Beatrice Dall`Ara GIOCHI DI POTERE In un`analisi e solo in

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Beatrice Dall`Ara GIOCHI DI POTERE In un`analisi e solo in
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Beatrice Dall’Ara
GIOCHI DI POTERE
In un’analisi e solo in un’analisi c’è l’occasione, l’eventualità di accorgersi del gioco del potere e di come
ciascuno non possa non giocare questo gioco. Solo un’analisi ne comporta l’affrancamento perché il sistema
di pensiero che si forma non ne ha più nessuna utilità, nessun utilizzo. Ma l’analisi occorre volerla fare se
non c’è questo desiderio, nessuno, neanche il miglior analista del mondo può fare alcunché se la persona non
lo vuole, per esempio, se la persona crede che l’analista sappia tutto ciò che lei non riesce a capire, per
esempio del disagio, per esempio, delle relazioni con le altre persone, per esempio delle sue paure. La
persona in genere si aspetta sempre che altri sappiano, non importa che cosa, ma sono gli altri che devono
sapere come stanno le cose, le persone hanno una fiducia estrema del sapere soprattutto della autorità
preposta al sapere, in questo caso quello dello psicanalista. Ma cosa sa l’analista? L’analista sa di parlare, sa
moltissime cose ovviamente ma questa è la cosa fondamentale.
Molti anni fa, ventisei, decisi, feci domanda di analisi, allora io nulla sapevo della psicanalisi, fin da bambina
però, forse parole del nonno, al nome di Freud era connesso “senso di colpa” e il senso di colpa soprattutto se
non sai da dove arriva e perché è sempre presente nei tuoi pensieri, è piuttosto molesto, e allora visto che la
psicanalisi era la sola che si occupava del pensiero decisi quella direzione.
Nulla sapevo, nulla sapevo del mio pensiero, certo sapevo di pensare ma perché e come lo sapevo? Avevo
imparato fin da bambina, fra le varie e tante cose che mi avevano insegnato, anche questa, che le persone
pensano e che l’intelligenza è un dono che fa parte del pensiero, dicono che è un dono della natura
l’intelligenza, ciascuno tiene molto alla sua intelligenza anche quando parla fra sé e sé cercando di risolvere
volta per volta problemi che incontra vivendo, in genere vuole capire, ama capire, Freud, a questo proposito,
diceva che in certi casi funziona all’interno del pensiero una sorta di erotizzazione, il piacere estremo nel
reperimento, nella conclusione della verità, e quando non capisce allora è come se la propria intelligenza, il
bene più prezioso, non avesse più nessun valore.
Nulla sapevo del mio pensiero, pensavo cioè parlavo, chiedevo, rispondevo, giudicavo, io ero l’interlocutore,
certo tutto ciò avveniva in modo velocissimo, automaticamente, e usavo gli stessi termini e la stessa forma
anche con gli altri, per esempio con l’analista, parlavo ininterrottamente, sapevo di parlare? Certo che lo
sapevo, anche questo in fondo faceva parte del mio sapere ma era una cosa banale, talmente banale …
quando penso. Tantissimi gli elementi che intervengono in ogni momento mentre faccio le cose più disparate
figli, famiglia, lavoro, analisi, penso tante le cose che intervengono lì e in quel momento, ti accorgi ancora di
pensare? Difficile, le cose avvengono lì in quel momento, un attimo di felicità, speranza, si apre una
direzione, tante direzioni, tante vie, prosegui, felicità intensa, dolore, buio, paura. Confusione. Sensazioni, a
volte emozioni fortissime, sembra un film che in fondo si è già visto ma che si vuole tornare a vedere sempre
e ancora. Ma analisi: racconto del film in tutti i suoi più piccoli particolari: fotogrammi, scene, immagini “è
un film ma non ci credo” emozioni? Passioni? Perché? Perché le sento. Perché le voglio? No. Non le voglio
nel modo più assoluto ma sono i miei sentimenti, è quello che provo, è quello che sento.
