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I limiti degli artisti sono sempre superabili…
J.BEUYS
DELLA VITA
Carlo Zinelli è oggi, a tutti gli effetti, un pittore di fama internazionale, una delle figure di spicco
nel panorama artistico del “900. Le sue opere si trovano nei musei di tutto il mondo.
Eppure Carlo, per un periodo lunghissimo della sua vita, è stato soprattutto un matto.
La diagnosi : schizofrenia paranoide.
Carlo Zinelli nasce il 2 luglio 1916 a San Giovanni Lupatoto, in provincia di Verona e muore per
broncopolmonite il 27 gennaio 1974 all’ospedale di Chievo.
Carlo bambino va poco a scuola, frequenta solo fino alla terza elementare e a nove anni comincia a
lavorare in campagna. Si trasferisce come “famiglio” presso una casa di contadini in località
Palazzina. Successivamente lavorerà a Verona, al macello comunale.
Attorno ai diciotto anni comincia ad appassionarsi alla musica, passione che persisterà sempre,
anche nei suoi deliri oratori, composti ritmicamente , più per associazioni sonore che di significato.
Nel 1936 termina il servizio militare, nel 38 viene arruolato nel battaglione Trento e nel 1939 si
imbarca a Napoli per partecipare, come volontario, alla guerra di Spagna.
Questa esperienza durerà poco; ma sarà fatale.
Dopo soli due mesi, a maggio, gli viene concessa una licenza straordinaria e rimane convalescente
fino al 16 maggio 1941. Il 19 dicembre dello stesso anno viene definitivamente riformato. Negli
anni seguenti verrà ripetutamente internato in ospedale psichiatrico in preda a raptus di aggressività
e a crisi di terrore.
Dopo varie esperienze di degenza, di elettroshock e di dimissioni, Carlo viene ricoverato l’ennesima
volta all’ospedale psichiatrico di San Giacomo alla Tomba il 9 aprile 1947 dove rimarrà fino alla
sua morte.
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Nella “città parallela”, ai margini della città dei sani, ci sono cinque padiglioni, cinque contenitori
della follia organizzati secondo il grado di gravità dei degenti. Carlo li attraverserà tutti fino
all’ultimo, il quinto padiglione, destinato ai casi gravi e irrecuperabili, a coloro ai quali era negata
qualsiasi speranza di guarigione.
Per una decina di anni, la sua vita si svolge come quella di tanti infelici che in queste strutture
venivano reclusi. Fino al 1957, anno in cui all’interno del parco dell’ospedale, Michael Noble, uno
scultore irlandese, apre un atelier, sostenuto dallo psichiatra prof. Marini e con il consenso
dell’allora direttore Cherubino Trabucchi.
Zinelli era già stato notato per la sua spontanea tendenza a tracciare segni su sassi e muri. Era stato
un infermiere, Mario Mengali, a segnalarlo al corpo medico.
Nell’atelier di Noble, al quale si aggiunge ben presto lo scultore Pino Castagna, Carlo trova il luogo
ideale dove soddisfare il suo bisogno di espressione.
L’ atelier¸ assolutamente unico in Italia per la sua impostazione e fra i rari esempi europei, si situa
all’interno del manicomio come una vera “oasi” della follia. Vi partecipano attivamente una ventina
di ricoverati, maschi e femmine. I frequentatori divengono ben presto una piccola comunità di
privilegiati. Michael Noble chiede ed ottiene una certa libertà di movimento per questi “artisti”,
tanto da riuscire a condurli anche fuori dalle mura manicomiali. La moglie Ida Borletti li ospita
nella sua tenuta sul Lago di Garda. Qui si trova lo studio dell’artista e qui viene anche predisposto
un laboratorio per la terracotta.
I neopittori si palesano subito di buon livello. Su tutti spicca Carlo Zinelli.
La produzione dell’atelier suscita ben presto un generale interesse, basti pensare che in occasione
della mostra che si terrà a Verona, alla Galleria “La cornice” nel 1957, sarà lo scrittore Dino
Buzzati a presentare le loro opere. Alla prima seguono molte altre esposizioni, con il duplice scopo
di finanziare l’attività dell’atelier e di far conoscere questi lavori fuori città e all’estero.
Nel 1963 alla mostra “insania Pingens” alla Kunstallen di Berna sarà presente anche Carlo Zinelli,
unico artista italiano.
