C.T. Provinciale di Milano - Sezione XXXIII

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5320 – n. 47/99
IRAP
QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE
18/12/1999
IRAP per i professionisti: riproposte le stesse
censure già accolte dalla Corte Costituzionale in
tema di ILOR
Commissione Tributaria Provinciale di Milano - Sezione XXXIII - Ordinanza (CTP)
del 25 novembre 1999
Presidente: Perrucci, Relatore: Perrucci
IRAP (Imposta regionale sulle attività produttive) D.Lgs. 15/12/1997, n. 446 - Questione di legittimità
costituzionale non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3, 23 e 53 Cost. degli artt. 1 comma 2, 3
comma 1 lett. c), 5 comma 1 e 2 ultima parte, 11 comma 1 lett. c) e 36 comma 3 del D.Lgs. 15/12/1997, n. 446
- Impossibilità di dedurre dalla base imponibile le spese
sostenute per i dipendenti e assimilati, per i collaboratori e per interessi passivi - Inidoneità ad esprimere
l’effettiva capacità contributiva del contribuente,
essendo l’IRAP collegata a fonti di ricchezza solo in parte (il reddito) riconducibile al contribuente - Non discriminazione dei lavoratori autonomi rispetto agli imprenditori - Onere del Servizio Sanitario Nazionale a
carico solo di alcune categorie di cittadini - Impossibilità di dedurre l’IRAP ai fini delle imposte sui redditi Violazione in riferimento all’acconto della riserva di
Legge nell’imporre prestazioni patrimoniali
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano Sez. n. 33 riunita con l’intervento dei Signori: Perrucci
Ubaldo (Presidente/Relatore), Arista Maria Luisa, Golda
Perini Roberto (Componenti) ha emesso la seguente
Ordinanza
— sul ricorso n. --- depositato il 28.05.1999
— avverso s/rif su I. Rimb. n. Ist. 02.02.1999 IRAP, ’98
contro
D.R.E. Lombardia (sez. Milano)
proposto da: B.M. residente a Milano (MI)
Difeso da: F.E. residente a Milano (MI)
Svolgimento del processo
Il ricorrente, di professione economista e docente
universitario, ha versato per l’anno 1998 L. 4.180.000 a
titolo di Irap, e successivamente con istanza 02.02.1999
ha chiesto al Centro di servizi di Milano il relativo rimborso ritenendo tale imposta non dovuta.
Non avendo ricevuto riscontro, con ricorso presentato a questa Commissione il 28.05.1999 ha reiterato la sua
domanda di rimborso, con gli interessi di legge, sul presupposto che detto tributo sia costituzionalmente illegittimo per contrasto dell’art. 3 commi 143 e 144 della legge 662/96 e del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 con gli
artt. 3, 35, 53, 76 e 77 della Costituzione.
Non risulta costituita l’Amministrazione finanziaria.
Motivi della decisione
Le questioni di costituzionalità sollevate con riguardo ad alcune disposizioni del D.Lgs. 15 dicembre 1997,
n. 446, come modificato dal D.Lgs. 10 aprile 1998, n.
137 (in “Finanza & Fisco” n. 21/98, pag. 2410) e dal
D.Lgs. 19 novembre 1998, n. 422 (in “Finanza & Fisco”
n. 46/98, pag. 5252), non appaiono prive di fondamento.
In particolare l’art. 11 primo comma lett. c) nn. 1, 3
e 6 non ammette, ai fini della determinazione del valore
imponibile né i costi per il personale dipendente, assimilato e per i collaboratori coordinati e continuativi, né quelli
per interessi passivi e per canoni di locazione finanziaria,
né altre poste passive del bilancio. Ciò appare in contrasto col principio di capacità contributiva, non essendo
contestabile che tali costi costituiscano un esborso e quindi
una perdita per il contribuente, con corrispondente arricchimento solo per il personale che riceve la giusta mercede e per i creditori cui vengono restituite le somme prese
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a mutuo. Né, d’altra parte, può ritenersi che il semplice
esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero
alla prestazione di servizi sia di per sé un indice di ricchezza tassabile. È invero ben noto, e non necessita di
particolare illustrazione, che anche l’attività d’impresa,
in cui è presente un elemento patrimoniale, comporta per
sua natura un rischio, denominato “rischio d’impresa”,
sicché il risultato economico può anche essere negativo,
e quindi evidenziare una incapacità contributiva diametralmente opposta a quanté richiesto dall’art. 53 Cost.
