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CNS ECOLOGIA POLITICA, NUMERO 1, ANNO 27, GENNAIO 2017 Editoriale gennaio 017- Applausi a Donald Trump! di Giovanna Ricoveri L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti d’America segna una svolta reazionaria, razzista e sessista negli Usa, con ripercussioni - tutte da verificare - anche nel resto del mondo. Ciò è apparso subito chiaro fin dal tono rissoso e aggressivo della sua compagna elettorale, dalla scelta dei suoi ministri e collaboratori (miliardari, militari e banchieri, tutti ultraconservatori) e soprattutto dal programma con cui ha vinto le elezioni, riconfermato alla lettera nel discorso di insediamento e nelle prime misure prese “a rotta di collo” con gli executive orders. Donald Trump è un “palazzinaro” americano spregiudicato, che si vanta di non avere mai pagato le tasse: un politico che fa della rottura violenta degli schemi uno dei suoi cavalli di battaglia, che le spara grosse contro l’establishment come se lui non ne fosse un esponente a pieno titolo. Portatore di una visione pericolosa e arretrata, potenzialmente “suicida” per i destini del pianeta terra. Ha promesso mari e monti ai suoi elettori – soprattutto maschi della classe media– e ha dichiarato guerra a tutti e a tutto: alle donne, ai gay, agli immigrati, ai musulmani, e in particolare all’ambiente e alla lotta contro il cambiamento climatico. Ha definito il cambiamento climatico un “problema fasullo”, “una invenzione dei cinesi per rendere meno competitiva l’industria manifatturiera americana” e ha etichettato la questione ambientale “una crociata contro l’industria”, annullando le pur timide politiche ambientali prese dal suo predecessore per ridurre il cambiamento climatico. Appena arrivato alla Casa Bianca ha subito rovesciato la decisione di Barak Obama di rinunciare al mega oleodotto Keystone XL di 6 mila km, per trasportare il petrolio estratto dalle sabbie bituminose canadesi dell’Alberta alle raffinerie del Sud degli Stati Uniti, in Texas. Nella parte finale del suo percorso, l’oleodotto attraversa infatti diversi stati americani (Montana, Dakota, Nebraska, Kansas e Oklahoma) e alcune riserve indiane come quella dei Sioux nel Sud Dakota. Trump ha motivato la sua decisione a favore di questa mega infrastruttura petrolifera sostenendo che gli 800 mila barili di greggio al giorno che arriveranno negli Usa attraverso questo oleodotto sono irrinunciabili per la politica energetica della sua amministrazione. Nel Piano Energetico (www.whitehouse.gov) elaborato con l’aiuto del magnate del fracking Harold Hamm, Trump afferma di voler “rifare grandi gli idrocarburi americani”. CNS ECOLOGIA POLITICA, NUMERO 1, ANNO 27, GENNAIO 2017 A questo fine elenca una serie di misure da incubo: l’abolizione della moratoria sullo sfruttamento dei combustibili fossili nelle aree federali pubbliche e nelle riserve indiane; il rilancio del carbone in crisi da molti anni, affinché “i minatori possano tornare ad essere fieri di fare i minatori”; la revoca delle norme che impongono restrizioni alle nuove tecnologie di perforazione a terra e offshore; la cancellazione dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici; la revoca del Piano d’Azione per il Clima e della Clean Water Rule; la cancellazione di tutti i pagamenti statunitensi per i programmi Onu sui cambiamenti climatici. Di energia atomica non si parla nel piano, ma le premesse non lasciano ben sperare. Per fare tutto questo, ha messo a capo dell’EPA (Environmental Protection Agency) Scott Pruitt, ex procuratore generale dell’Oklahoma, che ha passato una vita a querelare l’agenzia che ora dovrebbe invece proteggere. La nomina di Pruitt, valutata come uno “scherzo crudele” dalla comunità ambientalista, porterà alla rottamazione di quarant’anni di protezioni ambientali, spianando la strada a una politica energetica dettata dai petrolieri e basata sul carbone, il fracking e le trivellazioni in aree protette, e fortemente sostenuta dall’industria automobilistica. E’ facile immaginare che le infrazioni automobilistiche come quelle della Fiat Chrysler non saranno più un problema per l’Epa di Pruitt. Un vero disastro, dunque, anche se riuscisse a concretizzare il suo progetto solo in parte. A meno che il suo progetto non trovi un freno nelle sue stesse contraddizioni interne e nella mobilitazione popolare, che per ora sembra forte e capillare.