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L’autore era infatti già noto a livello europeo, grazie all’opera di promozione dello psichiatra
Vittorino Andreoli, il quale, giunto ancora studente all’ospedale psichiatrico di Verona, si era
preoccupato di farlo conoscere alle avanguardie che ricercavano “l’arte vera”, quella non mediata
dall’appartenenza alla cultura ufficiale. All’inizio degli anni 60, Andreoli si rivolge all’artista
Dubuffet perché prenda in visione le opere di Carlo ed esprima un giudizio.
Jean Dubuffet aveva creato con Breton ed altri esponenti surrealisti e dada la “Compagnie de l’Art
Brut”. Si trattava di un gruppo di intellettuali di genio che teorizzavano la necessità per l’arte di
tornare alle origini, riconoscendo nell’arte dei primitivi, dei bambini e dei folli l’esempio a cui
ispirarsi. Alla compagnia fu ammesso anche il giovane Vittorino Andreoli, unico psichiatra
presente( se si eccettua Breton, che però non ha mai esercitato). Inizialmente Dubuffet si dimostra
ostile al lavoro di Zinelli, in quanto, data l’armonia delle forme e dei colori, non lo ritiene
sufficientemente libero da cultura. In seguito, venendo a conoscenza della storia di vita di Carlo, si
convince dell’effettiva, spontanea genialità “non culturale” del pittore.
Con l’uscita dall’ospedale psichiatrico del prof. Marini ed in seguito di Noble, sarà Vittorino
Andreoli a raccoglierne l’eredità e nel “66 con Trabucchi e Pasa scrive la prima monografia su
Carlo nei “cahiers de l’Art Brut”.
Il periodo migliore di Zinelli si esprime completamente negli anni di permanenza a San Giacomo.
Lo spostamento a Marzana nella nuova sede manicomiale nel 1969 si accompagna ad un calo di
ispirazione. Da allora Carlo dipingerà sempre più di rado e in modo meno incisivo, pur lasciando
spazio all’investigazione grafica e pittorica mediante l’utilizzo di testo e nuove tecniche.
L’esaurirsi della vena creativa negli ultimi anni di vita sembra possa imputarsi
all’istituzionalizzazione dell’atelier avvenuta nella nuova sede, alla presenza di personale nuovo e
alla perdita delle precedenti relazioni ; la nuova, più strutturata realtà, si ribalta cioè da potenziale
stimolo a inibitore delle facoltà immaginative ed espositive.
Tuttavia, come detto, la ricerca formale e materica durerà per tutto il tempo del suo percorso
espressivo.
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L’arte non ci rende il visibile; rende invece visibile.
P. KLEE
DELL’ARTE
Ma, in che cosa consiste l’arte di Carlo?
Potremmo definire l’arte di Carlo una forma di arte totale, che investe segno, colore, parola e suono.
Il suo metodo espressivo si traduce in un vero e proprio linguaggio che rimanda a quello dei
primitivi e talora dei bambini. Con costanza in tutta l’opera il numero 4 assume per l’artista un
valore sacro-simbolico, non così facilmente spiegabile per noi, a meno che non ci si attenga al
significato dei simboli presenti nelle diverse tradizioni religiose, magiche, esoteriche. Del resto
“resta sospesa la questione sull’origine dei segni, dei simboli e delle immagini, ancora vitali anche
se nascosti nell’uomo moderno, e che spuntano fuori con più facilità da un’alterazione del
sentimento del mondo dovuta alla malattia mentale” 1. Da notare che il numero 4 appare già al
centro di un disegno realizzato sul retro di una cartolina spedita da Carlo nel 1939; prima, quindi,
dell’insorgenza della malattia.
Questo numero assume in Zinelli un valore ritmico, diviene un elemento ordinatore di tutto il
sistema linguistico usato dall’artista. La sua stessa produzione può essere efficacemente letta in
quattro momenti fondamentali 2. Una prima fase che potremmo senz’altro definire fondativa, in
quanto in essa si stabiliscono gli elementi del vocabolario espressivo di Carlo. Nei primi dipinti
sono cioè presenti allo stato minimo tutti gli elementi che verranno in seguito investigati e
combinati. Una seconda fase caratterizzata da una maggiore destrezza di segno e da una capacità
straordinaria di usare il colore, sia sullo sfondo che nelle figure. Una terza fase che si caratterizza
per la presenza decisa della scrittura quale elemento grafico-decorativo.
