N.2 - Marzo/Aprile 2007

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LA FOSFATIDILCOLINA
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di Milano n° 87
del 15/02/2003
Dermatologa e Farmacologa - Milano
ABSTRACT
La fosfatidilcolina, costituente principale della
membrana plasmatica, stà avendo un grosso successo in medicina estetica per il trattamento delle
adiposità localizzate. I risultati sembrano promettenti e sembra anche che non esistano particolari
problemi di safety. In letteratura ormai sono
numerose le pubblicazioni su questo prodotto
anche se l’indicazione per il trattamento delle adiposità localizzate è “out of label” in tutti i paesi
dove viene utilizzata. Il meccanismo d’azione si
basa su una azione detergente che causa una lisi
non specifica delle membrane cellulari, indipendente dalle lipasi endogene che porta a necrosi il
tessuto adiposo.
STORIA DELLA
FOSFATIDILCOLINA
strato che la PC aumenta le proprietà
recettoriali della membrana cellulare
degli adipociti, aumentandone la sensibilità all’insulina e provocando quindi
una accelerazione della lipolisi:
Kardiologia 1989; 29: 57. A metà degli
anni ’90 un gruppo di medici brasiliani
dichiarano, in alcuni Congressi di
Dermatologia e di Medicina Estetica, di
ottenere buoni risultati sulle adiposità
localizzate con iniezioni di fosfatidilcolina. Nel 2001, su Dermatology Surgery,
L
a fosfatidilcolina viene utilizzata per
la prima volta per l’embolia grassosa
nel 1959 in Russia. Da allora venne
usata solo in Europa, SudAmerica e
SudAfrica (ma non negli USA dove non
è stata mai approvata) per iperlipidemia,
aterosclerosi, angiopatie, angina e
malattie epatiche.
Nel 1989 BOBKOVA e al. hanno dimo-
SOMMARIO
Pag.
1
Arturo Martini e la sifilide
10
di Stefano Veraldi
La fosfatidilcolina
di Maria Delia Colombo
ABBONAMENTI
ANNUALI
Peeling all’acido piruvico 40% nel melasma:
vantaggi della nuova formulazione in gel
€ 100
(Italia)
di Maria Pia De Padova, Matilde Iorizzo
€ 150
(Estero)
Malattie cutanee e veneree
11
5
6
di Fabio Ayala, Paolo Lisi, Giuseppe Monfrecola
Il naltrexone nel trattamento del prurito:
risultati relativi ai primi 39 pazienti
di Stefano Veraldi, Fabio Celotti, Ruggero Caputo
Notizie dalla Letteratura Internazionale
e dai Congressi
12
Rubrica aperta ai lettori
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la dermatologa brasiliana Patricia
Rittes pubblica il primo articolo
sugli effetti lipolitici della fosfatidilcolina iniettata direttamente nei
depositi adiposi sottopalpebrali.
Tale articolo era stato presentato
già come comunicazione scientifica al 54° Congresso Brasiliano di
Dermatologia nel 1999 (Fig. 1).
Sempre la stessa autrice pubblica
nel 2003 su Aesthetic Plastic Surgery e su Aesthetic Surgery Journal, articoli sull’azione lipolitica
della fosfatidilcolina nei depositi
adiposi degli arti ed altri distretti
corporei.
La Dr.ssa Rittes ha dichiarato di
aver trattato dal 1995 al 2003 oltre
PATRICIA RITTES: FOSFATIDILCOLINA PER LE BORSE SOTTOPALPEBRALI
A
B
segnale di trasduzione dall’esterno
all’interno della cellula. È uno
ione dipolare con uguale carica
negativa e positiva. Avendo una
testa idrofilica e due code lipofiliche ha entrambe le proprietà idrofila e lipofila.
Queste proprietà rendono la PC un
emulsificante naturale.
La PC è commercialmente prodotta soprattutto dai semi di soia,
dove il 75% della PC è composta
da acidi grassi insaturi (linoleico,
linolenico e oleico).
Non sono segnalati effetti tossicologici, mutagenici o teratogenici e
la forma orale sembra essere ben
tollerata fino a dosi di 18 g/die.
La PC è commercialmente prodotta in associazione con un sale
biliare (desossicolico DC) ed un
antimicrobico (l’alcool benzilico).
Questa formula assomiglia a quelle formulazioni del commercio
Essentiale e Lipostabil, in cui
sono aggiunte in maniera variabile la vitamina E e le vitamine del
gruppo B.
CLINICA
A
B
Fig. 1 - (Sopra) A) Paziente di 71 anni con evidenti borse sottopalpebrali. B) Risultati dopo tre
iniezioni di fosfatidilcolina.
(Sotto) A) Paziente di 55 anni con evidenti borse sottopalpebrali. B) Risultati dopo quattro iniezioni di fosfatidilcolina.
CARATTERISTICHE CHIMICHE DELLA
FOSFATIDILCOLINA:
COLINA
GRUPPO
IDROFILO
POLARE
FOSFATO
GLICEROLO
TRATTO
IDROFOBICO
2
AC
ID
O
ACIDO GRASSO
1
GR
AS
SO
Fig. 2
8.500 pazienti su cui ha effettuato
24.000 trattamenti, di questi circa
2000 sulle borse palpebrali (Fig. 2).
La fosfatidilcolina (PC) è il fosfolipide più frequente nel mondo animale e vegetale. È un importante
componente della lecitina che ne
contiene dal 10 al 20%. La PC è
costituita da un gruppo fosfato, 2
acidi grassi e dalla colina, precursore dell’acetilcolina. L’acido linoleico è l’acido grasso prevalente.
La PC è il maggiore componente
strutturale della membrana cellulare. Circa dal 40% al 50% delle
membrane cellulari sono composte
da PC. Dato il suo ruolo nel mantenere l’integrità delle membrane
cellulari ha un compito essenziale
nella regolazione omeostatica della fluidità delle stesse.
La PC interviene nei processi del
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Le iniezioni di Fosfatidilcolina
(PC) stanno diventando una delle
più popolari tecniche per trattare
le adiposità localizzate.
