Al principio vi era l`ordine. Al principio vi è l`ordine. Il disordine è all

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Al principio vi era l`ordine. Al principio vi è l`ordine. Il disordine è all
Al principio vi era l’ordine.
Al principio vi è l’ordine.
Il disordine è all’antitesi dell’ordine.
Nel momento in cui lo si comprende istintivamente, ci si orienta istintivamente verso l’ordine.
La percezione di noi ci guida, invariabilmente, verso l’ordine.
Nel momento in cui si comprende razionalmente l’ordine, razionalmente e naturalmente, ovvero
istintivamente, si cerca l’ordine.
Non è un concetto astratto, ma il frutto di un impegno.
Quanto più ordinato è tale impegno tanto più ci si avvicina materialmente e spiritualmente
all’ordine.
Il libero arbitrio è nella misura in cui, sentendo in sé stessi l’ordine e avendolo compreso, si decide
di non seguirlo, di non raggiungere l’ordine.
L’ordine non lo si crea per gli altri, non è un’imposizione e nel momento in cui s’impone qualche
cosa al prossimo, contro la sua volontà, si crea il disordine.
L’ordine, se lo si vuole trasmettere, va dato con l’esempio. Un dare discreto, fatto dalla propria
presenza silenziosa e agente.
L’ordine è per tutti, ma pochi sono per l’ordine se pochi apriranno il proprio cuore all’ordine.
Tutto è un fluire continuo, noi ne percepiamo una parte, ma grande o piccola essa sia, se analizzata
con cuore e mente ci comunica un continuo nel tempo grazie all’ordine.
La parte percepita, se non analizzata, ma recepita con animo ordinato, anch’essa comunica il tutto e
naturalmente conduce all’analisi.
L’ordine del tutto.
La parziale percezione, se è recepita con animo non predisposto o prevenuto, può condurre al
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disordine.
Il ribellarsi all’ordine conduce al disordine.
Il disordine allontana le persone dalla normale percezione dell’ordine, ma non preclude loro la sua
comprensione.
Odine chiama ordine, ma non si tratta di un corpo immerso nell’acqua che genera onde, il moto che
va e viene e increspa.
L’ordine è tale e non suscita che una calma apparentemente piatta, che lascia al di sotto della
superficie un movimento armonico continuo, proprio dell’ordine.
L’alternanza tra ordine e disordine genera un moto discontinuo che è disordine, ma induce
l’individuo a ricercare incessantemente l’ordine in sé stesso.
Solo arrestando innanzitutto in sé stessi tale moto si giunge all’ordine interiore.
L’ordine interiore si riflette sull’esteriore, ordinandolo.
Non si ordina in automatico, da un rapido momento con l’altro, perché noi non siamo macchine,
ovvero solo materia.
Occorre che il sentire interiore, si potrebbe dire con l’animo, si trasmetta al corpo-macchina; ma
occorre, sul corpo macchina, come per ogni altra macchina, un lavoro.
Si ordina con un lavoro interiore, si ottiene con un lavoro esteriore.
Esteriore nel senso che si trasmette al corpo innanzitutto e da esso all’ambiente che strettamente ci
circonda e nel quale viviamo.
La stanza, ad esempio, deve riflettere l’ordine interiore e del corpo stesso. Dalla stanza si passa
all’intera abitazione e da essa si propaga.
Quanto si può propagare naturalmente da ognuno di noi? Solo nella misura in cui noi ci crediamo.
Solo nella misura in cui ogni singolo individuo ci crede.
Si genera ordine solo nella misura in cui noi lo facciamo fluire naturalmente, non forzatamente.
Fermo restando che ogni stato giunge nel tempo all’ordine, perché questo è il senso della vita che si
moltiplica nel tempo e nello spazio, è saggio e naturale facilitare l’espansione totale dell’ordine
divenendo noi stessi ordine.
L’imposizione è uno sforzo, non un fluire naturale e sereno.
Lo sforzo indebolisce le membra e lo spirito di conseguenza.
È come spingere l’acqua in un solco per creare un fluire a imitazione del ruscello o del fiume.
Cessata la spinta per spossatezza delle membra e per il dubbio che insorge, ovvero di non poter in
alcun modo rendere perenne tale moto, l’acqua torna a stagnare.
Lo stagno è soggetto, per la propria esistenza, al fattore esterno della pioggia. Tanta pioggia lo
aumenta di superficie. Tanto caldo fa evaporare l’acqua, tanto freddo la fa irrigidire, ovvero l’acqua
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che forma lo stagno si ghiaccia, cristallizzando il suo stato.
Lo stato che si cristallizza si rompe facilmente ed è il disordine che aumenta in modo esponenziale.
Così come la forte evaporazione inaridisce, innanzitutto l’animo, lasciando spazio al disordine.
Lo stagno nello stato di costante quiete sonnolenta genera marcescenza. Tutto s’imputridisce e le
stesse piante che possono inizialmente prosperare finiscono per essere fagocitate dall’acqua
stagnante perché le loro radici cedono, marciscono, sono fagocitate dal disordine strisciante.
Lo specchio d’acqua parrebbe a prima vista invitante, ma se vi si entra si muoverà inevitabilmente
con i piedi il fondo melmoso, il quale libererà fetore della materia organica in decomposizione.
Questo non è ordine, ma solo mera parvenza che desidera velare il disordine.
L’ordine richiede un impegno, ma innanzitutto l’ordine richiede la comprensione e l’accettazione di
ciò che si è compreso.
L’impegno sta nel mantenimento del tutto.
Tutti sentiamo, dal momento che tutti siamo vivi.
Se c’è chi comprende e si ordina, c’è di contro chi comprende e non si ordina. Il motivo è
insondabile. Almeno apparentemente.
Chi comprende e non si ordina, ovvero non si apre all’ordine e si fa ordine, è chi non crede fino in
fondo alle proprie potenzialità, alla propria capacità di vivere con ordine e nell’ordine.
Ma soprattutto capisce che il disordine gli dà la possibilità di godere a piene mani delle apparenze
terrene, se saprà farlo fruttare a proprio vantaggio.
Il vantaggio, una volta raggiunto, sarà difficile da annullare in sé stessi, perché l’essere umano è
tendenzialmente pigro.
Invece di poter godere di tale agio senza fare null’altro, come il pigro potrebbe pensare, si deve
continuamente mantenere il disordine, perché l’ordine naturale delle cose è l’ordine stesso.
Rimane chiaro che più il disordine si pasce di sé stesso ed aumenta, più difficile sarà il riportare
l’ordine in tempi relativamente brevi.
Il percorso in cui viviamo tra spazio e tempo serve a ricondurre il tutto alla dimensione dell’ordine.
Sempre, al termine del ciclo, vi è l’ordine ed il ciclo stesso ha termine con il raggiungimento
dell’ordine.
Si potrebbe essere indotti a pensare che il vegetare senza impegno nel conseguimento dell’ordine
non muti sostanzialmente il ciclo il quale, comunque, sempre giunge a stabilire l’ordine.
L’ordine si stabilisce perché è così che dev’essere e così è perché gli individui lo sentono ognuno per
sé stessi.
Si è comunque portati a pensare che più saranno gli individui che vivono nel disordine, più in là nel
tempo si allontanerà il momento in cui l’ordine ritornerà naturalmente.
Difficile dire.
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L’ordine è lo stato naturale delle cose.
Chiunque lo neghi, nega la parte spirituale, divina e quindi ordinata del proprio essere.
Lo stato dell’essere è divino, quindi ordinato.
Gianluca Padovan
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