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Hans Prinzhorn, L’arte dei folli, Mimesis, Milano,1991
Seguo la periodizzazione di M.A. Azzola Inaudi nel suo saggio Carlo e la musica in Tosatti B. (a cura di) Figure
dell’anima, Mazzotta, ,1997
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Vocali, consonanti e parole avevano già fatto la loro comparsa in precedenti opere, ma in questa
terza fase la cosa assume dimensioni molto rilevanti.
Infine, nell’ultimo periodo, registriamo un passaggio dal bianco e nero al grafico descrittivo con
sperimentazione di altre tecniche pittoriche .
La sua narrazione nel complesso può essere considerata un’autobiografia narrata per associazioni
tematiche, espressa con un linguaggio completamente reinventato; in questa storia sono presenti
scenari dell’infanzia, il rapporto dell’autore con il mondo animale e la natura, con il dolore, la
religione, la guerra, l’eros, la morte, la sua appartenenza alla grande famiglia degli alpini.
L’eterno andare…
Non solo i dipinti ci appaiono come un linguaggio criptico ed affascinante, ma anche gli stessi
soliloqui di Carlo, registrati da Vittorino Andreoli, ci rimandano ad un mondo misterioso, fatto di
suoni e di timbri, più vicino al grammelot che al nostro normale parlare. Un mondo di assonanze
che ci appare più come poesia che come prosa. In fondo, anche nei tratti più drammatici della
narrazione, quello che emerge dai quadri di Carlo è la vena poetica.
Zinelli racconta la sua storia con tutto se stesso.
Dal 1957 al 1974, per ben diciotto anni, egli dipinge fino ad otto ore al giorno. Fogli mediamente di
50 per 70, recto e verso. Una volta ultimata, l’opera viene abbandonata.
Carlo non ci ha mai spiegato nulla circa il suo agire.
Siamo di fronte ad una lingua, nuova ed antica ad un tempo, che parlandoci ci rende muti.
Raramente Carlo, chiuso nel suo mondo, rispondeva in modo pertinente alle domande che gli
venivano rivolte, ma una risposta data ad un giornalista, che lo incalzava perché gli spiegasse il
significato di un suo quadro esposto ad una mostra a Milano, le riassume tutte:
“se non te si cretino, guarda!”.
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Miri miritàcca leratanl leratanlìr marìleràr …
C. ZINELLI
DELL’INTERPRETAZIONE -spunti per una discussione“Se non sei cretino, guarda”
Questa frase, citata più volte come se si trattasse di una battuta, di un curioso aneddoto, in realtà
nasconde un quesito fondamentale. Cosa significa guardare l’opera di Carlo Zinelli?
Ognuno di noi sa che ogni volta che si trova di fronte ad un’immagine indeterminata, che non si
limiti ad imitare la realtà, si sente spinto ad interpretare, a darsi una spiegazione. Questo
atteggiamento può condurre ad un impoverimento del significato della forma, ma anche ad un
amplificazione del suo valore. Nel primo caso la mancanza di capacità immaginativa porterà ad
appiattirci sul dato oggettivo, mentre nel secondo caso sarà risvegliato in noi lo spirito di creazione.
Lo stesso Leonardo sottolineava questa esperienza creativa di fronte alle macchie presenti sui muri,
nella forme delle nuvole, nei ghirigori del fango, nelle conformazioni delle pietre multicolori.
La pulsione creativa può originare da noi o venirci imposta dall’esterno.
L’artista Karl Genzel, noto con lo pseudonimo di Brendel, internato nella casa di cura “Eickelborn”
in Westfalia nel 1906, ha così ribaltato nell’oggetto ispirante l’impulso di creazione : “Quando mi
trovo davanti ad un pezzo di legno, esso mi ipnotizza. Se gli obbedisco, vien fuori qualcosa;
altrimenti è la guerra”.
E’ molto probabile che di fronte ad una rappresentazione realistica nessuno di noi si interroghi sul
suo significato recondito. Più l’opera aderisce alla natura e meno ci spinge alla decifrazione del suo
significato. Viceversa se in un dipinto sono presenti immagini combinate in maniera insolita ed
improbabile diventa forte in noi il tentativo di interpretare.
Allora cosa può significare per noi chiederci che cosa volesse dire Carlo con quello che ha dipinto?
Possiamo essere veramente in grado di darci una risposta ?
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Se ci basiamo sui metodi critici tradizionali adottati dalla storia dell’arte, direi di no. Infatti, come
aveva già sottolineato Prinzhorn, gli artisti professionisti – intendendo con il termine professionisti
coloro che sono consapevoli del loro fare artistico - nelle loro opere esprimono più che altro la
tradizione e la loro educazione. I primi che si esprimono in “quel determinato modo” all’interno di
una cultura, anche in contrapposizione ai valori della stessa, divengono i capiscuola.
