Uso ed Abuso del farmaco in apicoltura
Transcript
Uso ed Abuso del farmaco in apicoltura
11-07-2006 Contributi pratici 07_luglio_2006_DEF 16:57 Pagina 320 Uso ed Abuso del farmaco in apicoltura Riflessioni dopo Rimini Giuliana Bondi AUSL 7 Siena L’VIII Incontro della Commissione Sanitaria U.N.A.API. (Rimini 13 e 14 dicembre 2005) ha fatto il punto sull’uso del farmaco nell’Apicoltura Italiana. All’uso dei prodotti a base di timolo regolarmente registrati (ApiLifeVar e ApiGard) e da questo derivati e a base di Acido Ossalico (previsto nel Reg.2377/90) per la cura della Varroasi, si affiancano prodotti a base di clorfenvinphos e rotenone. Antibatterici di varia natura (tetracicline, streptomicina, tilosina, sulfamidici) sembra siano ruotinariamente usati per il contenimento delle forme pestose. Alla luce di quanto sopra esposto credo che sia obbligatoria una pausa di attenta riflessione da parte di tutti gli Attori della Filiera, delle Organizzazioni di Categoria e degli Organi di Controllo, ognuno per l’assunzione delle proprie responsabilità inerenti al lavoro svolto. È bene precisare che nessun antibiotico è registrato in Italia per il trattamento delle affezioni batteriche delle api. È pur vero che l’Art. 155 del Reg. di Pol. Vet DPR 320/’54 prevede la possibilità di cura degli stadi iniziali delle patologie indicate all’Art. 154 (peste europea, peste americana, nosemiasi ed acariasi). Al veterinario che ritenesse opportuno consigliare la cura delle forme pestose con l’uso di antibiotici, non volendo incorrere in infrazioni, non resterà che applicare la modalità di utilizzo comunemente detta “uso improprio” (D.lvo 119/’92, art 3 p.to5 - p.to 6 - p.to 7 Art 36) a cui farà seguire la ricettazione in triplice copia e regolare denuncia al Sindaco di sospetto o di accertamento di malattia infettiva e diffusiva soggetta a provvedimenti sanitari (XXIX del Reg. di Pol. Vet D.p.R. n. 320/’54). Ciò difficilmente accade. Questo a significare che la cura delle pesti, quando avviene, si compie fuori dagli schemi previsti dalla normativa sul farmaco vete- 7 / 320 07_luglio_2006_DEF 11-07-2006 16:57 Pagina 321 rinario (nessuna diagnosi né prescrizione veterinaria, nessun acquisto di antibiotici nei canali ufficiali di distribuzione, nessuna denuncia di malattia infettiva). Per ciò che riguarda la lotta alla Varroasi è importante precisare che il Birlane e Supona (fitofarmaci), la cui molecola farmacologicamente attiva in essi contenuta (clorfenvinphos – pesticida fosforato) è stata vietata nei paesi dell’U.E. (Reg. CEE 2076/2002) perché cancerogena, non possono essere né commerciati né usati per alcuna affezione delle piante o degli animali in tutto il territorio europeo. Adesso sappiamo che il pericolo di contaminazione del miele e degli altri derivati dalle api non esiste solo nei prodotti di importazione extra CE, ma è presente anche e purtroppo nelle produzione nazionali. Lo dimostrano le recenti positività agli antibiotici riscontrate nei mieli italiani. Va detto che, se il nostro miele non si renderà riconoscibile sul mercato per qualità e salubrità, per la garanzia delle quali il consumatore italiano è disposto a pagare di più, dovrà cedere il passo al miele cinese etc. che ha un costo decisamente inferiore (i costi di produzione del miele italiano manodopera, costi sanitari, carburanti, costi sostenuti per garantire l’igiene della lavorazione - non sono paragonabili a quelli del miele extracomunitario). Appare quindi evidente che le Autorità di Controllo, in ottemperanza al Reg. CE n. 178/2002, non solo dovranno operare uno sbarramento all’ingresso di prodotti extracomunitari sanitariamente non idonei, ma dovranno rivolgere contemporaneamente uno sguardo attento alla produzione nazionale e programmare, con una certa urgenza, un’attività severa di controllo e sorveglianza a salvaguardia non solo del patrimonio apistico nazionale (che si va sempre più indebolendo - vedi sotto), dell’agricoltura e dell’ecosistema, ma anche e soprattutto a tutela della salute del consumatore di ogni nazionalità. D’altro canto è sempre più evidente come l’uso incondizionato di antibiotici e molecole acaricide in apicoltura stia rendendo sempre più vulnerabile la razza mellifica ligustica, che si dice sia quasi incapace di sopravvivere senza l’aiuto del “farmaco”, oltre alla selezione di ceppi patogeni bat- terici, protozoari e parassitari