Diritti di proprietà
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Diritti di proprietà
Dipartimento di Scienze economiche e aziendali I DIRITTI DI PROPRIETA’: LIMITAZIONI E TUTELE Lorenzo Rampa 2012 Indice: 1 I diritti di proprietà nei diversi ordinamenti 1.1 I diritti di proprietà 1.2. Una semplice tipologia di ordinamenti: dall’ordinamento minimo a quello regolatorio 1.3 Regolamentazione pubblica e partecipazione dei privati 2. 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 Un mondo senza costi di transazione e di informazione Un esempio di esternalità Se e quando la negoziazione sia efficiente Se e quando l’assegnazione iniziale dei diritti sia indifferente In particolare: il problema del rent-seeking Metodi per prevenire il rent-seeking: aste e mercati dei diritti 3 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 Come i diversi ordinamenti tutelano e limitano i diritti nell’interesse generale Ordinamento minimo: i privati negoziano solamente Ordinamento liberale classico con tutele inibitorie Ordinamento liberale classico con tutele risarcitorie Ordinamento con tutele di tipo regolatorio Problemi di costi specifici della regolamentazione 1 1. I diritti di proprietà nei diversi ordinamenti Oggetto. In questo capitolo si riprende il concetto economico di “diritti di proprietà”. Successivamente si definisce, a scopi espositivi, una possibile tipologia degli ordinamenti giuridici e delle loro differenze circa la tutela o la limitazione dei diritti stessi: da un ordinamento minimo fino ad un ordinamento di tipo regolatorio, in cui l’attività pubblica ed amministrativa assumono un ruolo rilevante ai fini del perseguimento dell’interesse generale. Si introduce anche la discussione sulla partecipazione dei privati alle attività regolatorie. In generale gli ordinamenti giuridici tutelano i diritti di proprietà ma intervengono anche su di essi, limitandoli in qualche misura, se non determinandoli, nel perseguimento di un interesse generale . Ad esempio il titolo III della Costituzione italiana definisce alcuni principi generali circa i limiti dell’iniziativa economica privata e del godimento della proprietà privata. L’art. 41 stabilisce che la prima non può essere in contrasto con l’utilità sociale; l’art. 42 che la legge determina i limiti della proprietà allo scopo di assicurarne la funzione sociale; l’art. 43 stabilisce come possibile l’espropriazione salvo risarcimento ai fini di utilità generale in casi di servizi pubblici essenziali, fonti di energia e situazioni di monopolio. 1.1. I diritti di proprietà Ciò premesso, conviene ricordare che il diritto di proprietà conferisce al suo titolare un potere o facoltà esclusivo di usare o godere o sfruttare un bene privato. L’esclusività limita il campo di applicazione del diritto stesso. Ad esempio un bene pubblico come una strada, o come l’atmosfera, l’acqua del mare o lo spazio aereo, è tale che esso non può essere rivale nel consumo né esclusivo. Come tale esso non richiede la definizione di diritti di proprietà su di esso ( non importa qui se privata o collettiva). La distinzione tra beni rivali e non rivali prevede molte situazioni intermedie come quella dei beni o risorse comuni, detti commons, per i quali la rivalità è parziale nel senso che l’utilizzo di qualcuno potrebbe compromettere l’uso da parte di un altro. L’uso comune di un pascolo libero può determinare il suo sovrautilizzo, con la conseguenza una riduzione futura del foraggio disponibile. Un problema simile si può porre per le risorse ittiche del mare. Questa situazione, detta “tragedia dei commons”, può implicare, per ragioni di efficienza, che sia preferibile istituire diritti di proprietà ben definiti (non importa se privati o collettivi). Il caso dei commons si colloca in realtà in un intervallo di situazioni nel quale la decisione se sia o meno preferibile istituire diritti dipende dall’abbondanza o dalla scarsità di tali risorse comuni. Inoltre la storia insegna che, in molti casi, il passaggio dall’uso comune ad un regime di diritti di proprietà è avvenuto mediante atti di forza piuttosto che di diritto motivati da ragioni di interesse generale ( si pensi alle ordinanze di chiusura dei pascoli comuni in Inghilterra o all’occupazione dei territori indiani in America). Ciò naturalmente lascia aperte molte discussioni circa l’origine della proprietà, che naturalmente vanno dall’idea marxiana per cui “la proprietà è un furto” a quella liberale e giusnaturalistica, secondo cui “ la proprietà è un diritto naturale”. In secondo luogo va osservato che il termine “ diritto di proprietà” si riferisce a due insiemi1 costituiti a loro volta da vari tipi di diritti. In genere si distingue tra un potere di godimento (diritto all’uso ed a inibire altri dall’uso) ed un potere di disposizione (diritto a trasferire), cui corrisponde la distinzione anglosassone tra possessory rights e transfer rights2. Inoltre si può godere (o 1 2 Talora viene usato in letteratura il termine pacchetto o fascio di poteri. Vedi Cooter e altri (2003) p.83 Vedi Shavell (2005), pp.27-33 2 sfruttare), o alternativamente trasferire, parti fisicamente o funzionalmente distinte del bene. Se consideriamo ad esempio il diritto di proprietà della terra vediamo subito che esso comprende diritti relativi alla superficie del suolo (diritto all’uso agricolo, jus aedificandi), al sottosuolo (diritti minerari) ed al soprasuolo (diritti relativi alla vista o al panorama, a produrre o inibire immissioni ecc.). In generale negli ordinamenti dei paesi ad economia di mercato il diritto di proprietà è considerato “fondamentale” ma è anche sottoposto a limitazioni, come quelle previste dalla nostra Costituzione. Ciò significa che sono le leggi degli ordinamenti che assegnano o determinano il contenuto di tale diritto o, come si dice nella dottrina e nella giurisprudenza italiana lo “conformano”, cosa particolarmente vera per i diritti sui beni immobili che sono regolati, oltre che dal diritto civile, anche da disposizioni di pianificazione territoriale ed urbanistica dei governi locali. Tali assegnazioni iniziali dei diritti riguardano sia il loro contenuto essenziale, o minimo, sia le varie componenti dell’insieme dei diritti di possesso o di trasferimento di cui la proprietà è composta. Ad esempio il diritto ad edificare in Italia è sottoposto a concessione dopo la L. 10/1977 e la dottrina si è domandata se ciò implicasse una sorta di iniziale assegnazione alla collettività che successivamente la concede. La Corte Costituzionale, con la sentenza 55/1968 ha invece ribadito che tale diritto inerisce alla proprietà stessa, cioè non ne è separato, mentre l’ordinamento e l’amministrazione possono determinarne o conformarne i contenuti (destinazione d’uso, gradi e indici di edificabilità , ecc.), l’alienabilità, l’esproprio per ragioni di pubblica utilità o interesse generale ed i relativi indennizzi. Ciò non toglie che, per ragioni di efficienza, si possa porre un problema di trasferibilità separata come avviene in altri ordinamenti, e in Italia per altri diritti connessi alla proprietà della terra stessa, come ad esempio l’enfiteusi e l’usufrutto ( ex artt. 965 e 980 cc.). Di tale questione torneremo comunque a parlare a proposito della regolamentazione urbanistica. L’Analisi economica del diritto assume che la trasferibilità dei diritti di proprietà favorisce l’efficienza nel senso che gli scambi volontari tra titolari degli stessi conducano a una allocazione dei diritti a coloro che gli attribuiscono maggior valore, determinando un più elevato surplus dei consumatori, o ne facciano un uso capace di produrre un più elevato surplus dei produttori. In tal modo il surplus complessivo ed il benessere sociale sarebbero massimizzati. Gli scambi, i negozi e i contratti relativi ai beni privati e ai diritti ad essi connessi, in assenza di fallimenti del mercato, concorrerebbero dunque ad ottenere l’ottimo paretiano. Il problema è che l’esercizio dei diritti di proprietà molto frequentemente incorre nel più tipico caso di “fallimento del mercato” determinando effetti esterni sia positivi che negativi. In tal caso gli ordinamenti giuridici prevedono diverse modalità di limitazione (o di incentivo) all’esercizio dei diritti stessi. Un effetto esterno negativo consiste in un danno arrecato a terzi nello svolgimento di qualsiasi attività ivi incluse le attività economiche di consumo o produzione. In vari ordinamenti, in specie di civil law, il danno, se rilevante, genera l’obbligo al risarcimento per fatto illecito. In quello italiano, all’art. 2043 c.c., il danno rilevante viene specificato come danno ingiusto (ovvero che procura un’injuria) ed è strettamente connesso con il principio di responsabilità.. L’interpretazione del fatto illecito è piuttosto discussa in dottrina e oscilla tra una nozione assai ampia che individua qualunque atto che determina nocumento o pregiudizio, annientamento o alterazione di una situazione favorevole, ed una nozione più circoscritta secondo cui è legge che seleziona la natura illecita dell’atto e perciò i danni meritevoli di risarcimento 3 Il principio di responsabilità costituisce solo uno dei possibili rimedi previsti dagli ordinamenti rispetto ai danni, in quanto capace di introdurre disincentivi alla negligenza dei soggetti. Infatti, come vedremo, gli ordinamenti prevedono altri possibili rimedi di tipo giudiziale o 3 P.G. MONATERI, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Torino, 1998, 274, nt. 1. Nel caso del Codice Civile italiano vi sono normr come gli artt. 1223, 1225, 1227, 2058, 2059 c.c. che individuano i danni risarcibili . Altrove come nel caso dell’immissione di cui all’art. 844 è il superamento della normale tollerabilità che determina la possibilità del risarcimento. 3 regolatorio, in ragione dell’entità del danno e dei costi di transazione, di informazione e dei costi amministrativi che la soluzione del danno comporta. Prima di discutere la maggiore o minore efficienza dei diversi rimedi giuridici ai danni e alle esternalità, conviene però affrontare la questione della negoziabilità dei danni stessi, alla luce del c.d. “Teorema di Coase”, secondo il quale ogni problema di danno o di esternalità può essere risolto mediante negoziazioni tra le parti, ovvero senza ricorrere a giudizi o regolamentazioni, purché i costi di transazione siano nulli o trascurabili ed i diritti di proprietà siano ben definiti. In effetti ogni danno costituisce un costo il cui risarcimento può essere negoziato se chi procura il danno ne trae un beneficio maggiore e dunque pur pagandolo ottiene un beneficio netto positivo. Da questo punto di vista non sembra esservi nulla di diverso da una tipologia assai frequente di situazioni in cui i diritti di proprietà sono negoziati in modo efficiente con l’effetto di aumentare il surplus dei consumatori o dei produttori. Talora i costi sono mere rinunce, ad esempio al tempo libero per un lavoratore che contratta con un’impresa la prestazione di servizi lavorativi, o per un proprietario di fattori produttivi che li vende o li concede in uso ad un altro produttore anziché sfruttarli lui stesso. Se tali rinunce allocano i servizi lavorativi o l’uso dei fattori produttivi a chi li sa utilizzare in modo più efficiente ottenendo un surplus positivo il benessere collettivo ne risente positivamente. Allo stesso modo si può negoziare in modo efficiente il risarcimento di un danno se il beneficio dell’attività dannosa è superiore o almeno eguale ad esso. Allora perché gli ordinamenti giuridici prevedono dei rimedi che sottraggono i risarcimenti alla negoziazione privata? La risposta al quesito