Uso ed Abuso del farmaco in apicoltura

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Uso ed Abuso del farmaco in apicoltura
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Contributi pratici
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Uso ed Abuso del
farmaco in apicoltura
Riflessioni dopo Rimini
Giuliana Bondi
AUSL 7 Siena
L’VIII Incontro della Commissione Sanitaria
U.N.A.API. (Rimini 13 e 14 dicembre 2005)
ha fatto il punto sull’uso del farmaco nell’Apicoltura Italiana.
All’uso dei prodotti a base di timolo regolarmente registrati (ApiLifeVar e ApiGard) e
da questo derivati e a base di Acido Ossalico (previsto nel Reg.2377/90) per la cura
della Varroasi, si affiancano prodotti a base
di clorfenvinphos e rotenone.
Antibatterici di varia natura (tetracicline,
streptomicina, tilosina, sulfamidici) sembra
siano ruotinariamente usati per il contenimento delle forme pestose.
Alla luce di quanto sopra esposto credo
che sia obbligatoria una pausa di attenta riflessione da parte di tutti gli Attori della Filiera, delle Organizzazioni di Categoria e
degli Organi di Controllo, ognuno per l’assunzione delle proprie responsabilità inerenti al lavoro svolto.
È bene precisare che nessun antibiotico è
registrato in Italia per il trattamento delle
affezioni batteriche delle api.
È pur vero che l’Art. 155 del Reg. di Pol. Vet
DPR 320/’54 prevede la possibilità di cura
degli stadi iniziali delle patologie indicate
all’Art. 154 (peste europea, peste americana, nosemiasi ed acariasi).
Al veterinario che ritenesse opportuno consigliare la cura delle forme pestose con l’uso di
antibiotici, non volendo incorrere in infrazioni, non resterà che applicare la modalità di
utilizzo comunemente detta “uso improprio”
(D.lvo 119/’92, art 3 p.to5 - p.to 6 - p.to 7 Art 36) a cui farà seguire la ricettazione in triplice copia e regolare denuncia al Sindaco
di sospetto o di accertamento di malattia infettiva e diffusiva soggetta a provvedimenti
sanitari (XXIX del Reg. di Pol. Vet D.p.R. n.
320/’54). Ciò difficilmente accade.
Questo a significare che la cura delle pesti,
quando avviene, si compie fuori dagli schemi previsti dalla normativa sul farmaco vete-
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rinario (nessuna diagnosi né prescrizione
veterinaria, nessun acquisto di antibiotici
nei canali ufficiali di distribuzione, nessuna
denuncia di malattia infettiva).
Per ciò che riguarda la lotta alla Varroasi è
importante precisare che il Birlane e Supona (fitofarmaci), la cui molecola farmacologicamente attiva in essi contenuta (clorfenvinphos – pesticida fosforato) è stata vietata nei paesi dell’U.E. (Reg. CEE 2076/2002)
perché cancerogena, non possono essere
né commerciati né usati per alcuna affezione delle piante o degli animali in tutto il
territorio europeo.
Adesso sappiamo che il pericolo di contaminazione del miele e degli altri derivati
dalle api non esiste solo nei prodotti di importazione extra CE, ma è presente anche
e purtroppo nelle produzione nazionali.
Lo dimostrano le recenti positività agli antibiotici riscontrate nei mieli italiani.
Va detto che, se il nostro miele non si renderà riconoscibile sul mercato per qualità
e salubrità, per la garanzia delle quali il consumatore italiano è disposto a pagare di
più, dovrà cedere il passo al miele cinese
etc. che ha un costo decisamente inferiore
(i costi di produzione del miele italiano manodopera, costi sanitari, carburanti, costi sostenuti per garantire l’igiene della lavorazione - non sono paragonabili a quelli
del miele extracomunitario).
Appare quindi evidente che le Autorità di
Controllo, in ottemperanza al Reg. CE n.
178/2002, non solo dovranno operare uno
sbarramento all’ingresso di prodotti extracomunitari sanitariamente non idonei, ma
dovranno rivolgere contemporaneamente
uno sguardo attento alla produzione nazionale e programmare, con una certa urgenza, un’attività severa di controllo e sorveglianza a salvaguardia non solo del patrimonio apistico nazionale (che si va sempre
più indebolendo - vedi sotto), dell’agricoltura e dell’ecosistema, ma anche e soprattutto a tutela della salute del consumatore di ogni nazionalità.