Molti studi in aperto e qualche studio di confronto hanno riportato dei
risultanti promettenti per il trattamento delle borse della palpebra
inferiore; del doppio mento; delle
guancie, dei fianchi; dei lipomi;
della lipodistrofia nei pazienti HIV
positivi in particolare per la “gobba
di bufalo” e di altre aree. Per questo, dopo la sua introduzione come
trattamento off-label per i xantelasmi nel 1988, molti medici in
Europa, Sud America e Sud Africa
hanno trattato le adiposità localizzate con i prodotti del commercio
Essentiale e Lipostabil (Natterman
- Aventis) contenenti PC.
Sebbene questi prodotti siano
indicati per il trattamento di patologia del fegato e malattie cardiovascolari, non sono stati approvati
dall’FDA per uso estetico. Inoltre,
L’FDA ha pubblicato una warning
letter contro i venditori su Internet
di Lipostabil per uso estetico. Nel
gennaio 2003, ANVISA, l’Agenzia
Nazionale Brasiliana per il Moni-
toraggio Sanitario, ha dichiarato
che Lipostabil non è registrato in
Brasile per nessun uso né medico
né cosmetico.
MECCANISMO D’AZIONE
Bobkova ha dimostrato che un
aumento di PC nei tessuti favorisce una migliore interazione con
l’insulina, causando un aumento
della lipolisi. È stato ipotizzato che
la PC e il DC causino la dissoluzione del grasso attraverso la rottura delle membrane cellulari con il
conseguente rilascio dei depositi
intracellulari di grasso. Questo
viene quindi riassorbito nel sistema reticolo endoteliale e metabolizzato. Dopo il riassorbimento del
grasso, le membrane cellulari vengono riparate con la ricostituzione
della normale microanatomia, con
la conseguente riduzione dello
spessore e del volume del grasso
sottocutaneo (Rose et Rittes). Rotunda ha studiato l’effetto in vitro
di PC e DC, Rose l’effetto in vivo
con istologia. Rotunda dimostra,
dopo una serie di esperimenti in
vitro utilizzando campioni di tessuti freschi e colture cellulari, che
la PC e DC lavorano principalmente con una azione detergente
causando una lisi non specifica
delle membrane cellulari, indipendente dalle lipasi endogene.
Rotunda dimostra inoltre che il
DC, il componente biliare della
formula, usato per emulsionare la
PC, è il più importante attivo
costituente della formulazione.
Ciò è dovuto al fatto che i sali
biliari sono potenti solubilizzanti
delle membrane cellulari. La solubilizzazione delle membrane cellulari a causa di un detergente è
dovuta alla:
- distribuzione dello stesso negli
strati lipidici;
- destabilizzazione degli strati
lamellari della membrana;
- disintegrazione e alla conseguente formazione di micelle (composte dal detergente e dai lipidi
della membrana).
Dall’esame istologico la PC e il DC
iniettati nei tessuti causano la rottura architettonica del grasso e dei
muscoli, ma non hanno un effetto
apparente sull’epidermide, il derma o gli annessi. Questi dati suggeriscono che se le iniezioni di PC
e DC vengono effettuate, non intenzionalmente, in tessuti diversi
dal grasso possono portare a
necrosi. Ma questi effetti indesiderati non sono stati ancora segnalati in clinica anche perché non ci
sono report di seri effetti collaterali a lungo termine. La limitazione
del modello sperimentale di Rotunda è che non può segnalare le
reali conseguenze cliniche dopo le
iniezioni nei tessuti viventi. Dall’esperienza clinica, dopo le iniezioni di PC e DC si verifica una
immediata risposta infiammatoria,
evidente come eritema ed edema.
La ripetizione di questi fenomeni
infiammatori può portare a fibrosi,
specialmente dopo molteplici iniezioni. Negli studi pubblicati non
risultano segnalate delle fibrosi.
Esistono delle segnalazioni aneddotiche di pazienti che hanno sviluppato noduli palpabili nei siti di
iniezione che si possono risolvere
dopo un periodo di settimane o di
mesi (Rittes PG).
Sono state necessarie delle biopsie
per valutare adeguatamente la natura di queste reazioni. Rose, dopo
delle punch biopsie nelle zone di
iniezione, ha esaminato le alterazioni istologiche nel grasso sottocutaneo. Dopo una settimana, entro i setti e i lobuli del grasso sottocutaneo, era presente un infiltrato di plasmacellule, linfociti neutrofili e magrofagi. A due settimane, linfociti ed istiociti predominavano.
Gli istiociti consistevano di: convenzionali forme epiteliodi, cellule
schiumose ad infarcimento lipidico e cellule giganti multinucleate.
In più, evidente necrosi del grasso
che includeva microcisti di adipociti e atrofia sierosa. Quindi i campioni istologici dimostrano chiaramente che la PC/ DC, sia attraverso un effetto diretto emulsionante
sulle membrane degli adipociti,
sia per una reazione indiretta dovuta alla chemiotassi di cellule
infiammatorie nell’area, porta ad
una infiammazione acuta e cronica
all’interno dei setti e dei lobuli del
grasso sottocutaneo. Le cellule infiammatorie reclutate scardinano
direttamente o distruggono indi-
rettamente le membrane degli adipociti via citochine o per il rilascio
di enzimi litici.
Risultante nelle necrosi del grasso
sottocutaneo. Ne consegue aumento dei fibroblasti ed una produzione di collagene reattivo.
La fibroplasia e la riduzione del
numero e del volume degli adipociti contribuisce all’assottigliamento e alla possibile retrazione
della cute.
Gli Autori ipotizzano che con il
passare del tempo la risposta infiammatoria receda e che venga
sostituita da una nuova attività dei
fibroblasti. La sintesi di nuovo collagene porta ad un ispessimento
ed ad una retrazione della cute. I
risultati di questo studio in vivo
dimostrano che PC/DC possono
distruggere le cellule adipocitiche
con dimostrazione istologica.