Molti anni fa, sempre Freud ci diceva, che se non c’è speculazione, se non si introducono gli elementi teorici
all’interno di una psicanalisi, se non c’è interrogazione intorno alle questioni che emergono (ogni mercoledì
si riuniva con gli amici proprio per continuare l’elaborazione teorica) l’analisi personale non fa un passo, gira
in tondo, si ferma proprio al “sentimento” e ai suoi interminabili racconti, alla descrizione dell’immagine ed
io come tanti amici, tanti anni fa, fummo invitati a prendere parte agli incontri e da tanti anni non abbiamo
più smesso di farlo, ogni mercoledì, ciascuno è stato invitato, ciascuno è libero di farlo se lo vuole, dicevo
all’inizio che la questione del potere solo in una psicanalisi può essere colta in tutta la sua portata, in una
psicanalisi il “luogo” tra virgolette, in cui discutere, obiettare, elaborare, mettere in gioco ciascuna volta ciò
che si crede essere vero, ciò che si crede la verità assoluta oltre la quale pare non sia possibile andare, in
fondo è questo che avviene in un’analisi la persona crede fermamente che le cose siano così come afferma
che sono, perché questo è ciò che sa, perché questo è il suo mondo, il mondo che ha costruito fin dai primi
anni di vita, questa è la sua realtà, cioè le cose sono proprio così come affermo che sono, e le afferma
continuamente e non si accorge delle sue affermazioni universali, che come la logica insegna, se sono
affermazioni universali escludono, logicamente, la possibilità che possa essere altrimenti che così,
l’affermazione universale esclude la particolare negativa cioè “è assolutamente vero quello che dico io” e se
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qualcuno dice il contrario di ciò che io dico allora è in errore o mente spudoratamente oppure come afferma
il discorso paranoico “chi pensa differentemente da me è un cretino” e questo è il potere che descrive il luogo
comune, il potere che ciascuno si trova a subire perché ciascuno afferma la Verità anche quando da per
scontato che la Verità non esiste perché nessuno l’ha mai trovata e quindi è come se una cosa valesse come
un’altra, una Torre di Babele, diceva uno psicanalista, un’accozzaglia di opinioni, certo, costruzioni
fantastiche fondate su niente come la costruzione del dio che da tempi infiniti, con nomi diversi e in modi
diversi, un dio che non si può vedere, parla attraverso personaggi, autorità che trasmettono le sue leggi, alle
quali leggi occorre adeguarsi senza domandare nulla, uno degli imperativi è “credi e avrai la felicità eterna”
non qui e adesso, ovviamente, qui c’è la croce, una croce da portare, da esibire, dice il nostro Papa Ratzinger,
“croce” simbolo perenne della sofferenza da tenere a mente, da non dimenticare, simbolo della colpevolezza,
del peccato, del male, il valore della sofferenza, sofferenza che si può vedere solo in un corpo, in una
sostanza fatta di carne preda di istinti proibiti, dimostrazione ostensiva della sofferenza dell’anima di cui
nulla si potrebbe sapere, ed è appunto il corpo che la mostra talvolta, chi più soffre più vale, più è amato da
dio, l’amore di dio è il premio di tanto soffrire, anzi proprio soffrendo divento importante per qualcuno,
almeno per un dio se credo di essere una nullità, se credo di non contare nulla, se non posso contare neanche
sulla mia intelligenza, se credo. Nietzsche tuonava contro il dio dei cristiani, e non aveva tutti i torti in fondo,
considerando che la religione è il più astuto inganno, la più feroce menzogna, lo spregio oltraggioso
all’intelligenza degli umani costretti a subire la Verità di un dio in cambio di Amore cioè del riconoscimento
che anch’io valgo. Un inganno, una menzogna costruita ad arte per avere potere cioè per imporre la propria
volontà, le proprie leggi, la propria realtà, con la persuasione che la sofferenza esiste e che è l’unico mezzo a
disposizione degli umani per essere importanti, per essere degni dell’attenzione di dio, di essere cioè veri, un
inganno per ottenere il potere perché non basta che io mi attribuisca il potere, occorre che il potere sia
attribuito da altri, sia riconosciuto da altri, se no che potere è? è il potere del folle che si mette la caffettiera
in testa e dice “sono Napoleone, seguitemi”. Altri devono riconoscere il potere delle mie parole, delle mie
conclusioni e quindi degli obiettivi e degli scopi che mi fanno muovere e l’obiettivo e lo scopo è l’amore
oceanico, il sentimento oceanico (mi viene in mente cosa diceva Freud a proposito dell’amore oceanico
decantato da un suo amico poeta) il bene comune, l’uguaglianza, la fratellanza, la pace, grandi valori, il
tesoro dei nostri valori, ma queste cose che chiamiamo “i nostri valori” sarebbero sufficienti a decretare il
potere di quelle parole, di quelle verità? Non credo, questo è ciò che si afferma comunemente, chiunque ne
afferma l’importanza, né potrebbe fare diversamente se vuole essere ammesso nel gruppo della socialità, il
colpo di genio delle religioni, di chi le ha costruite, una finezza psicologica data da un’analisi precisa, è stato
lo “scambio” di potere, perché è vero che tu mi concedi il potere rinunciando alla tua intelligenza e alla tua
responsabilità, non certo alla tua colpevolezza, ma il premio che io ti faccio è di avere a tua volta il potere su
di me, perché solo se mi sai mostrare quanto soffri, i tuoi sacrifici, io mi accorgo di te, se mi sai mostrare la
tua “pochezza” la “tua povertà di spirito” tu per me sei importante. L ’amore una cosa meravigliosa cantata
dai poeti di tutti i tempi, l’amore della canzonetta, forza arcana che sconvolge, che travolge, l’amore in
analisi o no, che differenza fa? Sembra che l’amore nulla abbia da spartire con il gioco di potere anzi, notava
Freud, come una persona nell’innamoramento si annulli per l’altra persona, non ci sono più desideri ma il
desiderio della persona amata è il mio desiderio, l’umiltà, Freud dice così la “dedizione” per l’oggetto
d’amore a questo punto non si distingue più dalla dedizione sublimata a un’idea astratta e non a caso
accosta l’innamoramento allo stato ipnotico, innamoramento in tutte le sue varie forme ovviamente, può
essere l’amore per l’uomo, per la donna, l’amore per l’ altro uomo, l’amore per un ideale, l’amore per la
madre, è il programma dell’amore, il gioco dell’amore così come è giocato dai parlanti in tutte le sue
varianti, amore che si riduce al reperimento di un oggetto d’amore di cui impossessarsi. Quali sono le parole
che si dicono gli innamorati e che vogliono sentirsi dire? “io sono tua” “tu sei mio”.
