11 Politiche di welfare e supporto di rete

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11 Politiche di welfare e supporto di rete
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Politiche di welfare e supporto di rete
di Paolo Pezzana
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Il problema sociale
La grave emarginazione adulta è un problema sociale.
Quale che sia la fenomenologia di riferimento, nessun contrasto
può in buona fede esistere circa il fatto che le persone che sperimentano sulla propria pelle la marginalità estrema sono persone la cui vita è piena di difficoltà tali da causare uno stato elevato di disagio e
malessere.
Lo stereotipo romantico del clochard libero e ribelle non solo è
fuorviante, ma probabilmente è anche falso, perché deriva da una lettura superficiale della condizione delle persone supposte tali. Ammesso che si possa incontrarne, è alquanto probabile che una persona disposta a qualificarsi come senza dimora “per scelta” ed “amor di libertà”, ad un accenno appena più serio ed approfondito di relazione si
rivelerebbe come una persona sofferente alle prese con il fronteggiamento di una serie complessa di problemi, ai quali reagisce in maniera
adattiva, spesso negando di essere portatore di un disagio.
Non è questa la sede per spingersi a rileggere secondo questa chiave alcune delle analisi classiche di Nels Anderson sul “vagabondo”, ma
è probabile che, con tutte le avvertenze richieste per “maneggiare” la
scuola di Chicago e il peculiare contesto socioeconomico in cui quelle
analisi erano condotte, anche un’operazione del genere potrebbe funzionare.
Conclusioni non troppo dissimili infine potrebbero essere raggiunte anche nel controverso campo delle cosiddette “controculture di
strada”, le quali, a seconda dei casi in cui si manifestano, o non sono
in nulla apparentabili all’homelessness o sono anch’esse forme adattive di risposta negativa ad un disagio di tipo simbolico-esistenziale.
Al termine della lettura dei contributi presenti in questo testo, data la loro ricchezza, ed articolazione e il potenziale di complementarietà
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da essi espresso, il lettore si sarà probabilmente fatto un’idea piuttosto
chiara di tutto questo e delle dinamiche all’opera dietro al fenomeno
dell’emarginazione grave degli adulti nelle nostre società tardo-moderne occidentali.
Come accennato in apertura, la convinzione, che si rafforza anche
lungo questo testo, è che la grave emarginazione sia un problema non
individuale ma sociale, assumendo, con Folgheraiter, che: «il problema
sociale è tale quando un fatto anche se tenue viene percepito come
inaccettabile e produce una re-azione inevitabile di contrasto per gestirlo o attenuarne gli effetti o per risolverlo, a seconda di cosa si metta in testa in positivo l’agente, chiunque esso sia».
In quanto problema sociale, la grave emarginazione adulta è in radice un problema politico, ossia un problema che ha a che vedere con
la possibilità di costruire una “vita buona”, un “ben-essere”, che, da
Aristotele in poi, è considerabile come il metro ultimo per valutare la
legittimità sostanziale delle sfere istituzionalizzate dalla società, ivi
compresi i poteri politici ed amministrativi.
Scopo di questo ultimo contributo è quello di prendere in considerazione un caso pratico, e segnatamente l’esperienza della fio.PSD –
Federazione italiana degli organismi per le Persone Senza Dimora, per
cercare di illustrare come, attraverso di essa, chi vi agisce cerchi di fronteggiare la marginalità.
A questo modo si cercherà di porre, dal basso e mediante l’esperienza di chi quotidianamente si spende su questo terreno, la questione della governance pubblica della grave emarginazione, che è, a ben
vedere, l’unico scopo davvero utile cui possono essere indirizzate le conoscenze acquisite mediante lavori importanti come quelli contenuti in
questo libro.
In questo contributo si assume per implicito che, in presenza di
idonea volontà politica, la grave emarginazione adulta, in quanto causa e forma estrema di povertà, sia una fenomeno, realmente e non solo
idealmente, “sradicabile”, per usare il gergo dei Millennium Development Goals delle Nazioni Unite e della Strategia europea di Lisbona.
L’approccio seguito è di tipo pragmatico. Consapevoli che non sarà
una magica policy a sconfiggere in un sol colpo tutta l’emarginazione,
si guarda qui, più che al risultato, al percorso necessario per conseguirlo.
Non si intenda quindi l’espressione “governance della grave emarginazione” come una presa d’atto di una supposta ineluttabilità della
stessa, alla quale fio.PSD non crede; essa è riferita piuttosto alla complessità ma anche alla doverosità di un processo progressivamente e
realisticamente volto al suo superamento.
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... Breve storia di un percorso
All’inizio degli anni Settanta del secolo scorso Domenach illustrava
molto bene la controversa natura del “lavoro sociale”, indicando come
non si dovesse concepirlo come l’azione illuminata di qualche specialista recante con sé le soluzioni ad ogni bisogno di una società generica
ed insoddisfatta, ma piuttosto come “il sociale al lavoro”, ossia un lavoro che scaturisce dalla sfera sociale, né incorpora esigenze e contraddizioni, né rivela la qualità profonda.
È una descrizione che si addice molto bene ai “pionieri” del lavoro con la grave emarginazione adulta in Italia.
Era l’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso; la dizione “persone senza dimora” non era ancora stata coniata e “senza fissa dimora”
continuava ad essere poco più della classificazione amministrativa che
la legge anagrafica del  riservava a “girovaghi e circensi”.
La letteratura sociologica italiana era al tempo priva o quasi di
opere e ricerche significative in tema di homelessness; quel poco di
specifico che si poteva trovare era sostanzialmente la riproposizione
di analisi riferite ad altri contesti, specialmente di matrice anglosassone.
Il servizio sociale pubblico ed universale era, dopo le riforme di pochi anni prima, una realtà più o meno organizzata in tutto il paese, organizzativamente in mano agli enti locali ma dipendente dal finanziamento pubblico centrale e saldamente concepita secondo paradigmi di
diritto pubblico.
Il terzo settore, come lo intendiamo oggi, non era ancora sviluppato, e quanto meno non aveva piena autocoscienza del proprio ruolo e
fisionomia; esso andava tuttavia formandosi, specie nelle aree del paese a più elevato capitale sociale, come evoluzione spontanea dei movimenti di impegno civile degli anni precedenti.
Le strade delle grandi città d’Italia, ormai nel pieno del suo benessere economico, continuavano tuttavia ad essere popolate di persone
prive di un tetto e di qualsivoglia forma di inclusione sociale, alle quali sembravano non applicarsi più così correttamente le tradizionali immagini del vagabondo o, più romanticamente, del clochard.
Erano i “barboni”: un fenomeno di intensità non ancora travolgente, tenuto a debita distanza da cittadini e istituzioni, ma oramai evidente e sempre più difficile da spiegare mano a mano che cresceva la
consapevolezza di avere, anche in Italia, un Welfare State.
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È in questo contesto sociale e politico che un gruppo spontaneo di
operatori sociali appartenenti a organizzazioni pubbliche e private, per
lo più collocate nel Nord Italia, assunse la decisione di dare vita ad un
coordinamento di esperienze tra pari, al fine di provare insieme a decifrare un fenomeno con caratteristiche nuove, confrontando tra loro
le esperienze di incontro ed assistenza ai “barboni” che, dal basso, società civile e civiche amministrazioni locali avevano sino a qual momento messo in atto, anche a volte da lungo tempo, magari seguendo
modelli tradizionali di assistenza.
Nacque così a Brescia, era il , un coordinamento Nord Italia
chiamato “una sina nel cor”,costituito da alcuni organismi operanti
nell’area della “grave emarginazione”. Dopo un anno di lavoro e di incontri sistematici, emerse l’esigenza di allargare la conoscenza a enti locali, realtà ecclesiali, cooperative e associazioni di volontariato che nel
Nord Italia si occupavano di “persone senza fissa dimora”.
Tra i primissimi atti compiuti da questo gruppo informale di operatori vi fu la presa d’atto che, quali che fossero le caratteristiche del fenomeno sul quale stavano lavorando, tutti si riconoscevano in presenza di fattispecie di diritti negati e cittadinanza impedita, a volte conseguenza ma altre volte causa delle situazioni umane conseguenti.
Ne conseguì pressoché subito la denuncia dello stigma che dietro
l’immagine del “barbone” si celava, e l’esigenza di identificare una denominazione descrittiva del fenomeno più capace di renderne le caratteristiche.
Confrontandosi anche con altre simili esperienze europee nel frattempo individuate, si arrivò così a identificare, sul modello della distinzione anglosassone house/home, la dizione di “persone senza dimora”, ponendo l’accento sulla dimensione relazionale insita nel possedere un’abitazione, un “focolare domestico”, e lasciando cadere l’aggettivo “fissa”, per non incorrere in equivoci con la dimensione meramente anagrafico-amministrativa del fenomeno.
Progressivamente, aumentando le occasioni di confronto ed elaborazione comune, il gruppo di operatori riflessivi formatosi nel Coordinamento Nord Italia, aiutato dalla coeva strutturazione di una letteratura scientifica propriamente italiana in tale ambito, mise sempre meglio a fuoco la dimensione complessa, multidimensionale e processuale del fenomeno che le persone senza dimora vivevano, giungendo a
identificare complessivamente come condizione di povertà estrema e
grave emarginazione l’aspetto sociale delle difficoltà vissute dalle persone senza dimora.
Al crescere di tale consapevolezza, con lo strutturarsi sempre più
evidente anche in Italia di una sfera della società civile organizzata ca-
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pace di interagire con le istituzioni pubbliche per conseguire obiettivi
di promozione umana, anche il gruppo del Coordinamento assunse la
decisione di dare vita ad un soggetto unitario, nazionale ed organizzato stabilmente, che potesse assumere l’eredità riflessiva dell’esperienza
sino a qual punto maturata e sviluppare a partire da essa, in una prospettiva di respiro nazionale ed europeo, un complesso di obiettivi volti al fronteggiamento della grave emarginazione.
È da qui che, nel  (la prima assemblea dei soci si tenne a Brescia nel //) è nata la Federazione Italiana degli Organismi per le
persone senza dimora – fio.PSD, che da subito aderì anche, come unica
realtà rappresentativa nazionale italiana, alla rete europea FEANTSA, nel
frattempo costituitasi a Bruxelles come riferimento europeo tra le organizzazioni analoghe a fio.PSD.
... La fio.PSD oggi:
composizione, finalità, obiettivi e azioni
La fio.PSD, la cui sede nazionale è oggi ubicata nel centro storico genovese, conta al  aprile ,  soci, tra i quali  Comuni e n.  Organizzazioni del cosiddetto terzo settore,  delle quali sono cooperative
sociali,  associazioni di volontariato,  fondazioni e  altre forme organizzative. Tra i soci del settore privato sociale  sono direttamente
o indirettamente di ispirazione confessionale e altri  di matrice culturale laica.
Il profilo istituzionale della federazione, insieme alla sua immagine
coordinata, è stato recentemente riformato, per adeguare, dopo anni di
dibattito ed approfondimento, gli strumenti istituzionali della federazione alla realtà odierna della grave emarginazione in Italia.
Nel  la fio.PSD ha adottato un nuovo statuto ed un nuovo Regolamento, che esprimono, sia nella parte valoriale che in quella organizzativa, la tensione che la federazione manifesta verso l’essere luogo
di integrazione privilegiato fra i saperi e le competenze che è necessario fare interagire al fine di produrre processi sociali significativi di
fronteggiamento della grave emarginazione adulta.
In questo senso oggi fio.PSD è dotata di un segretariato nazionale
molto leggero, che agisce soprattutto come momento di coordinamento e supporto tecnico-operativo degli organismi sociali, che sono, oltre
alla presidenza, al Consiglio e all’Assemblea, le cui competenze sono
orientate verso il dialogo con i soggetti di rilievo nazionale ed europeo,
i comitati di coordinamento territoriale, che costituiscono invece gli
snodi fondamentali per promuovere interazioni a livello territoriale e
regionale. A questi organismi partecipativi si affiancano inoltre ulte-
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riori gruppi di lavoro composti da soci, con funzione di consulenza tecnica all’intera federazione su aspetti tematici specifici, come la comunicazione, l’elaborazione politico-istituzionale di documenti e position
papers, la definizione di problematiche di interesse tecnico degli enti locali associati e altre esigenze della vita associativa.
Se sotto il profilo organizzativo fio.PSD, quale ente rappresentativo
di secondo livello cerca di essere quanto più possibile uno spazio di
partecipazione reticolare, è a livello “epistemologico” che i soci hanno
voluto esprimere quanto più chiaramente possibile questa istanza.
Lo statuto della federazione, all’art. , incorpora infatti una “Carta
dei principi e dei valori”, che può essere a pieno titolo considerata come un “manifesto” delle e per le organizzazioni che operano oggi in Italia con le persone senza dimora. In esso si trovano espresse una visione chiara, dinamica e processuale della Grave Emarginazione Adulta e
definizioni operative utili a tutti coloro che, in qualità di attori organizzati, si cimentino con il fronteggiamento dei problemi sociali delle
persone senza dimora.
È importante rilevare come fio.PSD in nessun modo si concepisca o
si presenti come ente rappresentativo delle persone senza dimora: in assenza di un consenso esplicito di queste ultime non ne ha infatti titolo
né legittimazione. Sono ben note ai soci fio.PSD, sotto tutti i profili, e in
particolare sotto quello del potenziale disempowerment, le distorsioni
che possono discendere da un’espropriazione indebita della rappresentanza delle persone interessate da un problema da parte dei tecnici
incaricati di risolverlo.
È questo un rischio che fio.PSD vuole essere ben attenta a non correre, ed è per questo che, con altrettanta attenzione quanta ne hanno
dedicata alla Carta dei principi e dei valori, i soci costituenti della
fio.PSD hanno definito agli articoli  e  dello statuto, gli obiettivi e gli
scopi della loro associazione e le attività che corrispondentemente essa
è legittimata a svolgere.
Rinviando chi fosse interessato ad un approfondimento alla lettura diretta dei documenti, pubblicati e reperibili sul sito web istituzionale della federazione, quello che può essere interessante qui è mettere in rilievo come tali obiettivi ed attività siano chiaramente orientati in
senso proattivo, verso obiettivi politici di costruzione di un benessere
sociale più ampio che parta proprio dal riconoscimento della dignità e
dei diritti negati agli emarginati.
Sin dal suo statuto fio.PSD si configura come soggetto di dialogo sociale, i cui obiettivi sono orientati alla partecipazione attiva di tutte le
componenti della società, dai tecnici e i rappresentanti istituzionali ai
cittadini e le persone senza dimora stesse, alla gestione di problemi so-
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ciali multidimensionali e complessi come quello della grave emarginazione adulta, in un contesto di governance allargata e di condivisione
della funzione pubblica delle istituzioni.
Vanno chiaramente in questa direzione l’affermazione, tra i fini dell’associazione, della volontà di «promuovere la coesione sociale, l’inclusione e la lotta alla povertà come valori fondanti per la convivenza
civile e politica e come compito imprescindibile per la società», o ancora di «promuovere tutelare ed allargare la sfera dei diritti di cittadinanza delle persone senza dimora», ivi compresi il diritto universale ed
esigibile per ciascuno all’accompagnamento sociale in situazioni di difficoltà e all’accesso ai servizi sociali e sanitari. Sempre nel segno di una
costituitiva attenzione per la governance della marginalità vanno anche
le disposizioni finalizzate a impegnare fio.PSD a «promuovere e sollecitare il coordinamento tra tutte le realtà pubbliche e private che operano nel settore»; a «concorrere a migliorare la qualità dei servizi e delle strutture esistenti e promuovere il lavoro di rete come modalità per
la realizzazione di un sistema integrato di servizi ed interventi sociali
pienamente inclusivo verso le persone in stato di grave marginalità»;
a «promuovere la responsabilità sociale delle comunità locali, delle istituzioni e delle imprese verso le persone in stato di grave marginalità»;
ad «aggregare e rappresentare in maniera unitaria nelle sedi politiche
ed istituzionali i bisogni, gli obiettivi e le istanze dei soci e di quanti si
impegnino nel contrasto alla grave emarginazione ed a favore delle persone senza dimora».