D’altro canto è sempre più evidente come
l’uso incondizionato di antibiotici e molecole acaricide in apicoltura stia rendendo
sempre più vulnerabile la razza mellifica
ligustica, che si dice sia quasi incapace di
sopravvivere senza l’aiuto del “farmaco”,
oltre alla selezione di ceppi patogeni bat-
terici, protozoari e parassitari resistenti
che impongono il continuo avvicendarsi di
nuove molecole e sempre più alti dosaggi.
Inoltre, sono in aumento fenomeni di resistenza agli antibiotici di alcuni batteri responsabili di patologie umane, così pure i
casi di intolleranza alimentare e le allergie e
questo impone un’ulteriore riflessione sulle
responsabilità inerenti l’uso (e l’abuso) del
farmaco nelle produzioni zootecniche.
Le industrie farmaceutiche intanto, hanno
ritenuto opportuno ritirare dal commercio
Apitol e Perizin, gli unici acaricidi registrati
per le api, perché invenduti e c’è da immaginarsi che non investiranno altre risorse in
questo settore nel prossimo futuro.
È risaputo che all’acquisto dei prodotti regolarmente registrati per le api e venduti in
farmacia dietro prescrizione medico veterinaria , o come “ex presidi medico chirurgici”(per intendersi), fuori delle farmacie,
gli apicoltori hanno talvolta preferito l’uso
di prodotti specifici per l’agricoltura (Klartan-fluvalinate) o registrati per altri animali
(Asuntol-coumaphos) o illegali (Birlane-Supona – clorfenvinphos; Rotenone) o reperibili liberamente sul mercato (Timolo, ac.
Ossalico, ac. Lattico, ac, Formico) somministrati in dosi e formulazioni di fantasia
che hanno contribuito ad accelerare i fenomeni di resistenza al farmaco.
L’atteggiamento della categoria è sempre
lo stesso e sembra che la storia si ripeta
(vedi il Biglietto Urgente emesso dal MdS il
18/4/1978 Tutela sanitaria della produzione
del miele e impiego dei farmaci negli apiari; vedi le Circolari n. 34 del 9/8/85 e n. 43
del luglio 1986 Vigilanza igienica sanitaria
degli alveari e dell’apicoltura in generale)
con la messa in opera del dribblaggio di
tutte le regole a cui dovrebbe sottostare un
allevamento per la produzione di alimenti
di origine animale, ossia:
• auto-diagnosi (nessun apicoltore ricorre
ad un veterinario aziendale, forse ad un
esperto apistico fornitogli dall’associazione che non è mai un veterinario);
• acquisto del farmaco fuori dai canali ufficiali di distribuzione;
• senza la regolare prescrizione;
• uso di molecole non consentite;
• cocktail della preparazione farmaceutica;
• auto-sperimentazione;
• dosi, tempi e modi di trattamento di
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fantasia;
• spesso senza rispettare la tempistica
dettata dal piano sanitario territoriale;
• tempi di sospensione decisi dalle necessità di raccolto;
con risultati? e a quale rischio?
Si vedano a questo proposito le sanzioni
previste dal D.lvo 119/92, in breve
- trattamento illecito: sanzione amministrativa da 20 a 120 milioni di lire
- vendita di sostanze farmacologicamente attive: da 10 a 100 milioni di lire
- uso di sostanze o prodotti non autorizzati: da 10 a 100 milioni di lire
- omessa annotazione nelle 24 ore a cura
dell’allevatore dei trattamenti farmacologici aziendali: da 4 a 24 milioni di lire
A proposito degli esperti apistici, vorrei
che fosse chiaro il loro ruolo e la loro funzione come definita dal documento programmatico per il settore apistico a supporto della L. 313/2004:
- azioni di formazione ed orientamento
ai produttori
- adeguamento delle condizioni igienico
sanitarie nella lavorazione dei prodotti
apistici
- sostegno nell’adozione di corrette
strategie per il controllo sanitario
Sarebbe auspicabile che queste figure fungessero da tratto di unione tra l’apicoltore
e le associazioni e tra l’apicoltore e le istituzioni in una sorta di fattiva collaborazione territoriale.
Da come si sono espressi a Rimini, gli esperti apistici sembra abbiano sostituito la
figura del veterinario. Probabilmente è questo il motivo che induce le associazioni a
non assumerne alcuno alle loro dipendenze. Gli e.a. infatti eseguono diagnosi, consigliano terapie non sempre corrette, emettono prognosi, omettondo la segnalazione
di sospetto di malattia denunciabile alle
uussll, non sentendosi per nulla obbligati
ad adempiere all’art.2 del Reg. di Pol Vet.
Deve essere chiaro che queste figure, sostituendosi al veterinario, rischiano la denuncia per abuso della professione veterinaria,
per omissione di segnalazione di sospetto
di malattie previste dal Reg. di Pol Vet., rischiano la denuncia se incoraggiano l’uso
di farmaci vietati.