resistenti che impongono il continuo avvicendarsi di nuove molecole e sempre più alti dosaggi. Inoltre, sono in aumento fenomeni di resistenza agli antibiotici di alcuni batteri responsabili di patologie umane, così pure i casi di intolleranza alimentare e le allergie e questo impone un’ulteriore riflessione sulle responsabilità inerenti l’uso (e l’abuso) del farmaco nelle produzioni zootecniche. Le industrie farmaceutiche intanto, hanno ritenuto opportuno ritirare dal commercio Apitol e Perizin, gli unici acaricidi registrati per le api, perché invenduti e c’è da immaginarsi che non investiranno altre risorse in questo settore nel prossimo futuro. È risaputo che all’acquisto dei prodotti regolarmente registrati per le api e venduti in farmacia dietro prescrizione medico veterinaria , o come “ex presidi medico chirurgici”(per intendersi), fuori delle farmacie, gli apicoltori hanno talvolta preferito l’uso di prodotti specifici per l’agricoltura (Klartan-fluvalinate) o registrati per altri animali (Asuntol-coumaphos) o illegali (Birlane-Supona – clorfenvinphos; Rotenone) o reperibili liberamente sul mercato (Timolo, ac. Ossalico, ac. Lattico, ac, Formico) somministrati in dosi e formulazioni di fantasia che hanno contribuito ad accelerare i fenomeni di resistenza al farmaco. L’atteggiamento della categoria è sempre lo stesso e sembra che la storia si ripeta (vedi il Biglietto Urgente emesso dal MdS il 18/4/1978 Tutela sanitaria della produzione del miele e impiego dei farmaci negli apiari; vedi le Circolari n. 34 del 9/8/85 e n. 43 del luglio 1986 Vigilanza igienica sanitaria degli alveari e dell’apicoltura in generale) con la messa in opera del dribblaggio di tutte le regole a cui dovrebbe sottostare un allevamento per la produzione di alimenti di origine animale, ossia: • auto-diagnosi (nessun apicoltore ricorre ad un veterinario aziendale, forse ad un esperto apistico fornitogli dall’associazione che non è mai un veterinario); • acquisto del farmaco fuori dai canali ufficiali di distribuzione; • senza la regolare prescrizione; • uso di molecole non consentite; • cocktail della preparazione farmaceutica; • auto-sperimentazione; • dosi, tempi e modi di trattamento di 7 / 321 fantasia; • spesso senza rispettare la tempistica dettata dal piano sanitario territoriale; • tempi di sospensione decisi dalle necessità di raccolto; con risultati? e a quale rischio? Si vedano a questo proposito le sanzioni previste dal D.lvo 119/92, in breve - trattamento illecito: sanzione amministrativa da 20 a 120 milioni di lire - vendita di sostanze farmacologicamente attive: da 10 a 100 milioni di lire - uso di sostanze o prodotti non autorizzati: da 10 a 100 milioni di lire - omessa annotazione nelle 24 ore a cura dell’allevatore dei trattamenti farmacologici aziendali: da 4 a 24 milioni di lire A proposito degli esperti apistici, vorrei che fosse chiaro il loro ruolo e la loro funzione come definita dal documento programmatico per il settore apistico a supporto della L. 313/2004: - azioni di formazione ed orientamento ai produttori - adeguamento delle condizioni igienico sanitarie nella lavorazione dei prodotti apistici - sostegno nell’adozione di corrette strategie per il controllo sanitario Sarebbe auspicabile che queste figure fungessero da tratto di unione tra l’apicoltore e le associazioni e tra l’apicoltore e le istituzioni in una sorta di fattiva collaborazione territoriale. Da come si sono espressi a Rimini, gli esperti apistici sembra abbiano sostituito la figura del veterinario. Probabilmente è questo il motivo che induce le associazioni a non assumerne alcuno alle loro dipendenze. Gli e.a. infatti eseguono diagnosi, consigliano terapie non sempre corrette, emettono prognosi, omettondo la segnalazione di sospetto di malattia denunciabile alle uussll, non sentendosi per nulla obbligati ad adempiere all’art.2 del Reg. di Pol Vet. Deve essere chiaro che queste figure, sostituendosi al veterinario, rischiano la denuncia per abuso della professione veterinaria, per omissione di segnalazione di sospetto di malattie previste dal Reg. di Pol Vet., rischiano la denuncia se incoraggiano l’uso di farmaci vietati. Sicuramente questo accade forse perchè la categoria dei veterinari non presidia ab- 07_luglio_2006_DEF 11-07-2006 16:57 Pagina 322 Contributi pratici bastanza i propri interessi o forse perché tra di noi qualcuno pensa che l’apicoltura