consiste ovviamente nell’esistenza di possibili costi addizionali di natura sociale che comportano l’inefficienza della negoziazione stessa e in secondo luogo nell’incompleta definizione dei diritti. Le ragioni per cui i diritti non sono ben definiti possono essere molteplici. Solo alcuni diritti, infatti, sono tutelati dagli ordinamenti, talora addirittura a livello costituzionale (questo avviene quando si tratti di diritti fondamentali non rinunciabili e quindi non alienabili e non trasferibili). Altri sono definiti invece a livello di Codici e di legislazione centrale, ed altri ancora sono affidati alla normazione decentrata. Ad esempio, mentre le regole generali sull’uso del territorio sono frequentemente contenute nei Codici o nella legislazione nazionale, le norme di dettaglio edilizio o urbanistico sono delegate ai livelli regionali o comunali. In altri casi le cause dell’insufficiente definizione sono invece di natura storica: ad esempio i diritti sull’uso dell’etere o delle risorse ittiche sono stati di volta in volta definiti quando il problema di un loro uso efficiente si è posto concretamente. Il problema che si pone in questi casi riguarda la possibilità di rent seeking ovvero della presenza di spese di influenza volte all’ottenimento di un’assegnazione più favorevole dei diritti. Infatti, quando si tratti di porre rimedio ai fallimenti del mercato, la legislazione condiziona l’accesso ai diritti di proprietà, ad esempio limitando l’ammontare diritti di inquinamento o di edificazione, oppure ancora concedendo le frequenze televisive. La competizione o la contesa per ottenere in modo esclusivo questi diritti dà luogo a costi sociali di rent seeking costituiti dalle spese di influenza sostenute dai privati al fine di ottenere norme discriminatorie a loro favore; e questi vanno a scapito del benessere o del surplus complessivo, dissipandone una parte. Fatte queste premesse i diversi ordinamenti prevedono una tipologia di rimedi che potremmo sintetizzare nel modo seguente.: 1) Rimedi negoziali con sola responsabilità contrattuale per inadempimento; 2) Rimedi basati sul principio di responsabilità azionabili presso giudice (liability rule); 3) Rimedi mediante inibizione azionabili presso giudice (property rule); 4) Rimedi affidati alla regolamentazione 1.2. Una semplice tipologia di ordinamenti: dall’ordinamento minimo all’ordinamento welfarista. L’interesse di economisti e giuristi per la comparazione e la valutazione degli ordinamenti in termini di efficienza sembra essersi particolarmente accentuato da quando si è posto con forza il 4 problema delle riforme legali nelle economie in transizione, sia ex-socialiste che in via di sviluppo, spesso affrontato in termini di possibile trapianto di ordinamenti giuridici alternativi vigenti in altri paesi (ad esempio ordinamenti di common law anglosassone piuttosto che di civil law continentale), o di loro appropriate combinazioni.4 Immaginiamo dunque una società organizzata in cui esistono funzioni legislative, giurisdizionali ed esecutive istituite a livello costituzionale.5 Gli ordinamenti si differenziano a seconda dell’estensione della fornitura di beni pubblici e meritori, dell’intensità dell’esercizio dell’enforcement giurisdizionale e amministrativo, nonché della protezione e limitazione dei diritti privati nei casi di esternalità, incompletezza dei mercati e insufficienza informativa. Si potrebbe anche dire che esiste un trade off tra la protezione dei diritti di proprietà ed il perseguimento del benessere secondo qualche idea di giustizia.6 Come abbiamo visto, infatti, preferenze sociali di tipo rawlsiano possono rendere più esteso l’accordo costituzionale sui beni pubblici, aumentare il grado di protezione dei danneggiati e diminuire quello dei produttori danneggianti in caso di esternalità negative, incrementare il grado di fornitura dei beni meritori o di altri servizi pubblici per ragioni redistributive. Di seguito tracciamo allora, con qualche grado di schematicità e di convenzionalità, una distinzione tra diverse tipologie degli stessi, utile ai nostri scopi di valutazione di efficienza sociale, che dipenderanno ovviamente dall’entità dei costi pubblici, o sociali, che essi comportano.7 1.2.1 Ordinamento minimo Il caso di uno Stato o di un ordinamento minimo è uno dei più frequenti nelle classificazioni giuspubblicistiche.8 In esso il trade off tra la protezione dei diritti di libertà e di proprietà ed il perseguimento del benessere secondo qualche idea di giustizia viene risolto in favore della prima. Prevale un’idea estrema di Costituzione-garanzia che estende l’originaria protezione dagli abusi dei sovrani ad una vera e propria protezione delle libertà individuali dall’ingerenza dello Stato.9 Si potrebbe dire che in tale ordinamento non sia incorporata, nemmeno a livello implicito, alcuna idea di giustizia da coordinare con l’efficienza nella produzione e nello scambio dei beni privati. L’assenza di una preferenza collettiva volta verso la giustizia, inevitabilmente di tipo prosociale, ha però l’effetto di rendere più arduo l’accordo sui beni e sui diritti pubblici. Tra i primi vengono forniti solo quelli essenziali, come la giustizia, la difesa esterna, la sicurezza interna, le opere pubbliche fondamentali (in effetti anche storicamente i corrispondenti Ministeri sono i primi ad apparire).10 In nome della massima tutela delle libertà individuali, viene rifiutata l’idea di uno stato paternalista, sicché lo Stato non si fa carico (o si fa carico in misura minima) dei beni meritori. Anche gli interventi volti a porre rimedio alle carenze informative sono trascurabili partendo dal presupposto che il mercato concorrenziale fornirebbe incentivi sufficienti per divulgare le informazioni. 4 Si veda ad esempio J. HAY, A. SHLEIFER, R. VISHNY, Toward a Theory of Legal Reform, “European Economic Review”, 40, 1996, nonché E.L. GLAESER, A. SHLEIFER, Coase versus the Coasians, “ Quarterly Journal of Economics”, 2001. 5 Una trattazione del problema della separazione ottimale dei poteri può essere trovata in R. COOTER , The Strategic Constitution, cit., in particolare capp. 8 e 9. 6 Il problema del trade off tra libertà e perseguimento di benessere materiale viene analizzato ad esempio in R. COOTER , The Strategic Constitution, cit., nel cap. 11 ed in particolare alle pp. 269-273. 7 Si ritrovano nella letteratura giuridica molti esempi di classificazioni aventi finalità diverse. Per tutte si veda quella di G. ZAGREBELSKI , Società-Stato-Costituzione, cit., cap.3. 8 La dizione di Stato minimo è adottata ad esempio da R. NOZICK, Anarchy, State, and Utopia. New York: Basic Books, 1974 Si veda anche G. ZAGREBELSKI , Società-Stato-Costituzione, cit., par. 3.3. 9 Usualmente l’idea dello stato-garanzia , elaborata a partire da riflessioni sull’esperienza della Rivoluzione francese, vengono fatte risalire ad autori come Humboldt e Benjamin Costant. 10 Si veda ad esempio F. RUGGE, Administrative Traditions in Western Europe, in B.G. PETERS, J. PIERRE (EDS.) “Concise Handbook of Public Administration”, London, Sage , 2003. 5 Laddove esista una Costituzione scritta, essa assicura i diritti di libertà, incluso quello di proprietà, ed alcuni diritti di cittadinanza. I primi, e soprattutto quelli di proprietà, sono tuttavia privilegiati rispetto ai secondi. Se non esiste Costituzione scritta, questi sono regolati a livello di diritto consuetudinario o di precedenti giurisprudenziali. Il privilegio ad essi accordato comporta un’ampia tutela dei diritti privati sui beni privati, che possono essere liberamente negoziati e scambiati. Anche i mercati sono protetti ma è assente qualsiasi regolazione di essi. Il bene pubblico giustizia viene garantito attraverso la giurisdizione o dall’enforcement giudiziale. Questa però si limita alla funzione penale e di soluzione di controversie, mentre non esiste un principio di responsabilità per danni finalizzato alla soluzione del problema delle esternalità. Una volta assegnati i diritti di proprietà, questo compito è infatti lasciato prevalentemente ai rapporti privati tra le parti, che possono affrontarla affidandosi a relazioni personali di fiducia o di autorità, oppure negoziando tra loro i risarcimenti a compenso dei danni. Se tali rapporti assumono una forma di tipo negoziale, le corti o i tribunali assolvono al ruolo di accertare eventuali responsabilità per inadempimenti contrattuali, ma non quelle extra-contrattuali per danni, che gli individui risolvono privatamente. 1.2..2 Ordinamento liberale classico Anche in questo tipo di ordinamento lo Stato si fa carico dei beni pubblici essenziali, e in qualche caso di beni meritori come l’istruzione primaria11, ma non regola i mercati. Il principio fondamentale è che si configura un interesse pubblico quasi esclusivamente con riferimento ai beni pubblici puri. Le Costituzioni assicurano più estesi diritti di libertà e di cittadinanza ma privilegiano l’eguaglianza formale dei cittadini di fronte alla legge. Quanto alla proprietà, i singoli diritti di proprietà sono tutelati meno intensamente che nell’ordinamento minimo, nel senso che viene previsto qualche tipo di enforcement pubblico a fronte di problemi di danni o di esternalità procurati dall’uso e dalla produzione di beni privati. Infatti un ordinamento di questo tipo prevede almeno che la giurisdizione abbia anche il compito di inibire effetti esterni dannosi, oppure di stabilire risarcimenti secondo un principio di responsabilità12, non lasciando che questi siano risolti solo mediante negoziazioni private. Ma le corti agiscono pur sempre per iniziativa delle parti. L’enforcement amministrativo si limita prevalentemente al campo dei principali beni pubblici e, quanto alla prevenzione o correzione delle esternalità attraverso, trova talora applicazione in campo urbanistico attraverso norme di codici e le prime normazioni di pianificazione delle città. Nei paesi anglosassoni questo ordinamento assume le caratteristiche del diritto consuetudinario o di common law, in contrapposizione agli ordinamenti continentali di civil law o statute law, maggiormente orientati verso la codificazione, l’ enforcement amministrativo piuttosto che giudiziale e la sua tutela mediante giurisdizioni speciali.13 In esso si sono tuttavia sviluppate 11 Questo è vero a partire dalla fine del XVIII secolo soprattutto in diversi paesi europei, cominciando da Austria, Francia e Germania, influenzati dal pensiero illuministico. Negli Stati Uniti invece la scuola pubblica fu riconosciuta come compito dello Stato molto più tardi. 12 Una regola di questo tipo può essere giustificata come capace di incentivare comportamenti di precauzione o di internalizzazione ex-ante dell’esternalità. Si potrebbe anche dire che il principio di responsabilità ha una funzione di deterrenza, ed è forse per questo che essa viene usata assai più diffusamente delle ingiunzioni soprattutto negli ordinamenti continentali. Ad esempio l’art. 844 cc. sulle immissioni ammette, nei casi di superamento della normale tollerabilità, il ricorso al giudice ai fini di una conciliazione degli interessi che può anche consistere (secondo l’art.912 cc.) nell’assegnazione di un risarcimento alla parte danneggiata. 