In un’analisi la persona ovviamente parla, racconta, esprime i suoi desideri, le sue paure, le sue, a volte,
terribili incertezze e l’analista è li che l’ascolta, ascolta le cose che dice, è interessato alle cose che dice,
nessuno aveva mai dimostrato tanto interesse per le sue parole né per lei queste parole erano importanti, le
diceva se le diceva, le ripeteva e non si accorgeva di quello che ripetendo ricostruiva, e l’analista è lì con lei
a ricordarle, perché la persona è attentissima soprattutto a quello che altri si ricordano di lei, da questo
conclude la sua importanza, e se l’altro si ricorda è perché le cose che “ho dette” sono importanti, sono
importanti quindi sono vere, e se dico cose importanti finalmente anch’io sono importante, valgo, sono un
valore e c’è qualcuno che apprezza il mio valore, apprezza la mia intelligenza e “impertinente” con
l’intelligenza fa giocare alzando sempre la posta in gioco, per esempio indica i testi sui quali lavorare perché
lì si possono trovare molti degli elementi che interrogano e quindi riprendere la questione, riparlarne, e in
genere sono testi ai quali si credeva non poter avere accesso, testi sacri, Platone il “Simposio” per l’Amore
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per esempio, e dal Simposio al “Cratilo” la questione della parola, al “Sofista” e via, via, passo dopo passo si
prosegue il percorso che prevede, se lo si desidera, l’esposizione al pubblico in una conferenza, di ciò che si
è reperito, elaborato, concluso, mostrando, cercando di mostrare, come le verità imposte dal luogo comune e
quindi la realtà, possano mostrare dei risvolti assolutamente inattesi, la maggior parte delle volte indesiderati,
risvolti e implicazioni sulle quali è meglio sorvolare, è meglio tacere, è meglio non chiedersi nulla, è meglio
avere fede, e sono molte le conferenze con le quali ciascuno di noi, anno dopo anno, si è confrontato per non
avere in prima istanza paura di dire, per confrontarsi con la propria responsabilità nell’affermare cose che
nessuno, se non la psicanalisi così come l’ha inventata Freud, può avere l’ardire di dire, perché se non lo fa la
psicanalisi che si occupa del pensiero, di come funziona il pensiero e finalmente di che cosa è fatto il
pensiero allora non resta che la fede che le cose che dico siano vere e sono vere, se e solo se, trovo qualcuno,
almeno uno al quale imporle, che le confermi, confermi le mie verità, riconosca la mia verità, se non lo trovo
continuerò a cercarlo all’infinito, perché se non c’è questo riconoscimento allora, non sono più certo di nulla,
ogni cosa è uguale a un'altra, sono “nessuno” non c’è nulla, non c’è nessuna proposizione assolutamente vera
da cui il pensiero possa partire per costruire di lì altri pensieri, altre proposizioni.
E questa è una questione estremamente importante per l’analista per colui cioè che si confronta con le
questioni, che porta le questioni alle sue estreme conseguenze e che sa, non può non sapere di parlare e
quindi di pensare e che tutto quanto accade, accade perché parla e che l’artefice di tutti i mali o di tutti i beni
è una struttura, ciò che chiamiamo linguaggio che necessita solo di funzionare, non ha altri scopi.