Vanno inquadrate in questo contesto finalistico le attività che i soci hanno demandato la federazione a portare avanti.
Esse, come le presenta l’art.  dello statuto, sono essenzialmente riconducibili a tre filoni fondamentali:
. l’elaborazione culturale, ivi compresa la formazione e l’informazione di tutti gli stakeholders, in tema di grave emarginazione;
. la rappresentanza politico istituzionale dei soci a tutti i livelli, declinata soprattutto in termini di advocacy e lobbying;
. il supporto tecnico-organizzativo al networking dei soci, inteso come modalità per sviluppare, anche in un’ottica europea, strumenti di
contrasto sempre più efficaci contro la povertà estrema ed a favore delle persone senza dimora.
È su queste linee che la federazione si sta muovendo, adottando anche al proprio interno, come si vorrebbe accadesse nei processi di interazione istituzionale più vasti, il principio di sussidiarietà circolare.
Tutto questo non avrebbe però un senso così pesante come quello
che i soci fio.PSD hanno deciso di attribuirvi se non riposasse su una visione complessa della grave emarginazione tale da giustificare una tale
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convergenza di competenze e responsabilità diverse e diffuse come unico approccio potenzialmente efficace per il fronteggiamento della grave emarginazione adulta.
È per tale motivo che l’acquisizione più importante che la riforma
statutaria del  ha portato alla Federazione è probabilmente da rinvenirsi nella visione della grave emarginazione adulta che essa ha adottato ed espresso, facendo sintesi di vent’anni di dibattiti e discussioni.
... La visione statutaria di fio.PSD
rispetto alla grave emarginazione adulta
Il modo in cui i soci fio.PSD considerano la grave emarginazione adulta è chiaramente espresso nei  punti dalla Carta dei valori e dei principi della fio.PSD, che è stata adottata come parte integrante dello statuto all’art. .
Dopo aver posto nel segno del principio di centralità della persona e collocato alla luce dei principi costituzionali fondamentali il proprio operato, i punti  e  della Carta dichiarano esplicitamente che:
. La fio.PSD riconosce nella persona senza dimora a qualunque titolo presente in una comunità un soggetto sociale pienamente titolare di diritti, doveri ed
opportunità, la cui dignità e le cui possibilità di godere di una vita migliore sono di fatto negate dalle condizioni di povertà nelle quali è costretta a vivere.
. La grave emarginazione comporta per la persona una dimensione degradante di povertà di relazioni e di affetti, di assoggettamento alle costrizioni del
bisogno, della malattia, della sofferenza, dello stigma e dell’ingiustizia sociale,
nella quale la sua dignità viene negata e dentro la quale viene fortemente limitato il libero arbitrio e la libertà personale. Nell’esperienza maturata dalla
fio.PSD si riscontra che la grave emarginazione non è una scelta ma è l’adattamento alle conseguenze di un processo di esclusione che la persona subisce.
È in un quadro di questo genere, che spazza via ogni stereotipo inerente possibili scelte romantiche o “colpe originarie” dell’emarginato,
che al punto  i soci fio.PSD hanno convenuto su questa definizione di
persona senza dimora: «fio.PSD considera la persona senza dimora come un soggetto in stato di povertà materiale ed immateriale, portatore
di un disagio complesso, dinamico e multiforme, che non si esaurisce
alla sola sfera dei bisogni primari ma che investe l’intera sfera delle necessità e delle aspettative della persona, specie sotto il profilo relazionale, emotivo ed affettivo».
Oltre ad essere la prima definizione in materia esplicitamente condivisa dagli operatori del settore, vi sono almeno tre aspetti in questa
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formulazione che vanno sottolineati per la loro importanza potenziale
in chiave di governance:
. l’adozione di una concezione ampia della povertà, che chiaramente tiene conto, oltre alla sfera materiale del disagio anche delle sue dimensioni simbolico-esistenziali e della natura relativa o assoluta della
povertà;
. la lettura dinamica e processuale del disagio, che non è mai una
realtà statica e data una volta per tutte, ma evolve e si muove con il contesto in cui è inserito;
. la concezione relazionale dei bisogni e dei problemi, che comporta l’assunzione di un modello relazionale di lettura del disagio e di impostazione del welfare.
Appare chiaro che, se il “problema sociale” della persona senza dimora si presenta in maniera così sfaccettata e complessa, quasi a condensare in una stessa situazione le conseguenze più acute delle dinamiche
di impoverimento ed esclusione sociale, esso non può essere fronteggiato che ricorrendo ad una pluralità di attori e strumenti.
Siamo dunque davanti a un problema di governance, che investe
sia la dimensione micro che la dimensione macro dei processi relazionali che compongono l’appartenenza societaria.
Data una tale complessità, lasciare al soggetto in difficoltà la responsabilità esclusiva ed autonoma del fronteggiamento della propria
situazione problematica, come vorrebbe la tipica concezione liberale
dell’individuo borghese, non può portare infatti a risultati apprezzabili, anche se sembra essere questa la chiave interpretativa più diffusa nella società rispetto alla grave emarginazione.
“Scaricando” la responsabilità del fronteggiamento sul solo individuo senza dimora si dimentica l’ampiezza del problema e si costringe
la persona in una sorta di circuito senza uscita.
Il soggetto in una tale situazione sarà portato a concentrare i suoi
sforzi e le sue necessariamente limitate energie e possibilità sulla parte
più acuta del proprio problema, che non può che essere individuata e
percepita nella soddisfazione dei bisogni primari di sopravvivenza. Così facendo tuttavia, la persona senza dimora, con l’aumentare del tempo di permanenza in strada, peggiora la propria situazione, adattandosi negativamente alla stessa piuttosto che affrontandola entro uno scenario più ampio di possibilità.
È un processo che in letteratura si trova ormai descritto in maniera molto chiara, e che, in una recente pubblicazione curata da Caritas
Ambrosiana, è ben sintetizzato così: «Una volta che la persona comincia ad adattarsi alla nuova situazione, apprendendo come procu-
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rarsi i beni primari e voluttuari, come destreggiarsi fra le diverse opportunità del circuito assistenziale, si verifica una serie di cambiamenti
che comportano perdite successive di risorse e capacità. Ciò conduce
il soggetto a essere, da una parte sempre più vulnerabile, dall’altra
sempre più irrigidito. Infatti, alle cause originarie di deprivazione si
susseguono e si cumulano diversi disagi, tra i quali lo sradicamento
dalle reti sociali di riferimento e di sostegno, il deterioramento psicofisico, la mancanza di autonomia nel soddisfare i bisogni di sussistenza, la perdita di competenze relazionali, di capacità di reazione e di impegno. […] Qui sta l’anello di congiunzione tra vulnerabilità e rigido
adattamento: sono le facce di una stessa medaglia, della cronicizzazione. […] La condizione di senza dimora persistente e radicata struttura lo stile di vita della persona in modo quasi irreversibile, pervadendo addirittura l’interiorità. La cronicizzazione è un processo cruciale
nella carriera, assume una struttura “a imbuto”, poiché si svolge secondo una successione di tappe che presentano progressivamente minori gradi di libertà e possibilità di uscita. […] Il cumulo di fallimenti, i maltrattamenti, le privazioni, le incomprensioni subite spingono la
persona senza dimora ad aggrapparsi al minimo equilibrio di sopravvivenza, verso l’assunzione di un atteggiamento di rinuncia nei confronti del mondo o di ribellione».
È in questo senso che si configura al massimo grado, nella biografia di molte persone senza dimora, quella dimensione di distacco dall’appartenenza sociale che seguendo Robert Castel, ormai è comunemente definita désaffiliation.
È su questo terreno che la capacità di una comunità, di un territorio, di un sistema di welfare sono sfidati dalla grave emarginazione, ed
a tal proposito la posizione che i soci fio.PSD hanno espresso nei punti
 e  della Carta dei valori e dei principi è chiara non lascia adito a fraintendimenti:
. La fio.PSD non crede, sulla base della propria esperienza, nella cronicità personale e sociale della condizione di grave emarginazione e ritiene ogni persona senza dimora, nel rispetto dei modi e dei tempi adeguati alle proprie necessità, se adeguatamente sostenuta, capace di evolvere dalla propria condizione e di esprimere una propria progettualità di vita significativa ed alternativa alla marginalità.
. Per questi motivi fio.PSD concepisce e promuove l’intervento con la persona senza dimora come un intervento complesso e progettuale, di accoglienza
ed accompagnamento individuale, che può anche cominciare dal soddisfacimento dei bisogni primari ma sempre in un’ottica evolutiva e mai limitandosi
ad esso.
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Per quanto l’opinione pubblica e i decision makers possano essere
portati a ritenere “croniche”, nel loro disagio, le persone senza dimora, l’esperienza dei soci fio.PSD dimostra abbastanza chiaramente che
di cronicità, in questo campo, può parlarsi al limite soltanto rispetto al
deficit di risorse umane, materiali e finanziarie investite dalla società nel
fronteggiamento del problema.
Qui sta il nodo fondamentale della questione, non altrove. Si tratta di svelare le ipocrisie, e decidere anzitutto se la società intende o meno farsi carico di un problema che in ogni caso le appartiene e che in
molti frangenti ha essa stessa contribuito a generare. Nel caso italiano,
la Costituzione non lascerebbe spazio a risposte negative ma le prassi
sono troppo spesso di segno differente. È per ribadire i principi costituzionali e contrastare le lacune politiche ed amministrative nell’attuarli che fio.PSD ha posto al centro della propria azione la rivendicazione positiva dei diritti delle persone senza dimora, a partire dal diritto «di accedere a relazioni di aiuto e percorsi di reinserimento sociale
e promozione umana di tipo progettuale, personalizzato e professionale» affermato al punto  della Carta dei valori e dei principi.
Affermata la volontà pubblica di prendere in carico la grave emarginazione come tale, si tratta poi di valutare e decidere come e con quali attori tale fronteggiamento va complessivamente dispiegato.
Assunta per dovere di realismo l’esistenza di un “vincolo di scarsità” sulle risorse pubbliche complessive disponibili in un società per i
sistemi di welfare, fio.PSD rifiuta tuttavia l’idea che la spesa pubblica
per i servizi sociali e la presa in carico delle persone in difficoltà sia una
mera componente passiva dei conti pubblici, da sottoporre a necessaria limitazione in caso di contrazione dell’ammontare complessivo di
risorse disponibili.
Questa idea è infatti contraria ad una logica di “investimento attivo” nel capitale di una società, che non è solo capitale economico, ma
anche capitale umano e sociale. Solo lavorando congiuntamente su tutte tre le dimensioni di questo capitale si può produrre benessere, ed è
qui compresa l’idea che i beni producibili e distribuibili non siano solo di natura materiale, ma anche di tipo posizionale e relazionale.
Va da sé che, in un approccio del genere, la spesa necessaria per
l’inclusione sociale di segmenti di popolazione esclusa e vulnerabile,
come sono senz’altro le persone senza dimora, non è solo un imperativo etico, ma altresì una esigenza economica dettata dalla necessità di produrre il massimo rendimento sociale possibile dalle risorse investite.
È qui che torna nuovamente centrale la questione della governance pubblica della grave emarginazione.
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Solo un approccio integrato e corresponsabile tra tutti i portatori
di interesse per l’inclusione sociale, tra i quali vanno certamente almeno annoverate le istituzioni pubbliche, le comunità territoriali, le organizzazioni sociali e le stesse persone escluse, può produrre un’allocazione efficiente ed efficace delle risorse complessivamente disponibili.
A conferma di questa impostazione, fio.PSD, ai punti  e  della
propria Carta dei valori e dei principi, statuisce chiaramente che:
. Per questo motivo fio.PSD ritiene che il lavoro di comunità, la partecipazione effettiva, l’allargamento dei processi di governance territoriale del sistema
di interventi e servizi sociali siano la via principale attraverso la quale, insieme,
le istituzioni, i cittadini e le loro formazioni sociali intermedie possono contrastare la grave emarginazione.
. La fio.PSD promuove il lavoro di rete locale, regionale, nazionale e internazionale come principale modalità politica, culturale ed operativa per sostenere le persone senza dimora, sviluppare politiche e modalità di intervento efficaci contro la grave marginalità, costruire coesione sociale, favorire la crescita
di modelli di sviluppo solidali e sostenibili nei quali la persona in stato di grave emarginazione è valorizzata come risorsa per l’intera società.
La federazione quindi non sposa un approccio meramente categoriale,
né si configura come una semplice lobby a favore delle persone senza
dimora. Lo sguardo adottato è intrinsecamente politico, e ambisce ad
abbracciare il bene comune nella sua più ampia accezione, con l’attenzione ad evitare quelle “spirali distributive su larga scala” che Maurizio Ferrera chiaramente identifica tra le principali “trappole” che, nel
lungo periodo, hanno minato alla radice i sistemi di welfare europei nel
secolo passato, rendendoli, tra l’altro, pressoché impotenti nell’affrontare la condizione di grave emarginazione.
L’obiettivo finale dei soci fio.PSD, come di buona parte degli operatori impegnati nel lavoro sociale riflessivo, non è la soluzione di problemi specifici ed individuali, ma la creazione di condizioni di cambiamento, particolari e generali, entro le quali ciascuno, a partire dai più
deboli, possa essere facilitato ed accompagnato nel fronteggiamento
comunitario dei propri problemi.
Portando all’estremo una importante riflessione di Folgheraiter in
merito alle reti sociali di fronteggiamento ed al “problema che fa la rete”, è come se i soci fio.PSD, incontrando le persone in stato di grave
emarginazione ed affrontando con loro i problemi individuali di ciascuna, si fossero resi conto che, di problema in problema e di rete in
rete, attraverso la grave emarginazione e la sua tragica radicalità si può
giungere a tessere una trama di interdipendenze capace di abbracciare
l’intero spettro delle relazioni societarie. La grave emarginazione adul-
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ta, pur essendo un campo relativamente ristretto, assume così una valenza paradigmatica, in quanto potenziale luogo di rispecchiamento
negativo di tutte le contraddizioni e le opportunità che la società contemporanea manifesta ed offre.
Il fronteggiamento della grave emarginazione può dunque essere,
a beneficio di tutti, un utile “laboratorio di futuro”, specie in periodi
critici dello sviluppo sociale ed economico come l’attuale. Si può sperare così di evitare, per dirla con le parole di Ivan Illich, il momento in
cui nei rapporti sociali «il fragore del crollo obnubilerà gli spiriti e impedirà di comprenderne il senso».
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La G ra v e Em a r g i n a z i o n e A d u l t a c o m e l a b or a t o ri o
pe r l a g ov e r n a n c e d e l l a c o m p l e s s i t à
... La Grave Emarginazione Adulta in Italia oggi:
tra emergenze e lacune
Non è questa la sede per restituire un quadro della grave emarginazione adulta oggi in Italia, anche perché rispetto al territorio nazionale non
si possiedono, caso quasi unico in Europa, dati quantitativi attendibili
né valutazioni qualitative sufficientemente approfondite.
La ricerca nazionale che, nel , Il ministero del Lavoro, della Salute e degli affari sociali del governo italiano ha cominciato in partnership con ISTAT, Caritas Italiana e fio.PSD, rappresenta un significativo
passo in avanti e solleva non poche aspettative; occorrerà però aspettare i risultati, attesi per la fine del , per poter effettuare delle valutazioni compiute a questo riguardo.
Svariate ricerche locali, compiute con differenti metodologie in diversi territori del paese, offrono comunque sin d’ora uno spaccato che
consente di avanzare alcune valutazioni, parte delle quali sono state
precedentemente espresse in contenuti del presente volume.
Volendo mantenere la chiave di lettura della governance, intesa come modalità pubblica di fronteggiamento del problema sociale collettivo dato dalla grave emarginazione adulta, allo stato delle osservazioni sinora compiute sul fenomeno e sulle policy che lo riguardano, si
possono avanzare con buon grado di approssimazione alcune considerazioni generali.
a) l’emergenzialità
La prima e forse più importante evidenza che occorre considerare
è che il fenomeno della grave emarginazione in Italia è trattato, sostanzialmente a tutti i livelli, in termini emergenziali.

