondo un’impostazione spiccatamente inquisitoria,
configgente con i precetti costituzionali che tutelano il diritto di difesa e il
giusto processo, forse in una sorta di nostalgica riviviscenza del
precedente codice penale di rito, il TAR Piemonte pare quasi voler
costringere le parti ad un ruolo di partecipazione attiva e di promozione
dell’azione penale in aiuto/supplenza del pubblico ministero pena la
definitiva limitazione e compromissione dei propri diritti di difesa. Tale
ricostruzione è inaccettabile ed incompatibile non solo con l’ordinamento
italiano ma anche con i più basilari principi che le fonti soprannazionali e
del diritto europeo ci impongono di rispettare.
Per di più in una simile attività di ricostruzione del sistema ordinamentale
il TAR pare dimenticare che sotto il profilo sostanziale la premessa
necessaria per la costituzione di parte civile è la rivendicazione di un
danno, “l’azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di
cui all’art. 185 c.p. del codice penale può essere esercitata nel processo
penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno (art. 74 c.p.p.)”.
39
Non si comprende però di quale danno i controinteressati del
centrodestra dovessero dolersi!, atteso peraltro che per essere legittimati
all’azione civile nel processo penale si richiede la dimostrazione di un
danno diretto e immediato.
Ma vi è di più. Infatti tale disquisizione sulla carenza di un danno in capo
ai controinteressati è meramente accademica, là ove si osservi come nel
processo penale le costituzioni di parte civile sono scandite da precisi
termini decadenziali. Recita l’art. 79 c.p.p.: “La costituzione di parte civile
può avvenire per l’udienza preliminare e, successivamente, fino a che
non siano compiti gli adempimenti previsti dall’art. 484”. Con riferimento
alla vicenda de quo vertitur l’udienza preliminare non si è tenuta perché il
giudizio Giovine è stato immediato. Tuttavia secondo il TAR subalpino i
controinteressati per non perdere il proprio diritto di difesa, sarebbero
dovuti, non raggiunti da alcuna formale comunicazione o notifica, correre
a costituirsi parte civile a pena di decadenza entro la prima udienza
dibattimentale di un processo penale di cui ex ante non potevano
conoscere o prevedere le risultanze.
Appare allora evidente che quanto sostenuto dal TAR nelle proprie
motivazioni è fuorviante; il diritto di difesa dei controinteressati non può
essere ritenuto recessivo rispetto ad esigenze di economia processuale,
né tanto meno assicurato nell’ambito di un processo penale del quale
non si è parte, se non meramente eventuale.
Ad avviso degli odierni appellanti, sempre in relazione al paragrafo sesto
della impugnata sentenza, deve poi essere respinta la soluzione adottata
dal Giudice piemontese quando nega che le uniche misure che
eventualmente potrebbero essere utilmente assunte dal giudice penale
per privare di efficacia l’atto fidefacente, siano quelle contemplate dal
secondo comma dell’art. 537 c.p.p..
In relazione a questo aspetto si richiamano le considerazioni
precedentemente svolte in narrativa. Ci si limita per brevità a sottolineare
ancora una volta come, contrariamente a quanto fatto dal TAR Piemonte,
fuori dalle ipotesi rimediali di all’art. 537, co. 2, stante la riserva di
giurisdizione, sia preclusa a qualsiasi giudice altro da quello della querela
di falso la possibilità di valutare le conseguenze scaturenti sull’atto
40
integralmente
o
parzialmente
interessato
da
un
provvedimento
meramente dichiarativo quale la declaratoria di falsità.
VI
Il paragrafo 9 della sentenza gravata è aberrante, errato, lesivo del
decoro e dell’onore della dott.ssa Franchino oltre che dei più
elementari principi giuridici.
Affermare come sostiene il TAR che è legittimo calunniare una
persona “a condizione che la
calunnia sia espressa in forma
elegante” significa evidentemente aver perso la bussola giuridica.
Le appellate a pag. 23 della memoria del 21 dicembre hanno
calunniosamente affermato che: “la sig.ra Franchino Sara … la quale, in
sede di indagini, affermò di aver accompagnato Michele Giovine a Gurro
nella giornata del 25 febbraio 2010, mentre dall’analisi dei tabulati
telefonici risulta come la stessa non si sia mai allontanata da Torino in
tale data”.
