Monsignor Giuseppe Pietro Gagnor, domenicano
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Monsignor Giuseppe Pietro Gagnor, domenicano
Monsignor Giuseppe Pietro Gagnor 1 di 2 file:///E:/Ultima copia (2010.09.29)/VescovoGiuseppePietroGagnor.htm Monsignor Giuseppe Pietro Gagnor, domenicano Frassinere (To) 16 ottobre 1886 Roma 4 novembre 1964 Nominato Vescovo di Alessandria il 31 ottobre 1945 Inizia la missione pastorale in Diocesi il 19 marzo 1946 Lascia la Diocesi vacante il 4 novembre 1964 La biografia XXXVI Vescovo di Alessandria (1945-1964) Le Lettere Pastorali Il testamento spirituale Predecessore Nicolao Milone (1922-1945) Successore Giuseppe Almici (1965-1980) Serie cronologica Una vita al servizio della chiesa - Il missionario di Dio Giuseppe Gagnor vide la luce a Frassinere, una borgata montana di Condove, il 18 ottobre 1884. Quel piccolo borgo resto sempre caro al suo cuore. Un attaccamento affettuoso a quel lembo di terra piemontese, al quale tornava spesso anche fatto vescovo. E volle testimoniare questo affetto per il luogo ove era nato alla vita e a Cristo e il battistero della parrocchia alla quale facendo erigere a sue spese un nuovo altare maggiore e il battistero della parrocchia alla quale fece pure dono di preziosi paramenti. Terminate le scuole elementari, sentendosi chiamato dal Signore, fu indirizzato al Seminario diocesano di Susa, dove iniziò gli studi ginnasiali che perfezionò presso il collegio salesiano di Torino. Anche quel breve periodo segusino lasciò una traccia indelebile nel suo animo. In ogni solenne ricorrenza della diocesi non mancò mai la presenza di quella figura bianca. E volle testimoniare il suo affetto facendo dono alla Cattedrale di Susa di un calice prezioso in occasione della celebrazione del III Sinodo. Aveva sedici anni ed aveva appena terminato gli studi ginnasiali quando si presentò al convento di Chieri per chiedere l’abito domenicano. Era stato un suo zio, umile fratello cooperatore, fr. Giuseppe Gagnor, a parlargli di questa famiglia religiosa. Governava la provincia, un santo vegliardo, il p. Giacinto Negri, reduce dalla missione orientale, ed era maestro dei novizi, il p. Benedetto Berro, uomo versatile che sapeva occuparsi di astronomia, di teologia e di lingue moderne. Gli fu assegnato un patrono della sua vita religiosa, il nome di un domenicano martire intrepido, s. Pietro da Verona. A quella scuola fece largo profitto, perché il 1 dicembre 1902 emetteva la sua professione. Sei anni dopo e precisamente il 30 luglio 1908 veniva ordinato sacerdote: ma soltanto due anni dopo avrebbe terminato gli studi, perché i superiori , riconoscendo le sue capacità, avevano voluto che seguisse i corsi che abilitavano all’insegnamento col titolo di “Lettore in sacra teologia”. Ma non sarebbe stata questa la sua strada. Nel 1911, giovane padre, viene assegnato al convento di s. Dominio di Torino. Proprio quell’anno si tenne a Torino il Capitolo provinciale dal quale uscì eletto il priore di Genova, p. Giuseppe Maina. In quel capitolo si rivolgeva ai religiosi un caldo invito alla missione in Turchia. La missione domenicana stava attraversando un periodo di vivace vitalità. Nel 1910 mons. Sardi, Vicario apostolico, aveva staccato dalla parrocchia di s. Pietro in Galata i territori di Yedikule e Bakirkoi, erigendoli in due parrocchie distinte con parroci residenti. Era invece appena terminato il capitolo provinciale quando giungeva da Smirne un triste notizia: p. Ceslao Ceppi era mancato il 14 giugno a soli 29 anni, e venti giorni dopo da Istambul si telegrafava che il parroco di Yedikule, p. Marcolino Simes, era morto: aveva 34 