PA O L O P E Z Z A N A
Quello dell’emergenza, per quanto il più delle volte possa apparire il frutto di impreparazione e superficialità organizzativa, è in realtà
un paradigma ben preciso dell’intervento sociale, in cui certamente le
componenti di fragilità sistemica giocano un ruolo determinante.
Se si esaminano i diversi modelli di welfare secondo la ben nota
classificazione di Gøsta Esping-Andersen, possiamo notare come in
più di una variante del cosiddetto “modello conservatore-corporativo”, e più precisamente in quelle varianti che diversi autori hanno poi
classificato entro un quarto “modello mediterraneo”, tra le quali sta paradigmaticamente il sistema italiano, le modalità con le quali si affrontano le situazioni di grave emarginazione presentano alcune caratteristiche comuni, tutte riconducibili al paradigma dell’emergenza.
Possiamo assumere come costanti strutturali di tale modello mediterraneo una forte etica dei principi, una etica della responsabilità molto più sfumata, una centralità assoluta delle relazioni familiari ed un
basso grado di statualismo, con i conseguenti corollari in termini di
particolarismo, clientelismo e frammentazione.
Entro un tale quadro le rappresentazioni istituzionali e culturali
delle persone senza dimora tendono a presentare la grave emarginazione come un “fatalità”, una catena causale di eventi che colpisce non
tanto la persona in se stessa, quanto come componente di una famiglia
che non è stata in grado di fronteggiare da sé il problema che l’ha interessata.
La conferma di queste rappresentazioni, premesso che si tratta qui
di generalizzazioni molto empiriche e probabilmente confutabili con
molti esempi di segno contrario, può essere cercata sia nella discorsività comune intorno alle persone senza dimora, sia analizzando il sistema di risposte messo in campo dalle istituzioni pubbliche e private.
Nel campo della discorsività, forse ancora non abbastanza esplorato dalla letteratura, si può facilmente rinvenire un atteggiamento generale verso le persone senza dimora tendenzialmente “simpatetico”
e certamente non ostile, come quello rinvenibile in altre culture, quale ad esempio quella anglosassone di derivazione protestante, nelle
quali l’homeless è l’immagine pubblica del fallimento derivante dall’irresponsabilità individuale. Tale “simpateticità” il più delle volte
non è limitata alla persona ma si estende al suo ambiente ed alla sua
famiglia, con la quale avviene probabilmente l’identificazione più
profonda. Si tratta tuttavia di un’attitudine che, proprio perché di matrice familista, rimane nell’ambito delle “solidarietà corte” che caratterizza il familismo contemporaneo. Produce quindi al più delle forme immediate di solidarietà concreta e minuta, in risposta ai bisogni
necessari ed urgenti, ma non da luogo ad una dinamica più responsa-
.
P O L I T I C H E D I W E L FA R E E S U P P O R T O D I R E T E

