Fosca Massucco, L`occhio e il mirino, L`Arcolaio Quando ho ricevuto
Transcript
Fosca Massucco, L`occhio e il mirino, L`Arcolaio Quando ho ricevuto
Fosca Massucco, L’occhio e il mirino, L’Arcolaio Quando ho ricevuto il libro ho pensato che avesse un titolo ridondante, poi subito riflettendo ho colto la differenza: l’occhio è la visione, una vista ampia, ricca di elementi particolari e perfino spuri, il mirino , invece, centra il particolare, affina la vista su un solo oggetto; un po’ come succede nella vita dove la ressa degli eventi ci fa perdere di mira l’elemento che distingue, che rende l’unicità , l’irripetibilità, un sapore, un solo colore… Fosca credo che proprio questa unicità abbia cercato e cerchi, ed è un unicum e un solum minuscolo, poco appariscente, che una visione ampia non coglierebbe, solo il mirino può metterlo a fuoco, centrarlo, col dubbio di esserci riuscito: “Un tintinnio di cembali- / a l’entrada del temps clar / ciangottano le nevi sciolte/ preghiere brevi, la lievità di dio/ in un giardino di semplici” Fosca è forse alla ricerca della divinità? Se così fosse il suo dio indosserebbe la maiuscola, invece è una divinità minuscola di piccole perfezioni, di “ciangottii”, appunto, di armonie, sempre presente e quasi inafferrabile . E’ colui che insuffla la vita e , necessariamente non è il Dio dei cristiani, potrebbe essere Ganesch o un qualunque altra divinità pacifica, che poco chiede e forse di meno si accontenta e/o si manifesta. “di dio” è il titolo di una delle tre sezioni del libro, e torno ad affermare che non c’è nessuna ricerca teologica, semmai c’è la presa di coscienza dello stare singolo davanti ad una divinità che qui non ha precetti ma solo manifestazioni e nessuna sapienza saprà mai cogliere l’istanza che pone. Malgrado cumuli di conoscenza, l’uomo resta un leggio vuoto. La morte che ogni tanto si affaccia nei versi è definita come l’ascesa verso il silenzio di dio. E’ una definizione che mi ha lasciata perplessa, come se il silenzio totale fosse il vero stato di beatitudine contrapposto al bailamme terrestre di suoni stridenti, di pianti,… La seconda sezione è titolata, non credo a caso: “dell’armonia”. Se le poesie dedicate a dio chiamano cose semplici , anche l’armonia non può che essere costituita da minuzie quotidiane, di gesti di pace, di nutrimento che si dispongono a trionfo dell’anima: “per chi è uso al silenzio/ anche una sola strofa/ è un volo all’improvviso.” Credo che meglio non si potesse dire sulla potenza del silenzio e della sua rottura con l’introiezione di altro senso. Ancora più di frequente che nella prima pagina, gli elementi semplici e spontanei della natura sono visti come indizi del dio, dell’armonia, dell’uomo immerso nella natura che se la lascia sfuggire in gran parte. Ci sono mesi e venti, sole e tepori, cieli plumbei, l’immobilità agostana,….., c’è un tutto che si lascia sfiorare perché la vita ha altre incombenze e volare è lusso d’uccelli. E’ la sezione nella quale vediamo la poetessa come donna, come madre, come lavoratrice, insoddisfatta fra il dovere e il desiderio, non diversamente da noi. L’ultima breve sezione è più riflessiva, forse anche più amara: “ ed io mi ingegno/ a contare stelle e nubi fugaci,/ distraendo il desiderio/ coi sonagli dell’usuale”. La presa di coscienza quasi gridata della propria unicità quasi ci stupisce e contrasta con la missione laica di attraversare il mondo senza neppure sollevarne la polvere. Fosca è donna e poeta, nulla di speciale, solamente la sincerità si fa spudoratezza quasi fosse a una dimensione invece delle solite tre che s’azzuffano e le altre che maggiormente invisibili si contendono le ragioni all’interno del singolo. Narda Fattori Il genio dell’uomo è il foggiare rotonde balle di fieno immote in una laguna d’erba disseccata. La perfezione di dio è disporre sopra due corvi. "le educande al coro" Gioacchino Toma Pavia - Castello Sfor-zesco Viver come drappo rosso non è facile, che si sventoli davanti ad un toro o si separi la preghiera dal mondo nascer vermigli, pesare come il broccato. Restare a immobile guardia di un creato di colombe cantanti - trasparenti e digiune di vita guidate dal soffio dell'organo, condotte da chi l'ha digerita, senza soffermarsi. Quale invidia per quel mondo tutto giusto, in cui i fatti avvengono per tempo quando il leggio, colmo di dottrina è l'unico a restare solo. - Senza notte Quando morirò spero non sia d'inverno. Ma se cosi sarà, se renderò quanto resta dell'anima in un banale febbraio vorrei non fosse notte ma mattino, violento e soleggiato dopo la neve, un cielo rivoltato sottosopra, bianco da stordire. Ascenderò sconcertata - incalzata dal gracchiare dei corvi, raggiungerò il silenzio di dio. Cabina C al km 1+105 , quasi Porta Nuova. Accanto al treno notte senza più motrice fiorisce un pruno soave. La beatitudine mette radici in luoghi inattesi. Ci sono istanti di marzo che inducono all'attesa e mi vedono scrivere, china, inutilmente il vento falso, qualche gemma impertinente un fiore di serra acquistato l'altro di. Seduta, guardo fuori dai vetri il giardino immobile che chiamaun passo, uno solo basterebbe. Di nuovo mi imbroglierà - chi non dimentica un impegno per il primo cinguettio dell'anno, chi sfugge al fiato mozzo guardando il dito che indica la rondine? Io mi incanto anche nel niente, non mi serve un motivo per volare - poi atterro veloce. Ci sono panni e pannolini, minestre e cure che mi tengono occupata, non e facile il mestiere del poeta al giorno d'oggi. II cielo plumbeo di aprile la scena ripetuta all'infinito, un oggi senza sosta. Mi alzo con i1 sorgere del vento attendo la pioggia feroce e il canto ciclico dei rospi. "Ci siamo persi le albicocche” una lama ingiallisce le nuvole, conto i danni nel frutteto. Perdonare un addio è facile e si fa grande impressione. così perdono la tua assenza, il mio strazio ed il niente successive. L'addio definitivo rende liberi senza tormento - manco un ricordo duole se non voglio, i fasci di tempo allacciati a covone nella memoria ristanno muti. Ma se sopraggiunge il vento di un evento inatteso, insperato o semplicemente ignoto e smuove i pensieri a cui volto le spalle, ecco volare ricordi, Perché ogni sera ha il suo ritorno, il suo chiamare e le ansie disattese - a nulla rispondi, da vent'anni e i ricordi sono l'unico ritorno. Io sono un poco sporca dentro - quando mi inchiodano sto fissa a tossire, punto i piedi, scarto di lato. Posso anche fingermi sorda, o scema - il tempismo della vita è imperfetto, non si deve capire subito. Poi rimescolo in tondo le frasi, che sono maestra; alla fine meno tutti dove mi va. Ma se solo si sapesse quante vergogne quotidiane, quante deliziose crudeltà esercito scientemente! Mai basterebbe fingermi tonta, puntarmi a mulo o far paroledovrei crescere e riconoscere, pubblica ammenda con la mora. Mi salva che tutti siamo un poco sporchi dentro –là dove l'anima fa capriole nel fango.