L` IRAP, TREMONTI E IL SUO GEMELLO

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L' IRAP, TREMONTI E IL SUO GEMELLO
Repubblica — 31 ottobre 2009 pagina 32 sezione: ECONOMIA
Giuliano Amato
SONO un abolizionista della prima ora ( Corriere della Sera, 11/2000 e 3/2001). Lo
sono sempre stato, perché l' Irap è un' imposta inefficiente che distorce l'
allocazione del capitale e maschera costi e iniquità dell' attuale sistema di
finanziamento della spesa sanitaria. Bene che si torni a parlare di eliminarla; ma l'
unico argomento pro o contro l' Irap non può essere la dimensione del disavanzo
pubblico. Non voglio sminuire la rilevanza del debito pubblico. Ma quando si parla
di imposte, c' è un problema di efficienza. A parità di gettito, le diverse tasse
creano oneri e incentivi nell' uso delle risorse economiche: se lo fanno in modo
distorsivo, penalizzano la crescita, a prescindere dal disavanzo. Il nostro sistema
di tassazione delle impresee del capitale, di cui l' Irap è parte, è opaco, contorto,
illogico e inefficiente. Ben venga dunque l' abolizione, purché accompagnata da
una riforma ragionata dell' intera imposizione sul capitale; oltre che della
copertura della spesa sanitaria. Le riforme che aumentano l' efficienza possono
dare un impulso alla crescita; e vanno fatte anche se l' impatto iniziale sui conti
pubblici è incerto. Ma di efficienza non parla nessuno. La proposta di abolizione
dell' Irap e le relative controproposte - via l' Irap ma rimettiamo l' Ici; o più tasse
sui rendimenti finanziari; usiamo lo scudo fiscale o i Tremonti bond; niente Irap
ma solo per le piccole imprese o i nuovi assunti; e così via, basta che il deficit sia
entro una certa percentuale del Pil - sembrano pensate la mattina sotto la doccia.
Le vere riforme non si fanno così. Gli investimenti creano valore per tutti quando
vanno alle aziende la cui redditività sul capitale investito eccede il costo
opportunità del suo finanziamento, che dipende dalla remunerazione necessaria
per ricompensare il rischio e dalla struttura finanziaria. Quindi, più una tassa è
efficiente, meno distorce le decisioni di investimento, incidendo arbitrariamente
su redditività, rischio e costo del capitale. L' Irap fa l' esatto contrario: che "tassi le
perdite" non è il problema, ma una delle conseguenze della sua inefficienza. L' Irap
penalizza le imprese ad alta intensità di manodopera, agendo quindi come tassa
impropria sul lavoro perché grava sulle aziende che ne fanno maggior uso,
scoraggiando l' occupazione. Ma avvantaggia quelle ad alta intensità di capitale
fisico, perché permette di dedurre gli ammortamenti delle immobilizzazioni. Tassa
accantonamenti e svalutazioni, quindi penalizza le imprese che fanno ricorso ai
crediti commerciali. Discrimina quelle che utilizzano i criteri contabili
internazionali (Ias), da chi usa quelli nazionali. È un aggravio per le società di
persone. Tassa il debito e leasing, che l' Ires sussidia. È un' imposta locale, quindi
non rientra nei trattati bilaterali: così scoraggia le multinazionali (che non
recuperano l' Irap) dall' investire in Italia, mentre incoraggia le italiane a
delocalizzare la produzione. Ce n' è a sufficienza? L' Irap può e deve essere
eliminata. Ma con lei dovrebbero andarsene tutti i crediti di imposta, incentivi,
sussidi, aliquote privilegiate, e trasferimenti alle imprese che oggi gravano sui
conti pubblici (37 miliardi di contributi statali). Bisognerebbe anche azzerare l'
imposizione sulle plusvalenzea livello di impresa, compreso l' affrancamento di
riserve e rivalutazioni, per poi tassare tuttii rendimenti finanziari solo in capo alle
persone. In questo caso l' aliquota unica dovrebbe salire al 20%-25%. Per evitare
abusi, basterebbe applicare con rigore le norme anti-elusione per holding, società
estero-vestite, e operazioni finanziarie a scopo fiscale. Si guadagnerebbe in
efficienza e semplificazione, senza danneggiare troppo i conti pubblici. Una
riforma simile, ispirata a quella di Reagan del 1986, fu progettata anni fa dal
gemello liberista di Tremonti; che l' attuale ministro, però, vede come il fumo negli
occhi. - ALESSANDRO PENATI
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