bilizzante ed impegnativa di presa in carico di medio-lungo periodo.
In tal caso dovrebbe infatti scattare un meccanismo di identificazione
più profondo, che permettesse di riconoscere la persona senza dimora con la quale si entra in contatto, come un membro della propria famiglia, sia sul piano emotivo che su quello razionale. Tale meccanismo,
se non in rare eccezioni, non scatta, poiché in questi casi, nelle culture afferenti a tale modello, si è soliti rinviare alla responsabilità superiore delle istituzioni, da tutti riconosciuta in termini di principio e
quindi pretesa, come esercizio doveroso di poteri e prestazione di servizi che tuttavia rilevano solo in quanto utili a “raccogliere” e fronteggiare i problemi che il singolo non ritiene di potere o volere affrontare. È un meccanismo di delega che alcuni si ostinano a chiamare “principio di sussidiarietà”, ma che in realtà manifesta semplicemente uno dei volti pratici del particolarismo frammentario tipico di
tali realtà. Si possono spiegare in questi termini anche la cosiddetta
“invisibilità” delle persone senza dimora e i periodici moti di rifiuto,
quando non di aggressività esplicita, dei quali le persone senza dimora son fatte oggetto. In assenza di risposte statuali efficaci e del permanere della marginalità nelle strade infatti la reazione media del pubblico in questi sistemi è quella di innalzare delle vere e proprie “barriere invisibili” di separazione tra chi è “dentro” un’organizzazione sociale familiare e rassicurante e chi ne è “fuori”, mettendola implicitamente in discussione. Quando poi l’ordine interno dovesse essere violato, da reati o altri fatti di cronaca emotivamente percepiti come pericolosi vettori di insicurezza, in assenza di altri segnali di rassicurazione “paterna” da parte dei poteri pubblici, chi è “fuori” viene facilmente identificato come la fonte immediata del pericolo, e quindi può
capitare che si passi dall’indifferenza all’aggressione.
Passando all’analisi delle policy entro tali modelli di welfare, si può
facilmente notare come le persone senza dimora, in quanto escluse dal
circuito produttivo e prive di una famiglia, sono sostanzialmente fuori dal campo di applicazione delle misure universali ed automatiche di
protezione del reddito, qui riservate al male-bread-winner. Per le persone senza dimora, per quanto i diritti costituzionali loro negati siano
un catalogo assolutamente importante, non esistono quindi forme di
protezione generale come potrebbero essere un reddito minimo, un
diritto esigibile all’alloggio ecc. Restano a loro soccorso i sistemi territoriali di servizi, nel caso italiano estremamente diversificati ed estesi
nelle diverse aree del paese. Se si guarda a questo sistema e si analizza
la spesa dei Comuni in tale ambito, emerge con chiarezza come, in
termini generali, la grande maggioranza degli interventi sostenuti abbia carattere emergenziale e sostitutivo delle responsabilità familiari

PA O L O P E Z Z A N A
primarie, senza alcuna generazione di diritti o aspettative legittimamente esigibili. L’intervento tende così a limitarsi alla soddisfazione
dei bisogni primari, compatibilmente con le risorse disponibili, come
si è detto molto differenziate da territorio a territorio, e sino a saturazione delle stesse. Lo Stato si sostituisce quindi alle responsabilità primarie di una famiglia verso la sopravvivenza dei suoi componenti, ma,
sempre nell’ottica delle solidarietà corte e limitate del familismo, non
si assume le responsabilità più complesse di una famiglia verso l’inclusione sociale dei suoi membri, che necessitano di prossimità, legami, durevolezza e capacità educative che in questo modello sono riconosciute, e quindi delegate, solo alla famiglia in senso stretto. E se è
vero che, per ragioni che non è qui il caso di indagare, nel caso italiano queste limitazioni sono sinora state superate negli interventi verso
i minori cui una famiglia non può provvedere, è altrettanto chiaro che
nulla di tutto questo è avvertito come doveroso quando in difficoltà si
trovi un adulto.
In termini di governance l’emergenzialità si pone come un grave
ostacolo alla visione necessaria del problema, perché porta a concentrare gli sforzi, nella migliore delle ipotesi, su di un coordinamento efficace delle risorse disponibili per superare il rischio che la strada comporta per la sopravvivenza individuale. Tale limitato coordinamento
degli sforzi, spesso impropriamente definito come “lavoro di rete”, non
consente tuttavia di analizzare il problema dell’emarginazione nella sua
interezza né di ricercarne le cause né di pensare ed attivare le risorse
che potrebbero essere realmente efficaci. Esso può al limite dare vita a
forme permanenti di collegamento tra servizi assistenziali, che agiscono “sulla” persona senza dimora, garantendole per quanto possibile alcune utili prestazioni ma non la possibilità di sviluppare essa stessa, entro un percorso di accompagnamento sociale, una strategia di fronteggiamento del proprio problema sociale.
In un quadro del genere, che potremmo definire di “emergenza
permanente”, è ben difficile che dinamiche di governance vera e propria possano nascere, perché tra gli attori in campo si svilupperanno
certamente forme di collaborazione, ciascuno per alimentare il proprio
interesse (che può anche essere un genuino interesse al benessere delle persone senza dimora), ma non processi di negoziazione degli obiettivi da raggiungere e dei poteri da impiegare a tale scopo. Ben difficilmente si raggiungerà quindi quel livello della condivisione della funzione pubblica che si esprime nell’elaborazione e l’assunzione congiunta di responsabilità per delle policies.
L’esempio della cosiddetta “emergenza freddo” in molte città italiane, nell’esperienza dei soci fio.PSD, rappresenta la più eclatante di-
.
P O L I T I C H E D I W E L FA R E E S U P P O R T O D I R E T E