Con detta affermazione artatamente maliziosa, del tutto irrilevante ai
fini della decisione del ricorso, le appellate attribuiscono in modo
falso
e
calunnioso
alla
dott.ssa
Franchino
il
reato
di
favoreggiamento e/o quello di false informazioni al P.M..
Attribuire scientemente, dato che controparte aveva copia dell’intero
fascicolo penale, un inesistente fatto reato a chicchessia è di per sé
espressione sconveniente e offensiva. La calunnia è sconveniente ed
offensiva a prescindere dall’eleganza con cui viene espressa.
Il deviato ragionamento del TAR è ancor più grave se si considera che il
giudice amministrativo di prime grado aveva copia del fascicolo penale e
quindi aveva la possibilità e soprattutto il dovere di valutare la
sussistenza o meno del fatto reato attribuito alla dott.ssa Franchino e
non la raffinatezza con cui l’inesistente fatto reato gli era stato
raccontato dalle appellate.
VII
41
Omessa motivazione in merito alla Inammissibilità del ricorso per
carenza di interesse dei ricorrenti in relazione alla Prova di
resistenza sulle dichiarazione di 6 documenti di collegamento di 6
liste di provinciali con quelle regionali della coalizione di centro
sinistra nonché in ordine alla irregolarità delle dichiarazioni del
delegato della lista regionale “Uniti per Bresso” per il collegamento
con tutte le liste circoscrizionali provinciali della coalizione in
sostegno a Mercedes Bresso (doc. 19) –
Nulla dice il TAR per il Piemonte con la sentenza gravata circa la
carenza di interesse delle appellate in relazione alla prova di resistenza
comprovata dai citati documenti prodotti sub. 19 in primo grado.
Per presentare le candidature relative alle liste provinciali ed alle liste
Regionali per l’elezione del Consiglio Regionale nelle Regioni a statuto
ordinario la Legge elettorale prevede il deposito di una serie di documenti
tra cui le dichiarazioni di collegamento delle liste provinciali che hanno
efficacia solo se convergenti con analoghe dichiarazioni della lista
regionale.
La Disciplina delle dichiarazioni di collegamento è contenuta nell’art. 1
della Legge 23 febbraio 1995 n. 43 che prevede espressamente che
“Per ogni lista provinciale i rispettivi delegati alla presentazione debbono
dichiarare tale collegamento con una lista regionale; la dichiarazione di
collegamento ha efficacia solo se convergente con analoga dichiarazione
resa dai delegati alla presentazione della lista regionale con la quale sia
stata dichiarato il collegamento”.
Le dichiarazioni di collegamento dei delegati alla presentazione delle liste
Provinciali e di quelli delegati alla presentazione della Lista Regionale di
seguito illustrate, e riferite alla Coalizione di Centro – Sinistra,
presentano profili di nullità rilevabili d’ufficio ex art. 31, 8 comma c.p.a.
che determinano la nullità dei collegamenti e conseguentemente il difetto
di interesse delle appellate per mancato superamento della “prova di
resistenza”.
Ricordiamo che: «… in base alla cosiddetta prova di resistenza deve
ritenersi infondato il ricorso avverso le operazioni elettorali qualora le
42
censure dedotte non siano idonee a sovvertire il risultato elettorale»
(TAR Campania Napoli, sez. I, 04/03/2005 n. 1576) e che «non sono
annullabili atti la cui eventuale illegittimità non influirebbe sul risultato
elettorale ovvero la cui ipotetica caducazione o riforma non muterebbe, in
termini di posizione di graduatoria, il risultato stesso» (TAR Molise
Campobasso, sez. I, 10/06/2009).
Passiamo all’esame analitico dei vizi che inficiano i documenti di
collegamento prodotti in questa sede premettendo che le dichiarazioni di
collegamento non devono presentare errori formali. Ex multis
TAR
Catanzaro Calabria 17 luglio 2000 n. 971: “Qualora la singola lista
regionale sia collegata a più gruppi di liste provinciali deve ritenersi che
la condizione richiesta ed imposta dal comma 3 dell'art. 1 l. 23 febbraio
1995, n. 43 - per la presentazione della lista regionale - sia soddisfatta
dalla produzione della dichiarazione di collegamento, a condizione
ovviamente che sia valida e pienamente efficace”.
