Trump spaventa Hillary adesso il tycoon Ò avanti nei sondaggi

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Trump spaventa Hillary adesso il tycoon Ò avanti nei sondaggi
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NEW YORK. Il primo segnale era
arrivato pochi giorni fa con il
sondaggio della 'PY/FXT, ieri
la conferma con quello di
"CD8BTIJOHUPO1PTU: nelle preferenze Donald Trump supera
per la prima volta Hillary Clinton. 45 a 42 ('PY) e 46 a 44
("CD8Q), tre o due punti percentuali a favore di The Donald
(che con i margini di errore previsti sono equivalenti a un pareggio) a oltre cinque mesi dal
voto (e con molti indecisi) vanno presi ovviamente con le molle, ma la tendenza è piuttosto
chiara. Dopo un anno da super-favorita, con tutte le rilevazioni che la davano facilmente
vittoriosa (con Trump come avversario c’erano distacchi di
venti o trenta punti) Hillary
Clinton e il partito democratico
devono affrontare una realtà
molto diversa da quanto finora
ipotizzato, compreso l’incubo
di lasciare la Casa Bianca nelle
mani del candidato-miliardario.
Il sondaggio "CD8BTIJOH
UPO1PTU(realizzato tra il 16 e il
19 maggio) non si limita a registrare il testa a testa tra i due
probabili candidati nella sfida
finale dell’8 novembre, ma mette anche in risalto quanto ambedue siano poco popolari nell’elettorato tradizionale. Hillary
viene vista positivamente solo
dal 41 per cento, con un grande
maggioranza (57 per cento)
che ne ha un impressione negativa (46 per cento «molto negativa»). Trump viaggia su numeri simili, con il 40 per cento di favorevoli e il 57 di contrari (45
«molto negativi»). Sei elettori
registrati su dieci che hanno
una percezione negativa di entrambi i candidati è una percentuale che non si è mai vista nelle elezioni presidenziali ed è la
dimostrazione di quanto la corsa alla Casa Bianca 2016 sia anomala.
All’ex Segretario di Stato viene riconosciuta una superiore
esperienza (insieme a una personalità più “presidenziale”), il
UZDPPO viene visto come l’PVUTJ
EFS in grado di stravolgere la politica e i palazzi di Washington,
ma nessuno dei due convince
l’elettorato “registrato”: cioè i
cittadini Usa che già sono iscritti alle liste elettorali come democratici, come repubblicani o
come indipendenti. Quest’an-
no la novità - almeno per quanto si è visto finora durante le primarie - è che alle urne potrebbero presentarsi moltissimi nuovi
elettori a fronte di una minore
affluenza di quelli tradizionali.
In campo repubblicano quasi
un quarto di chi ha votato finora Trump fa parte di quell’elet-
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torato (in maggioranza bianco
e maschile) colpito dalla crisi
economica, deluso dai partiti e
rabbioso con la politica che non
votava da tempo (o non aveva
mai votato) e che oggi trova in
The Donald l’uomo giusto per
semplici (e semplicistiche) risposte. In campo democratico
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un terzo di chi si è recato ai seggi per le primarie non ha alcuna
intenzione di votare per l’ex 'JS
TU-BEZ (i giovani in prima fila),
troppo legata alla vecchia politica e alle finanze di Wall Street e
a novembre sono pronti a disertare le urne o addirittura a votare per Trump.
Con queste premesse e grazie anche al sistema elettorale
americano (gli Stati a grande
maggioranza repubblicana o
democratica sono ininfluenti)
tutto si giocherà in quei 4-5 Stati in bilico (in primis Florida e
Ohio) dove possono bastare poche migliaia di voti in più o in
meno, una maggiore o una minore affluenza a far pendere l’ago della bilancia per una o l’altro candidato. Con i dati che abbiamo oggi The Donald è oggi
un candidato che può realmente vincere. E la “$MJOUPO.BDIJ
OF” inizia ad averne paura.
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lo stesso vento, gonfio di paure e di collera, quello che soffia
ormai dalle Alpi alle Montagne Rocciose e che sta rendendo
pensabile l’impensabile e possibile
l’impossibile: che Trump possa essere il prossimo Presidente degli Stati
Uniti.
Ora che i sondaggi confermano
quello che alcuni di noi temevano fino dallo scorso autunno e mettono
Donald Trump in perfetta parità
con Hillary (quello di Abc/Wp dà addirittura in vantaggio Trump sulla
Clinton)la natura della sua “resistibile ascesa” si fa sempre più chiara:
il voto, se voto sarà, non è un’espressione di favore per lui o per le sue
sgangherate e irrealizzabili proposte. È un grido di rabbia contro l’esistente. Una ribellione che si qualifica non per ciò che vuole, ma per ciò
che non vuole più.
Sotto la superficie dei sondaggi
generali, che a a sei mesi dal voto di
martedì 8 novembre restano, soprattutto ricordando la bizantina
complessità del sistema elettorale
americano, una curiosità, il dato impressionante è infatti l’ostilità che i
due contendenti suscitano. Sei elettori su dieci hanno, di Hillary come
di Donald, una opinione negativa,
una proporzione uguale, mai registrata dagli istituti di ricerca da
quando esistono i sondaggi.
Trump e Clinton sono i due voti
della stessa medaglia, l’uno l’immagine allo specchio dell’altra,
con i connotati rovesciati: Hillary è
il volto dell’establishment, è la conferma dell’esistente. The Donald –
lo affermano i suoi sostenitori – è il
cambiamento. Qualunque sia il rischio che il cambiamento comporti.
Non è quindi la sua forza a gonfiargli le vele, è la debolezza dell’avversaria. Lei coagula attorno a sè
tutto ciò che milioni di americani, e
non soltanto poveri o ignoranti, detestano, accusando “il potere” di
averli penalizzati, esclusi o esposti
alla minaccia esistenziale dell’immigrazione e delle minoranze, quella
minaccia che ha reso seria la candidatura di estremisti di destra in Europa. Lui è l’ “antipotere” e neppure
il paradosso di un miliardario arricchitto dalla speculazione immobiliare e dall’elusione fiscale che inveisce contro la casta dissuade chi preferisce il salto nel buio al cammino
faticoso lungo il vecchio sentiero.
Trump può vincere, perché da
quel formidabile specialista di “marketing” che è ha fiutato istintivamente il vento di burrasca. Clinton
può perdere perché veleggia contro
quel vento e la novità del suo essere
la prima donna nella storia americana con serie possibilità di vittoria è
affievolita dal suo apparire non come la storia di domani, ma come la
riedizione della storia di ieri.
In democrazia, il voto “contro” è
perfettamente legittimo e valido
quanto un voto “per” e quello che
scandalizza un elettore, mobilita
un altro. Trump sta facendo, alla democrazia americana, ciò che per anni ha fatto, con successo, all’economia: ha imparato a usarla contro se
stessa e a trattare i cittadini come
clienti ai quali vendere e come spettatori da sedurre. Clinton fa appello
alla faticosa, noiosa razionalità del
governare. Trump stimola l’eccitazione del cambiamento, la voglia di
mandare messaggi e segnali. Per
questo cresce. La tentazione di abbandonarsi al vento è forte.
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