non sia di competenza veterinaria, ma una branca della entomologia agraria e che le api non siano animali che abbiano bisogno di veterinari specialisti come in altri settori ce n’è. D’altronde questo mondo del “fai da te” non paga e non fa gola veramente a nessuno. Ciò non significa invece che le figure sanitarie pubbliche di riferimento non debbano esser ricercate là dove devono esserci, contattate e coinvolte, motivate alla formazione se non lo sono, responsabilizzate, se si crede nella loro funzione (non c’è controllo, né risanamento da patologie di interesse zootecnico se non vi è collaborazione sinergica tra allevatori e sanitari). Il legame tra apicoltura e sanità non può essere omesso e entrambi questi mondi non possono rendersi introvabili, seppur l’apicoltura sia l’ultima per importanza delle attività zootecniche di interesse pubblico e la normativa sanitaria inerente, la più spinosa, contraddittoria e difficile da applicare. In Toscana, dove opero, la Legge Regionale 69/1995 all’art.13, recita: “Le Unita Sanitarie Locali, tramite i Servizi Veterinari, attuano gli interventi sanitari a tutela dell’apicoltura nonché della salute pubblica relativamente ai prodotti edibili derivati; diffondono le norme tecniche di profilassi contro le malattie, promuovono sistematici accertamenti sanitari sugli impianti apistici e specifiche ricerche di settore”. È indispensabile, quindi che le UUSSLL si organizzino con personale adeguatamente formato e si rendano capaci di intervenire sul territorio. Ma laddove le unità sanitarie pubbliche funzionano, perché gli esperti apistici non chiedono collaborazione per la lotta alle malattie delle api, segnalando almeno i casi molto gravi di varroa ed i casi di peste americana? Le associazioni rispondono “no” alla richiesta di collaborazione fattiva con le uussll anteponendo all’interesse sanitario della categoria quello della tutela della privacy del singolo apicoltore iscritto. È evidente che ognuno per la sua parte di responsabilità, deve rivedere il proprio comportamento, alla luce dei nuovi Rego7 / 322 lamenti CE che pongono «la salute del consumatore» come il principale obiettivo da raggiungere nella filiera alimentare e «la responsabilità del produttore» quale indispensabile referenza del soggetto realizzatore del mandato. Una seria e responsabile disamina dei meccanismi che conducono una categoria di allevatori a pensare che sia normale e giusto operare talvolta “fuorilegge”, è doveroso farla. Considerare la storia dell’apicoltura italiana e della legislazione inerente e quella legata alla legge sul farmaco veterinario forse potrebbero aiutarci a capire meglio le dinamiche che conducono al non corretto uso del farmaco in questo ambito. Esempi simili per spregiudicatezza e mancanza di etica professionale si sono avuti in passato per l’allevamento del bovino da carne ( uso di ormonici e tireostatici), della mucca da latte, nel suino. Non si sa Chi, Cosa e Perché induca gli Apicoltori e le loro Associazioni a pensare che loro stessi non possano esser denunciati e perseguiti dagli Organi di Controllo se fossero scoperti ad operare nel contrabbando di farmaci, e nell’uso di molecole illegali, come accadrebbe a qualsiasi altro allevatore di bestiame. Sicuramente la tipologia di questo allevamento (mobilità dell’arnia e pratica del nomadismo) lo rende talvolta fisicamente non rintracciabile sul territorio, diversamente ad una stalla di bovini. Per un apicoltore è facile non farsi più trovare e talvolta risulta impossibile risalire al proprietario delle arnie se nessuno le ha identificate. Va considerato poi, che l’obbligo di denuncia di possesso degli alveari alle uussll, che sta alla base di qualsiasi programma di profilassi, e l’attribuzione di un numero di identificazione aziendale risale soltanto a tempi molto recenti (nessuna legge nazionale lo prevedeva prima del 1999): • in Toscana la L.R. n. 26/’79 art.5 imponeva di fatto l’obbligo di denuncia, ma non prevedendo sanzione agli inadempienti, solo l’esclusione dagli incentivi previsti per il settore, era di fatto disattesa; • il D.R.Toscana 232/’83 Profilassi della varroasi delle api p.to 1 rendeva obbligatorio il censimento degli allevamenti, che 07_luglio_2006_DEF 11-07-2006 16:57 Pagina 323 di fatto non si è mai compiuto del tutto; • L.R. Toscana n. 69/1995 capì la necessità di prevedere una sanzione alla mancata denuncia di