ASPETTI LEGISLATIVI
Sono pervenute all’ufficio Farmacovigilanza dell’AIFA segnalazioni
relative all’uso improprio di Lipostabil per indicazioni mai autorizzate. Si tratta prevalentemente di
usi cosmetici.
Il farmaco risulta autorizzato e in
commercio in Italia nella forma
orale (cpr da 110 mg e da 200 mg).
Il Produttore ha però recentemente comunicato la sospensione dalla
vendita, il prodotto rimarrà in circolazione fino ad esaurimento
scorte.
L’indicazione in questione: Ipertrigliceridemie ed Ipercolesterolemie
di tipo IV, IIb e IIa.
La forma endovenosa (5 fiale 5ml
250 mg), utilizzata off-label in
indicazioni estetiche, risulta ritirata dal commercio dal 20/5/2004
per decisione della Ditta Produttrice. L’indicazione autorizzata è:
Profilassi e Terapia dell’Embolia
Grassosa.
Fino ad ieri non risultava depositato e autorizzato alcun materiale
informativo, né risultavano autorizzati dall’AIFA convegni o corsi
su farmaci contenenti il principio
attivo fosfatidilcolina. Nonostante
ciò, da sempre su Internet è possibile trovare materiale che sponsorizza un uso improprio del farmaco.
Il problema non è solo italiano; per
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esempio sul sito dell’Agenzia dei
Farmaci Inglese, sono state pubblicate, in data 18/10/2005, delle
domande e risposte sull’uso improprio di Lipostabil.
Ma vediamo meglio cosa significhi
l’uso dei farmaci “off-label”.
Si indica comunemente con il termine off-label l’uso della specialità medicinale per una indicazione
o per una via di somministrazione
o modalità di somministrazione o
di utilizzazione diversa da quella
autorizzata. (Art. 3.2.1. 94/1998)
La libertà del medico di prescrivere farmaci per indicazioni non previste dalla scheda tecnica o non
ancora autorizzate è consentita,
ma è soggetta a precise condizioni
e limitazioni di fonte legale (art.31
94/1998) e di fonte autodisciplinare (art. 12 Codice deontologico del
medico).
L’intervento legislativo avvenuto
nel 1998, a seguito della vicenda
Di Bella, ha definito e circoscritto
l’uso dei farmaci off-label delineando dei confini all’operato del
medico. Articolo 3 comma 1,
94/1998: “fatto salvo il disposto
dei commi 2 e 3, il medico, nel
prescrivere una specialità medicinale o altro medicinale prodotto
industrialmente, si attiene alle indicazioni terapeutiche, alle vie e
alle modalità di somministrazione
previste dall’autorizzazione all’immissione in commercio rilasciata
dal Ministero della Sanità” Articolo 3 comma 2, 94/1998:
“In singoli casi il medico può,
sotto la sua diretta responsabilità e
previa informazione del paziente
ed acquisizione del consenso dello
stesso, impiegare il medicinale
prodotto industrialmente per una
indicazione o una via di somministrazione o una modalità di somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata, ovvero
riconosciuta agli effetti dell’applicazione dell’art. 1, comma 4, del
d.l. 21 Ottobre 1996, n. 536, convertito dalla legge 23 Dicembre
1996, n.648, qualora il medico
stesso ritenga, in base ai dati documentabili, che il paziente non
possa essere utilmente trattato con
medicinali per i quali sia già
approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalità di
somministrazione e purché tale
impiego sia noto e conforme a
lavori apparsi su pubblicazioni
scientifiche accreditate in campo
internazionale”.
Anche Rotunda su Dermatol Surgery 2006, si pone questo quesito
distinguendo la mesoterapia dalle
iniezioni intralesionali di fosfatidilcolina, perché ci sono differenze legislative. Esistono infatti sia
per l’una che per l’altra delle zone
grigie legislative.
In Virginia per esempio la mesoterapia è considerata una procedura
medica che richiede una licenza.
Ma quale tipo di licenza non viene
specificato.
L’FDA non guarda favorevolmente
ai composti prodotti in farmacia,
ma non può intervenire adeguatamente perché queste sono regolate
da Agenzie Statali.
Gli effetti collaterali più o meno
gravi rilevati con iniezioni sotto
cutanee di molti tipi diversi di
sostanze, sia come mesoterapia
che iniezioni più profonde come
per la fosfatidilcolina, sono re-
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sponsabili dei dubbi dell’FDA.
Sembra che la fosfatidilcolina non
presenti particolari problemi di
tollerabilità. Anche se bisogna segnalare che uno dei potenziali effetti tossici della fosfatidilcolina è
la conversione della PC in alti livelli di un suo metabolita: la lisofosfatidilcolina (Il calore e la lunga conservazione ne sono prevalentemente responsabili).
La lisofosfatidilcolina è nota causare colestasi epatica, aumento
degli enzimi ed emolisi intravasale nell’animale, precisamente su
sei maialini sani e trattati sia con
placebo che con iniezioni di fosfatidilcolina. Uno di questi è morto
di epatite colestatica. Bisogna
considerare però che questi animali presentano un metabolismo
diverso, rispetto agli uomini, della
PC. Quindi l’effetto può essere
specie-specifico: dati di Paschoal.
Inoltre, ricordiamoci che gli unici
farmaci permessi dall’FDA per
iniezioni intradermiche e sottocutanee sono: gli anestetici locali; la
calcitonina, la ialuronidasi ed il
collagene.
In ogni caso l’FDA per i prodotti
usati off-label, consiglia: di informare bene il paziente sul prodotto; usare solo sostanze che abbiano un adeguato razionale scientifico e mantenere i dati del paziente per lungo periodo ma da oggi ci
risulta registrato un prodotto ad
uso cosmetico, a base di Fosfatidilcolina, con l’indicazione per le
adiposità localizzate.
Sembrerebbe, quindi, che potremmo usarla senza doverci porre il
problema della legittimità dell’indicazione.