Molti anni fa negli incontri settimanali le questioni aperte da Freud erano moltissime, per esempio la
questione del potere, la questione dell’amore, la questione del disagio, la questione religiosa, erano questioni
ancora aperte, luoghi comuni che intervenivano per lo più in analisi nei diversi modi che sono particolari a
ciascun discorso, Freud già allora aveva considerato come la realtà di cui gli umani dicono, le loro più grandi
verità siano frutto di rappresentazioni, frutto di fantasia, la verità oggettiva è un fantasma e come tale non
esiste. Beh già allora noi ci chiedemmo: se ciascuna verità è, nella migliore delle ipotesi una fantasia, allora
come poter considerare le verità che lui andava affermando, sembrava una contraddizione “se tutto è una
rappresentazione quale sarà la rappresentazione più vera?” eppure ciò che aveva costruito, inventato Freud
con la psicanalisi era l’apertura, aveva istaurato la domanda cioè la richiesta di altri elementi, e Freud a modo
suo ce li ha forniti, l’Interpretazione dei sogni, il Motto di Spirito, la Psicopatologia della vita quotidiana, il
Significato opposto delle parole primordiali, questi testi sono testi di linguistica di come le parole
costruiscano le cose, le cose differenti, basta un’organizzazione differente e quindi un discorso differente e la
cosa non è più quella ma un’altra, qual è a questo punto la realtà? “Quello che io credo che sia” è la risposta
più ovvia a questo punto, questa è la Verità, ma dicevo dei testi di linguistica di Freud, anche se Freud non
conosceva De Saussure e quindi non conosceva la linguistica che stava nascendo, né conosceva la filosofia
del linguaggio e quindi la logica da cui prende avvio questo studio, ma proprio dai suoi testi sappiamo
l’importanza estrema che attribuiva alle parole, alle connessioni fra le parole quindi alle regole dei giochi e
alle direzioni che prende la parola, poi Lacan, i giochi di parola, i suoi enunciati, il più spiritoso rivolgendosi
agli psicanalisti “fate parole crociate”, Lacan amico di Jakobson e di altri, un linguista che gli aveva indicato,
fra le altre cose, il gioco degli operatori deittici “io, tu, noi – sopra, sotto, prima, dopo” eccetera, e il suo
famoso enunciato “l’inconscio è strutturato come un linguaggio” e Verdiglione, dopo di lui, studioso, fra le
altre cose, di semiotica, Greimas “la Semantica strutturale” “il Senso” eccetera, Verdiglione giungeva ad
affermare che “nulla è fuori dalla parola” beh per noi questo era il punto da cui partire per proseguire la
nostra ricerca, per la costruzione di una psicanalisi che non necessitasse di atti di fede, una sorta di onesta
intellettuale che doveva condurre il gioco che noi stavamo costruendo, una scommessa per la nostra
intelligenza, abbiamo lavorato molti anni confrontandoci con una proposizione “qualsiasi cosa è un elemento
linguistico” abbiamo cercato in tutti i modi e con tutte le argomentazioni di negarla, avvalendoci di tutti i
testi a disposizione, soprattutto di logica e poi di retorica ma questa operazione non ci è mai riuscita perché
ciascuna volta che credevamo di poterla negare la confermavamo con le nostre affermazioni, in poche parole
la sua negazione comportava una contraddizione cioè ciò che affermavamo essere falso, era falso, se e solo
se, ciò che affermavamo era vero, da questo non c’era uscita, né c’è uscita, nessuna possibilità di scampo, un
paradosso come “io mento” mento o dico la verità? come trovare una soluzione? È un po’ la contraddizione
che è insita nell’affermare che gli umani parlano ma possono anche non farlo perché le loro parole sono
importanti sì, ma servono solo a descrivere cose che esistono o non esistono, e quindi l’esistenza delle cose,
l’Essere dei filosofi, l’Essere della metafisica. L’Essere viene prima della parola? Sì. E come lo sanno?
Come l’hanno saputo? Quali le argomentazioni precise, quali le prove? Perché ci sia una prova, una
dimostrazione devo costruire delle proposizioni che partono da una premessa e attraverso dei passaggi
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devono concludere la verità della dimostrazione e questa verità non deve contraddire la premessa. Così
funziona il pensiero degli umani perché è fatto di linguaggio, perché gli umani possono dirsi umani, pensarsi
umani e, per esempio, distinguersi dagli animali o dalle pietre perché parlano, perché è la struttura che li
costituisce che consente la significazione e quindi la costruzione delle cose, cose che sono parole in prima
istanza e non viceversa, sono termini, concetti, definizioni, figure retoriche. Accorgersi che si sta parlando,
sempre, in ciascun istante comporta sapere che con le parole si costruisco altre parole che non hanno nessun
referente fuori del gioco linguistico in cui sono inserite, con le parole si costruiscono le tragedie oppure le
commedie, le guerre, con le parole si costruiscono i sentimenti, le paure, le angosce, a piacere, il linguaggio è
una struttura, funziona e per ciascuno funziona sempre allo stesso modo, se lo si sa allora si agisce
linguaggio, se non lo si sa allora si subisce tutto ciò che si crede essere vero cioè fuori della parola.