possesso degli alveari e l’utilità di identificazione degli stessi. Gli apicoltori, costretti a denunciare i propri alveari alle uussll, anche per ottenere i prodotti gratuiti antivarroa , resero possibile una parziale ricognizione degli allevamenti ed una timida programmazione di lotta territoriale della varroa • nel 1999 il D.lvo n. 336 stabilisce infine l’obbligo di registrazione di tutte le aziende che allevano animali con attribuzione di un numero aziendale e l’obbligo della detenzione di un registro dei farmaci per coloro che producono alimenti di origine animale da mettere in commercio • la L. 313/2004, art 6 prevede oggi l’obbligo di denuncia di possesso ma non la sanzione diretta all’omessa denuncia; lascia però le Regioni libere di applicare sanzioni. Il censimento (in Toscana), che non si è mai realizzato del tutto e la non stabilità degli allevamenti sul territorio è stata la causa della assoluta impossibilità di contenere la diffusione della varroa nel 1983. Da allora la Varroasi e la Peste Americana sembrano avere una diffusione endemica sul territorio regionale e nazionale. Così si riferisce a Rimini. Accadrà così anche per l’ Aethina tumida? Non potrà esser diversamente visto i presupposti. La volontà collaborativa e il forte senso di responsabilità che occorrerebbero agli apicoltori per arrestare l’avanzata del coleottero infatti (georeferenziazione, comunicazione di ogni spostamento, rispetto degli eventuali divieti di spostamento, autodenuncia di malattia, disponibilità a bruciare subito i primi casi) sono difficilmente auspicabili e starebbero ad indicare un’autodisciplina che gli apicoltori non hanno dimostrato di possedere in passato. La denuncia mossa dalle Associazioni di “abbandono della categoria da parte delle istituzioni”, senza mai una piena assunzione di responsabilità, né individuale, né associativa, mi sembra illegittima. Le istituzioni non possono collaborare con chi afferma di usare farmaci illegali, né fare finta di non aver capito glissando sull’argomento in una sorta di tacito assenso. Le associazioni, che da sempre dovrebbero fungere da tratto d’unione tra apicoltori e istituzioni, anche motivate all’incontro al solo scopo di ottenere fondi pubblici da investire nel settore, non hanno in verità mai svolto attività in questo senso, operando una sorta di atteggiamento protezionistico nei confronti dei loro associati, come se le istituzioni risultassero un pericolo da fuggire e non la stessa mano che assegna i contributi, anche elargiti sotto forma di assistenza sanitaria (sempre gratuita). Gli hobbisti, piuttosto che i professionisti hanno reso questo settore ancora più evanescente e poco incisivo sul fronte delle conquiste di categoria. Coloro che svolgono questa attività come secondo lavoro, non intendono, infatti rendersi visibili per la paura di controlli fiscali crociati. Si ha a che fare da sempre, quindi, con una “Categoria non Categoria”, composta da coltivatori diretti, pensionati, grandi avvocati, inglesi in pensione, milanesi alternativi, impiegati delle poste, disoccupati in attesa di impiego, molti dei quali inventori, scien- ziati, poeti, naturisti, misantropi, pochi dei quali apicoltori scienti e coscienti di produrre alimenti. Un mondo parzialmente emerso, che non vuole farsi conoscere appieno, che vuole i contributi senza pagare le tasse, i farmaci registrati e poi non li compera, i veterinari esperti e poi non li interpella, che crede di più nei santoni e maghi piuttosto che nei laboratori di ricerca , che vuole le leggi di settore e non le rispetta, che vuole dalle uussll collaborazione ed elasticità nella applicazione delle leggi ma non intende collaborare per la salvaguardia degli apiari di tutti (associati e no) dalle malattie. Chi sopravviverà? Sicuramente quelli che hanno saputo fare delle scelte oculate e coraggiose, che si sono resi il più possibile liberi dalla schiavitù delle molecole chimiche, che hanno fatto un po’ di selezione genetica per il contenimento e la convivenza pacifica con le pesti e la varroa, quelli che hanno cercato di risanarsi senza l’uso di antibiotici e che hanno bruciato i casi disperati di varroa e i casi di peste senza farsi inutilmente impietosire, quelli che non hanno abbandonato le loro api ma neppure compromesso l’equilibrio dell’ambiente per salvarle, né hanno messo in pericolo la salute delle persone di oggi e di domani facendo pasticci con molecole cancerogene, quelli che hanno cercato aiuto lontano dai guru consapevoli dei limiti di ogni scienza e si sono messi a disposizione per collaborare con le Associazioni e le Istituzioni in una battaglia che se si perde fa male a tutti. 