13 La distinzione tra common law e civil law è, secondo molti autori, di natura piuttosto convenzionale. Si vedano ad esempio per una valutazione giuridica S. CASSESE , Le basi del diritto amministrativo, Torino, Einaudi, 1991, e per una storica F. RUGGE, Administrative Traditions in Western Europe, cit.. La distinzione di solito si basa sul fatto che : (a) nella prima prevalga il diritto consuetudinario su quello codificato; (b) l’esecuzione della legge (ma talora anche la produzione non parlamentare) delle norme giuridiche avvenga prevalentemente in via giudiziale (nel primo caso) o in via politico-amministrativa ( nel secondo). Si veda R. COOTER, U. MATTEI, P.G. MONATERI, R. PARDOLESI, T. ULEN , Il 6 storicamente anche alcune forme di regolazione diretta di esternalità di tipo ambientale e territoriale, talora combinate con forme negoziali tra le pubbliche amministrazioni ed i privati.14 In ogni caso la presenza dell’enforcement pubblico, anche se ancora limitato e, nel mondo anglosassone, affidato prevalentemente alle corti, implica il riconoscimento che la numerosità, la non prossimità dei danneggiati, l’elevatezza dei costi di contrattazione e di transazione, rendano spesso non efficiente la negoziazione tra privati. Si riconosce che tutele risarcitorie o inibitorie possano dunque essere in linea di principio più efficienti della mera negoziazione privata. La scelta tra le due dipende anch’essa dai costi giudiziali che esse comportano.15 1.2.3 Ordinamento di tipo welfarista In un ordinamento di tipo welfarista è implicita una preferenza collettiva che incorpora un’idea di giustizia a favore dei più svantaggiati. Il principio di eguaglianza formale di fronte alla legge è integrato da un principio di eguaglianza sostanziale, talora esplicitamente richiamato nelle Costituzioni16. A livello di preferenze costituzionali questa comporta un più esteso accordo sui beni pubblici e sui diritti pubblici, fino alla comparsa esplicita dei diritti sociali, ovvero di diritti alla prestazione di servizi che rientrano sia nel novero dei beni meritori che di quelli ascrivibili a situazioni di incompletezza dei mercati o di carenza informativa. Ciò implica un peso crescente delle politiche redistributive, da cui il nome di Welfare State frequentemente usato per caratterizzare questi ordinamenti. Nell’ambito della tutela dei diritti privati compaiono più esplicitamente, accanto alle tutele dei diritti dei produttori, forme di tutela dei consumatori a cui vengono ispirati gli interventi di regolazione dei mercati. Quanto alla prevenzione o alla soluzione delle esternalità, questa è affidata più estesamente ad una Pubblica amministrazione, con funzioni di enforcement di tipo regolatorio, che, accanto alle corti che agiscono su iniziativa dei privati, intervengono direttamente “attraverso un rapporto di supremazia” ispirato dal perseguimento dell’interesse generale. L’enforcement amministrativo diretto viene in genere giustificato quando le esternalità ed i danni sono molto diffusi o di tipo generale, fino al punto da rendere esorbitanti sia i costi transattivi e legali per i privati, che i costi amministrativi dell’attività giurisdizionale. Gli interventi possono assumere allora la forma di mercato delle regole: Analisi economica del diritto civile, cit.,, pp.14 -20, e E.L. GLAESER, A. SHLEIFER, Coase versus the Coasians, cit., in particolare a p.853. Essa è stata fortemente rivendicata dalla dottrina giuridica anglosassone dei secoli scorsi. Ad esempio secondo A.V. DICEY, Introduction to the Study of the Law of the Constitution, London, MacMillan, 1885, nel diritto inglese non vi sarebbe alcuno spazio per il droit administratif poichè in Inghilterra esiste un solo diritto (ordinary law of the land) da applicare a tutti i soggetti pubblici e privati onde accertare le loro responsabilità, evitando di creare privilegi mediante legislazioni di favore. Parte della Law and Economics anglosassone, ed in specie quella che si ispira alla cosiddetta Scuola di Chicago, sostiene che un ordinamento di questo tipo tende all’efficienza più facilmente degli altri in quanto eviterebbe i costi pubblici derivanti da un’estesa Pubblica amministrazione e le dissipazioni di benessere dovute al rent seeking. Una discussione della maggior efficienza della common law con riferimento alle differenze tra diversi ordinamenti circa la divisione dei poteri e delle diverse funzioni (giudiziale, esecutiva e amministrativa, legislativa) può essere trovata in R. COOTER , The Strategic Constitution, cit., cap.8. Per una valutazione di efficienza comparativa limitata alla funzione giudiziale si veda anche L. ANDERLINI, L. FELLI, Statute Law or Case Law?, “CESifo Working Paper Series”, N.2358, 2008, secondo i quali l’efficienza relativa dei due ordinamenti dipende dall’omogeneità e della stabilità nel tempo dell’ambiente legale in cui essi operano. 14 Un sistema di negoziazioni è ammesso ad esempio dall’ordinamento inglese nella pianificazione urbanistica, in cui si distingue un livello “strutturale” in cui l’autorità regolatrice definisce i limiti massimi di edificabilità, ed un secondo in cui i regolatori locali possono negoziare nel rispetto di questi limiti sulla base delle proposte dei developers. Una parte della legislazione urbanistica regionale italiana recente si è ispirata a questo modello. 15 Le tutele risarcitorie tendono ad essere usate invece quando i costi di informazione e di procedura dei giudizi sono elevati. Il fatto che esse siano più frequentemente utilizzate in ordinamenti di common law che in ordinamenti di civil law sembra poi basarsi sul presupposto che i costi pubblici dell’enforcement amministrativo siano più elevati di quelli giudiziali. Nell’ordinamento italiano la tutela risarcitoria è prevista ad esempio nel caso di “denunzia di nuova opera” e di “danno temuto”, di cui agli artt.1171 e 1172 cc., per i quali il titolare di un bene che abbia ragione di temere un danno allo stesso da una nuova opera o da un bene sovrastante può chiedere all’autorità giudiziaria l’interruzione dell’opera o un intervento volto a prevenire il danno atteso. 16 Oltre all’art. 3 della Costituzione italiana si possono ricordare gli art. 9 della Costituzione portoghese e spagnola. 7 prescrizioni o di vincoli quantitativi (contenuti in genere in codici, regolamenti o norme di livello locale17) che, basandosi su semplici divieti o “regole quantitative semplici”18, consentono una immediata verifica con bassi costi di monitoraggio. In casi più complessi essi assumono la forma di veri e propri atti di pianificazione, in genere delegati all’amministrazione locale (è il caso dei piani regolatori), che hanno in genere la natura imperativa tipica dei procedimenti amministrativi, anche se talora sono ammessi procedimenti di natura negoziale. Ordinamenti di questo tipo sembrano molto vicini a quelli continentali, anche se nei paesi common law (sostanzialmente quelli anglosassoni) esistono da tempo numerose agenzie regolatorie o apparati amministrativi che attuano interventi diretti, oltre che nella fornitura dei beni pubblici, sia anche nel campo delle esternalità e della tutela della concorrenza.19 Si potrebbe affermare che è in questo caso che tipicamente si giustifica un’Analisi economica del diritto amministrativo e del diritto pubblico dell’economia, intesa come valutazione di efficienza dell’enforcement amministrativo. 1.2.4 Regolamentazione con partecipazione dei privati. In alcuni ordinamenti l’attività regolatoria non si limita ad atti unilaterali o imperativi ma assume forme consensuali, se non negoziali. Infatti, mentre nel diritto civile le fasi preliminari della formazione della volontà sono scarsamente rilevanti sotto il profilo giuridico, nell’attività amministrativa di tipo regolatorio invece è spesso necessario tener conto di una molteplicità di interessi pubblici o privati spesso in conflitto tra di loro. Pertanto i procedimenti regolatori sono organizzati in sequenze complesse in cui la conoscenza dei diversi interessi, la loro composizione e, in definitiva, la motivazione del provvedimento finale sono assolutamente rilevanti. In questo caso la complessità dei procedimenti deriva dalla necessità di tener conto di tutti gli interessi, ai fini della correttezza e imparzialità nella formazione della volontà pubblica. E’ dunque ovvio che i procedimenti prevedano il concorso dei privati sia per consentire la loro partecipazione alla formazione della volontà collettiva che per acquisirne il consenso, mediante consultazioni e raccolta di proposte ed osservazioni20. Diverso è invece il caso in cui tale concorso prende la forma di una partecipazione di tipo negoziale, attraverso una contrattazione con la pubblica amministrazione volta a determinare la soluzione di un’esternalità ( nel linguaggio giuridico il provvedimento finale). Non tutti gli ordinamenti prevedono questa possibilità: ad esempio quello italiano esclude procedure negoziali nella formazione di “atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione di programmazione. Come vedremo successivamente, a proposito della regolamentazione urbanistica, ciò è comunque materia di discussione sia a livello giuridico che a livello economico. 17 Ad esempio l’art 890 c.c. fissa regole di distanze minime per attività che possano essere all’origine di possibili inquinamenti o danni ai vicini. Tutta la sezione V eVI del titolo dedicato alla proprietà è poi dedicata a prescrizioni circa le edificazioni ed ai vincoli di distanza ed altre regole edilizie che tutelano il diritto alla sicurezza, al panorama, ecc; l’art. 869 stabilisce poi che le costruzioni devono osservare le prescrizioni dei Piani regolatori. 18 Una discussione teorica sulle circostanze che determinano una maggior efficienza di “regole quantitative semplici” su regole alternative può essere trovata in E.L. GLAESER, A. SHLEIFER , A Reason for Quantity Regulation, “American Economic Review Papers and Proceedings”, 2001. 19 Per un’analisi economica della nascita della regolamentazione in questi paesi si veda E.L. GLAESER, A. SHLEIFER, The Rise of Regulatory State, “Journal of Economic Literature”, 41, 2001, pp. 401-25. 20 Sui procedimenti per accordi o procedimenti contrattuali si veda Cassese (1991) in part. Cap IX.15 e Civitarese e Urbani (2004), cap.I.4 8 2. Un mondo senza costi di transazione e di informazione Oggetto. In questo capitolo si discute quando sia possibile che un problema di fallimento del mercato ( presenza di beni pubblici o esternalità) sia risolto mediante negoziazioni private senza alcun intervento pubblico. Si discute altresì dell’eventuale indifferenza degli esiti delle negoziazioni rispetto alle assegnazioni iniziali dei diritti. Si mostra poi come assegnazione “non eque” possano comportare costi sociali addizionali. Immaginiamo ora di essere in un ordinamento minimo in cui la soluzione del problema delle esternalità viene affidata esclusivamente a procedure negoziali. Tali procedure potranno dare esiti diversi, almeno dal punto di vista distributivo, a seconda del potere contrattuale delle parti che dipende a sua volta dal modo in cui i diritti sono attribuiti e tutelati. Il problema che sorge è allora se, e sotto quali condizioni, tale distribuzione iniziale dei diritti sia indifferente dal punto di vista dell’interesse generale o del benessere sociale. 