Sotto altro aspetto l’art. 3 dei DD.LLggss. citati include fra i soggetti passivi dell’imposta le persone fisiche esercenti arti e professioni, in tutto parificate, sotto
questo particolare aspetto, alle imprese. La previsione
appare riproporre le stesse censure di costituzionalità che
furono proposte, ed accolte dalla Corte Costituzionale con
la sentenza 26 marzo 1980 n. 42, in tema di Ilor. Pare
invero evidente che gli artisti ed i professionisti si differenzino rispetto alle imprese per l’assenza, spesso totale
ma comunque prevalente, della componente patrimoniale. Ammesso quindi (e non concesso) che l’impresa possa considerarsi una cosa produttiva, tassabile per la sola
attitudine a produrre reddito, non altrettanto potrebbe dirsi
per l’artista o per il professionista in cui è prevalente la
componente personale, spesso esclusiva, e quindi la possibilità di non produrre alcun reddito per eventi relativi
alla persona stessa del professionista o dell’artista (malattia, invalidità, ecc.).
Altra ipotesi di possibile contrasto con gli artt. 3 e 53
Cost. si configura con riferimento all’art. 36 del D.Lgs. in
esame, laddove esso istituisce un rapporto diretto fra istituzione dell’Irap e abolizione, fra l’altro, del contributo al
servizio sanitario nazionale previsto dall’art. 31 della legge 28 febbraio 1986, n. 41 e successive modificazioni. Si
tratta invero di un collegamento, anche testuale, che va ben
oltre la libera scelta legislativa di istituire un’imposta e
contemporaneamente di abolire altri tributi ed oneri, ma
sottolinea fin troppo bene la “sostituzione” dell’Irap al predetto contributo, spostando il relativo carico da tutte le persone fisiche in precedenza incise ad una sola categoria di
contribuenti che, quand’anche siano persone fisiche (e ciò
non avviene per le società), non sono i soli ad avvalersi del
servizio sanitario. Oltre tutto in contrasto con la considerazione della stessa Corte Costituzionale (ved. la sentenza
3 dicembre 1987, n. 431) che il prelievo relativo va rapportato, non già al reddito del contribuente, ed ad altri parametri usati per la tassazione del medesimo, bensì alla sua
fruizione del servizio sanitario nazionale, in modo da garantire un diretto collegamento fra versamenti effettuati e
prestazioni sanitarie ricevute.
Quanto all’art. 1 del D.Lgs. 446/97, esso, per un altro verso, sembra violare il principio di razionalità sotteso all’art. 3 Cost. nella parte in cui prevede che l’Irap non
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è deducibile ai fini delle imposte sui redditi. A prescindere invero dalla definizione, puramente nominalistica, di
imposta “reale”, che non trova alcuna rispondenza nella
realtà dei fatti giacché manca la “res” cui essa dovrebbe
gravare, tale previsione appare idonea ad inquinare anche il presupposto di applicazione dell’Irpef e dell’Irpeg,
attribuendo rilevanza ad un risultato economico che, non
potendo contare sulla detrazione di tale imposta, appare
del tutto fittizio, e quindi introducendo ulteriori squilibri
fra contribuenti che pur presentino sul piano civilistico
identici bilanci.
Infine l’art. 45 terzo comma del D.Lgs. in esame sembra contrastare con la riserva di legge sancita dall’art. 23
Cost., nella misura in cui attribuisce al Ministro delle finanze la funzione di stabilire gli ammontari del maggior
carico impositivo rispetto a quello derivante dai tributi
soppressi in base ai quali fissare l’entità della riduzione
dell’acconto dovuto ai fini dell’Irap; e quindi in sostanza, anche per la difficoltà del confronto, lo rende arbitro
di modulare a suo piacimento l’ammontare di tale acconto, quantomeno in fase di prima applicazione.
Delle suddette problematiche e del relativo quadro
costituzionale non sembrano aver tenuto alcun conto né
il legislatore delegato né la Commissione parlamentare,
evidentemente dominata dalle stesse maggioranze che
sostengono il potere esecutivo, la quale si è addentrata in
un’indagine di astratta politica economica, peraltro infiorandola di espressioni a dir poco astruse come “la profittabilità di scelte imprenditoriali”, i “rimandi generali
di causalità”, la “curva di Lorenz (che) rimbalza sopra e
sotto la curva di equidistribuzione”, la “separazione dei
destini impositivi”, e simili.
D’altra parte le suddette questioni sono rilevanti ai
fini della definizione del presente giudizio, poiché dalla
risoluzione delle medesime dipende l’accoglimento o
meno del ricorso introduttivo.
P.Q.M.
la Commissione, visto l’art. 23 della legge 11/03/1953,
n. 87, ritenuta la rilevanza delle questioni prospettate, dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 secondo comma, 3 primo
comma lett. c), 5 primo e secondo comma ultima parte, 11
primo comma lett. c) e 36 terzo comma del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, così come modificato dal D.Lgs. 10
aprile 1998, n. 137 e dal D.Lgs. 19 novembre 1998, n. 422,
per contrasto con gli artt. 3, 23 e 53 Cost. Sospende il giudizio davanti a sé e dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, ordinando che, a cura della
segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in
causa nonché al Presidente del Consiglio dei Ministri, e
comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica.
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