La donna come strumento di follia e morte.

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La donna come strumento di follia e morte.
Guido Cavalcanti
Confronto
Igino Ugo Tarchetti
Fosca
La donna come strumento di follia e morte.
Igino Ugo Tarchetti (1839 – 1869) è stato un poeta, scrittore e
giornalista italiano. Piemontese di nascita, a Milano entra in
contatto con la corrente letteraria nota come «scapigliatura»
divenendone uno dei principali esponenti insieme a Cletto
Arrighi, Emilio Praga, Arrigo e Camillo Boito. Le influenze
milanesi contribuiscono con decisione alla scrittura di opere
quali Fosca, romanzo pubblicato a partire dal 1869 nella rivista Il
pungolo. Tarchetti, malato di tisi, non riuscirà ad ultimarne la
stesura: gli ultimi due capitoli, infatti, vengono completati da un
amico dello scrittore, Salvatore Farina.
Nelle pagine di Fosca trova spazio il racconto in prima persona di
un giovane ufficiale militare, Giorgio, ancora profondamente
scosso dagli eventi avvenuti cinque anni prima e vero oggetto
della narrazione. Giunto in licenza in una piccola località di
provincia, dopo la fine di una tenera relazione con Clara, giovane donna di grande bellezza e
fascino, il protagonista incontra Fosca, cugina del colonnello presso cui risiede. Gravemente
malata, Fosca stringe a sé Giorgio, instaurando un rapporto dai tratti morbosi e irrazionali, in una
spirale di angoscia che condurrà il protagonista all’esaurimento.
Il personaggio femminile creato da Tarchetti, insieme con i funerei effetti esercitati sul giovane
protagonista, può essere letto come una vera e propria antitesi della figura della donna angelo che
trova spazio nei sonetti di Cavalcanti. Se nello Stilnovo la virtù indicibile della donna è strumento di
salvezza e innalzamento verso Dio, nel romanzo di Tarchetti la bruttezza inenarrabile e la malattia
di Fosca sono uno strumento ugualmente efficace di distruzione e di morte. Lo stesso protagonista
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Guido Cavalcanti
Confronto
ne è consapevole, ma incapace di interrompere un processo ormai in atto:
Una cosa sovratutto […] contribuiva ad accrescere il mio dolore: il pensiero fisso, continuo, orrendo,
che quella donna volesse trascinarmi con sé nella tomba.
Ti proponiamo la lettura dell’episodio in cui Giorgio incontra Fosca per la prima volta (cap. XV),
dove potrai notare le tecniche narrative con cui viene dipinto il personaggio femminile.
Dio! Come esprimere colle parole la bruttezza orrenda di quella donna! Come vi sono beltà di cui è
impossibile il dare una idea, cosí vi sono bruttezze che sfuggono ad ogni manifestazione, e tale era
la sua. Né tanto era brutta per difetti di natura, per disarmonia di fattezze, - ché anzi erano in parte
regolari, - quanto per una magrezza eccessiva, direi quasi inconcepibile a chi non la vide; per la
rovina che il dolore fisico e le malattie avevano prodotto sulla sua persona ancora cosí giovine. Un
lieve sforzo d’immaginazione poteva lasciarne travedere lo scheletro, gli zigomi e le ossa delle
tempie avevano una sporgenza spaventosa, l’esiguità del suo collo formava un contrasto vivissimo
colla grossezza della sua testa, di cui un ricco volume di capelli neri, folti, lunghissimi, quali non vidi
mai in altra donna, aumentava ancora la sproporzione. Tutta la sua vita era ne’ suoi occhi che erano
nerissimi, grandi, velati - occhi d’una beltà sorprendente. Non era possibile credere che ella avesse
mai potuto essere stata bella, ma era evidente che la sua bruttezza era per la massima parte effetto
della malattia, e che, giovinetta, aveva potuto forse esser piaciuta. La sua persona era alta e giusta;
v’era ancora qualcosa di quella pieghevolezza, di quella grazia, di quella flessibilità che hanno le
donne di sentimento e di nascita distinta; i suoi modi erano cosí naturalmente dolci, cosí
spontaneamente cortesi che parevano attinti dalla natura piú che dall’educazione: vestiva colla
massima eleganza, e veduta un poco da lontano, poteva trarre ancora in inganno. Tutta la sua
orribilità era nel suo viso.
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