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CONCLUSIONI
Dato il meccanismo d’azione
della fosfatidilcolina sui tessuti,
in particolare sul tessuto adiposo,
e data la potenziale pericolosità
se l’utilizzo non è adeguatamente
circostanziato, si auspica che
venga eseguito uno studio multicentrico longitudinale, con grande numero di pazienti per poter
raggiungere una potenza statistica adeguata e dimostrare la reale
efficacia e tollerabilità di uno
-
Bibliografia
-
Serra M. Third Intern Workshop on Adverse
Reaction in HIV, Athens 2001.
Leroy Young V. Aesthetic Surg J 2003; 23:
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Rose P.T. et al. J of Cosm and Laser The-
schema di trattamento ben codificato nella riduzione delle adiposità localizzate.
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Rittes PG et al. Aesthetic Plast Surg 2006,
Jul-Aug; 30(4): 474-8.
Salles AG et al. Aesthetic Plast Surg 2006,
Jul-Aug; 30(4): 479-84.
Treacy PJ et al. J Cosmet Laser Ther 2006,
Sep; 8(3): 129-32.
Rotunda A.M. et al. Dermatol Surg 2006;
32: 465-480.
PEELING ALL’ACIDO PIRUVICO 40% NEL
MELASMA: VANTAGGI DELLA NUOVA
FORMULAZIONE IN GEL
Maria Pia De Padova, Matilde Iorizzo
Clinica Dermatologica - Università di Bologna
I
l melasma è una forma di iperpigmentazione acquisita che colpisce le aree di cute fotoesposte.
Clinicamente si manifesta come
una pigmentazione bruno - grigiastra a margini irregolari e mal definiti. È più frequente nelle donne,
ma può colpire anche gli uomini in
un 10% dei casi.
È un inestetismo di difficile gestione terapeutica e fra i trattamenti cosmetologici fino ad ora
impiegati vi è anche l’utilizzo di
peeling chimici, fra cui il peeling
all’acido piruvico che pare avere
buone prospettive di efficacia.
L’obiettivo della terapia deve essere quello di:
- diminuire la proliferazione dei
melanociti;
- inibire la formazione dei melanosomi e promuovere la loro eliminazione.
La terapia deve considerare anche
le diverse fasi della patologia ed il
tipo istologico di melasma, ovvero
epidermico, dermico o misto.
Il melasma epidermico è caratterizzato da un aumento della melanina negli strati basale, soprabasale e corneo. Clinicamente assume
un colore bruno chiaro.
Il melasma dermico è dato da una
melanina più concentrata nel
derma, sia superficiale che profondo. Clinicamente assume un colore bruno - grigio.
Il melasma misto vede la melanina
aumentata sia nell’epidermide che
nel derma. Clinicamente assume
un colore bruno scuro.
L’acido piruvico in soluzione alcolica è da tempo utilizzato nel trattamento di numerose patologie
dermatologiche.
Si rivela utile grazie al suo effetto
cheratolitico che riduce lo spessore
dell’epidermide e permette la rimozione di cheratinociti pigmentati.
Agisce inoltre a livello del derma
papillare, stimolando la produzio-
ne di collagene e fibre elastiche e
migliorando così l’elasticità e la
luminosità cutanea.
La sua attività è legata alla concentrazione usata, al tipo di solvente ed al numero delle applicazioni effettuate.
Ultimamente per ovviare ad alcuni
inconvenienti della soluzione alcolica, che rimane pur sempre valida, si è pensato di utilizzare una
formulazione in gel.
La soluzione alcolica non ha una
perfetta omogeneità d’azione ed ha
un odore pungente ed irritante per
le mucose, poco accettato dai
pazienti.
Protocollo di trattamento:
- preparazione domiciliare (retinoidi topici);
- detersione con alcol;
- applicazione con un cotton-fioc;
- inattivazione (soluzione alcalina
di bicarbonato di sodio);
- idratazione;
- trattamento post-peeling;
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Nella nostra esperienza l’acido piruvico 40% in gel è molto efficace
per il trattamento del melasma in
quanto i pazienti da noi trattati
raggiungono un miglioramento clinicamente evidente dell’ iperpigmentazione dopo 4 - 5 sedute (ad
intervalli di 4 settimane).
La compliance è inoltre molto
buona.
La formulazione in gel è particolar-
Bibliografia
1. Grimes PE. Melasma. Arch Dermatol 1995;
mente utile per i seguenti motivi:
1) maggiore facilità di applicazione, che permette di differenziare l’intensità del trattamento da
zona a zona di cute trattata;
2) più lento rilascio del principio
attivo (grazie proprio alla formulazione in gel);
3) presenza di un eritema più
omogeneo;
4) assenza di quello odore sgrade-
131: 1453-1457.
2. Ghersetich I, Brazzini B, Lotti T. Chemical
Peeling. In: European handbook of derma-
vole tipico della soluzione alcolica.
Il piruvico 40% in gel è pertanto
un peeling ben tollerato, senza
alcun effetto collaterale permanente ed è sicuramente adattabile
alle necessità dei vari gradi di
melasma.
tological treatments. Springer, 2003.
3. Tosti A, Grimes PE, De Padova MP. Atlas
of chemical peels. Springer, 2006.
MALATTIE CUTANEE E VENEREE
Fabio Ayala, Paolo Lisi, Giuseppe Monfrecola
M
alattie cutanee e veneree
(Piccin, Padova, 2007) è un
libro che si rivolge allo studente di
medicina. È, quindi, un libro che
punta a formare, dal punto di vista
dermatologico, il futuro medico di
medicina generale, che deve sapere di tutto un po’. Questo appare
chiaro fin dalla Prefazione: nella
prima riga, gli Autori si chiedono,
dimostrando di aver letto Che cos’è
la letteratura di Sartre, e in particolare il capitolo Per chi si scrive?,
“A chi deve essere rivolto (questo
libro)?”. Avendo bene in mente il
target dell’opera, gli Autori hanno
quindi impostato la stesura del
libro in modo molto pragmatico.
Facciamo due esempi (la ricerca è
stata casuale). Il primo riguarda il
capitolo sulla dermatite seborroica.
Definizione: 4 righe. Clinica: 20
righe. Eziologia e patogenesi: 4
righe. Diagnosi: 9 righe. Terapia:
10 righe.