anni. Non sappiamo quale reazione abbiano provocato tutti questi fatti nel cuore del giovane Gagnor. Ma sappiamo questo: nel 1913 p. Pietro non è più in Italia, ma viceparroco a Istambul. Breve fu il tirocinio perché l’anno dopo egli è già parroco di s. Pietro. Gli è accanto guida ed amico fraterno p. Gabriele Moribondo, superiore della missione. Stanno avvicinandosi i giorni duri per tutta l’Europa, ma soprattutto per la Turchia. La guerra, come un uragano, si abbatte sulle nostre case di missione. L’esercito turco occupa le chiese scacciando i padri. Per quattro anni essi non riuscirono neppure a dare e ricevere notizie. Riuscirono a farsi vivi finalmente nel 1919. Scrisse allora p. Gagnor, superiore e parroco a Istambul: “Finalmente ci avviciniamo alla pace che speriamo segnerà per tutti, ma per noi missionari in Turchia specialmente, il termine delle sofferenze e dei guai, che da quattro anni ci opprimono. Non è poca grazia se riusciremo a salvare la vita, più volte minacciati e fatti segno a rappresaglie. Il rimanente quasi tutto è perduto, 26/10/2010 16.52 Monsignor Giuseppe Pietro Gagnor 2 di 2 file:///E:/Ultima copia (2010.09.29)/VescovoGiuseppePietroGagnor.htm tutti i nostri beni sequestrati e solo una parte ora recuperati ma in pessime condizioni”. In quel momento Smirne, rovinata dai greci, aveva bisogno di energie. P. Gagnor ne fu nominato superiore e parroco. Ma per poco. I guai non erano finiti. Dopo quella lunga guerra erano nati stati nuovi e tra questi la Georgia, una nuova repubblica, che aveva voluto sottrarsi al governo della Russia. La s. Sede, dovendo creare una rappresentanza scelse quale Vicario apostolico della repubblica georgiana e Amministratore apostolico del Caucaso e della Crimea mons. Gabriele Moribondo, vescovo di Cuneo. Tutti sapevano che affrontava un compito difficilissimo e la provincia volle aiutarlo consentendo che prendesse con sé, come compagno p. Gagnor in quella delicatissima missione diplomatica. Partirono in treno per Tiflis, la patria di Stalin, e vi giunsero con un ritardo di sei ore per un terribile uragano. Nessuno aveva pensato a preparare loro un alloggio. Furono portati in un albergo. P. Gagnor scrisse poi che “non poterono pigliare sonno se non stendendosi sul pavimento, tanto erano i piccoli inquilini che popolavano il letto preparato”. Erano giunti il 15 settembre 1920, ma il 28 febbraio 1921 erano di nuovo ad Istambul. Le forze bolsceviche avevano invaso la Georgia, annettendola nuovamente alla Russia e calava quel sipario di ferro. Mons. Moribondo fu nominato vescovo di Caserta. P. Gagnor era momentaneamente disoccupato. Ne approfittarono immediatamente i padri domenicani di Genova che lo scelsero a priore del convento di s. Maria di Castello. Ma il cuore di p. Pietro era rimasto ad Istambul. E difatti appena terminato il triennio del suo priorato (durante il quale a Santa Maria di Castello si celebrò il Capitolo provinciale del quale p. Gagnor fu Definitore), eccolo nuovamente in Turchia nel 1923, per restarvi fino al 1929, quando il nuovo Maestro generale dell’Ordine, p. Martino S. Gilet, dovendo scegliere un socio per l’Italia, pose gli occhi su di lui che da quattro anni era superiore di tuta la missione domenicana in Oriente, allargatasi in quel tempo anche a Beirut. Scriveva il p. Generale nove anni dopo, quando dovrà lasciar partire p. Gagnor per la diocesi di Caserta dove, per desiderio di mons. Moribondo, ormai stanco e malato, la s. Sede lo inviava prima come Vicario generale e poi come vescovo ausiliare: “Quando abbiamo scelto p. Gagnor quale socio sapevamo di poter contare sulla sua esperienza e sul suo spirito