mostrazione di come questa dinamica sia all’opera nella maggioranza
dei sistemi territoriali italiani esistenti, senza purtroppo dimenticare
che in moltissime realtà del paese, specie al sud, di sistema non si può
neppure parlare, non essendovi alcun tipo di servizio cui le persone
senza dimora possano rivolgersi.
Non è infine un caso, come vedremo, se la prima misura legislativa
nazionale di rilievo per l’assistenza alle persone senza dimora, presa da
un governo della Repubblica sia stata il D.P.C.M.  gennaio , rubricato «Dichiarazione dello stato di emergenza nei capoluoghi delle
aree metropolitane per fronteggiare la grave situazione delle persone in
stato di povertà estrema e senza dimora».
b) le lacune
Come parzialmente già si è messo in evidenza, una seconda marcata caratteristica del sistema italiano, con la quale fio.PSD e i suoi soci si
misurano quotidianamente, è la lacunosità dell’impianto legislativo statale e regionale riferibile al contrasto della grave emarginazione.
Sarebbe troppo lungo percorrere in questa sede la storia e l’evoluzione delle politiche sociali in Italia anche solo dell’ultimo decennio,
ma se lo si facesse non si potrebbe che notare come nessuna reale strategia di contrasto alla grave emarginazione sia stata messa in campo nel
nostro paese, né a livello nazionale né a livello locale.
La prima e più evidente conseguenza, già più volte citata, è l’assenza di diritti esigibili in capo alle persone senza dimora, spesso escluse anche dalla fruibilità di quei diritti che, per le persone incluse, sono
effettivamente universali. Si pensi a questo proposito all’incidenza della questione amministrativa relativa al possesso di una residenza anagrafica sulla possibilità reale di usufruire di diritti apparentemente
“scontati” come l’assistenza sanitaria, il voto, la capacità giuridica di
agire ecc.
Ad ulteriore testimonianza dell’esclusione del tema della grave emarginazione dal raggio d’azione delle attuali politiche del welfare italiano,
si potrebbe forse solo paradigmaticamente ricordare come dalle due ultime misure dichiaratamente orientate al contrasto della povertà delle fasce più povere della popolazione degli ultimi due governi, il bonus incapienti e la social card, siano state precluse le persone senza dimora.
Ciò è accaduto non tanto per una volontà esplicita del legislatore
“contro” le persone senza dimora, ma per la grave lacuna anzitutto culturale che nel nostro paese accompagna le rappresentazioni, anche burocratico-amministrative del fenomeno. Trattandosi in quest’ultimo caso di misure elaborate dal ministero dell’Economia e delle Finanze, in
assenza di qualunque forma di coordinamento ed integrazione con le
competenze sociali di altri dicasteri, non si è semplicemente ricercato

PA O L O P E Z Z A N A
un criterio che potesse essere inclusivo anche per le persone emarginate, con la conseguenza di rinforzare, in termini non solo simbolici, la
percezione di abbandono e marginalità da queste persone quotidianamente vissuta.
Alla lacuna culturale si affiancano però anche lacune legislative in
senso proprio, che non di rado mostrano alle loro spalle evidenti lacune in termini di volontà politica dei decisori.
L’analisi dei profili giuridici e della legislazione relativa alle persone senza dimora è già stata oggetto di attenzione in questo volume. Si
può rilevare ulteriormente come, anche in termini di governance, la stagione dei primi anni , con l’art.  della legge /, il D.P.C.M.
//, le prime previsioni specifiche di fondi contro l’emarginazione in leggi regionali, abbia suscitato delle speranze oggi purtroppo
frustrate e disattese.
Ciò che evidentemente è mancato è la trasformazione degli interventi che quelle disposizioni avevano innescato da una logica di emergenza ad una assunzione di responsabilità permanente dei territori e
delle istituzioni nell’ambito della grave emarginazione.
E tale lacuna è direttamente conseguenza della principale lacuna
che l’impianto di welfare del nostro paese, nonostante la previsione costituzionale dell’art.  lett. m, tuttora presenta: la mancata definizione di livelli essenziali di assistenza sociale, ossia l’indicazione legislativa esplicita dei livelli essenziali delle prestazioni dovute ad ogni cittadino italiano come diritto esigibile.
In mancanza di tale fondamentale infrastruttura giuridica e sociale, anche volendo credere effettivamente nella reale volontà del legislatore di definire (e pagare) un sistema di diritti esigibili dalla persone
senza dimora, la condanna all’emergenzialità è pressoché definitivamente sancita.
Non si tratta di una lacuna dalle conseguenze moderate. Se guardiamo oggi alle esperienze attivate nei primi anni  con gli interventi legislativi ad hoc citati sopra, è accaduto che in alcuni casi, finiti i
soldi destinati dalla dichiarazione dello stato di emergenza prima, e dai
fondi dedicati dall’art.  della L. /, le iniziative, i servizi e la rete dei servizi, nel frattempo costruiti si siano sfaldati. In alcuni territori le iniziative intraprese sono state abbandonate, si sono chiusi i servizi, sono terminate le esperienze di coordinamento e di concertazione.
In altri si sono comunque trasformati i rapporti in quella fase instaurati, tornando, in nome della necessità di economie nei conti pubblici, o
a sistemi fortemente burocratizzati e centrati sulla volontà transeunte
delle amministrazioni locali del momento, o a deleghe più o meno in
bianco da parte delle istituzioni al privato sociale.
.
P O L I T I C H E D I W E L FA R E E S U P P O R T O D I R E T E

Alla fine dei conti, è mancata dunque, ed è lacuna grave, una esperienza di governance territoriale capace di mettere a sistema le inziative sulla grave emarginazione nell’ambito dei sistemi locali di intervento. Una governance che avrebbe dovuto e deve tenere insieme tutti gli
attori sia al livello nazionale che in quello regionale e territoriale, ma
che invece è stata sacrificata sull’altare di uno sterile e confuso conflitto tra livelli di governo, nel quale si è riproposta tutta la problematicità
di un sistema a bassa statualità ed elevata frammentazione.
Come detto, è mancata e manca tuttora una prospettiva nell’articolazione delle norme giuridiche e dei sistemi amministrativi capace
non solo di enunciare il problema e di farlo emergere ufficialmente, ma
anche di coglierlo nella sua essenza, e dunque di porre le condizioni per
il suo fronteggiamento.
In queste condizioni non c’è sussidiarietà che tenga, a meno che
non si apra davvero la funzione pubblica non solo per la gestione ma
anche per la cultura, la progettazione e la pianificazione dei servizi.
È questo l’obiettivo che fio.PSD ha ritenuto di poter assumere per
continuare a lavorare con e a fianco delle istituzioni, piuttosto che al di
fuori di esse, in un’area di movimentismo oppositivo. Non è una scelta facile, non è irreversibile, ma si è ritenuto che fosse ancora, al momento, la più congruente con la storia e le finalità delle organizzazioni
che più di vent’anni fa alla fio.PSD hanno dato vita.
... Le dimensioni di governance del problema da fronteggiare
In concreto, quando parla di governance, fio.PSD si riferisce alla necessità di mobilitare una pluralità di attori, ad una pluralità di livelli, per
sviluppare, su quattro piani fondamentali della marginalità che colpisce le persone senza dimora, adeguati contesti di policy e azioni di fronteggiamento integrate.
a) gli attori
La grave emarginazione, dal punto di vista dei soci fio.PSD, può rappresentare un laboratorio di governance efficace per tutta la società anzitutto dal punto di vista degli attori coinvolti.
Nella cultura e nelle pratiche dei soci fio.PSD è molto presente la dimensione della “rete”, anche se è altrettanto viva la consapevolezza che
il modo in cui questo termine è utilizzato e i significati cui si riferisce
sono molteplici e non sempre appropriati.
In termini di governance della marginalità fio.PSD guarda anzitutto
alla «rete naturale di fronteggiamento» di cui le persone dispongono.
Sembra scontato che ogni persona debba essere considerata, insieme a
chi la circonda con relazioni significative, una risorsa per se stessa, ma

PA O L O P E Z Z A N A
non lo è. Ancora meno è scontato che questa percezione si faccia criterio organizzativo dei servizi. È vero che molto spesso le persone senza
dimora, per i motivi esposti bene nel corso di questo volume, sono persone isolate, disaffiliate, che non fronteggiano; non si può però prescindere dalla loro partecipazione alla soluzione del problema, altrimenti qualunque proposta di governance della marginalità sarà destinata non al fronteggiamento del disagio, ma al controllo sociale dello
stesso. Non si tratta di un obiettivo in sé illegittimo, ma non è l’obiettivo della federazione né questa crede possa essere un obiettivo pubblico prioritario.
Dentro ed intorno alle reti naturali di fronteggiamento stanno quasi sempre altre persone e realtà che, informalmente, interagiscono, positivamente, negativamente o in maniera neutra con la persona senza dimora. Anche queste persone, che compongono la comunità naturale
che insiste sul territorio in cui la persona senza dimora risiede, sono e
debbono essere, a vario titolo e su diversi piani, parte delle strategie di
governance da adottare. La fio.PSD non concepisce l’emarginazione senza pensarvi unitamente la comunità naturale entro cui essa si produce.
Entro una dinamica di fronteggiamento, seguendo sempre l’insegnamento di Folgheraiter, stanno poi i facilitatori, il cui compito è quello di aiutare a rinforzare e formalizzare le reti di fronteggiamento. Nel
caso della grave emarginazione, per le ragioni viste nelle altre parti di
questo volume, il ruolo dei facilitatori è particolarmente difficile e polimorfo, così come differenziato può essere il loro profilo di operatori
formali, informali, volontari, professionali ecc. Si tratta in ogni caso di
riconoscere il loro ruolo imprescindibile e il potere del tutto particolare che possono esercitare entro le strategie di fronteggiamento dell’emarginazione. Come tali, e in misura crescente al crescere della loro
consapevolezza e formazione, essi vanno considerati snodi cruciali per
la governance pubblica della grave emarginazione, in quanto passa attraverso di loro la maggior parte della componente relazionale diretta
delle azioni cui una tale governance può dare luogo. La fio.PSD è un’associazione composta da organizzazioni di operatori, ed è naturale che
abbia una attenzione peculiare per il ruolo di chi nel sociale lavora con
professionalità. Non si tratta tuttavia di una forma di corporativismo o
di mera rappresentanza categoriale, bensì del riflesso più immediato e
diretto della consapevolezza che in ogni lavoro nel sociale è la relazione lo strumento fondamentale per il cambiamento; e la relazione, per
quanto non sia una prerogativa esclusiva di nessuno, passa sempre certamente per il lavoro degli operatori. Essi sono quindi un punto di riferimento imprescindibile ove si assuma la governance come un processo per la gestione trasformativa del reale.
.
P O L I T I C H E D I W E L FA R E E S U P P O R T O D I R E T E