2.1 Un esempio di esternalità Per comprendere questo punto conviene iniziare con l’esempio di una attività economica che provoca immissioni intollerabili o inquinanti, ricorrendo ad un semplice grafico come quello della Figura 1, che descrive i benefici ed i costi di tali attività. Figura 1. Il caso delle fabbriche inquinanti prezzo CMP+CMS p* CMP X T Y p' Z R BM q* q’ Il grafico descrive la situazione di un paese in cui le attività produttive sono concentrate in un’unica localizzazione e provocano inquinamento sul territorio. Le imprese vendono tutto il loro prodotto nel paese stesso in un mercato competitivo, determinando un beneficio per ogni unità addizionale venduta, o beneficio marginale, pari al prezzo di mercato. Ciò è rappresentato dalla 9 curva decrescente BM , che, per l’ipotesi di mercato competitivo, coincide con la curva di domanda (inversa)21. Una interpretazione usuale di tale curva è che essa rappresenta il prezzo massimo che i consumatori sono disposti a pagare per ogni data quantità acquistata e consumata. Infatti il prezzo che si è disposti a pagare è pari (se i consumatori sono razionali) al beneficio che ne traggono. La forma della curva si basa naturalmente sull’ipotesi che il beneficio addizionale del consumo sia decrescente. Allora per aumentare il consumo, passando ad esempio dalla quantità q* alla quantità q’, i consumatori saranno disposti a farlo solo pagando un prezzo inferiore. Con ogni evidenza per ogni quantità inferiore ad q’ i consumatori saranno disposti a pagare un prezzo superiore a quello effettivamente pagato. Così tutta la differenza tra il beneficio ed il prezzo costituisce un eccesso della disponibilità a pagare su quanto effettivamente si paga, ovvero un surplus a favore dei consumatori che, con riferimento a tutte le unità comprese tra 0 e q’ , definiamo C(q’) 22. Esso è misurato dalla somma delle aree X+Y+Z Consideriamo ora le imprese. La produzione comporta costi marginali privati, che per semplicità ipotizziamo costanti, rappresentati dalla curva CMP che si riferisce al complesso delle imprese23. Supponiamo poi anche che il bene prodotto sia omogeneo sicché il prezzo di equilibrio che si fissa sul mercato è unico. Nel nostro caso, supponendo che le imprese non internalizzino l’esternalità, l’equilibrio è fissato in corrispondenza dell’intersezione tra la domanda, che coincide con la curva BM, e l’offerta che coincide con la curva CMP, cui corrispondono il prezzo p’ e la quantità q’. Infatti, se il mercato è perfettamente competitivo il prezzo sarà eguale al costo marginale privato24, i ricavi totali delle imprese saranno pari al prezzo per le quantità vendute, p’q’, ed i loro profitti Π(q) saranno pari alla differenza tra ricavi totali ed i costi privati totali. Possiamo anche dire che questi ultimi misurano il surplus dei produttori, diciamo P(q’) misurato dall’area R (se, per semplicità, trascuriamo i costi fissi). La somma dei surplus dei consumatori e dei produttori, ovvero della differenza tra beneficio totale e costo totale, è pari a X+Y+Z+R. Se non si tiene conto di eventuali costi sociali, esso può anche essere definito surplus o benessere sociale. Più in generale la misura di C(q’) e P(q’) , nonché il loro peso relativo nel surplus complessivo dipendono dalle caratteristiche delle curve CMP e BM, in particolare dalla loro pendenza. Quando la pendenza della BM è superiore a quella della CMP, il surplus dei consumatori è relativamente maggiore di quello dei produttori. Ciò corrisponde infatti all’intuizione che una maggior pendenza della BM comporta una più grande differenza tra ciò che i consumatori sono disposti a pagare ed il prezzo di mercato che essi pagano effettivamente, cioè del loro surplus. Al contrario una pendenza positiva e crescente del costo marginale comporta una più elevata differenza tra il prezzo di mercato e i costi e quindi un surplus dei produttori positivo e crescente al crescere della pendenza di CMP. 21 Usualmente si definisce funzione di domanda quella che lega la quantità domandata dei consumatori al prezzo pagato, ovvero q(p), sicché la sua inversa sarà p(q) . Supponendo che il prezzo che i consumatori sono disposti a pagare per ogni data quantità eguagli il beneficio quest’ultima può anche essere interpretata come funzione del beneficio marginale ( relativa o ogni quantità addizionale consumata) che in seguito indicheremo con b’(q). 22 Più formalmente definiamo come surplus del consumatore ( dei produttori nel nostro caso) C(q) come la differenza tra tutta l’area sottesa alla curva di domanda inversa ed i ricavi totali delle imprese ovvero C(q) =∫ p(q) –p(q)q 23 Le sigle usate nella Figura 1 corrispondono alle derivate prime delle funzioni di beneficio b(q), costo privato c(q), e costo sociale s(q). Esattamente sarà: BM = b’(q), CMP = c’(q), CMS = s’(q). L’intersezione F corrisponde al caso in cui l’impresa massimizza solo i benefici privati e pertanto soddisfa la condizione b’(q) = c’(q), mentre l’intersezione E corrisponde al caso che sia massimizzato il benessere sociale soddisfacendo la condizione b’(q) = c’(q) + s’(q). 24 Se la quantità q viene venduta ad un prezzo p(q) sarà anche b(q) = p(q)q, dove p(q) viene normalmente interpretata come funzione di domanda. Inoltre c(q) è il costo privato sostenuto nell’esercizio dell’attività, s(q) l’esternalità o danno o costo sociale determinato dalla stessa. Se un soggetto A è libero di massimizzare il solo beneficio netto privato sceglierà q in modo che sia max [b(q)-c(q)] . Ciò richiede che sia soddisfatta la condizione di primo ordine b’(q) = c’(q), dove gli apici indicano, come al solito, le derivate prime delle funzioni considerate ( ipotizziamo che sia soddisfatta anche la condizione di secondo ordine). 10 2.2 Se e quando la negoziazione sia efficiente Tuttavia in questa situazione la collettività subisce un costo sociale dovuto all’inquinamento. Di conseguenza definiamo CMS il danno subito dagli abitanti per ogni unità addizionale prodotta e supponiamo che esso sia costante per ognuna di esse. Il costo sociale complessivo corrispondente alla quantità q’, ovvero s(q’) dovrà ora essere dedotto dal surplus per ottenere il benessere sociale, che sarà dunque: W(q) = C(q’)+P(q’) – s(q’) Se assumiamo che le parti siano perfettamente informate e razionali, possiamo anche dare per assunto che in tale situazione le parti abbiano incentivi o convenienza a stipulare accordi mutuamente vantaggiosi per risolvere il problema. Supponiamo, per semplicità, che i cittadini danneggiati siano rappresentati da una associazione (ad esempio un’Associazione ambientalista) delegata a contrattare. In questo modo possiamo esemplificare la negoziazione in termini di contrattazione bilaterale con l’impresa (o le imprese) danneggianti. Definiamo A l’associazione delle imprese e B l’associazione ambientalista che rappresenta i danneggiati. L’ordinamento potrebbe proteggere i diritti dei cittadini a non subire l’inquinamento: in tal caso i diritti di inquinamento sono nelle loro mani. Alternativamente potrebbe proteggere il diritto delle imprese a produrre e ad inquinare: in tal caso sono nelle loro mani i diritti di produzione e di inquinamento. Ciò determinerà diversi esiti della contrattazione ma non la impedirà. Se le parti sono razionali cercheranno di rendere massimo i reciproci vantaggi dell’accordo che potremmo definire il surplus della negoziazione. Per A tale vantaggio consiste nella differenza tra il surplus dei produttori (ovvero il loro profitto) al netto del risarcimento t, diciamo VA (q,t) = P(q) – t), mentre per B consiste nella del suo surplus (del consumatore) più il risarcimento meno il danno subito s(q), ovvero: VB (q,t) = C(q) + t – s(q) Si noti che l’oggetto della negoziazione, ovvero la somma dei due vantaggi VA + VB, corrisponde alla somma dei due surplus al netto del danno o costo sociale. Individualmente A e B tenderebbero ad ottenere il maggior vantaggio per sé, ma attraverso la contrattazione il maggior vantaggio deve essere reciproco. Adottando una formulazione della contrattazione bilaterale alla Nash, frequente in letteratura economica, il vantaggio è mutuo se si concorda quel risarcimento e quel livello di attività che rendono congiuntamente massimo una funzione di contrattazione costituita dal prodotto algebrico dei vantaggi “pesati” delle due parti, ovvero VA (q,t)αVB (q,t)(1-α) 25 . In essa gli esponenti α e (1-α) 25 E’ facile verificare che la massimizzazione, rispetto a q, di VA (q,t)αVB (q,t)(1-α) = [b(q) – c(q) – t] α [ t–s(q)] (1-α) comporta che sia soddisfatta la condizione α[ b’(q) – c’(q)] VA(α-1) – (1-α) s’(q)VB-α = 0, mentre quella rispetto a t comporta che sia soddisfatta la condizione α VA(α-1) = (1–α) VB-α. Sostituendo questa seconda condizione nella prima si ottiene immediatamente b’(q) - c’(q) – s’(q) = 0 , o anche b’(q) = c’(q)+ s’(q) . Definiamo ora q* la quantità che soddisfa tale condizione. Se assumiamo che l’attività sia svolta in condizioni competitive, sicché il prezzo p è dato, nell’ottimo dovrà essere anche p(q*) = p = c’(q*) + s’(q*). In sostanza la quantità q* è tale che il prezzo p(q*) che gli corrisponde sarà pari alla somma dei costi marginali privato e sociale. Se, al contrario, il mercato di A non è 11 rappresentano il “peso” o “potere contrattuale” delle due parti. E’ facile intuire che il “potere contrattuale” può dipendere, tra l’altro, da come i diritti delle parti sono protetti e tutelati dall’ordinamento giuridico. Sotto condizioni che vedremo successivamente con maggiore dettaglio (assenza di costi di transazione e di asimmetrie informative), e indipendentemente dal potere contrattuale delle parti, l’esito della contrattazione è efficiente nel senso che assicura comunque un livello di attività q* che rende massimo il vantaggio delle due parti, ovvero VA + VB = (P(q*) –t) + (C(q*) + t – s(q*) ) = P(q*) + C(q*) – s(q*). Questo risultato può essere descritto graficamente dalla Figura … dove in corrispondenza del livello di attività ottimo q* il prezzo il prezzo sarà p*, cui sono associati un surplus dei consumatori C(q*) misurato dal triangolo X*, un surplus dei produttori P(q*), misurato dall’area somma di Π1* e Π2*, e un costo sociale s(q*) misurato dall’area Π1*. Si noti che se le imprese ottenessero dalla contrattazione il loro intero surplus, questo includerebbe una componente pari all’area Π1* determinata dall’innalzamento del prezzo da p’ a p*. Si tratterebbe di un’extra-profitto generato dall’internalizzazione del danno cui tuttavia non corrisponderebbe alcun risarcimento ai cittadini. prezzo CMP+CMS p* CMP X* Π2* p' Π1* BM q* q’ La negoziazione può dare tuttavia esiti completamente diversi a seconda del potere contrattuale delle parti. Ad un estremo si colloca una distribuzione corrispondente al caso α = 1 in cui il potere contrattuale è completamente a favore dei produttori; all’altro si colloca il caso n α = 0, completamente a favore dei consumatori . Consideriamo più da vicino la questione del potere contrattuale e dell’assegnazione iniziale dei diritti determinata dall’ordinamento giuridico. Si consideri, per cominciare, il caso in cui l’ordinamento protegge il diritto delle imprese a produrre inquinando. Se i consumatori sono razionali, percependo che una riduzione del livello di attività innalza il loro surplus, saranno loro a proporre alle imprese un accordo in cui si impegnano a pagare una somma, in cambio della competitivo b’(q) eguaglierà il ricavo marginale ed il prezzo eccederà la somma dei costi marginali ma la quantità sarà inferiore. 