Il principio dell’invalidità dei voti raccolti da liste che presentano nullità nei
collegamenti è costantemente ribadito dalla giurisprudenza in materia, a
titolo esemplificativo: TAR Napoli Campania 09 gennaio 2007 n. 159: “La
dichiarazione ha efficacia solo se convergente con analoga dichiarazione
resa dai delegati delle liste interessate, si ricava la prescrizione di un
preciso obbligo, considerato che esse impongono la necessità di una
reciproca e convergente manifestazione di volontà nel senso del
collegamento … la cui violazione determina, tenuto conto del principio
inerente al formalismo della procedura in materia elettorale, l'esclusione
dalle elezioni amministrative”. Nello stesso senso vedasi anche Corte
d’Appello Roma del 04 marzo 2010 in Foro It., 2010, 4, 1287.
Premesso quanto sopra, in dettaglio, le dichiarazioni di collegamento
della coalizione di centro sinistra “UNITI PER BRESSO” presentano i
seguenti vizi di nullità.
1) lista “PIEMONTESì” nella dichiarazione del delegato provinciale (in
particolare quinta riga del citato documento) per il collegamento con la
lista Regionale “UNITI PER BRESSO” manca l’indicazione della
circoscrizione elettorale per cui viene effettuata la dichiarazione di
43
collegamento e con luogo e data lasciati in bianco (nonostante sul
modello sia indicato l’apposito spazio). 2.562 voti a Torino.
Nella stessa lista la dichiarazione del delegato della lista Regionale “Uniti
per Bresso”, sig. Ardissone Gianni, è priva, in calce, della data e del
luogo di sottoscrizione da parte del delegato stesso.
2) lista “VERDI CIVICA” nella dichiarazione del delegato provinciale (in
particolare quinta riga del citato documento) per il collegamento con la
lista Regionale “UNITI PER BRESSO” manca l’indicazione della
circoscrizione elettorale per cui viene effettuata la dichiarazione di
collegamento. 9.953 voti a Torino.
Nella stessa lista la dichiarazione del delegato della lista Regionale “Uniti
per Bresso”, sig. Ardissone Gianni, è priva, in calce, della data e del
luogo di sottoscrizione da parte del delegato stesso.
3)
lista
“FEDERAZIONE
DELLA
SINISTRA-RIFONDAZIONE
COMUNISTI ITALIANI” nella dichiarazione del delegato provinciale per il
collegamento con la lista Regionale “UNITI PER BRESSO” non sono
indicati il nome, cognome e la qualifica dell’autenticatore che pertanto
risulta non identificato né identificabile. 31.565 voti a Torino.
Nella stessa lista la dichiarazione del delegato della lista Regionale “Uniti
per Bresso”, sig. Ardissone Gianni, è priva, in calce, della data e del
luogo di sottoscrizione da parte del delegato stesso.
4) lista “BONINO PANNELLA” nella dichiarazione
del delegato
provinciale manca, in calce, la data ed il luogo di sottoscrizione da parte
del delegato. 8.026 voti a Torino.
Nella stessa lista la dichiarazione del delegato della lista Regionale “Uniti
per Bresso”, sig. Ardissone Gianni, è priva, in calce, della data e del
luogo di sottoscrizione da parte del delegato stesso.
5) lista “PD Partito Democratico BRESSO Presidente” nella dichiarazione
del delegato provinciale manca, in calce, la data ed il luogo di
sottoscrizione da parte del delegato. 234.382 voti a Torino.
44
Nella stessa lista la dichiarazione del delegato della lista Regionale “Uniti
per Bresso”, sig. Ardissone Gianni, è priva, in calce, della data e del
luogo di sottoscrizione da parte del delegato stesso.
6) lista “INSIEME PER BRESSO” nella dichiarazione
del delegato
provinciale manca, in calce, la data ed il luogo di sottoscrizione da parte
del delegato. 37.296 voti a Torino.
Nella stessa lista la dichiarazione del delegato della lista Regionale “Uniti
per Bresso”, sig. Ardissone Gianni, è priva, in calce, della data e del
luogo di sottoscrizione da parte del delegato stesso.