Determinanti, in una logica di governance che veda nella definizione di policies la sua espressione più compiuta, sono infine gli attori
istituzionali, con questo termine intendendo tutti i livelli in cui operino decision makers (responsabili delle decisioni operative della pubblica amministrazione, titolare della funzione pubblica di produzione di
servizi orientati al benessere dei cittadini) e policy makers (responsabili delle decisioni politiche di indirizzo della pubblica amministrazione).
Si è abituati a pensare, almeno entro i nostri modelli culturali e sociali,
che i titolari della funzione pubblica istituzionale siano anche i responsabili prevalenti se non unici della produzione del ben-essere comune. La fio.PSD non condivide questa visione; pur assumendo senza
ambiguità che le istituzioni siano investite dalla Costituzione dei poteri conseguenti dall’attribuzione di responsabilità pubbliche ordinate al
perseguimento del bene comune, la federazione ritiene che l’esercizio
di tali poteri non possa, in una società complessa, essere interpretato
come una delega esclusiva ed escludente. Policy makers e decisori sono
certamente coloro che, in un processo di governance dell’emarginazione, hanno le responsabilità più marcate in termini di regia, indirizzo e
finanziamento; senza un coinvolgimento altrettanto responsabile degli
altri attori coinvolti tuttavia non potrebbe darsi alcuna effettiva generatività interna a quei processi, venendo meno quella pluralità degli apporti che è invece necessaria a completare lo spettro degli strumenti,
delle competenze e delle azioni necessarie a contrastare la marginalità.
È per questa ragione che fio.PSD si configura ab origine come un soggetto misto, composto sia da amministrazioni pubbliche che da organizzazioni private, anche provenienti dagli stessi territori. È indubbio
che, nei processi organizzativi territoriali, un ente locale e le organizzazioni private che con questo collaborano entro dinamiche contrattuali e di evidenza pubblica, debbano avere ruoli distinti e persino, in
alcune fasi dei processi, conflittuali. Ma è altrettanto evidente, se lo scopo è quello di convergere nel fronteggiamento di problemi ad elevata
complessità, che quegli stessi attori debbono e possono trovare altri
momenti del processo in cui essere in relazione paritaria e cooperativa
per individuare le migliori strategie di contrasto alla marginalità. La
fio.PSD si propone, nei confronti dei propri soci, anche e forse soprattutto come momento di questo genere.
b) i livelli
La grave emarginazione adulta, sul piano dell’organizzazione sociale, può essere vista, più che come un monolitico problema sociale,
come una trama di problemi. Questi partono dal livello individuale che
riguarda ciascuna persone senza dimora colpita, si intrecciano con i
problemi di legame sociale e coesione della comunità territoriale in cui

PA O L O P E Z Z A N A
le situazioni di marginalità si manifestano, investono le politiche locali
e regionali che a quelle comunità dovrebbero offrire strumenti e percorsi di benessere, coinvolgono il quadro più ampio delle politiche sociali nazionali e sovranazionali, delle quali rivelano le contraddizioni e
le inadeguatezze di fondo. Inoltre una simile trama, sia sul piano simbolico che su quello pratico, si sviluppa attraverso continui rimandi tra
le sfere della soggettività e le sfere istituzionalizzate dello Stato, del
mercato, della società civile.
L’esigenza di organizzare socialmente il fronteggiamento della grave emarginazione adulta in ciascuno di questi piani, come già visto a
proposito degli attori da coinvolgere, richiede processi di governance
che siano capaci di individuare ed esprimere forme di interconnessione efficace tra questi diversi livelli.
Anche in questo caso fio.PSD ambisce a proporsi come contesto di
facilitazione idoneo a favorire tali collegamenti e i feedback ad essi relativi.
In tal senso la scelta strategica compiuta dai soci è stata quella di
imperniare su di un livello di coordinamento nazionale il fulcro dei propri processi, agendo poi verso tutti gli altri livelli mediante comitati di
coordinamento territoriale da un lato, e gruppi di lavoro europei dall’altro. In tutti i casi, ma specialmente sul livello territoriale, è l’iniziativa dei soci lo strumento attraverso il quale fio.PSD si fa presente e
agisce, in primo piano o meno a seconda dell’opportunità contingente.
Non è un caso se, al crescere della consapevolezza e competenza di
fio.PSD rispetto a questa propria funzione, sia cresciuta anche nei territori associati la domanda alla federazione di supporto all’allestimento
di contesti efficaci di governance.
c) i piani
Il fronteggiamento della trama complessa che sino a qui abbiamo
chiamato “problema sociale” della grave emarginazione, richiede un’azione sinergica ed integrata su di una pluralità di piani di intervento.
È forse questa la dimensione più cruciale e complicata entro la quale allestire forme di governance efficace della marginalità.
Si gioca qui la necessità, per certo versi “alchemica”, di individuare quei giusti equilibri di policies, atteggiamenti culturali, aspetti di organizzazione sociale dei servizi, che possano al tempo stesso: coinvolgere e rinforzare la persona senza dimora, attivare le competenze e le
solidarietà comunitarie, stimolare all’investimento di risorse adeguate,
coniugare logiche sociali ed economiche, rendere manifesti i risultati
ottenuti, far camminare insieme cambiamento positivo delle condizioni di vita personali e trasformazione delle condizioni complessive della vita sociale.
.
P O L I T I C H E D I W E L FA R E E S U P P O R T O D I R E T E

È un processo di natura radicalmente politica, che non può che
procedere empiricamente per tentativi; fio.PSD concepisce la governance come tecnica, o meglio, complesso di tecniche, a servizio di tale
procedimento sociale di fronteggiamento.
Disegnare una mappa dei piani interessati da questa azione è operazione altamente soggettiva e discrezionale; dipende molto dal punto
di vista disciplinare adottato, dall’epistemologia di riferimento, dai vincoli all’opera in situazione e dalle modalità di negoziazione adottate tra
gli attori.
In ogni caso, con Korzybski e Bateson, è opportuno ricordare che
la mappa non coincide mai con il territorio, e quindi mai si potrà assumere di aver definito una ricetta utile per tutti e in tutti i casi.
Governance della marginalità in questo senso è anche capacità cognitiva di impiegare simultaneamente chiavi diverse e fare interagire
approcci fuori da logiche dogmatiche, come anche in questo volume si
è tentato più volte di suggerire.
Tra le settantacinque organizzazioni al momento associate a fio.PSD
e le più di cento che nel corso della sua vita ne hanno fatto parte, non
esiste, e non potrebbe, un approccio unitario condiviso, ed è questa
probabilmente la forza principale che la Federazione ha nel mettere in
campo il proprio potenziale di governance.
Ad aggregare i soci fio.PSD è la condivisione di un ethos, l’espressione del quale è chiaramente manifestata nella Carta dei valori e dei
principi, e di procedure organizzative e dialettiche, date dallo statuto e
dalle prassi associative. Oltre a questi importanti elementi comuni resta a fio.PSD lo spazio per valorizzare le molte diversità dei propri soci
come importante fonte di acquisizione di informazioni ed apprendimenti da portare per quanto possibile a fattore comune.
In tal senso, analizzando per sommi capi quanto la federazione ha
tentato di porre in atto negli ultimi anni e cercando di seguire le migliori acquisizioni della letteratura socioeconomica relativa alla grave
emarginazione adulta ed alle policies per fronteggiarla, si possono forse provare a identificare quattro piani, tutti a carattere relazionale e tutti noti all’esperienza della fio.PSD, sui quali agire la governance di azioni coordinate.
Si tratta del piano della percezione, di quello dell’abitare, di quello del potere e di quello dello scambio.
Il piano della percezione è quello più propriamente culturale, in cui
si giocano sia le percezioni che le persone hanno della marginalità come fenomeno, sia le rappresentazioni che si costruiscono socialmente
rispetto alle persone senza dimora, sia, infine, l’auto-percezione di sé
che queste ultime possono trarre, in termini di riconoscimento di iden-

PA O L O P E Z Z A N A
tità, dalla loro relazione con il contesto in cui si trovano e i messaggi
che da esso loro pervengono.
Il piano dell’abitare è quello dove più significativamente si coniugano bisogni fisici ed emotivi, aspettative pratiche ed esigenze simboliche. Non si tratta solo della disponibilità di un tetto, ma dell’opportunità di avere una dimora, nel senso profondamente relazionale ed
identitario sino a qui visto. In un fenomeno come la grave emarginazione, caratterizzato e pubblicamente rappresentato quasi sempre a
partire dall’assenza di un alloggio, tale piano assume un rilievo peculiare, che consiglia di dare ad esso in rilievo più ampio rispetto a quello riconosciuto ad altri diritti negati delle persone senza dimora, per
quanto, entro un approccio multidimensionale, non si possa non essere consapevoli che tutti questi diritti sono interdipendenti e non isolabili gli uni dagli altri.
Il piano del potere è la dimensione, anch’essa identitaria, in cui
emerge l’importanza di tutti i diritti e della capacità di agire effettiva ad
essi correlata. È dunque il piano in cui giocano un ruolo fondamentale i diritti di cittadinanza formalmente riconosciuti, l’accessibilità degli
stessi, i processi di empowerment attraverso i quali un complesso di diritti diviene potere effettivo di autodeterminazione.
Il piano dello scambio, sia esso nel segno della reciprocità, della redistribuzione o dello scambio di mercato, è quello in cui l’identità si
gioca in maniera più profonda e si producono le possibilità di ben-essere soggettivo e comunitario. Potere, rappresentazioni e posizioni di
partenza in termini di diritti e capacitazioni sono qui tutti implicati, con
gli ulteriori elementi della libertà e della eterogeneità che caratterizzano lo scambio e le relazioni in cui esso avviene. Anche senza arrivare a
considerare, come fa qualche autore, la grave emarginazione come “assenza della capacità di scambiare”, è del tutto evidente che, su questo
piano, tale fenomeno “sfida” in maniera particolarmente intensa i presupposti sui quali la costruzione politica ed economica del benessere
sembra oggi fondata.
Una governance della grave emarginazione che pretenda di essere
per quanto possibile efficace, deve porsi l’obiettivo di fronteggiare il
problema su ciascuno di questi piani simultaneamente, per quanto
complesso possa apparire. In caso contrario, nel caso cioè si valutino le
questioni “identitarie” come aliene dalla sfera su cui è possibile incidere positivamente attraverso un sistema di policies, si continueranno
probabilmente a perpetuare sistemi di interventi che a larga parte delle persone senza dimora appariranno lontani se non incomprensibili.
In conseguenza di ciò si rischierà di non riuscire a “catturare” il loro
interesse e la loro capacità di produrre significati, e di vanificare così
.
P O L I T I C H E D I W E L FA R E E S U P P O R T O D I R E T E