12 riduzione della produzione da q’ a q*. Tale somma dovrà almeno compensare la perdita di profitti determinata dalla riduzione del livello di attività e, al più, essere pari a tale perdita più la riduzione dell’esternalità. Ciò comporterà una distribuzione del surplus più favorevole alle imprese. Consideriamo invece il caso opposto in cui l’ordinamento tutela la collettività e le conferisce il diritto di non subire l’inquinamento opponendosi allo svolgimento dell’attività produttiva. In altri termini i relativi diritti non sono più nelle mani delle imprese le quali non possono produrre se non con il permesso della collettività stessa. In tal caso saranno le imprese a offrire, per poter produrre, una somma compresa tra un minimo pari al valore dell’esternalità ed un massimo pari alla somma di questa e dei profitti ottenuti. Ciò comporterà una distribuzione del surplus più favorevole ai cittadini danneggiati. La differenza tra diverse distribuzioni del surplus complessivo non dipende dal livello di attività contrattato, che in entrambi i casi è pari a q*, bensì nel potere contrattuale determinato dall’assegnazione dei diritti. Quali che siano tali distribuzioni la contrattazione porta a produrre comunque una quantità tale da massimizzare il surplus sociale. Se l’obiettivo dell’ordinamento è solo quello di favorire il massimo surplus sociale, disinteressandosi della sua distribuzione, l’attribuzione iniziale dei diritti è dunque indifferente. Ciò è esattamente quanto afferma la cosiddetta “versione di invarianza” del Teorema di Coase26. In breve: “se i diritti di proprietà sono ben definiti e trasferibili, i costi di transazione nulli e non vi è asimmetria informativa la contrattazione tra le parti produce una soluzione efficiente, indipendentemente dal modo in cui sono assegnati i diritti.” 2.3 Se e quando l’assegnazione iniziale dei diritti sia indifferente Nella sua stessa formulazione il Teorema enuncia però i suoi limiti. Trascuriamo per ora il problema dei costi di transazione e delle asimmetrie informative e dedichiamoci a commentare il problema dell’indipendenza del surplus dall’assegnazione dei diritti. Tale indipendenza si basa sull’assunzione che le parti accettano passivamente l’assegnazione dei diritti, senza preoccuparsene. Tuttavia agenti razionali, se si rendono conto di poter influenzare tale assegnazione in quanto non ancora precisamente determinata dall’ordinamento, possono anche cercare di fare rent seeking spendendo risorse che dissipano parte del surplus sociale per ottenere tale scopo27 . Ad esempio, supponiamo che l’esternalità derivi da un immissione e che l’ordinamento minimo preveda la possibilità di stipulare contratti che consentano le immissioni in cambio di un risarcimento. Se ciò è ammesso per qualsiasi livello di intensità o di tollerabilità, il danneggiato avrà un potere contrattuale maggiore che nel caso in cui sia ammesso contrattare solo quando si superi un livello “normale” di tollerabilità, definito da qualche standard di riferimento. La stessa definizione di normale livello di tollerabilità può essere oggetto di attività di influenza e di rent seeking. La distribuzione di tale surplus tra le parti dipenderà, come si è visto, dai pesi α e (1-α). Ciò può essere visto nella figura 2 dove sugli assi misuriamo i vantaggi delle parti e la linea discendente rappresenta il luogo dei punti che massimizzano il surplus sociale ovvero VA = W(q*) - VB 26 27 Questa è una riformulazione di quanto sostenuto da Coase (1960) Questo problema viene discusso in Jung, Krutilla e Viscusi (1995) 13 Figura 2. La distribuzione del surplus della contrattazione a seconda del potere contrattuale VA α>1/2 α=1/2 VA >VB α<1/2 VA=VB VA <VB VB< VA VB=VA VB>VA VB A loro volta le tre iperboli rappresentano le diverse funzioni di contrattazione corrispondenti a diversi valori di α. Poiché tali valori dipendono da come la legislazione tutela i diritti delle parti, potremmo dire che, in un certo senso, le diverse funzioni di contrattazione rappresentano le funzioni di preferenza collettiva, o del legislatore, circa tale tutela. Se chiamiamo U(VA , VB) tali funzioni, le iperboli corrispondono al caso che esse siano del tipo U(VA , VB) = VAα VB (1-α ) . Dato il livello ottimo del surplus complessivo, le curve rappresentano tutte le combinazioni dei due vantaggi che soddisfano le funzioni stesse28. Ma vi sarà un solo punto che congiuntamente massimizza il surplus sociale e le preferenze collettive circa la tutela giuridica dei diritti. Al contrario se la funzione di preferenza collettiva fosse del tipo U(VA , VB) = VA+ VB essa sarebbe rappresentata da una linea discendente coincidente con il luogo dei punti che massimizzano il surplus sociale e si potrebbe dire che qualsiasi punto, o qualsiasi distribuzione del surplus, 28 Infatti, dato il livello di W(q*), tali iperboli rappresentano la funzione VA = W(q*) /VB 14 soddisfa le preferenze collettive ed effettivamente vi sarebbe indifferenza della distribuzione dei diritti anche dal punto di vista delle preferenze sociali29. I punti di tangenza delle iperboli con il luogo dei punti di massimo surplus sociale individuano la distribuzione dello stesso tra le parti. Come si vede la tangenza della funzione di contrattazione corrispondente ad un peso pari ad α =1/2 si colloca lungo la bisettrice tratteggiata e corrisponde ad una distribuzione tale che VA = VB, Al contrario per α > 1/2 alla tangenza, che si colloca sopra la bisettrice, corrisponde una distribuzione tale che VA > VB ; e viceversa se α < ½ 30. Quanto più i punti di tangenza sono dunque lontani dalla bisettrice, ovvero quanto più il potere contrattuale delle parti è differenziato, tanto più la distribuzione del surplus è diseguale. Supponiamo ora che l’ordinamento debba ancora definire come tutelare il diritto a non subire danni, e che ciò debba essere deciso da una legge in discussione. Spesso si sostiene che l’assegnazione più efficiente sia quella che attribuisce a i diritti a chi ne sappia fare un uso più corretto dal punto di vista sociale, o perché è più informato o perché esercita l’attività che produce più benefici31. Tuttavia se i privati hanno incentivi a sostenere spese di influenza per ottenere dal legislatore la protezione più favorevole32, con l’unico limite di non spendere di più del beneficio che si attendono di ottenere dall’esercizio del diritto, una parte dei loro benefici e perciò del surplus sociale, sarebbe dissipato. Questa situazione potrebbe verificarsi in fasi attuative di una legge, o nel caso di norme di livello inferiore, in cui un regolatore deve decidere come distribuire i diritti iniziali: si pensi ai metodi alternativi di assegnazione dei diritti di inquinamento, oppure alla definizione dei diritti edificatori in un piano regolatore. In tutti questi casi l’attività di rent seeking viene indotta o incentivata dalla speranza di ottenere “un’assegnazione più favorevole”. Come può un ordinamento prevenire il problema del rent seeking? In via del tutto generale si potrebbe sostenere che un principio di parità di trattamento dei cittadini dovrebbe essere sufficiente a impedire assegnazioni di diritti discriminatori che favoriscono alcuni e svantaggiano altri. Tuttavia i principi di eguaglianza affermati a livello costituzionali formale non sono sufficienti quando le concrete assegnazioni dei diritti sono rinviati a norme di rango inferiore. Bisogna tuttavia distinguere situazioni in cui le attività di influenza sono rivolte ad ottenere assegnazioni di favore relative a diritti oggetto di scambi tra soggetti di natura economica diversa, ad esempio tra produttori e consumatori, e situazioni in cui la discriminazione può essere ottenuta tra soggetti della stessa natura (favorendo alcune imprese o alcuni titolari di un cero diritto rispetto ad altri). Nel primo caso rientra quello dei diritti in caso di danno, in cui vi è un soggetto (un’impresa danneggiante) e un soggetto danneggiato. Poiché la negoziazione del risarcimento determina vantaggi delle parti che coinvolgono i loro surplus si tratta di vedere se sia possibile invocare oltre che un diritto al risarcimento stesso anche qualche principio di equità. Gli ordinamenti prevedono spesso nozioni di profitto “giusto” o, al contrario “ingiusto” o “indebito”. Un profitto ingiusto o indebito è quello che deriva da un danno. Allora si potrebbe sostenere che non è negoziabile un risarcimento che consenta al danneggiante gli extra-profitti generati dal prezzo p*. Ciò limita l’ambito della negoziazione in quanto comporta un risarcimento t esattamente eguale al danno subito da B in corrispondenza del 29 Una funzione di questo tipo viene definita benthamita , dal nome di Bentham, massimo esponente dell’utilitarismo ottocentesco inglese, per il quale il benessere collettivo era semplicemente definito dalla somma delle utilità dei singoli. 30 Una funzione di questo tipo, quanto più α è piccolo, tanto più si avvicina ad una funzione che, per analogia, potremmo definire di tipo rawlsiano, nel senso che si basa su di un principio di favore verso il contraente più debole o sfavorita, in questo caso della parte danneggiata. La funzione prende il nome da Rawls (1971) il quale assume come criterio di giustizia una funzione che assicura la massimizzazione del reddito dell’individuo più svantaggiato. 31 Su questo punto si può vedere la discussione in Cooter e altri (1999), pp.92-99 32 In effetti la teoria del rent seeking è nata proprio per discutere gli effetti di legislazioni restrittive di esercizi di attività economiche, come la concessione di licenze all’importazione: Krueger (1974) l’ha ealoborata per prima per discutere questo caso. 15 livello di attività q*, ovvero t = s(q*)33, il che equivale a un principio di responsabilità oggettiva. In tal caso nella funzione di preferenza collettiva incorpora un “potere contrattuale” pari a α = P(q*)/[P(q*) + C(q*)] che sarà maggiore o minore di ½ a seconda delle inclinazione della curva di domanda e di costo marginale privato34. Se però il principio di responsabilità fosse meno stringente, stabilendo solo il diritto ad un risarcimento generico, il potere contrattuale delle imprese sarebbe più forte. Quando invece si tratta di situazioni in cui la discriminazione può favorire soggetti rispetto ad altri della stessa natura (quali produttori sullo stesso mercato o proprietari di cose eguali) la parità di diritti implica eguali vantaggi e, per assicurarla, si richiedono norme che impediscano prezzi o rendimenti diversi dei beni o degli assets patrimoniali posseduti. In tal caso si tratta di simulare il mercato attraverso regole appropriate di distribuzione dei diritti coinvolti. 2.4 In particolare: il problema del rent-seeking Discutendo della teoria della regolamentazione dei mercati, che costituisce uno dei compiti tipici intervento dello Stato, è emersa una critica radicale secondo cui sarebbero spesso gli interessi particolari a determinare le scelte pubbliche. Infatti, quando si tratti di porre rimedio ai fallimenti del mercato, la legislazione che le traduce in norme condiziona l’assegnazione dei diritti di proprietà, ad esempio limitando i diritti di inquinamento o di edificazione, oppure ancora concedendo licenze limitate di gestione di servizi pubblici o di monopoli naturali, generando così delle rendite a favore dei beneficiari di tali diritti. La competizione o la contesa per ottenerli in modo esclusivo dà luogo a particolari costi sociali di rent seeking costituiti dalle spese di influenza sostenute dai privati al fine di ottenere norme discriminatorie a loro favore; e questi vanno a scapito del benessere o del surplus complessivo, dissipandone una parte. Questo argomento può essere definito a giusto titolo “liberista”, perché esplicitamente formulato (in specie negli Stati Uniti) per reagire alla nascita ed alla crescita delle regolamentazioni pubbliche. Si noti peraltro che se l’attività di lobby viene intesa come una sorta di campagna pubblicitaria a favore di determinati provvedimenti legislativi da parte dei suoi sostenitori si potrebbe immaginare che essa abbia anche un valore informativo verso i legislatori. Interpretata in questo modo essa potrebbe dunque avere l’effetto di ridurre i costi pubblici da informazione e, per questa ragione, essa non trova limiti legali in alcuni ordinamenti.35 Tuttavia questa interpretazione lascia aperto il problema di distinguere le attività di influenza che danno luogo ad informazione da quelle che danno luogo a dissipazione.36 La critica basata sul rent seeking si è dimostrata in molti casi fondata dal punto di vista descrittivo poiché l’influenza delle pressioni lobbystiche è innegabile in quasi tutte le legislazioni. Essa appare particolarmente rilevante quando la regolamentazione prende la forma di una limitazione quantitativa dei diritti. Esempi tipici sono costituiti dalla regolamentazione dell’uso delle frequenze televisive, dalla concessione di un numero limitato di licenze (come nel caso dei taxi), dalla definizione dei diritti edificatori nei Piani regolatori. 