Le descritte violazioni determinano l’inesistenza e/o nullità dei
collegamenti e dei conseguenti voti di lista in quanto privi “dei
connotati essenziali dell' atto amministrativo, quali possono essere la
radicale carenza … dell' oggetto” TAR Catania Sicilia 24 maggio 2006
n. 827. Identica ratio è espressa dal Consiglio Stato 25 ottobre 2005,
6023: “Il provvedimento amministrativo può considerarsi assolutamente
nullo od inesistente nelle ipotesi in cui esso … manchi dei connotati
essenziali dell'atto amministrativo, necessario ‘ex lege’ a costituirlo, quali
possono essere la radicale carenza di potere da parte dell'autorità
procedente, ovvero il difetto della forma, della volontà, dell'oggetto o
del destinatario”
L’inesistenza è a forziori: “La nullità dei provvedimenti dinanzi al giudice
amministrativo è rilevabile d'ufficio, alla stregua dei principi generali in
tema di nullità e dell'art. 1421 c.c., evidentemente applicabili anche nel
processo amministrativo” Consiglio Stato 20 gennaio 2009 n. 265. Nel
medesimo senso si vedano, tra le molte pronunce TAR L’Aquila Abruzzo
17 luglio 2007, n. 484 “La nullità dei provvedimenti amministrativi dinanzi
al g.a. è rilevabile anche d'ufficio, alla stregua dei principi generali in
tema di nullità, applicabili anche nel processo amministrativo nelle ipotesi
in cui la validità ed esecutività del provvedimento costituisca oggetto
della controversia, non potendo l'azione, volta a far valere tale nullità,
essere sottoposta a termini di decadenza.” e TAR Genova Liguria 16
maggio 2007, n. 790
45
Nello specifico, i punti sub 1) e sub 29 sono i classici casi in cui
manca completamente l’oggetto, i punti sub 39, 4) 59 e 6) rilevano
un difetto di forma: grazie al modo con il quale maliziosamente sono
state autenticate le firme dei delegati è possibile solo sapere dove è stata
fisicamente fatta l’autentica e apposto il timbro, NON CERTO dove è
stata fisicamente apposta la firma del delegato. Così facendo
l’autenticatore potrebbe benissimo avere completato l’autentica nel
luogo deputato, mentre la firma averla raccolta in tutt’altro luogo,
senza così dichiarare il falso, né farlo dichiarare al firmatario. Sarebbe
un modo astuto per evitare anche l’ombra di una sanzione penale,
se non ci fosse neppure la possibilità di penalità amministrative e
civili.
In ultima analisi, anche sotto questo profilo, la sentenza impugnata risulta
viziata per non aver preso in considerazione i vizi inficianti le
dichiarazioni di collegamento della coalizione di centro sinistra, e non
avere, per l’effetto, rigettato il ricorso avversario per carenza di interesse
in ordine alla prova di resistenza.
P.Q.M.
voglia codesto ecc.mo Consiglio di Stato, in accoglimento del presente
appello, riformare integralmente la sentenza impugnata e per l’effetto:
- in via preliminare disporre ai sensi dell’art. 96 comma 1° cod. proc.
amm. la riunione della presente impugnazione a quella pendente innanzi
Codesto Ill.mo Collegio e rubricata al n. 556/14 di Reg. Gen. (Clarizia)
-
in via pregiudiziale sospendere il presente giudizio di appello, ai
sensi degli artt. 8 e 77, comma 4° cod. proc. amm. sino alla
definizione del procedimento per querela di falso attualmente
pendente innanzi alla Corte d’Appello civile di Torino;
-
in via pregiudiziale accogliersi il ricorso incidentale;
- in via principale respingere il ricorso elettorale di primo grado promosso
da Bresso e Staunovo.
- disporre ai sensi dell’art. 89 c.p.c. la cancellazione del seguente
capoverso contenuto a pag. 23 della memoria di parte appellata
46
23.12.2013 “lo stesso dicasi per la sig.ra Franchino Sara, interveniente
nel presente giudizio (attuale fidanzata di Michele Giovine) e primo
candidato tra i non eletti della lista Pensionati per Cota la quale, in sede
di indagini, affermò di aver accompagnato Michele Giovine a Gurro nella
giornata del 25 febbraio 2010, mentre dall’analisi dei tabulati telefonici
risulta come la stessa non si sia mai allontanata da Torino in tale data”.
-
assegnare alla dott.ssa FRANCHINO, quale persona offesa, una
somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale
da liquidarsi in via equitativa.
-
trasferire gli atti alla Procura della Repubblica affinché possa
vagliare se si sia configurato il reato di calunnia ai danni della
d.ssa Sara Franchino.
Il presente ricorso è esente da contributo unificato ai sensi dell’art. 127,
cod. proc. amm.
Torino – Roma
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