gli sforzi, anche significativi, di offrire, su altri piani, servizi ed opportunità di inclusione efficaci.
Alcuni tra i soci fio.PSD utilizzano a questo riguardo la significativa metafora dell’“aggancio”, riferendosi a quella fase della relazione
con una persona senza dimora, non necessariamente propedeutica alla presa in carico, in cui è necessario, prima di mettere in campo interventi sofisticati e complessi e sollecitare politiche multidimensionali, cercare, “con la” persona, di costruire le condizioni perché essa
riesca a “dare senso” al percorso di cambiamento che insieme si cerca
di progettare.
Quanto su ciascuno di questi piani sia destinato a incidere il fattore “tempo” e la disponibilità collettiva anche a investimenti di lungo
periodo, è del tutto evidente.
In ogni caso, coerentemente con quanto si è detto sinora, quella
proposta qui è una classificazione né esaustiva né particolarmente rappresentativa; tuttavia essa sembra prestarsi, come altre valide letture in
uso, a fornire rappresentazioni e mappe utili ad agire sul piano politico ed organizzativo, che è quello che qui interessa di più.
d) i contesti di azione integrata per il fronteggiamento
Per concludere questa analisi degli elementi fondamentali di una
governance efficace della marginalità, occorre che le attenzioni sin qui
delineate sino calate in contesti di azione specifica, tenendo ben presente come singole azioni, servizi o politiche possano avere esiti anche
molto differenti a seconda della situazione in cui vengono adottate e del
gradi di interdipendenza con il quale vengono tra loro collegate.
È purtroppo esperienza comune tra i soci fio.PSD come la mancanza di integrazione contestuale delle politiche sia tra le prime cause della complessiva inefficacia delle azioni di contrasto alla grave emarginazione adulta sinora condotte in Italia.
Sulla base dell’esperienza e delle migliori pratiche dei soci fio.PSD,
oltre che delle attese che essi nel corso della storia della federazione
hanno sviluppato e spesso visto frustrate dalla realtà politico-amministrativa, si possono probabilmente identificare almeno dieci contesti
interdipendenti e multilivello nei quali gli attori a vario titolo coinvolti
nel fronteggiamento della marginalità devono saper inter-agire.
In sintesi essi possono essere così riassunti:
– l’assistenza di bassa soglia, o azione di soccorso;
– il sostegno, o azione di care;
– l’accompagnamento, o azione di empowerment;
– la promozione e tutela dei diritti, o azione di advocacy;
– l’elaborazione culturale;
– l’informazione e la sensibilizzazione;

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– la formazione;
– la comunicazione pubblica;
– la negoziazione, o azione di partecipazione pubblica ai processi di
pianificazione, programmazione, progettazione, monitoraggio e valutazione dei servizi;
– il networking, o azione di collegamento e lobbying.
Naturalmente i soci fio.PSD non svolgono tutte le azioni dovute su tutti i piani necessari; nessuno ne avrebbe da solo le forze né le competenze, neppure la federazione in quanto tale. È proprio per questo motivo che fio.PSD e i suoi soci insistono tanto sulla necessità di allestire
processi di governance. Solo in spazi di deliberazione pubblica partecipata come quelli cui qui ci si riferisce, per la presenza di tutti i soggetti necessari e di un’adeguata riflessività condivisa, questa integrazione potrà avvenire in maniera completa e potenzialmente soddisfacente.
Sarebbe interessante analizzare per ciascuno di questi contesti le
specificità che presenta, le criticità che si danno nelle condizioni attuali e le caratteristiche che il tipo di azioni da mettere in campo dovrebbero presentare. Un tale livello di approfondimento tuttavia da un lato eccederebbe i propositi di questo contributo, dall’altro rischierebbe
di non tenere adeguatamente in conto l’enorme quantità di variabili legislative, culturali, strutturali ed economiche che il nostro paese presenta in questa fase della sua storia.
Lasciando che siano eventualmente altri a riprendere ed elaborare,
nella concretezza del lavoro nel sociale dei territori, le suggestioni qui
avanzate, può bastare ai presenti fini ricordare come fio.PSD stia cercando di valorizzare al massimo il proprio potenziale in ciascuno dei
contesti citati.
Rispetto ai contesti della bassa soglia e del sostegno, fio.PSD non
cessa di ricordare, con prese di posizione, analisi e riflessioni interne,
quanto le azioni che ivi si possono intraprendere costituiscano le infrastrutture fondamentali per “agganciare” le persone senza dimora e restituire a loro ed ai loro diritti una qualche tangibile possibilità di esistenza significativa. In un contesto altamente sensibile e “visibile” come quello dell’intervento di soccorso delle persone presenti in strada,
solo una visione integrata e durevole della presa in carico può infatti
evitare che il fronteggiamento della marginalità si riduca a mera operazione securitaria di ordine pubblico.
Rispetto all’empowerment, fio.PSD insiste da sempre sul principio
di centralità della persona, che significa anzitutto considerare le persone senza dimora come soggetti sempre e comunque in relazione, il cui
disagio non è qualitativamente ma solo quantitativamente differente da
.
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
quello degli altri componenti della società. Ciò significa non aver paura d investire in relazioni con le persone senza dimora, anche quando
appare difficile, perché un cambiamento è sempre possibile e perché
una governance aperta alla partecipazione diretta delle persone senza
dimora può svelare possibilità inesplorate e generative per fronteggiare i problemi sociali in maniera più efficace.
Nel contesto dell’advocacy, azioni come quelle intraprese da fio.PSD
e dai giornali di strada italiani a tutela del diritto alla residenza anagrafica per le persone senza dimora mediante la campagna del “Residente
della Repubblica”, testimoniano come, a partire da un elemento molto concreto e da una contingenza politica critica, si possano sviluppare aggregazioni e consapevolezza dei problemi anche su una scala più
ampia.
In termini di elaborazione culturale, informazione, sensibilizzazione e comunicazione pubblica, per quanto le risorse a disposizione di
fio.PSD siano limitate, la considerazione della tematica dell’emarginazione nei media sia soggetta ad un andamento carsico e moltissimo resti ancora da fare, gli ultimi anni, anche in forza della maggiore vulnerabilità sociale portata dalla crisi economico-finanziaria globale, hanno
portato ad una presenza crescente delle posizioni e dei contenuti veicolati da fio.PSD nei luoghi istituzionali, nei mezzi di comunicazione,
nei dibattiti pubblici. Non è da escludere che la ripresa significativa del
tasso di nuovi iscritti alla federazione e della loro rappresentatività territoriale siano da imputarsi anche all’impatto che fio.PSD ha saputo avere in questi contesti pubblici.
Rispetto alla negoziazione, restando al livello nazionale che è quello di immediata competenza della federazione anche se non il più incisivo in termini di governance della marginalità, non può essere ignorato come fio.PSD, negli ultimi cinque anni, con tre differenti governi, abbia saputo divenire un partner costante e affidabile per la pubblica amministrazione quando si tratti di elaborare policies inerenti la grave
emarginazione. Anche se in questo contesto i risultati ottenuti sono di
scarso impatto e moltissimo resta ancora da fare, dal punto di vista della governance lo sforzo è stato significativo, e non può certo essere imputato a demerito della federazione il fatto che i policy makers non abbiano saputo o voluto fissare e perseguire in questo campo obiettivi di
rilievo. Simili tendenze, con forse qualche migliore prospettiva di impatto, sono in corso anche in alcune regioni italiane, come la Lombardia, la Provincia Autonoma di Trento e in parte le Marche, dove le articolazioni territoriali della fio.PSD sono state riconosciute come parti
sociali dalle rispettive amministrazioni regionali e significativi processi
negoziali sono stati aperti.