Il secondo esempio riguarda la
rosacea. Definizione: 4 righe. Clinica: 19 righe. Eziologia e patogenesi: 6 righe. Diagnosi: 5 righe.
Terapia: 11 righe. È evidente che
gli Autori hanno dato alla eziologia
e alla patogenesi della dermatite
seborroica e della rosacea (ma non
solo di queste dermatiti) lo spazio
7
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che si meritano, cioè poco, considerando che queste sono assai
poco conosciute, e non vale quindi
la pena di perdere tempo in una
sterile “masturbatio grillorum”.
Per la gioia degli studenti aggiungiamo che nel libro non c’è l’ombra di una fotografia istopatologica
o di microscopia elettronica o di
immunofluorescenza. Tutta clinica, quindi, supportata da molte
belle immagini.
Maureen Geralds
IL NALTREXONE NEL TRATTAMENTO DEL PRURITO:
RISULTATI RELATIVI AI PRIMI 39 PAZIENTI
Stefano Veraldi*, Fabio Celotti**, Ruggero Caputo*
* Istituto di Scienze Dermatologiche, Università di Milano, Fondazione I.R.C.C.S.,
Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena - Milano
** Istituto di Endocrinologia, Università di Milano
INTRODUZIONE
I
l naltrexone (17-ciclopropilmetil-6-desossi-7,8-diidro-1,4idrossi-6-ossi-17-normorfina; formula bruta: C20 H23 N O4) è un derivato ciclopropilico dell’ossimorfone, una molecola simile al naloxone
e alla nalorfina, due antagonisti dei
recettori degli oppioidi. Anche il
naltrexone agisce come antagonista
competitivo dei recettori degli
oppioidi, presentando una maggiore affinità per i recettori µ e .
A un dosaggio compreso tra 20 e
(Tab. 1)
200 mg per via orale, il naltrexone
è in grado di antagonizzare in modo dose-dipendente gli effetti euforizzanti dell’eroina(2).
Vari studi hanno dimostrato che il
naltrexone è 17 volte più potente
della nalorfina e almeno due volte
più potente del naloxone nel precipitare una crisi da astinenza sia
in scimmie sia in individui morfina-dipendenti(3-5). La somministrazione preventiva di 50 mg di naltrexone limita il numero e la gravità delle crisi da astinenza in soggetti dipendenti da morfina(6).
Oltre ad antagonizzare i recettori
per gli oppiacei, il naltrexone è in
grado di incrementare il numero
dei recettori µ, e centrali.
Il naltrexone è comunemente utilizzato per la disassuefazione di
pazienti dipendenti da oppiacei e
per prevenire il ritorno al loro utilizzo. Poiché è privo di azioni agoniste, il naltrexone non causa
dipendenza(1).
Rispetto al naloxone, il naltrexone
è almeno due volte più potente,
presenta una maggiore durata d’azione (24-48 ore) e il vantaggio di
poter essere somministrato per via
orale(6).
– CARATTERISTICHE DEI PAZIENTI
N.
Sesso
Età
Forma di prurito
1. F.L.B.
2. A.N.
3. R.S.
4. L.M.
5. F.C.
6. G.P.
7. F.B.
8. E. O.
9. V.L.V.
10. G.C.
11. A.Z.
12. L.C.
13. S.M.
14. E.B.
15. M.V.
16. W.C.
17. A.C.
18. C.C.C.
19. M.F.
20. M.T.
21. R.B.
22. M.M.
23. A.A.
24. S.D.
25. A.C.
26. G.L.
27. L.S.
28. F.C.
29. G.T.
30. D.D.C.
31. S.P.
32. L.F.
33. A.G.
34. V.D.
35. A.B.
36. M.N.
37. C.C.
38. C.D.T.
39. A.G.
M
F
F
M
M
F
M
M
F
F
F
F
M
F
F
F
M
F
F
M
F
F
M
F
F
F
F
M
M
M
F
F
M
F
M
M
F
F
M
51
75
65
32
40
44
34
90
63
47
68
80
88
73
74
86
74
86
30
42
47
60
42
70
78
67
75
72
79
32
68
81
78
52
76
69
50
83
76
A causa sconosciuta
A causa sconosciuta
Prurigo
A causa sconosciuta
Prurito uremico
Pemfigoide bolloso
Prurito anale
Prurigo
Prurigo
Prurigo
A causa sconosciuta
Lichen verrucoso
A causa sconosciuta
Prurigo
A causa sconosciuta
Prurigo
Orticaria cronica idiopatica
Prurito uremico
Prurigo
A causa sconosciuta
Prurigo
Prurigo
Prurigo
Prurigo
Prurigo
Prurigo
Prurito anale
Prurigo
Prurigo
Dermatite atopica
Prurigo
Prurigo
A causa sconosciuta
Prurito anale
Prurigo
A causa sconosciuta
A causa sconosciuta
Lichen sclero-atrofico
Prurigo
RAZIONALE ALL’UTILIZZO
DEL NALTREXONE
NEL TRATTAMENTO DEL
PRURITO
Il razionale all’utilizzo del naltrexone nel trattamento del prurito
può essere così schematizzato:
a) Gli oppiacei (soprattutto la
morfina) utilizzati nella terapia
del dolore provocano spesso un
prurito resistente ai farmaci
anti-pruriginosi tradizionali (anti-istaminici sistemici, corticosteroidi topici e sistemici)(7-9). Il
prurito causato dalla morfina
può essere prevenuto dalla
somministrazione degli antagonisti dei recettori degli oppioidi, come il naloxone e, soprattutto, il naltrexone(9).
b) L’attivazione dei recettori µ degli oppioidi induce prurito; sarebbero coinvolti soprattutto i
recettori µ centrali: gli antagonisti recettoriali µ-specifici che
non superano la barriera emato-encefalica non sono in grado
di antagonizzare il prurito indotto da morfina.
c) È stata dimostrata la presenza
di recettori Ì?anche nei cheratinociti.
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8
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Volume 5 • Numero 2 • Marzo-Aprile 2007
(Tab. 2)
– MALATTIE ASSOCIATE
N.