Tenendo presenti la razza , la nazionalità ed il periodo, noi possiamo così riconoscere scuole di
pensiero e di espressione che si traducono in altrettanti movimenti ai quali aderiscono i diversi
artisti e che ci permettono di collocare le opere e quindi di comprenderle. La storia dell’arte diventa
quindi lo specchio delle contingenze che creano scuole e stili.
Ma gli artisti che non rientrano nell’olimpo della cultura ufficiale, i malati di mente, magari
analfabeti, che non appartengono ad alcuna corrente di pensiero, possono essere letti secondo i
tradizionali parametri critici? A rigor di logica no. Anche se sarà proprio un’ulteriore contingenza
storico-culturale, quella dei primi decenni del Novecento (sviluppo delle teorie psicoanalitiche e
delle avanguardie artistico-letterarie legate ai temi dell’inconscio, del sogno, del superamento
dell’oggettivismo e del naturalismo) a determinare l’incontro fra l’arte dell’accademia e quella dei
manicomi. L’arte dei folli diventa addirittura uno dei parametri per giudicare l’arte moderna. 3
Da ricordare due date fondamentali : nel 1919 Max Ernst espone per la prima volta opere di artisti
folli alla mostra dada di Colonia e nel 1947 Dubuffet e Breton fondano la Compagnie de l'Art Brut.
Bisogna comunque ricordare che il dibattito sulla liceità di dichiarare arte quella prodotta nei
manicomi prima e negli atelier dei centri riabilitativi poi è ancora oggi più che mai aperto, e la
risposta non è certo scontata. Del resto esiste arte fuori dall’atto di volontà?
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“(…) Chi scrive è tutt’altro che un maniaco delle più audaci e sfatte forme d’arte moderna. Ma confesso che quanto ho
visto all’Ospedale psichiatrico di Verona mi sembra una fortissima pezza d’appoggio in favore della legittimità e della
sincerità dell’astrattismo. L’arte consapevole coincide con l’arte inconsapevole. (…)”. Vedi Dino Buzzati, Sono dei veri
artisti, Verona 1957 , in Marinelli S. Pesci F., Carlo, Marsilio, Venezia, 1992
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Se non si può certo affermare che la follia produca necessariamente arte, non si può nemmeno
asserire che non possa esserci un artista folle. Oggi, del resto, si concorda sul fatto che la pulsione
creativa si presenta con le stesse caratteristiche nell’uomo sano e in quello malato.
Ogni essere umano ha in potenza la capacità di creare, anche se a livelli diversi.
Può avvenire, tuttavia, che sia proprio l’insorgere di malattie come la schizofrenia ad attivare tali
capacità.
Non solo. In questo caso il malato “imploso”4 non produce per fini diversi dal semplice bisogno di
espressione e quindi non è condizionato da pressioni culturali, da committenza, da tempi di
realizzazione. In questo senso, è libero da e libero di.
Ma libero di esprimersi perché liberamente sceglie di esprimersi, o è obbligato dalla necessità di
farlo? Se non c’è libertà di scelta di esprimersi, ci sarà almeno libertà di espressione dentro alla
necessità di esprimersi? Sono domande che non possiamo che rilanciare.
Certo è che il piano di comprensione di queste opere non passa attraverso la via più facile, la via
maestra, la via della ragione.
E se è vero per noi, come per il Ludwig di Visconti, che “in fondo alla strada maestra c’è la
mediocrità” è ancora più vero che le opere di Carlo Zinelli non sono certo mediocri.
Non lo sono sul piano artistico , né su quello psicologico.
Nessuno potrebbe affermare che la produzione grafica e pittorica di Carlo non abbia offerto alcuna
chiave di lettura al suo psichiatra; senz’altro Andreoli si è dato delle risposte sulla malattia
dell’artista proprio analizzando le sue opere. Nei quadri di Zinelli sono presenti le caratteristiche
comuni a tutta la produzione schizofrenica: l’horror vacui, la stereotipia, la tendenza all’ordine, alla
reiterazione. Ma è lo stesso Andreoli ad osservare che l’espressione patologica si esprime qui con
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Nel senso indicato da Eugen Bleuler (psichiatra e pioniere nello studio della schizofrenia) : “ Tutti questi pazienti sono
altamente autistici, cioè distaccati dalla realtà; essi si sono ritirati in una vita fantasmatica, o per lo meno la parte
essenziale del loro io scisso vive in un mondo di rappresentazioni e di desideri soggettivi, cosicché la realtà può recare
loro solo disturbo.” Cit. in Fabrizio Pavone La psichiatria tra Ottocento e Novecento: la figura di Eugen Bleuler in
Bedoni G. Tosatti B.( a cura di) Arte e psichiatria, Mazzotta, Milano, 2000
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canoni più adatti ad essere interpretati dal critico d’arte che dallo psicoanalista e si riferisce ad un
bourrage, ad una serialità , ad un rigore resi con armonia compositiva e cromatica.