33 Infatti, se supponiamo , come nel testo, che la funzione di costo privato sia c(q) = cq e quella di costo sociale sia s(q) = sq i costi marginali , privato e sociale, sono pari rispettivamente a c ed s. Essi sono anche pari ai costi medi. In tal caso, se A opera su un mercato competitivo, il beneficio (profitto) unitario, p(q*) – c, eguaglierà il costo marginale sociale s, e quello totale sarà b(q*) = sq*. Sostituendo nella condizione di massimizzazione congiunta rispetto a t, questa diventa max ( sq* – t) α ( t-sq*)(1-α), che comporta t* = sq*. In sostanza la contrattazione produce un risarcimento esattamente eguale all’esternalità o al danno in corrispondenza del livello di attività ottimo. 34 Più precisamente sarà α=1/2 quando le due inclinazioni siano eguali in valore assoluto. 35 Come negli Stati Uniti dove, a differenza di molti paesi europei, la raccolta di contributi da parte dei parlamentari non è in linea di principio sottoposta a particolari controlli. 36 Una discussione analitica di questi aspetti può essere trovata in R. COOTER , The Strategic Constitution, cit., nei capp. 4 e 13. 16 Prendiamo quest’ultimo caso. Poiché la regolamentazione urbanistica definisce un azzonamento o zoning delle aree edificabili, esso impedisce ad una parte dei proprietari di terreni di edificare privatamente, deprivandoli della possibilità di sfruttare economicamente le loro proprietà a scopo edilizio e creando una situazione di discriminazione. Ciò pone evidentemente un problema di equità della regolamentazione urbanistica che tuttavia non discutiamo qui, non essendo questo l’unico nè il principale problema rispetto ad una valutazione di efficienza37. La possibilità di lucrare una rendita per ogni lotto edificato induce molto probabilmente i proprietari ad attivarsi per far sì che siano proprio i loro terreni ad essere dichiarati edificabili38. L’attività di rent seeking può essere descritta in questo modo. In nome del principio di partecipazione la municipalità pubblica un bando in cui chiede ai cittadini, inclusi i proprietari, di fare proposte relative al piano regolatore. I proprietari faranno proposte di edificazione dei loro terreni, spendendo risorse per consulenze urbanistiche e legali che le giustificano. Inoltre se sono in grado di ricorrere alla stampa finanzieranno campagne per supportarle. Si può descrivere tali attività come una contesa tra proprietari. Supponiamo anche che i proprietari siano disposti a spingere le loro spese di influenza fino al punto che il beneficio derivante dalle rendite attese dall’edificazione (al netto di tali spese ) eguaglia la rendita agricola che continuerebbero a percepire se il terreno rimane agricolo. Poichè le rendite attese dipendono dalla probabilità di ottenere il diritto ad edificare e questa probabilità dipende dalla quantità di terreni resi edificabili dall’autorità in rapporto alla quantità totale, le spese di influenza saranno tanto più elevate quanto più grande è la differenza tra le seconde e le prime. Supponiamo ora che i terreni edificabili a seguito dello zoning siano q* = N, ma i proprietari siano in generale in numero maggiore di N e che essi possano presentare più di una proposta di edificazione e siano neutrali al rischio39. Facciamo anche l’ulteriore ipotesi semplificatrice per cui i costi privati marginali sono costanti ed i proprietari siano neutrali al rischio. Se i diritti di edificazione sono attribuiti direttamente dal regolatore (dal Piano regolatore) senza pagamento di contropartita, anziché essere negoziati il loro valore determina una rendita (o extra-profitto) positivo. L’ipotesi di costi marginali costanti comporta che le rendite unitarie dei vari terreni edificabili, che definiamo r, siano uniformi ed i terreni inframarginali non godono di una specifica rendita di posizione40. In assenza di un risarcimento alla municipalità del danno sociale generato dall’urbanizzazione la rendita unitaria su tutti i terreni si riduce ad essere esattamente pari al costo sociale marginale, ovvero r = s ed il surplus dei produttori P(q*) sarà pari al solo termine sq*. Il numero di proposte M è endogeno e soddisfa la condizione di neutralità al rischio per cui la rendita unitaria attesa, r, al netto dei costi di influenza, f, moltiplicata per la probabilità di successo ( N / M ), meno le spese di influenza o di rent seeking su ogni singolo lotto per la probabilità di insuccesso ( M- N) / M, deve essere pari a zero, ovvero: ( r-f ) ( N / M ) - f ( M- N) / M = 0 Ciò implica ovviamente 37 Per una sintesi del dibattito giuridico in Italia vedi Boscolo (2001a), oppure Urbani e Civitare Matteucci (2004) 156159.). 38 Questo problema è discusso soprattutto in letteratura urbanistica ed economica. Per tutti si veda Mills (1989) 39 In questo punto seguiamo la trattazione di Mills (1989, p.7) 40 Ciò, a sua volta equivale a dire che, a differenza di quanto previsto nei paragrafi precedenti e nei relativi grafici, la funzione di costo privato è del tipo c(q) = cq. Con questa ipotesi infatti il costo marginale c è costante ed eguale al costo medio, e la curva CMP è parallela all’asse delle ascisse. Se i costi medi e marginali sono costanti per ogni terreno non vi sarà alcuna rendita di posizione. L’ipotesi di rendite unitarie uniformi serve a semplificare l’analisi del rent seeking nel senso che la sua formalizzazione, in tal caso, può prescindere dalle complicazioni derivanti dal fatto che ogni diritto edificatorio genera una rendita diversa ed il valore dei diritti contesi è diverso. 17 r(N/M) = f ovvero rN = fM Questa è anche interpretabile come condizione di lungo periodo nel senso che, se le proposte sono meno di M , ulteriori proposte addizionali potranno ancora ottenere rendite positive al netto dalle spese di influenza. Ciò comporta “entrata” di nuovi proponenti disposti a sostenere spese di influenza, purchè minori o eguali alla rendita, fino al numero di M. Da questa condizione si ottengono endogenamente sia il numero di proposte pari a M = N ( r / f) , che l’ammontare complessivo delle spese di influenza pari a: F = f M = rN = sN = sq* . In sostanza sarà F = sq* = P(q*). Questo risultato mostra anche che le spese di influenza dissipano (nelle ipotesi qui assunte) totalmente le rendite o il surplus dei produttori. Questa è naturalmente una conclusione particolarmente estrema, dipendendo soprattutto dalle ipotesi semplificatrici che abbiamo adottato, le quali comportano che i contendenti per i diritti edificatori sono disposti a spendere in attività di influenza tanto quanto sono le rendite che si attendono di guadagnare, rimanendo solo con un profitto pari alla rendita agricola. In una trattazione appena più sofisticata, nonché più realistica, in cui il numero dei proponenti M è prefissato, vi è avversione al rischio anziché neutralità, e presenza di rendite di posizione, ciò non avviene41. In particolare se M è prefissato le spese di influenza cresceranno al crescere del numero dei pretendenti dei diritti edificatori relativamente al numero al numero delle terre rese edificabili, ma dissiperanno solo una parte delle rendite . In secondo luogo bisogna tener conto, come faremo nel paragrafo successivo, che i contendenti per i diritti edificatori sostengono delle spese che potrebbero non essere “puri costi” che si dissipano completamente. Ad esempio alcune spese di partecipazione sono dei trasferimenti ad altri soggetti e quindi una mera redistribuzione di surplus anziché una sua dissipazione. In particolare se la municipalità chiedesse degli oneri o fees di urbanizzazione questi sarebbero usati a favore della collettività e entrerebbero ( a parte qualche costo relativo al loro utilizzo) a far parte del surplus dei consumatori senza essere sprecati. Ciò premesso se calcoliamo il benessere sociale (somma dei surplus meno i costi sociali) deducendo anche il rent seeking otteniamo la seguente definizione di WZ (q* ), dove il deponente fa riferimento ad una situazione di regolamentazione mediante zoning: WZ (q* ) = C(q* )+ P( q* ) – F – s q* la quale, essendo F = sq* = P(q*), alla fine equivale a WZ (q* ) = C(q* ) – s q* Questa relazione ci dice che, in caso di rent seeking, il benessere si riduce al surplus del consumatore diminuito del costo sociale, in quanto il surplus dei produttori sarebbe completamente dissipato dalle loro spese di influenza. 41 In particolare se M > N è prefissato, sarà F = F(N, M) tale che le spese di influenza crescono al crescere del numero dei contendenti ( qui terreni ) M e decrescono con il numero dei vincitori ( qui dei terreni edificabili) M. Tale funzione non è monotona e la sua forma dipende da come viene formalizzata la contesa ( in genere detta all pay auction o “asta dove tutti pagano”), ma comunque comporta che F tende a zero quando N tende a M. Si veda per una caratterizzazione di tipo generale Cark e Riis (1996). Per una specificazione più semplice in cui le spese di influenza dipendono monotonicamente da M e N , e quindi dalla loro differenza, si veda Berry (1993); mentre per una discussione degli effetti dell’avversione al rischio si veda Nitzan (1994). 18 Possiamo ora fare un primo confronto tra benessere nella soluzione di mercato, ovvero senza regolamentazione, e nello zoning con regolatore perfettamente informato. A questo proposito dobbiamo ricordare che abbiamo assunto per semplicità assenza di rendite di posizione sicché in assenza di regolamentazione il surplus dei produttori P( q ) si annulla. Definendo q’ la quantità edificata in assenza di regolamentazione, possiamo allora dire che sarà più efficiente regolare il mercato se: WZ (q*) > W(q’) ovvero se C(q*) – s q* > C(q’) – s q’ , In breve: in una regolamentazione quantitativa la contesa per i diritti edificatori determina la dissipazione dell’extra-rendita. Tale dissipazione è completa se le proposte di edificazione continuano a crescere fino a che le rendite attese superano le spese di influenza. In tal caso ( se i costi marginali sono costanti) il benessere sarà pari al surplus dei consumatori diminuito del costo delle esternalità. Allora la regolamentazione continua ad essere più efficiente del mercato non regolato solo se le esternalità sono “rilevanti” 42. Se invece le esternalità non fossero rilevanti potrebbe essere preferibile “lasciar fare al mercato” piuttosto che attuare una regolamentazione costosa per le attività di influenza che determina. 