Sicuramente questo accade forse perchè
la categoria dei veterinari non presidia ab-
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bastanza i propri interessi o forse perché
tra di noi qualcuno pensa che l’apicoltura
non sia di competenza veterinaria, ma una
branca della entomologia agraria e che le
api non siano animali che abbiano bisogno
di veterinari specialisti come in altri settori
ce n’è. D’altronde questo mondo del “fai
da te” non paga e non fa gola veramente a
nessuno.
Ciò non significa invece che le figure sanitarie pubbliche di riferimento non debbano esser ricercate là dove devono esserci,
contattate e coinvolte, motivate alla formazione se non lo sono, responsabilizzate, se
si crede nella loro funzione (non c’è controllo, né risanamento da patologie di interesse zootecnico se non vi è collaborazione sinergica tra allevatori e sanitari).
Il legame tra apicoltura e sanità non può essere omesso e entrambi questi mondi non
possono rendersi introvabili, seppur l’apicoltura sia l’ultima per importanza delle
attività zootecniche di interesse pubblico
e la normativa sanitaria inerente, la più spinosa, contraddittoria e difficile da applicare. In Toscana, dove opero, la Legge Regionale 69/1995 all’art.13, recita:
“Le Unita Sanitarie Locali, tramite i Servizi Veterinari, attuano gli interventi sanitari a tutela dell’apicoltura nonché della salute pubblica relativamente ai prodotti edibili derivati; diffondono le norme tecniche di profilassi contro le malattie, promuovono sistematici accertamenti sanitari sugli impianti apistici e
specifiche ricerche di settore”.
È indispensabile, quindi che le UUSSLL si
organizzino con personale adeguatamente
formato e si rendano capaci di intervenire
sul territorio.
Ma laddove le unità sanitarie pubbliche
funzionano, perché gli esperti apistici non
chiedono collaborazione per la lotta alle
malattie delle api, segnalando almeno i
casi molto gravi di varroa ed i casi di peste
americana?
Le associazioni rispondono “no” alla richiesta di collaborazione fattiva con le uussll
anteponendo all’interesse sanitario della
categoria quello della tutela della privacy
del singolo apicoltore iscritto.
È evidente che ognuno per la sua parte di
responsabilità, deve rivedere il proprio
comportamento, alla luce dei nuovi Rego7 / 322
lamenti CE che pongono «la salute del
consumatore» come il principale obiettivo da raggiungere nella filiera alimentare e
«la responsabilità del produttore» quale
indispensabile referenza del soggetto realizzatore del mandato.
Una seria e responsabile disamina dei meccanismi che conducono una categoria di
allevatori a pensare che sia normale e giusto operare talvolta “fuorilegge”, è doveroso farla.
Considerare la storia dell’apicoltura italiana
e della legislazione inerente e quella legata
alla legge sul farmaco veterinario forse potrebbero aiutarci a capire meglio le dinamiche che conducono al non corretto uso
del farmaco in questo ambito.
Esempi simili per spregiudicatezza e mancanza di etica professionale si sono avuti in
passato per l’allevamento del bovino da
carne ( uso di ormonici e tireostatici), della
mucca da latte, nel suino.
Non si sa Chi, Cosa e Perché induca gli
Apicoltori e le loro Associazioni a pensare
che loro stessi non possano esser denunciati e perseguiti dagli Organi di Controllo
se fossero scoperti ad operare nel contrabbando di farmaci, e nell’uso di molecole illegali, come accadrebbe a qualsiasi
altro allevatore di bestiame.
Sicuramente la tipologia di questo allevamento (mobilità dell’arnia e pratica del nomadismo) lo rende talvolta fisicamente
non rintracciabile sul territorio, diversamente ad una stalla di bovini.
Per un apicoltore è facile non farsi più trovare e talvolta risulta impossibile risalire al
proprietario delle arnie se nessuno le ha
identificate.