Andreoli ammette senza alcuna riserva il limite dell’interpretazione psichiatrica del prodotto
artistico.
Sebbene le scoperte sulla psiche abbiano largamente influenzato l’arte, la comprensione dei
meccanismi psichici nulla può dirci circa la qualità del prodotto artistico. Questo concetto lo
sottolineava già Prinzhorn ottanta anni fa : “colui che non riesce ad avere una esperienza immediata
dell’opera ed è assalito da un bisogno mentale di esplorare e portare tutto alla luce, può forse essere
un buon psicologo ma sfiora appena l’essenza di ciò che è messo in forma”.
Fa sorridere la sgradevole sorpresa di Breton (artista e psichiatra) grande estimatore di Freud,
quando, incontrandolo, dovette accorgersi che il padre della psicoanalisi non conosceva - quindi
probabilmente non capiva - l’arte moderna, nonostante le sue teorie avessero influenzato non poco
le avanguardie artistiche della prima metà del “900.
Linguaggi diversi esigono chiavi di lettura diverse.
Carlo, come altri famosi artisti schizofrenici, crea un nuovo linguaggio, costituito da “una civiltà
figurativa individuale”5, dove il codice della lingua italiana non è più strumento di comprensione.
Conoscendo la biografia di Carlo, possiamo capire che nei suoi dipinti egli ci parla della sua vita,
ma è del tutto evidente che lo fa con un nuovo sistema semantico.
Se la significazione e la struttura di una lingua determinano, in senso necessario, lo sviluppo del
pensiero della civiltà a cui tale lingua appartiene, così come sostiene Emanuele Severino, allora
questa nuova lingua inventata da Carlo lo porterà a raccontare la sua storia con un linguaggio a noi
ignoto perché è in lui cambiata la cifra del pensiero.
Ciononostante, di fronte ai suoi quadri possiamo provare delle emozioni, sentiamo di essere in
grado di riconoscere.
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Vedi Sergio Marinelli, Carlo o la salvezza dell’arte in Marinelli S. Pesci F.(a cura di) Carlo, Marsilio, Venezia,
1992
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Credo che ciò si possa spiegare con il semplice fatto che la pulsione creativa allo stato originario,
per quanto possibile fuori dall’ambito del condizionamento culturale, coglie i suoi elementi nel
vocabolario universale comune. E’ come dire che al grado zero dell’impulso di creazione, l’essere
umano – così come appunto avviene nella produzione dei primitivi, dei bambini, dei folli - attinge i
suoi elementi di segno e di senso dal caos primigenio, potenziale sviluppo di ogni successivo
linguaggio.
E non è forse casuale che così come esiste una base di partenza comune, esiste un punto di approdo
conoscitivo, ai vertici della conoscenza, dove tutte le culture convergono : il misticismo.
Allora per comprendere l’opera di Carlo è necessario abbandonarsi alla capacità percettiva di tutto il
nostro essere, fatto di memoria arcaica, di esperienza e di tensione alla conoscenza che va qui intesa
come sapere proiettivo. Bisogna cioè seguire fiduciosi l’invito di Carlo : guardare.
Daniela Rosi
Responsabile dell’attività culturale del
Centro riabilitativo Franca Martini di Trento
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BIBLIOGRAFIA
Prinzhorn Hans, L’arte dei folli, Mimesis, 1991
Marinelli S. Tosatti B. (a cura di), Carlo, Marsilio, Venezia, 1992
Tosatti Bianca (a cura di), Figure dell’anima, Mazzotta, 1997
Bedoni G. Tosatti B. (a cura di), Arte e psichiatria, Mazzotta, 2000
Andreoli V. Marinelli S. (a cura di), Carlo Zinelli, Marsilio, Venezia, 2000
Borgna Eugenio, L’arcipelago delle emozioni, Feltrinelli, Milano, 2001
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