5.
8.
Malattie associate
F.C.
E. O.
12. L.C.
14. E.B.
17.
18.
28.
33.
37.
A.C.
C.C.C.
F.C.
A.G.
C.C.
Insufficienza renale cronica
Diabete insulino-dipendente,
polineuropatia, glaucoma,
epatite cronica post-epatite C,
carcinoma prostata
Cirrosi biliare primitiva
Diabete non insulino-dipendente,
alcolismo
Sindrome ipereosinofila
Insufficienza renale cronica
Carcinoma prostata, policitemia
Malattia di Parkinson
Sindrome di Sjögren
d) La morfina provoca degranulazione dei mastociti e dei basofili e conseguente liberazione
di istamina. Il naltrexone blocca il rilascio di istamina dai
basofili(10).
e) Il naltrexone è stato fino a oggi
utilizzato soprattutto nel trattamento del prurito da colestasi(11-15) e del prurito uremico(16). I
dati della letteratura relativi
all’utilizzo del naltrexone nel
trattamento del prurito causato
da malattie primitivamente cutanee sono scarsi e, fino a oggi,
non sono stati pubblicati studi
controllati(17-25).
IL NALTREXONE NEL
TRATTAMENTO DEL PRURITO: L’ESPERIENZA
DELLA CLINICA DERMATOLOGICA DI MILANO
Presso l’Istituto di Scienze Dermatologiche dell’Università di Milano
sono stati fino a oggi trattati con
naltrexone oltre 50 pazienti con
prurito cronico, a eziopatogenesi
variabile, resistente alle terapie
tradizionali (anti-istaminici sistemici, corticosteroidi topici e sistemici, ansiolitici, fototerapia, ...).
Presentiamo i risultati relativi a un
primo gruppo di 39 pazienti.
Pazienti e metodi
Tutti i pazienti sono stati sottoposti
ad anamnesi, a esame obiettivo generale e dermatologico e a esami
di laboratorio e strumentali.
I pazienti hanno partecipato allo
studio previa firma di un consenso
informato.
Prima dell’inizio del trattamento
con naltrexone è stato considerato
un periodo di wash out di almeno
due settimane.
Il naltrexone è stato utilizzato per
via orale al dosaggio di 50 mg/die
per due mesi. Non sono stati utilizzati altri farmaci topici e/o sistemici né la fototerapia. Il follow up
minimo è stato di quattro mesi.
L’obiettivo primario dello studio era
la valutazione del prurito prima,
durante e dopo trattamento con naltrexone. Per questo, è stata utilizzata una Visual Analogue Scale (VAS)
con punteggio da 0 a 10(26). Per
“guarigione” è stata considerata la
scomparsa del prurito. Un miglioramento del prurito superiore o uguale al 50% rispetto al valore della
VAS pre-trattamento è stato definito come “notevole”, tra il 25 e il
50% come “lieve”, uguale o inferiore al 25% come “invariato”.
Risultati
La casistica è costituita da 39 pazienti caucasici (16 maschi [41%]
9
Volume 5 • Numero 2 • Marzo-Aprile 2007
(Tab. 3)
N.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23.
24.
25.
26.
27.
28.
29.
30.
31.
32.
33.
34.
35.
36.
37.
38.
39.
– RISULTATI
Risposta
F.L.B.
A.N.
R.S.
L.M.
F.C.
G.P.
F.B.
E. O.
V.L.V.
G.C.
A.Z.
L.C.
S.M.
E.B.
M.V.
W.C.
A.C.
C.C.C.
M.F.
M.T.
R.B.
M.M.
A.A.
S.D.
A.C.
G.L.
L.S.
F.C.
G.T.
D.D.C.
S.P.
L.F.
A.G.
V.D.
A.B.
M.N.
C.C.
C.D.T.
A.G.
Invariato
Invariato
Notevole miglioramento
Invariato
Lieve miglioramento
Notevole miglioramento
Notevole miglioramento
Lieve miglioramento
Guarigione
Invariato
Notevole miglioramento
Guarigione
Guarigione
Invariato
Lieve migloramento
Invariato
Lieve miglioramento
Lieve miglioramento
Lieve miglioramento
Invariato
Invariato
Notevole miglioramento
Notevole miglioramento
Invariato
Invariato
Notevole miglioramento
Invariato
Guarigione
Invariato
Guarigione
Lieve miglioramento
Lieve miglioramento
Invariato
Invariato
Notevole miglioramento
Invariato
Lieve miglioramento
Invariato
Invariato
e 23 femmine [59%]), di età compresa tra 32 e 90 anni (età media:
64 anni).
Diciassette pazienti erano affetti da
prurigo e 10 presentavano un prurito a causa sconosciuta. Gli altri
pazienti erano affetti rispettivamente da prurito anale (3), prurito da
insufficienza renale cronica (2),
dermatite atopica (1), lichen scleroatrofico vulvare (1), lichen verrucoso (1), orticaria cronica idiopatica
(1) e pemfigoide bolloso (1) (Tab. 1).
Otto pazienti presentavano malattie associate (Tab. 2).
Cinque pazienti (12.8%) sono guariti. In 8 pazienti (20.5%) è stato
registrato un notevole miglioramento e in 9 (23.1%) un lieve
miglioramento. In 17 pazienti
(43.6%) il prurito è stato giudicato
invariato (Tab. 3).
Reazioni avverse sono state riportate da 14 pazienti (35.9%). La reazione avversa più frequente è stata
la nausea (8 pazienti), seguita da
insonnia (5), sonnolenza (3), vomito
(3), gastralgie (2) e incubi (2). Altre
reazioni avverse segnalate sono
state la disgeusia (1 paziente), l’anoressia (1), i dolori addominali (1),
la diarrea (1), la stipsi (1), l’astenia
(1), la cefalea (1), le parestesie (1) e
le vertigini (1) (Tab. 4). In 8 pazienti
su 14 (57.1%) le reazioni avverse
sono state lievi, per cui non è stato
necessario sospendere il trattamento o ridurre il dosaggio quotidiano
del naltrexone, e transitorie, per cui
non è stato necessario utilizzare
altri farmaci. In 6 pazienti (15.4%)
è stato necessario interrompere il
trattamento (Tab. 5).