Va considerato poi, che l’obbligo di denuncia di possesso degli alveari alle uussll,
che sta alla base di qualsiasi programma di
profilassi, e l’attribuzione di un numero di
identificazione aziendale risale soltanto a
tempi molto recenti (nessuna legge nazionale lo prevedeva prima del 1999):
• in Toscana la L.R. n. 26/’79 art.5 imponeva di fatto l’obbligo di denuncia, ma
non prevedendo sanzione agli inadempienti, solo l’esclusione dagli incentivi
previsti per il settore, era di fatto disattesa;
• il D.R.Toscana 232/’83 Profilassi della varroasi delle api p.to 1 rendeva obbligatorio il censimento degli allevamenti, che
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di fatto non si è mai compiuto del tutto;
• L.R. Toscana n. 69/1995 capì la necessità di prevedere una
sanzione alla mancata denuncia di possesso degli alveari e l’utilità di identificazione degli stessi. Gli apicoltori, costretti a denunciare i propri alveari alle uussll, anche per ottenere i prodotti gratuiti antivarroa , resero possibile una parziale ricognizione
degli allevamenti ed una timida programmazione di lotta territoriale della varroa
• nel 1999 il D.lvo n. 336 stabilisce infine l’obbligo di registrazione
di tutte le aziende che allevano animali con attribuzione di un
numero aziendale e l’obbligo della detenzione di un registro
dei farmaci per coloro che producono alimenti di origine animale da mettere in commercio
• la L. 313/2004, art 6 prevede oggi l’obbligo di denuncia di possesso ma non la sanzione diretta all’omessa denuncia; lascia
però le Regioni libere di applicare sanzioni.
Il censimento (in Toscana), che non si è mai realizzato del tutto e
la non stabilità degli allevamenti sul territorio è stata la causa della
assoluta impossibilità di contenere la diffusione della varroa nel
1983. Da allora la Varroasi e la Peste Americana sembrano avere
una diffusione endemica sul territorio regionale e nazionale.
Così si riferisce a Rimini.
Accadrà così anche per l’ Aethina tumida? Non potrà esser diversamente visto i presupposti.
La volontà collaborativa e il forte senso di responsabilità che occorrerebbero agli apicoltori per arrestare l’avanzata del coleottero
infatti (georeferenziazione, comunicazione di ogni spostamento,
rispetto degli eventuali divieti di spostamento, autodenuncia di
malattia, disponibilità a bruciare subito i primi casi) sono difficilmente auspicabili e starebbero ad indicare un’autodisciplina che
gli apicoltori non hanno dimostrato di possedere in passato.
La denuncia mossa dalle Associazioni di “abbandono della categoria da parte delle istituzioni”, senza mai una piena assunzione di
responsabilità, né individuale, né associativa, mi sembra illegittima. Le istituzioni non possono collaborare con chi afferma di usare
farmaci illegali, né fare finta di non aver capito glissando sull’argomento in una sorta di tacito assenso.
Le associazioni, che da sempre dovrebbero fungere da tratto d’unione tra apicoltori e istituzioni, anche motivate all’incontro al solo
scopo di ottenere fondi pubblici da investire nel settore, non
hanno in verità mai svolto attività in questo senso, operando una
sorta di atteggiamento protezionistico nei confronti dei loro associati, come se le istituzioni risultassero un pericolo da fuggire e
non la stessa mano che assegna i contributi, anche elargiti sotto
forma di assistenza sanitaria (sempre gratuita).
Gli hobbisti, piuttosto che i professionisti hanno reso questo settore ancora più evanescente e poco incisivo sul fronte delle conquiste di categoria. Coloro che svolgono questa attività come
secondo lavoro, non intendono, infatti rendersi visibili per la paura
di controlli fiscali crociati.
Si ha a che fare da sempre, quindi, con una “Categoria non Categoria”, composta da coltivatori diretti, pensionati, grandi avvocati, inglesi in pensione, milanesi alternativi, impiegati delle poste,
disoccupati in attesa di impiego, molti dei quali inventori, scien-
ziati, poeti, naturisti, misantropi, pochi dei quali apicoltori scienti
e coscienti di produrre alimenti.
Un mondo parzialmente emerso, che non vuole farsi conoscere
appieno, che vuole i contributi senza pagare le tasse, i farmaci
registrati e poi non li compera, i veterinari esperti e poi non li interpella, che crede di più nei santoni e maghi piuttosto che nei laboratori di ricerca , che vuole le leggi di settore e non le rispetta, che
vuole dalle uussll collaborazione ed elasticità nella applicazione
delle leggi ma non intende collaborare per la salvaguardia degli
apiari di tutti (associati e no) dalle malattie.
Chi sopravviverà?
Sicuramente quelli che hanno saputo fare delle scelte oculate e
coraggiose, che si sono resi il più possibile liberi dalla schiavitù
delle molecole chimiche, che hanno fatto un po’ di selezione genetica per il contenimento e la convivenza pacifica con le pesti e
la varroa, quelli che hanno cercato di risanarsi senza l’uso di antibiotici e che hanno bruciato i casi disperati di varroa e i casi di
peste senza farsi inutilmente impietosire, quelli che non hanno
abbandonato le loro api ma neppure compromesso l’equilibrio
dell’ambiente per salvarle, né hanno messo in pericolo la salute
delle persone di oggi e di domani facendo pasticci con molecole cancerogene, quelli che hanno cercato aiuto lontano dai guru
consapevoli dei limiti di ogni scienza e si sono messi a disposizione per collaborare con le Associazioni e le Istituzioni in una battaglia che se si perde fa male a tutti.