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Nel contesto del networking e del lavoro di lobbying da qualche anno a questa parte, anche per fronteggiare la sempre minor volontà dei
policy makers a spendere risorse nel settore sociale, va infine menzionato come fio.PSD e molte altre organizzazioni nazionali e locali di rilievo nel campo della promozione sociale e del contrasto alla povertà,
abbiano preso a cooperare più strettamente, abbandonando logiche
categoriali ed impegnandosi congiuntamente non solo nei settori tradizionali dell’attività sociale di lobby, come la proposta di policies, ma
anche nella produzione con risorse anche proprie di conoscenze e riflessioni utili per meglio deliberare, messe sistematicamente a disposizione dei decisori politici di tutti i livelli.
... La condivisione delle funzione pubblica
come condizione essenziale alla governance
A conclusione di tale riflessione sulla governance della marginalità dal
punto di vista dell’esperienza di fio.PSD e delle pratiche portate avanti
dai suoi soci, si può osservare come, ovunque esperienze di integrazione siano state tentate, esse hanno avuto più o meno successo a seconda del grado di condivisione della funzione pubblica che gli attori
hanno saputo e voluto esprimere.
Per fio.PSD è molto chiaro cosa questo significhi. Condividere la
funzione pubblica, come insegna Franco Dalla Mura , vuole dire,
per la società civile e i cittadini attivamente disponibili a dare il proprio contributo al bene comune, “entrare dentro” il potere organizzativo delle sfere istituzionalizzate, portando con sé il proprio bagaglio di esperienze, competenze e risorse per il fronteggiamento
della complessità, senza voler sostituire le istituzioni pubbliche nelle loro responsabilità e poteri, ma contribuendo a far sì che esse possano esercitarli al meglio rispetto ai problemi da risolvere. Si tratta
di sostituire la cultura della delega con quella della partecipazione
attiva, prendendo atto che il ben-essere è una dimensione relazionale, perseguibile solo ed esclusivamente con il concorso responsabile di tutti.
Senza una cultura ed un atteggiamento di questo genere e in assenza di cornici giuridico-amministrative idonee a supportarli, non
può esserci governance.
Ciò che fio.PSD sostiene, e che lungo tutto questo contributo si è
cercato di argomentare, è che la grave emarginazione adulta, per le sue
caratteristiche qualitative e quantitative, costituisce un’occasione particolarmente ricca e significativa per tutta la società entro la quale fare
esperienza di governance della complessità.
.
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
In quanto fenomeno problematico da fronteggiare essa riflette infatti, con un grado estremo di rifrazione, la complessità delle cause che
impediscono oggi nelle nostre società lo sviluppo di un ben-essere armonico e sostenibile per tutti.
In quanto fenomeno quantitativamente circoscritto, almeno per il
momento, esso comporta però la possibilità di sperimentare soluzioni
empiriche efficaci. Sembrano potersi allestire in questo campo laboratori di governance la cui scala appare sostenibile anche per dei “principianti” del settore come probabilmente oggi occorre ancora considerare gli attori italiani ivi coinvolti.
Il Parlamento europeo, nella dichiarazione scritta n. /, denominata “ending street homelessness” e approvata nel novembre 
(anche a seguito di una preziosa azione di lobbying di FEANTSA supportata per l’Italia da fio.PSD), ha impegnato tutte le istituzioni d’Europa, a tutti i livelli di competenza, ad adoperarsi per porre fine entro
il  all’homelessness di strada.
Nel testo del documento si può leggere con chiarezza come dietro
tale obiettivo i deputati europei abbiano riconosciuto l’esigenza di far
convergere, in un contesto di governance da rilanciare con forza, tutte
le forze sociali necessarie a sconfiggere la grave emarginazione, non
perché essa rappresenti un problema a sé stante, ma proprio perché essa è un indicatore negativo del malessere di una società.
La costruzione del benessere è dunque affare di tutti, e parte dal
ben-essere dei più deboli, vulnerabili ed esclusi.
fio.PSD è particolarmente lieta di condividere la propria visione con
il Parlamento europeo e di mettere a disposizione, per quanto possono
valere ed essere utili, le culture e le pratiche di governance di cui ha
esperienza.
In fondo, e c’è da augurarsi che questo volume abbia contribuito a
dimostrarlo, il contrasto della grave emarginazione ha direttamente a che
vedere con la qualità del legame sociale diffuso, che a sua volta può essere indicatore significativo di ben-essere e civilizzazione di una società.
Parlare di governance in questo contesto, significa allora porsi direttamente il problema della “vita buona”, vale a dire, per tornare nuovamente ad Aristotele, la funzione istituente della politica.
Sarebbe un peccato perdere l’occasione.
N ot e
. N. Anderson, The Hobo. The Sociology of the Homeless Man, Chicago University
Press, Chicago  (trad. it. Il vagabondo. Sociologia dell’uomo senza dimora, Donzelli,
Roma ).
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. Il riferimento è in particolare ai cosiddetti punkabbestia. Al riguardo vedi tra gli
altri M. Gregoretti, Punkabbestia. La nostra puzza vi seppellirà, Mondadori, Milano .
. F. Folgheraiter, La logica sociale dell’aiuto. Fondamenti per una teoria relazionale
del welfare, Erickson, Trento , p. .
. Il termine “ben-essere” è usato in questo lavoro come equivalente, sebbene meno pregnante ed esplicito, dell’anglosassone well-being, così come impiegato nei suoi lavori sullo sviluppo umano da Amartya Sen.
. Per governance si intende qui, con Vedelago: «un processo di coordinamento di
attori, di gruppi sociali, di istituzioni per raggiungere obiettivi discussi e definiti collettivamente, in ambiti frammentati ed incerti». Vedi in proposito F. Vedelago, La governance delle città, in “Animazione Sociale”, , 
. Vedi al riguardo J. M. Domenach et al., Le travail social c’est le corp social en travail,  (trad. it. Il lavoro sociale è il corpo sociale al lavoro, in F. Folgheraiter, B. Bortoli (a cura di), Il lavoro sociale fra interrogativi epistemologici e prospettive di operatività, Annali scuola di servizio sociale, Trento ).
. Invero la dizione “senza fissa dimora” è ancora molto usata in varie parte d’Italia anche tra gli operatori pubblici e privati. La scelta di fio.PSD in materia terminologica è stata comunque quella di scartare tale dizione, ritenuta tuttora inadeguata, e di riferirsi invece nel proprio statuto alle persone senza dimora, impiegano anche le dizioni
di: homeless, persona in condizioni di grave emarginazione, persona in condizioni di povertà estrema. Pur nella consapevolezza che tali dizioni comportano sfumature semantiche differenti, la federazione ha deciso di “legittimarne” l’uso nel proprio vocabolario
statutario per non restringere troppo il campo linguistico a disposizione dei soci e degli
operatori.
. A questo proposito, tra gli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta del secolo
scorso, si può ricordare, tra gli altri, l’importante opera di autori come Achille Ardigò,
Giovanni Sarpellon, Antonio Tosi, Nicola Negri, Giovanni Pieretti, Luigi Gui, Maurizio Bergamaschi, Paolo Guidicini, David Benassi, Francesca Zajczyk, Chiara Saraceno,
Antonella Meo, molti dei quali tuttora attivi e importanti punti di riferimento per la sociologia del settore.
. Per una più ampia ricostruzione della storia e delle evoluzioni della fio.PSD vedi
le sezioni “chi siamo”, “documentazione” e “TRA” sul sito web www.fiopsd.org. Per analoghe informazioni sulla rete europea di cui fio.PSD è parte vedi www.feantsa.org.
. L’elenco sempre aggiornato dei soci è disponibile su www.fiopsd.org.
. Cfr. Statuto fio.PSD, art. , comma °, lett. a, in www.fiopsd.org.
. Ivi, lett. d, e, f.
. Ivi, lett. h.
. Ivi, lett. i.
. Ivi, lett. o.
. Ivi, lett. q.
. Il termine è utilizzato qui per indicare il principio così come inteso dall’art. 
della Costituzione Italiana, che impone non solo il dovere per i livelli sovraordinati di
non interferire con i livelli sottostanti dell’organizzazione sociale quando questi siano in
grado di provvedere a sé da se stessi, ma anche il dovere solidale tra i diversi livelli di
porre in condizione gli altri di esercitare il proprio diritto/dovere. Si veda al riguardo
G. Arena, Cittadini Attivi, Laterza, Roma-Bari, .
. Caritas Ambrosiana, Persone senza dimora. La dimensione multipla del fenomeno, a cura di R. Gnocchi, Carocci, Roma, , pp. -.
. Vedi M. Ferrera, Le trappole del welfare. Uno stato sociale sostenibile per l’Europa del XXI secolo, il Mulino, Bologna .
. Folgheraiter, La logica sociale dell’aiuto, cit., pp. -.
. I. Illich, La convivialità. Una proposta libertaria per una politica dei limiti allo sviluppo, Boroli, Milano , pp. -.
.
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
. Citare i rapporti fio.PSD, le ricerche fatte da ISFOL, da MPHASIS e da fio.PSD/ANCI.
. Vedi G. Esping-Andersen, Social Foundation of Postindustrial Economics ,
Oxford University Press, Oxford  (trad. it. I fondamenti sociali delle economie postindustriali, il Mulino, Bologna ). Come noto i tre cluster identificati dall’autore sono il “modello liberale”, tipico degli USA e di altri paesi a regime ultraliberale, il “modello socialdemocratico”, tipico dei paesi scandinavi, e il “modello conservatore-corporativo”, di derivazione bismarckiana, tipico dei paesi europei continentali, pur con
diverse sfumature.
. ISTAT, Indagine censuaria sugli interventi sociali dei comuni singoli e associati
(www.istat.it).
. Per l’elaborazione di quest’ultima parte si ringrazia Davide Boldrini, vice-presidente vicario della fio.PSD, il pensiero, le riflessioni ed alcuni interventi pubblici del
quale hanno fortemente contribuito ad orientare quanto ivi esposto.
. Vedi al proposito Folgheraiter, La logica sociale dell’aiuto, cit., pp. -.
. Ivi, pp. -.
. Anche se sarebbe preferibile, come insegna Mauro Magatti, non assumere ancora l’esistenza di una vera e propria “sfera istituzionalizzata della società civile”, trattandosi di una realtà “in travaglio”, il cui destino sarà probabilmente quello di un’autonomia istituita ma che ad oggi non si può ancora definire tale, almeno non con la stessa valenza sociologica con la quale la denominazione di “sfere istituzionalizzate” si applica allo stato ed al mercato. Sul punto si veda M. Magatti, Il potere istituente della società civile, Laterza, Roma-Bari .
. Come accennato sopra, tutte le attività europee di fio.PSD sono sviluppate nella sua qualità di unico full member nazionale della rete europea FEANTSA.
. Vedi al riguardo il punto  della Carta dei valori e dei principi, all’art.  dello
statuto fio.PSD.
. Si fa riferimento qui alla ben nota classificazione di Karl Polanyi circa le modalità pure di scambio di beni e servizi tra individui. Si veda al riguardo K. Polanyi, La
grande trasformazione, Einaudi, Torino  (ed. or. The Great Transformation: The Political and Economic Origins of Our Time).
. La posizione, sostenuta tra gli altri da Federico Bonadonna e Charlie Barnao, è
suggestiva ma piuttosto controversa, in particolare poiché tali autori non chiariscono in
maniera sufficientemente adeguata se si sia, nel caso delle persone senza dimora, in presenza di un’incapacità o di un’incapacitazione. Andrebbe probabilmente meglio indagata, alla luce di una concezione relazionale dell’identità e del benessere (come ad esempio quella proposta da Luigi Gui), la dimensione di contesto in cui la capacità di scambio delle persone senza dimora è anzitutto pensata e poi valutata.
. Vedi a proposito il sito web www.ilresidentedellarepubblica.it
. F. Dalla Mura, Pubblica Amministrazione e non profit. Guida ai rapporti innovativi nel quadro della legge /,Carocci, Roma .
Bib lio gr af ia
The Hobo. The Sociology of the Homeless Man, University of
Chicago Press, Chicago  (trad. it. Il vagabondo. Sociologia dell’uomo
senza dimora, Donzelli, Roma ).
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CARITAS AMBROSIANA, Persone senza dimora. La dimensione multipla del fenomeno, a cura di R. Gnocchi, Carocci, Roma .
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University Press, Oxford  (trad. it. I fondamenti sociali delle economie
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del XXI secolo, il Mulino, Bologna .
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DOMENACH J. M.