In nessun paziente sono state riscontrate alterazioni degli esami
emato-chimici e strumentali.
Discussione e conclusioni
Nonostante le caratteristiche metodologiche di questo studio (pilota, aperto) e la casistica considerata (numericamente limitata),
(Tab. 4)
– REAZIONI AVVERSE
N.
2.
Reazioni avverse
A.N.
10. G.C.
12. L.C.
20. M.T.
21.
22.
24.
25.
27.
28.
R.B.
M.M.
S.D.
A.C.
L.S.
F.C.
29. G.T.
30. D.D.C.
33. A.G.
37. C.C.
Nausea, dolori addominali,
vomito
Nausea
Nausea, sonnolenza
Alterazione del gusto, nausea,
gastralgia, vertigini
Sonnolenza
Nausea, gastralgia, sonnolenza
Insonnia
Insonnia
Vomito
Anoressia, nausea, insonnia,
incubi
Nausea, diarrea
Insonnia, parestesie
Nausea, vomito, stipsi, insonnia,
incubi
Astenia, cefalea
b)
– INTERRUZIONE
DELLA TERAPIA
(Tab. 5)
N.
2.
Reazioni avverse
A.N.
24. S.D.
27. L.S.
28. F.C.
33. A.G.
37. C.C.
Nausea, dolori addominali,
vomito
Insonnia
Vomito
Anoressia, nausea, insonnia,
incubi
Nausea, vomito, stipsi, insonnia,
incubi
Astenia, cefalea
c)
d)
e)
riteniamo, sulla base dei risultati
ottenuti, di poter affermare che:
a) il naltrexone può essere preso
in considerazione nel trattamento del prurito cronico, a
eziopatogenesi variabile, resistente alle terapie tradizionali;
come riferito precedentemente,
una risposta (guarigione o
notevole miglioramento) è stata
osservata in oltre un terzo dei
pazienti. Questo dato è sorprendente se si considera che
la casistica considerata è selezionata, in quanto tutti i pazienti erano risultati resistenti
alle terapie tradizionali;
le reazioni avverse sono state
frequenti (più di un terzo dei
pazienti), di lieve entità, per
cui non è stato necessario sospendere il trattamento o ridurre il dosaggio quotidiano del
naltrexone, e transitorie, per
cui non è stato necessario utilizzare altri farmaci. In sei pazienti è stato necessario sospendere il trattamento. Tuttavia, è da rilevare che, nel caso
del paziente n. 28, affetto da
carcinoma della prostata e policitemia e in terapia con antitumorali, la causa principale
della sospensione della terapia
(anoressia e nausea) non è stata
attribuita al naltrexone;
in nessun paziente sono state
riscontrate alterazioni degli
esami ematochimici;
in nessun paziente sono state
riscontrate alterazioni degli
esami strumentali;
nei pazienti con prurigo che
erano guariti o che avevano
riportato un notevole miglioramento del prurito, le lesioni
nodulari si presentavano alla
fine del trattamento solo lievissimamente meno infiltrate ed
eritematose. Questo fa ipotizzare che il grattamento non
rappresenti la causa principale
dello sviluppo delle lesioni
nodulari, come fino a oggi è
stato ritenuto. In questi pazienti, le lesioni nodulari persisto-
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Volume 5 • Numero 2 • Marzo-Aprile 2007
no indefinitamente dopo la
scomparsa del prurito.
Riteniamo sia doveroso valutare
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vassero alle fabbriche di ceramica; che faceva il facchino alla stazione; che “non era riuscito a
superare la terza elementare”; e
che “il suo maestro incominciava
le lezioni recitando ogni mattina
una preghiera per la salvezza
della sua anima”.
Dal punto di vista fisico, Martini
era alto e magrissimo, risultato di
una vita di stenti “alimentari”.
Soffriva inoltre di “artrite per l’umidità patita nei suoi atelier privi
di ogni comfort e dove per dormire c’era in un angolo una branda”.
Tutto questo a dispetto di un notevole successo, se si pensa che,
alla Prima Quadriennale di Roma
(siamo nel 1931), Martini vinse il
primo premio per la scultura. Ma
si pensi anche alle numerose
commissioni che, durante il fascismo, Martini ottenne: citerò, tra
le altre opere, la Minerva, nella
ARTURO MARTINI E LA SIFILIDE
Stefano Veraldi
Istituto di Scienze Dermatologiche, Università di Milano, Fondazione I.R.C.C.S.,
Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena - Milano
n illustre collega, ma anche
appassionato d’arte, mi ha
scritto qualche tempo fa chiedendomi se conoscevo le cause della
morte dello scultore Arturo Martini. In particolare, il collega mi
chiedeva se è vero che Martini è
morto di sifilide. Il quesito mi ha
fatto sudare sette camicie, ma,
alla fine, ci sono arrivato. Mi
hanno soccorso vari testi, tra cui,
soprattutto, il libro di Nico Nal-
dini (cugino di Pasolini) Alfabeto
degli amici. In questo libro si
legge, tra l’altro, che Martini,
figlio di un fornaio e di una cameriera, da bambino rubava la creta
dai carri prima che questi arri-
piazza dell’Università La Sapienza a Roma, la Giustizia corporativa, al Palazzo di Giustizia di
Milano, i Leoni all’Università
Bocconi e gli altorilievi della facciata dell’Arengario, sempre a
Milano.
Finita la guerra, Martini fu cacciato dall’Accademia di Venezia,
dove insegnava scultura, perché
giudicato colpevole di collaborazionismo con il passato regime fascista. Martini morì, quasi dimenticato, nel 1947. Ma, siccome
si dice che chi ha penato in vita
pena anche dopo morto, ecco
scoppiare nel 1967 lo scandalo
delle sculture false (ben 66!), che
sfociò in un processo che si concluse poco tempo dopo, cioè nel
1979 (!). Tutte le sculture erano
false, nonostante il parere di Giulio Carlo Argan (quello, per intenderci, dei Modigliani autentici
modellati con il Black & Decker).