7 / 323 07_luglio_2006_DEF 11-07-2006 16:57 Pagina 324 Da come è impostata la Direttiva 2004/ 28/CE, “I medicinali veterinari per animali destinati alla produzione di alimenti possono essere autorizzati solo a condizioni che garantiscano l’innocuità degli alimenti per i consumatori in relazione agli eventuali residui di tali medicinali”, alla luce di quanto sta succedendo, c’è da augurarsi un recepimento italiano che imponga uno stretto giro di vite, senza deroghe concesse a nessuno, una “sana medicina” per riportare la situazione a dei livelli di maggiore serietà, controllo e sicurezza. Dal momento che viene definito “medicinale veterinario” ogni sostanza o associazione di sostanze che può essere usata sull’animale o somministrata all’animale allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, mediante un’azione farmacologia, immunologia o metabolica, oppure di stabilire una diagnosi medica, sembrerebbe di capire che nessuna sostanza di quelle usate in apicoltura ne possa essere esclusa. Così pure la prescrizione veterinaria che risulta indispensabile per l’utilizzo di farmaci veterinari. Anche la somministrazione di farmaci omeopatici alle specie animali destinate alla produzione di alimenti, le cui sostanze attive figurano nell’allegato II del Reg n. 2377 /90, è consentita sotto la responsabilità di un veterinario. Torneremo alla regola iniziale che ogni allevatore dovrebbe rispettare per produrre alimenti di origine animale sicuri? • diagnosi effettuata da un medico veterinario • ricetta medica veterinaria in triplice copia (per specialità veterinaria regolarmente registrata per le api con tempo di sospensione previsto) o ricetta in bianco in unica copia (farmaci con nessun tempo di sospensione previsto o farmaci omeopatici), con uso e dosi stabilite dal medico • tenuta corretta del registro dei farmaci e delle ricette (gialle e bianche), e delle eventuali schede aziendali (previste nelle GMP) ove ogni trattamento, anche omeopatico, è registrato • acquisto in farmacia (per la specialità veterinaria) e trasmissione del farmacista della copia azzurra alla usl • acquisto di timolo e acido ossalico anche fuori dalle farmacie ma trascrizione del loro utilizzo sulle schede aziendali (GMP), o sul registro dei farmaci, attenendosi alle dosi stabilite su ricetta bianca • attività del medico veterinario coadiuvata dalla figura dell’esperto o tecnico apistico, come una sorta di laico (educatore sanitario e promotore di crescita aziendale) che, in stretta collaborazione con il veterinario, comunica la necessità del suo intervento, segue le fasi di somministrazione del farmaco e della cura, verifica l’efficacia del trattamento, promuove tecniche apistiche che tendano a stimolare le capacità di resistenza alle malattie della famiglia, scoraggia l’utilizzo di far7 / 324 maci non consentiti e di dosi o formulazioni non prescritte • il veterinario libero professionista svolge la sua professione nel rispetto del DPR 320/54, mettendo in condizioni le uussll di intervenire • le UUSSLL verificano l’andamento della malattia sul territorio, il corretto utilizzo del farmaco, controllano i registri dei farmaci e le schede aziendali dei trattamenti, verificano il rispetto dei tempi di sospensione, controllano l’efficacia del prodotto, programmano e promuovono in collaborazione con le Ass. di Cat. piani sanitari per il controllo della diffusione delle malattie, eseguono eventuali monitoraggi, collaborano a ricerche specifiche con le autorità autorizzate a farlo, controllano l’assenza dei residui negli alimenti di o.a prodotti entro e fuori U.E., applicano , se del caso, il DPR 320/54 , sanzionano gli inadempienti, etc. Il miele importato similmente dovrebbe provenire da paesi che nei loro capitolati garantissero al paese importatore metodi di allevamento comparabili ai nostri, cioè rispettosi della salute e del benessere degli animali, del consumatore e anche del lavoratore (!) e dovrebbe esser sottoposto a severe e frequenti verifiche doganali. Coloro che producono alimenti di origine animale non dovrebbero poter usare il farmaco veterinario diversamente da quanto sopra esposto.