2.5 Metodi per prevenire il rent-seeking: aste e mercati dei diritti Vi sono due modi per evitare la dissipazione dovuta al rent seeking . Organizzare un’asta per assegnare i diritti allo scopo di evitare gli effetti dissipatori di una contesa; prevenirlo mediante un’assegnazione di diritti uniformi a tutti i proprietari. In un asta il regolatore si confronta con una molteplicità di soggetti interessati a concludere uno o più contratti il cui numero è comunque inferiore al numero dei potenziali contraenti43. Nell’asta, a parte modesti costi di partecipazione che tutti pagano, solo i vincitori assegnatari pagano i diritti secondo un prezzo di aggiudicazione che, costituendo un trasferimento al regolatore, non dissipa il surplus. Se l’asta è efficiente, come qui assumiamo, il benessere non verrà compromesso. Tuttavia va detto che, in via di fatto, non in tutti i casi è facilmente praticabile il ricorso 44 all’asta . Esso è stato praticato nell’assegnazione dei diritti all’uso di frequenze dell’etere. Nel caso dell’urbanistica, invece, un Piano regolatore effettua una selezione dei terreni edificabili, ( ad esempio in prossimità del centro già edificato) per evitare fenomeni indesiderati di disordine urbano o urban sprawl che comportano elevati costi sociali in specie in termini di beni pubblici, e distinguendola da quella da mantenere agricola o a parco naturale. Un’asta indiscriminata tra tutti i proprietari il cui unico criterio fosse quello di attribuire i diritti a chi offre il massimo trasferimento o prezzo di aggiudicazione non potrebbe prevenire l’urban sprawl. 42 Per comprendere questo punto assumiamo che la funzione di domanda inversa sia lineare ovvero p(q) = a -dq, sicché la quantità edificata nella soluzione di mercato, ovvero in assenza di regolamentazione, sarà pari a q’ = (a-c)/ d, mentre quella in presenza di regolamentazione sarà pari a q* = (a-c-s)/ d . A sua volta il surplus del i consumatori sarà C(q’ ) =d q’ 2/2 senza regolamentazione, e C(q* ) =d q* 2/2 in presenza di regolamentazione. Sostituendo i valori di q’, q*, C(q’ )e C(q* ) nella disuguaglianza C(q*) – s q* > C(q’) – s q’ , tale condizione si riduce a s > 2/3( a-c). Per interpretarla si tenga conto che a = p(0), ovvero che a rappresenta il massimo prezzo che gli acquirenti sono disposti a pagare, o anche il segmento OZ della Figura 3. A sua volta c è il costo privato marginale. L’esternalità è particolarmente rilevante nel senso che copre gran parte, o più di due terzi, della differenza (a-c). 43 Vedi Mori (2005) In letteratura teorica l’ipotesi dell’asta viene spesso discussa: vedi ad esempio Mills ( 1989). Anche la proposta di legge Sullo, citata più sopra, prevedeva il meccanismo dell’asta pubblica per l’allocazione dei diritti edificatori. 44 19 In questo caso, poiché le circostanza che determina il rent seeking è costituita dall’eccesso di contendenti rispetto al numero dei vincitori ( coloro che ottengono il diritto ad edificare), una regola potrebbe essere quello di riconoscere tanti diritti quanto sono gli aspiranti. Ma poichè la quantità ottima di edificazione è prederminata dal regolatore, si tratterà di redistribuire i diritti in modo che questa regola sia rispettata. Facciamo un esempio semplice. Supponiamo che, in presenza di una regolamentazione tradizionale, vi sia un diritto per ogni unità di superficie edificabile e che tale diritto comporti una edificazione della stessa misura. Ciò equivale a dire un indice edificatorio pari ad uno45. Supponiamo invece che la municipalità decida di attribuire diritti uniformi a tutti i proprietari in modo da prevenire il rent seeking. Allora, se il numero ottimo di terreni o lotti edificabili è N = q*, ed i proprietari sono invece M, si devono distribuire diritti di pari ammontare di edificazione tra tutti i proprietari, facendo in modo che un diritto valga per una edificazione pari a N/M< 1. Tale rapporto può essere interpretato come quell’indice edificatorio che consentirebbe a tutti i proprietari di edificare in una misura tale che globalmente l’edificazione ottima sia rispettata. Se il regolatore decide ed annuncia tale assegnazione di diritti non si metterà in modo alcuna contesa tra proprietari e non si verificheranno spese di influenza né la conseguente dissipazione di surplus. Conseguentemente il benessere sociale sarà pari esattamente al surplus del consumatore, ovvero: WZ (q* ) = C(q* ) E da esso non dovrà essere dedotto alcun ulteriore elemento a causa delle spese di influenza dovute al rent seeking. In breve: in una regolamentazione urbanistica con mercato di diritti edificatori trasferibili uniformi ( di tipo perequativo) non vi sono spese di influenza né dissipazione del surplus. In assenza di altri costi amministrativi o informativi il benessere collettivo coincide con quello dell’ottimo sociale. La decisione di attribuire diritti uniformi, se è accompagnata dalla libera trasferibilità e commerciabilità degli stessi, equivale alla costituzione di un mercato dei diritti detti tradeable development rights, simile per diversi aspetti a quello dei diritti di inquinamento, detti tradeable pollution permits, a cui si ricorre nella regolamentazione ambientale46. Tale procedura, detta anche perequazione, è stata in effetti utilizzata nei piani regolatori di recente generazione proprio per prevenire la discriminatorietà della regolamentazione mediante azzonamento ed il rent seeking 47. Si deve però osservare che se un piano regolatore determina anche l’ambito delle aree edificabili, l’edificazione dovrà essere tutta concentrata in tale ambito anziché distribuito su tutti i lotti. In tal caso si pone il problema della separabilità del diritto a edificare dalla proprietà, e della sua trasferibilità in modo che questo possa essere trasferito da un ambito all’altro. In altri termini, se il territorio su cui l’edificazione viene concentrata appartiene solo ad alcuni proprietari, questi dovranno acquistare i diritti da coloro che non possono invece edificare sui loro lotti, e saranno disposti a pagarli ad un prezzo tendenzialmente eguale alle rendite che si attendono dall’edificazione resa possibile dai diritti acquistati. D’altra parte i proprietari dei terreni non edificabili saranno disposti a vendere a quel prezzo i loro diritti, poiché consente loro di lucrare 45 Ad esempio potrebbe trattarsi di un edificio di 1000 mq. su un lotto di pari superficie, ma distribuito su tre piani di 1000/3 mq. Così due terzi della superficie del lotto potrebbe rimanere non coperto e dedicato al giardino ed agli accessi. 46 Sui diritti di inquinamento si veda ad esempio Cropper e Oates (1992) 47 Per una esposizione più dettagliata dal punto di vista urbanistico si veda Forte (2000) e Jacobs (1997) ; dal punto di vista giuridico Boscolo (2001a e b). L’INU ( Istituto Nazionale di Urbanistica) è stato il primo a proporre una riforma della legge urbanistica in senso perequativo nel 1995. Da allora diverse leggi regionali e la stessa proposta di nuova legge nazionale vi fa riferimento. 20 un’extra-rendita oltre a quella agricola altrimenti irrealizzabile. Come abbiamo già visto la trasferibilità non è prevista per ora dall’ordinamento nazionale vigente ma solo dalle proposte di riforma urbanistica o da alcune leggi regionali di recentissima approvazione, anche se alcuni piani regolatori prevedono contratti di trasferimento di diritti (detti di volumetria) la cui validità è stata ammessa dalla giurisprudenza amministrativa48. Se il mercato dei diritti è competitivo il prezzo dovrebbe eguagliare, o almeno approssimarsi all’extra-rendita attesa (al netto degli oneri per coprire i beni pubblici), pari al valore dell’esternalità s2 per ogni unità di superficie edificata. Ma anche nel caso che il mercato dei diritti non fosse perfetto, ad esempio a causa di asimmetrie informative o di diverso potere contrattuale tra acquirenti e venditori, la sua costituzione potrebbe comunque realizzare lo scopo di prevenire il rent seeking. 3. Come i diversi ordinamenti tutelano o limitano i diritti nell’interesse generale Oggetto. In questo capitolo si torna alla semplice tipologia degli ordinamenti giuridici sopra delineata per discutere come la loro efficienza sociale dipenda da costi transattivi, giudiziali, amministrativi ed informativi. Si mostra in particolare come la presenza di costi transattivi positivi crei le condizioni per l’emergere di un ordinamento liberale; se anche i costi giudiziali sono esorbitanti si creano le condizioni per l’emergere di un ordinamento regolatorio. Questo a sua volta può essere caratterizzato da alti costi amministrativi, informativi o di influenza che, in certe circostanze, potrebbero rendere più efficienti altri ordinamenti Possiamo ora riprendere la tipologia degli ordinamenti cui abbiamo fatto riferimento più sopra per vedere come in essi i diritti di proprietà siano concretamente tutelati o limitati allo scopo di perseguire il massimo benessere sociale, e quale ruolo abbia le pubbliche autorità che esercitano funzioni giudiziali o regolatorie. Tali ordinamenti sono discussi in ordine crescente, a seconda dell’intensità di tale ruolo49. 3.1 Ordinamento minimo: danneggianti e danneggiati negoziano solamente Nell’ordinamento minimo lo Stato si astiene dallo stabilire regole o norme legali circa la soluzione del problema dei danni o delle esternalità, o dall’intervenire direttamente con iniziative proprie, e lascia che le parti lo risolvano spontaneamente mediante accordi o negozi bilaterali, riservandosi solo di dirimere eventuali controversie circa gli adempimenti degli stessi. In tale ordinamento sono ammissibili diversi tipi di assegnazione dei diritti. Essi, in altri termini, possono essere assegnati in modo più favorevole al danneggiato o al danneggiante. Come abbiamo visto ciò determina diverse distribuzioni del surplus sociale. Supponiamo, per cominciare, che sussistano condizioni per cui l’informazione circa costi privati e sociali sia perfetta ed i costi transattivi siano trascurabili. Ad esempio un ristorante potrebbe prevenire le proteste dei vicini per rumori notturni pagandoli per ottenere il diritto a rimanere aperto fino a tarda notte. Lo stesso potrebbe fare una fabbrica che emette fumi, accettando una regola di precauzione che si traduce nell’adozione costosa di un filtro disinquinante a richiesta dei vicini. Oppure ancora una fabbrica che provoca congestione in termini di passaggio di veicoli pesanti su una strada di piccolo calibro potrebbe impegnarsi, a seguito degli accordi, ad allargarla. Il vantaggio deriva dal fatto che in assenza di accordi né il ristoratore né i titolari delle fabbriche potrebbero produrre, e nel fatto che i benefici dell’attività produttiva superano i costi derivanti dagli accordi stessi. In tutti questi casi potremmo 48 49 Su questo punto si veda Urbani e Civitarese Matteucci (2004), pp. 224-226. In questa parte si segue da vicino l’esposizione di Shavell (2005), cap.5 21 dire che i danneggianti internalizzano ( incorporano nei propri costi) le esternalità negative ( ovvero i danni) che generano. Come abbiamo visto nel precedente capitolo ciò garantisce un esito efficiente nel senso che viene ottenuto il massimo surplus delle parti. L’assunzione di assenza di costi transattivi e di asimmetrie informative produce dunque un risultato, asserito dal teorema di Coase, che qui possiamo riformulare nella seguente versione semplificata: se i costi di transazione sono nulli e non vi è asimmetria informativa la contrattazione tra le parti produce una soluzione efficiente. Naturalmente il problema è quello di verificare se tali ipotesi siano valide. Tralasciando comportamenti emozionali (o litigiosi), se c’è prossimità delle parti, un corretto livello di conoscenza dei danni e le parti sono poco numerose non sarà difficile convenire sul risarcimento. L’accordo potrà avvenire senza formalizzazioni eccessive e dunque con costi transattivi ed informativi trascurabili. Vi sono tuttavia molte ragioni per ritenere che gli accordi tra le parti non siano efficienti oppure falliscano perché eccessivamente onerosi, o ritenuti tali dalle parti a causa della numerosità delle parti, del fatto che esse non sono prossime o della loro informazione incompleta. Consideriamo ad esempio un semplice caso di immissioni, supponendo che esse superino la normale tollerabilità. Se non è precluso che le parti contrattino un risarcimento contro il diritto ad immettere, le parti ricorreranno alla negoziazione se ciò sarà mutuamente vantaggioso. Supponiamo però che le parti siano numerose e non prossime, come nel caso di una fabbrica che emette fumi su un territorio ampio e densamente popolato. Ciò implica un impegnativo coordinamento tra i danneggiati, ad esempio la costituzione di un comitato che, a sua volta, delega dei negoziatori a trattare. In tal caso i costi transattivi potrebbero essere elevati. Se poi le parti danneggiate, oltre a essere numerose, non sono in grado di quantificare perfettamente il danno, né di ripartirlo in modo corretto a seconda dei diversi gradi di prossimità o di lontananza, si dovranno sostenere spese di perizia che si aggiungono alle precedenti. In questi casi la negoziazione privata è troppo costosa e l’ordinamento è inefficiente. Infatti un ordinamento efficiente dovrebbe prevedere delle tutele addizionali affidandone ad una pubblica autorità l’attuazione. Di quali tutele si debba trattare (inibitorie, risarcitorie o regolatorie50) dipende essenzialmente dall’entità dei ai costi amministrativi ed informativi delle stesse relativamente ai costi transattivi della negoziazione privata. 