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Da come è impostata la Direttiva 2004/
28/CE, “I medicinali veterinari per animali
destinati alla produzione di alimenti possono essere autorizzati solo a condizioni
che garantiscano l’innocuità degli alimenti
per i consumatori in relazione agli eventuali residui di tali medicinali”, alla luce di
quanto sta succedendo, c’è da augurarsi
un recepimento italiano che imponga uno
stretto giro di vite, senza deroghe concesse a nessuno, una “sana medicina” per riportare la situazione a dei livelli di maggiore serietà, controllo e sicurezza.
Dal momento che viene definito “medicinale veterinario” ogni sostanza o associazione di sostanze che può essere usata sull’animale o somministrata all’animale allo
scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, mediante un’azione farmacologia, immunologia o metabolica, oppure di stabilire una diagnosi
medica, sembrerebbe di capire che nessuna sostanza di quelle usate in apicoltura
ne possa essere esclusa.
Così pure la prescrizione veterinaria che
risulta indispensabile per l’utilizzo di farmaci veterinari.
Anche la somministrazione di farmaci omeopatici alle specie animali destinate alla
produzione di alimenti, le cui sostanze attive figurano nell’allegato II del Reg n. 2377
/90, è consentita sotto la responsabilità di
un veterinario.
Torneremo alla regola iniziale che ogni allevatore dovrebbe rispettare per produrre
alimenti di origine animale sicuri?
• diagnosi effettuata da un medico veterinario
• ricetta medica veterinaria in triplice copia (per specialità veterinaria regolarmente registrata per le api con tempo di
sospensione previsto) o ricetta in bianco
in unica copia (farmaci con nessun tempo di sospensione previsto o farmaci
omeopatici), con uso e dosi stabilite dal
medico
• tenuta corretta del registro dei farmaci e
delle ricette (gialle e bianche), e delle
eventuali schede aziendali (previste nelle GMP) ove ogni trattamento, anche omeopatico, è registrato
• acquisto in farmacia (per la specialità
veterinaria) e trasmissione del farmacista
della copia azzurra alla usl
• acquisto di timolo e acido ossalico
anche fuori dalle farmacie ma trascrizione del loro utilizzo sulle schede aziendali (GMP), o sul registro dei farmaci, attenendosi alle dosi stabilite su ricetta
bianca
• attività del medico veterinario coadiuvata
dalla figura dell’esperto o tecnico apistico, come una sorta di laico (educatore
sanitario e promotore di crescita aziendale) che, in stretta collaborazione con il
veterinario, comunica la necessità del suo
intervento, segue le fasi di somministrazione del farmaco e della cura, verifica
l’efficacia del trattamento, promuove tecniche apistiche che tendano a stimolare
le capacità di resistenza alle malattie
della famiglia, scoraggia l’utilizzo di far7 / 324
maci non consentiti e di dosi o formulazioni non prescritte
• il veterinario libero professionista svolge
la sua professione nel rispetto del DPR
320/54, mettendo in condizioni le uussll
di intervenire
• le UUSSLL verificano l’andamento della
malattia sul territorio, il corretto utilizzo
del farmaco, controllano i registri dei farmaci e le schede aziendali dei trattamenti, verificano il rispetto dei tempi di sospensione, controllano l’efficacia del prodotto, programmano e promuovono in
collaborazione con le Ass. di Cat. piani
sanitari per il controllo della diffusione
delle malattie, eseguono eventuali monitoraggi, collaborano a ricerche specifiche con le autorità autorizzate a farlo,
controllano l’assenza dei residui negli alimenti di o.a prodotti entro e fuori U.E.,
applicano , se del caso, il DPR 320/54 ,
sanzionano gli inadempienti, etc.
Il miele importato similmente dovrebbe
provenire da paesi che nei loro capitolati
garantissero al paese importatore metodi
di allevamento comparabili ai nostri, cioè
rispettosi della salute e del benessere
degli animali, del consumatore e anche del
lavoratore (!) e dovrebbe esser sottoposto
a severe e frequenti verifiche doganali.
Coloro che producono alimenti di origine animale non dovrebbero poter usare il farmaco veterinario diversamente
da quanto sopra esposto.