di sacrificio, come sul suo spirito religioso e il suo amore all’Ordine. Non ci eravamo ingannati. Durante i nove anni che abbiamo passato fianco a fianco, cuore a cuore, non abbiamo fatto altro che ringraziare la Provvidenza di averci ispirato questa scelta”. Furono quelli per p. Gagnor anni di ricchissima esperienza apostolica al vertice dell’Ordine, a contatto con tutto il mondo, e quando la chiesa lo scelse per farlo pastore e vescovo, l’Ordine domenicano sapeva di offrire uno dei suoi religiosi preparati, uno dei suoi figli migliori. Ancora una volta il turbine della guerra divampò nel mondo e una volta ancora mons. Gagnor si trovò preso dentro quel vortice, con grandi responsabilità sulle spalle. Ma forte dell’esperienza delle lotte superate, resse all’urto con tenacia e prudenza, e nel 1945 vide apprezzata la sua opera a Caserta con il trasferimento in Piemonte ad una diocesi più ampia: Alessandria. Già quattro vescovi in bianconero l’avevano preceduto sulla cattedra di s. Baudolino: il novarese Marco Cattaneo (1457-1478), il bresciano Deodato Scaglia (1644-1659), il com’asco Alberto Mugiasca (1680-1694) e il Nizzardo Vincenzo Ferrari, poi cardinale e arcivescovo di Vercelli (1727-1729). E tutti e quattro avevano lasciato il ricordo di uomini di pace e di carità, di pastori e costruttori. Giungeva in Piemonte all’età di sessant’un anni, a raccogliere l’eredità di un vescovo buono, mons. Milone, che per 23 anni, solo, aveva retto il governo della diocesi. Qualcuno pensò che avrebbe fatto “dell’ordinaria amministrazione”. Ma fu presto smentito. Era figlio di quell’ordine che ha nel suo programma il motto “veritas”. A significare che avrebbe seguito quella traccia, scelse per il suo blasone il motto “in charitate veritas” (verità nella carità) e per questo spese i diciannove anni di vita alessandrina. Si era preannunciato ai fedeli con una Lettera pastorale: invito al catechismo. Per quattro volte percorse ogni pieve della diocesi per incoraggiare, stimolare, predicare la verità. Per questo volle che il Sinodo diocesano e il Congresso catechistico e inoltre un Congresso eucaristico (1951) e un Congresso mariano (1954), Settimane liturgiche e del Vangelo. Emulo dei suoi predecessori fu anche un costruttore. Ma, uomo aperto, moderno, non costruì soltanto altari e chiese, ma anche la “Casa per le opere cattoliche” che volle accanto a quella del vescovo. Era figlio di quell’ordine che dopo sette secoli di vita è sempre in prima fila nelle conquiste della fede e non smentì il buon sangue. L’hanno ricordato i giovani da lui consacrati nel sacerdozio: passerà il tempo, la sua figura ci apparirà lontana, però resterà la formazione da lui voluta: “Vivere Dio, portarlo agli altri tenendo conto del momento storico: l’altare e la macchina, i suoi doni”. L’hanno ricordato gli sportivi che l’hanno chiamato “l’eveque des motocyclistes”, mentre Pio XII diceva a mons. Gagnor che gli aveva portato da tutt’Italia una folla di centauri: “È segno che il vescovo di Alessandria ha saputo formare uomini di fede in tempi in cui la fede è osteggiata”. WE per questa fede, in un’intensa ansia apostolica, morì sulla breccia, come conviene ad un vescovo, stroncato dalle fatiche del Concilio Ecumenico. Non volle ascoltare i consigli dei medici e degli amici che volevano trattenerlo ad Alessandria, dopo un’estate particolarmente pesante per il suo fisico ormai minato. E il 4 novembre 1964 alle ore 9.10 chiudeva gli occhi alla terra in Roma, mons. Giuseppe Pietro Gagnor, missionario di Dio. E' sepolto nel santuario di Nostra Signora di Loreto in via Plana (a cura di fr. Enrico Ibertis o.p.) 26/10/2010 16.52