Travolto dalla scultura “narrativa” di Martini, quasi quasi ne
dimenticavo la fine: Martini morì
a causa di un’emorragia cerebrale. Orio Vergani, nel suo Diario
scrive: “Martini non poteva parlare: rispondeva solo a cenni.
Zibordi (un famoso clinico della
Milano di quegli anni) gli domandò: «Hai avuto la sifilide?».
Martini rispose di sì con un
cenno. Questa risposta conteneva
la sua condanna a morte”.
Chi fosse incuriosito dall’opera di
Arturo Martini, può visitare la
bella mostra, a cura di Claudia
Gian Ferrari ed Elena Pontiggia,
presso la Galleria d’Arte Moderna
di Roma: c’è tempo fino al 13
maggio.
Notizie dalla Letteratura
Internazionale
e dai Congressi I contributi editoriali dei Lettori vanno inviati a:
[email protected]
VALUTAZIONE DELLA PLASMA SKIN REGENERATION
TECHNOLOGY NEL RINGIOVANIMENTO DEL VOLTO
U
11
Volume 5 • Numero 2 • Marzo-Aprile 2007
Gli autori si propongono di valutare i risultati della Plasma Skin
Regeneration Technology (PSR)
nel ringiovanimento del volto.
Lo strumento utilizzato è un
generatore di radiofrequenza
(frequenza ultra elevata) che
impartisce energia ad un gas di
azoto inerte. Il gas attivato è
detto plasma ed ha uno spettro di
emissione compreso tra l’indaco
e l’infrarosso. Il plasma viene
emesso attraverso uno spot di 6
mm di diametro tenuto a distanza dalla superficie cutanea circa
5 mm. Il contatto con la cute da
origine ad un aumento graduale
della temperatura. La profondità
dell’effetto termico viene regolata in base all’energia settata
nello strumento (da 1 a 4 Joules
per impulso). La frequenza degli
impulsi può essere settata tra 1 e
4 Hertz.
Otto pazienti volontari si sono
sottoposti al trattamento di ringiovanimento dell’intero volto
eseguendo una seduta di PSR
ogni 3 settimane per un totale
di 3 trattamenti (energia 1.2 –
1.8 J).
Sei di questi pazienti hanno
anche eseguito una biopsia cutanea per paragonare meglio i
risultati del trattamento.
Gli autori hanno dimostrato, dopo
3 mesi, una riduzione del 37%
delle rughe ed un miglioramento
dell’aspetto globale del volto pari
al 68%. I reperti istologici hanno
mostrato formazione di nuovo
collagene alla giunzione dermoepidermica.
Gli effetti collaterali sono un
eritema che persiste per 6 giorni dopo ogni seduta ed una disepitalizzazione che si ripristina
in 9 giorni dopo il primo trattamento e in 4 - 5 giorni dopo i
successivi.
- MA Bogle, KA Arndt, JS Dover.
Arch Dermatol 2007; 143: 168174.
Matilde Iorizzo - Bologna/Milano
DCN 2 no pubblicità - 2007
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Volume 5 • Numero 2 • Marzo-Aprile 2007
PEPTIDI A BASSO PESO
MOLECOLARE NEL TRATTAMENTO DELLA CADUTA
DEI CAPELLI
I peptidi timici sono stati somministrati per via topica nella cura
dei disturbi del follicolo pilifero
con riscontri positivi dal punto di
vista clinico.
Le esperienze del passato con gli
estratti timici, sono state condotte
con peptidi di derivazione animale
con inevitabili rischi oggi non più
ammissibili. Attualmente, la loro
sintesi, viene ottenuta mediante
tecniche di laboratorio. In particolare piccole frazioni tetrapeptidiche a basso peso molecolare sono
state prodotte con lo scopo di
migliorarne l’assorbimento ed
aumentarne l’efficacia biologica.
I peptidi timici a livello del follicolo pilifero hanno dimostrato: a)
di stimolare la crescita dei cheratinociti, b) di fornire gli aminoacidi necessari alla formazione della
cheratina e c ) di regolare la risposta immunologica cutanea.
TUTTO QUELLO CHE FA IL
SOLE AI CAPELLI E AL
CUOIO CAPELLUTO
Phyto e International Hair Research Foundation (I.H.R.F) hanno organizzato un importante ed
originale Workshop nell’ambito
del “II° Congresso Internazionale
di Medicina Preventiva Healthy
Aging”, che ha avuto come argomento un tema molto “scottante”:
Tutto quello che fa il sole ai
capelli e al cuoio capelluto:
dal defluvium ai carcinomi cutanei. Prevenzione e cura.
Il workhop si è tenuto il 14 aprile 2007 presso il Centro Congressi Palazzo delle Stelline
Corso Magenta 61, Milano.
Si è trattato di un evento estremamente interessante e di importante
rilevanza scientifica per i Farmacisti,
considerando il grande interesse del
pubblico a questo argomento, e la
campagna di sensibilizzazione che la
Fondazione farà a mezzo stampa
dal mese di maggio: la conoscenza
delle novità scientifiche e terapeutiche potrà soddisfare le domande e
le esigenze di tutte le persone che
si rivolgeranno al Farmacista per
un consiglio specifico.
Phyto ha sostenuto questo simposio data la grande importanza che
ha la divulgazione e la sensibilizzazione in merito agli effetti negativi che ha il sole non solo sulla
pelle, ma anche sui capelli e sul
cuoio capelluto: un effetto cosmetico sulla fibra capillare da un lato,
ma soprattutto un effetto molto più
importante e “grave” a livello del
cuoio capelluto, che può provocare
danni che vanno dalla caduta fino
ad arrivare a carcinomi cutanei.
Phyto da sempre porta avanti l’idea
della protezione dei capelli al sole
(la nascita dell’olio solare Phytoplage, primo solare per i capelli,
risale al 1975!) grazie alla linea
Phytoplage, una linea completa di
prodotti per la protezione e il trattamento dei capelli esposti al sole.