3.2 Ordinamento liberale classico con tutele inibitorie Supponiamo ora che la numerosità dei danneggiati non sia tale da comportare gravi difficoltà di coordinamento tra di loro né ingenti costi di transazione nella negoziazione. Al limite potrebbe trattarsi del caso di un solo danneggiato in cui tuttavia la litigiosità delle parti circa la corretta entità del danno rende i costi di transazione positivi. Supponiamo anche che i costi informativi siano molto elevati non solo per le parti ma anche per un giudice chiamato a dirimere la controversia, sicché un corretto risarcimento è difficilmente quantificabile in via giudiziale. Allora può essere più efficiente ricorrere ad un giudice non per ottenere un giudizio di risarcimento, bensì per ottenere di inibire, in tutto o in parte, l’azione dannosa mediante un ordine di astenersi da una determinata condotta In breve: se i costi transattivi sono positivi ma inferiori ai costi amministrativi e informativi di un giudizio, il rimedio più efficiente può consistere in una ingiunzione al danneggiante. Questo rimedio, consistente in una tutela di tipo inibitorio, è frequentemente utilizzato in ordinamenti di common law, ma più raramente previsto in ordinamenti di civil law. Ad esempio in 50 La distinzione tra tutele risarcitorie e inibitorie ha a che fare con la distinzione tra liability rule e property rule spesso usata nella letterature di Analisi economica del diritto. Su questa distinzione si veda Calabresi e Melamed (1974) 22 quello italiano esso è previsto nel caso di “denunzia di nuova opera” e di “danno temuto”, di cui agli artt.1171 e 1172 cc., per i quali il titolare di un bene che abbia ragione di temere un danno allo stesso da una nuova opera o da un bene sovrastante può chiedere all’autorità giudiziaria l’interruzione dell’opera o un intervento volto a prevenire il danno atteso. Anche tale tipo di tutela, in linea di principio, può essere fatta valere da entrambe le parti: dal danneggiato per non subire il danno, o dal danneggiante se gli viene impedita l’attività. Qui l’iniziativa pubblica è evidentemente superiore in intensità a quella dell’ipotetico ordinamento minimo, ma rimane sostanzialmente limitata alla funzione giudiziale cui peraltro viene richiesto non un giudizio circa l’entità del danno e del risarcimento ma solo un’ingiunzione. L’iniziativa amministrativa in funzione regolatoria non ovviamente invece ruolo alcuno. 3.3 Ordinamento liberale classico con tutele risarcitorie Supponiamo ora che per le ragioni precedentemente considerate, in particolare per la numerosità dei danneggiati, vi siano ostacoli alla cooperazione che comportano alti costi transattivi nonché elevati rischi di fallimenti della contrattazione. Il ricorso ad un giudice, per tutelare un diritto alla salute o a non subire immissioni intollerabili sulle proprietà ottenendo l’abbattimento dei fumi o dell’inquinamento, può comportare costi di tipo amministrativo inferiori ed evitare i rischi di fallimento degli accordi. In breve: quando i costi amministrativi di giudizio sono inferiori ai costi transattivi della negoziazione, il rimedio più efficiente consiste nel ricorso al giudice per ottenere un risarcimento. In altri termini l’ordinamento più efficiente potrebbe essere quello che prevede un sistema giudiziario a cui rivolgersi per ottenere un risarcimento del danno ex-post. Come abbiamo visto, un principio di risarcimento commisurato al danno corrisponde ad una preferenza verso un’assegnazione di diritti che protegge in modo “equo” il danneggiato ed il danneggiante. Inoltre una protezione di questo tipo può essere giustificata come capace di incentivare comportamenti di precauzione o di internalizzazione ex-ante dell’esternalità. Si potrebbe anche dire che la regola della responsabilità ha una funzione di deterrenza, ed è forse per questo che essa viene usata assai più diffusamente delle ingiunzioni soprattutto negli ordinamenti continentali. Ad esempio l’art. 844 cc. sulle immissioni ammette, nei casi di superamento della normale tollerabilità, il ricorso al giudice ai fini di una conciliazione degli interessi che può anche consistere ( secondo l’art.912 cc.) nell’assegnazione di un risarcimento alla parte danneggiata. In tal caso si può parlare di una regola di responsabilità in capo al danneggiante, che protegge il danneggiato. Sotto la regola della responsabilità per colpa ( o negligence rule) il danneggiante viene richiesto di pagare se si stabilisce un nesso di causalità tra l’azione e il danno. Invece sotto la regola della responsabilità oggettiva, in cui evidentemente la funzione di deterrenza è più accentuata, il risarcimento è dovuto per la sola circostanza di aver commesso il fatto anche senza colpa. 3.4 Ordinamento con tutele di tipo regolatorio Se le esternalità ed i danni sono molto diffusi o di tipo generale, sia i costi transattivi e legali per i privati che i costi amministrativi legati all’esercizio dell’attività giurisdizionale potrebbero diventare esorbitanti. Un’agenzia o amministrazione pubblica potrebbe inoltre acquisire con minori costi informativi, una adeguata conoscenza dei danni. Ancora, per quanto la regolamentazione richieda essa stessa dei costi amministrativi (o di enforcement), questi potrebbero essere inferiori 23 non solo ai costi transattivi e legali che i privati dovrebbero globalmente sostenere, ma anche ai costi amministrativi dell’apparato giudiziario. Infine se la regolamentazione assume “regole semplici” quali quelle delle distanze dai vicini per l’edificazione, i costi di monitoraggio sono di immediata verifica, mentre nel caso di soluzioni negoziali o giudiziali la verifica dell’esecuzione dell’accordo in ogni caso bilaterale, o della sentenza, sarebbe certamente più costoso51. In tal caso una regolamentazione diretta da parte di una pubblica autorità potrebbe essere socialmente più efficiente. In breve: quando sia i costi transattivi che quelli informativi ed amministrativi dei giudizi diventano esorbitanti allora la regolamentazione può essere più efficiente delle tutele inibitorie o risarcitorie. Ad esempio l’art 890 c.c. fissa regole di distanze minime per attività che possano essere all’origine di possibili inquinamenti o danni ai vicini. Tutta la sezione V eVI del titolo dedicato alla proprietà è poi dedicata a prescrizioni circa le edificazioni ed ai vincoli di distanza ed altre regole edilizie che tutelano il diritto alla sicurezza, al panorama, ecc; l’art. 869 stabilisce che le costruzioni devono osservare le prescrizioni dei Piani regolatori locali. L’ordinamento prevede in questi casi una pubblica amministrazione che attui interventi diretti mediante prescrizioni o regolamentazioni. Qui l’inibizione a svolgere l’azione o la limitazione della stessa non avviene per iniziativa del titolare del diritto ma direttamente dalla legge e dalla sua applicazione da parte di apparati amministrativi o di agenzie di regolamentazione. Si noti anche che la pubblica amministrazione agisce mediante una considerazione generale di tutti gli interessi delle parti. Tuttavia l’ordinamento, a fronte di esternalità generali e diffuse, potrebbe prevedere che taluni diritti siano messi direttamente in capo o a disposizione dell’intera comunità che se ne fa carico in prima persona. Esempi abbastanza frequenti sono quelli dei diritti di inquinamento nelle legislazioni ambientali o di quelli edificatori in quelle urbanistiche. Nell’ipotesi che il regolatore sia sufficientemente informato sui costi privati e sociali egli può dunque fissare direttamente il livello socialmente ottimo di produzione ottimo q*. Alternativamente potrebbe fissare un’imposta t = s(q*), detta pigouviana. La comunità, potendone disporre, avrebbe anche la possibilità di farne oggetto di negoziazione. In tal caso l’attività di intervento di correzione delle potrebbe prendere la forma di promozione di un mercato dei diritti, o addirittura di veri e propri procedimenti negoziali, anziché di provvedimenti unilaterali o imperativi. 3.5 Problemi di costi specifici della regolamentazione Le procedure amministrative di tipo regolatorio sono ovviamente costose in sé, come lo sono le procedure negoziali e giudiziali. Ma vi sono anche, oltre ai normali costi di funzionamento, degli costi informativi pubblici che tipicamente caratterizzano un mondo reale privo di informazione perfetta. Se infatti si può ritenere che una agenzia regolatoria possa organizzarsi in modo da minimizzare i costi informativi su talune esternalità, una regolamentazione quantitativa presuppone anche la conoscenza di costi privati, circa i quali potrebbe esservi invece asimmetria informativa ( minore informazione rispetto alle imprese o soggetti danneggianti). Inoltre bisogna tener conto di un particolare tipo di costo che attiene al processo stesso di decisione di attribuzione o limitazione dei diritti che, come abbiamo visto più sopra, consiste nei costi di influenza o di rent seeking. Sia in questo caso che in quello di asimmetria informativa la 51 Su questo punto si veda Glaeser e Shleifer (2001b) 24 teoria della regolamentazione ha elaborato procedure per evitare i costi relativi, ad esempio incentivando la rivelazione delle informazioni private o cercando di prevenire i costi di influenza. In breve: se l’esercizio di una funzione regolatoria comporta elevati costi da asimmetria informativa o da rent seeking la pubblica amministrazione deve valutare se questi sono evitabili o contenibili in modo che non si verifichi una perdita di benessere superiore alle soluzioni alternative delle esternalità. In termini più generali potremmo dire che mentre nella sfera del diritto privato il perseguimento del criterio di efficienza sociale consiste in norme che hanno lo scopo di rimuovere o prevenire o minimizzare gli effetti di costi privati ( transattivi o informativi) oltre che quelli sociali da esternalità, nell’ambito del diritto pubblico e amministrativo esso deve tener conto di ulteriori costi sociali tipici dell’attività amministrativa o regolatoria. Per sintetizzare ulteriormente con uno slogan, solo se i fallimenti del governo sono inferiori ai costi sociali da fallimento delle negoziazioni o del mercato, le norme ( o le attività) del diritto pubblico ed amministrativo saranno efficienti. 25