Vivere e morire senza Uber a Austin, Texas | 1 Copyright Taxistory.it

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left.it -La settimana scorsa Uber ha perso una
importante battaglia in Texas, oggi annuncia che
sta investendo pesante nell’auto senza conducente.
Le due notizie sono a modo loro correlate. Andiamo
con ordine. I gestori di bar di Austin sono
disperati: «I nostri clienti del weekend sono
diminuiti di colpo, dalla sera alla mattina. Aver
avuto un servizio come quello di Uber e non averlo
più di colpo è uno choc», ha detto uno di loro a
un’emittente privata locale. Austin è una delle
capitali hi-tech d’America, la nona area
metropolitana per dimensioni, e ha deciso, prima con una legge comunale, poi con un
referendum, di imporre delle regole al fornitore di auto e autisti divenuto icona (negativa)
della sharing economy.
Secondo il regolamento gli autisti Uber dovevano essere registrati con tanto di
impronte digitali e gli era fatto divieto di fermarsi in mezzo alla strada per caricare
passeggeri. Due regole che valgono anche per i tassisti. La decisione è stata presa dopo
che sette persone hanno denunciato tentativi di violenze sessuali sulle auto di Uber e Lyft –
altro servizio di auto con conducente a noleggio.
La risposta delle due compagnie è stata immediata: spiegare che i controlli sul
personale impiegato sono rigorosi e convocare un referendum, spendendo 9 milioni
di dollari per fare campagna a favore di un voto che cancellasse le regole.
Referendum perso male: i voti a favore sono costati più di 230 dollari l’uno, perché la città
ha una lunga tradizione alternativa e liberal (è lo hub dei giovani alternativi del Texas),
tradizione accentuata dall’afflusso di giovani da tutto il Paese a causa della fiorente
industria hi-tech.
Risultato? Perdono tutti. Austin ha infatti una vita notturna vivace e siccome la gente, il
venerdì e il sabato, in Texas, beve parecchio, tendeva a usare molto le auto a noleggio. Per
questo il barman è disperato. A perderci sono anche i circa 10mila autisti della città,
persone in cerca di un lavoro migliore, autisti di professione o studenti che si pagano così gli
studi. L’idea di Uber e Lyft è quella secondo cui sul loro modello di business, che è una finta
sharing economy nella quale l’autista “condivide” a pagamento la sua auto tramite una app,
non accetta regole.
Una cosa simile è capitata a New York, dove la compagnia ha resistito per mesi all’idea
di consentire ai suoi autisti di sindacalizzarsi – per poi cedere e accettare una via di mezzo
tra l’adesione al sindacato dei tassisti e il nulla.
A perderci sono in genere anche gli utenti, che dovranno pagare di più per un passaggio in
auto e che, come spesso capita in molte città, sconteranno il fatto che il numero di licenze
bloccato impedisce ai centri urbani di dotarsi di un numero sufficiente di taxi. In questo
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c’entra, ne sappiamo qualcosa nei grandi centri urbani italiani, la lobby dei tassisti, che pesa
e si fa sentire ovunque.
Ma in questo caso è il modello Uber a essere sotto accusa: come in altre città, la
compagnia si installa in città approfittando di un vuoto legislativo e poi, quando si
è resa indispensabile, quando è divenuta un’abitudine per gli utenti, impone il
proprio riconoscimento alle autorità locali. L’attitudine delle compagnie, che hanno
lasciato anche altre città del Texas e che si preparano a battaglie legali ad Atlanta, Los
Angeles e Chicago, è quelle di essere libere di fare quel che vogliono. Con gli autisti – che
spesso denunciano di essere sfruttati e sottopagati – con gli utenti e con i controlli e le
regole.
La convocazione del referendum da parte di Uber e Lyft è un segnale in questa
direzione: le compagnie hanno speso tutti quei soldi per un referendum perché non
vogliono regole, con i 9 milioni investiti nel tentare di far votare per la loro proposition (così
si chiamano i referendum), le due compagnie avrebbero potuto pagare di più per anni gli
autisti e permettersi controlli migliori su chi impiegano. Tanto è vero che, dopo aver perso a
Austin, stanno investendo in lobbying nella assemblea statale del Texas, dove la
maggioranza è repubblicana, per ottenere una legge che bypassi quelle municipali. È brutta
pubblicità? Può darsi, ma come per le merci tecnologiche a basso costo, se ci piacciono e
le vogliamo, le compriamo anche se sappiamo che le hanno assemblate in qualche
fabbrica cinese inquinante e senza regole.
E qui veniamo all’auto senza autista: Uber (e anche Lyft, che ha una partnership con
Chevrolet) sta sperimentando una Ford Focus dotata di sensori e radar. Obbiettivo? Fare a
meno degli scomodi e pericolosi autisti. Addio regole, addio personale, addio problemi con i
referendum in posti come Austin. Chissà che però, nelle città, alcune regole non vengano
imposte anche alle auto che si guidano da sole.
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