1 - Commercialista Telematico

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Cassazione Civile Sezioni Unite sentenza n.
19246 del 9 settembre 2010:
art. 645 c.p.c. comma 2, improcedibilità di
massa delle opposizioni a decreto iniguntivo?
Di Michele Gobbi Ardini
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 19246 del 09.09.2010 ha
creato un’annosa questione di “overruling” travolgendo l’interpretazione dell’art.
645, comma 2 c.p.c., costantemente seguita a partire dal lontano 1955 (Cass. 12
ottobre 1955, n. 3053).
Fino a questa pronuncia della Suprema Corte, la riduzione alla metà del termine di
costituzione dell’opponente, ai sensi dell’art. 645, 2º comma, c.p.c., era unicamente
un effetto conseguente al fatto che l’opponente avesse assegnato all’opposto un
termine a comparire inferiore a quello legale e non discendeva assolutamente dalla
mera proposizione dell’opposizione: pertanto gli opponenti che avevano assegnato
all’opposto un termine di comparizione pari o superiore a quello legale e che si
erano costituiti in giudizio entro dieci giorni dalla notificazione dell’opposizione
potevano confidare sulla procedibilità dell’opposizione. Oggi questo affidamento
svanisce perché le costituzioni in giudizio dell’opponente successive al quinto
giorno dalla notificazione dell’opposizione, tempestive secondo il diritto vivente al
tempo in cui sono avvenute, sarebbero da qualificare come tardive. E’ questo
l’aspetto più drammatico della questione: il nuovo orientamento deve essere
considerato di efficacia retroattiva oppure no?
Nella prima ipotesi, nell’ambito dei giudizi ancora in corso, l’opposizione dovrebbe
essere dichiarata improcedibile ed il decreto ingiuntivo dovrebbe consolidarsi come
immutabile, determinando così l’assurda conseguenza che, con pronuncia di rito, e
non di merito, una cospicua mole di procedimenti di opposizione a decreto
ingiuntivo subirebbe una sorta di stralcio extra ordinem: la vicenda parrebbe
essere, a tutti gli effetti, un tentativo di smaltimento ex abrupto di cause pendenti.
Tanto più sembrerebbe inaccettabile una simile interpretazione alla luce dei
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Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è violativa della Legge 633/1941 e pertanto perseguibile penalmente
sacrosanti principi del giusto processo, ma ancor prima in virtù di una delle più
importanti regole di etica processuale, la quale supera ogni limite temporale, ossia il
divieto di mutare le regole del processo quando esso è in corso. Ciò vuol dire che,
per non incorrere in violazione delle norme costituzionali (art. 111 Cost.),
internazionali e comunitarie che garantiscono il diritto ad un Giusto Processo, il
giudice di merito dovrebbe escludere la retroattività del principio di nuovo conio,
poiché le regole del contraddittorio devono essere predeterminate, previamente
conoscibili dalle parti e non devono essere esposte all’alea di modificazioni
sopravvenute. Si potrebbe a tal proposito, parafrasando l’antico brocardo “tempus
regit actum”, affermare per analogia: “tempus regit processum”. E’ comunque
doverosa una precisazione. In quanto fonti produttive di norme interpretative, le
pronunce giudiziarie producono effetti in senso lato “retroattivi”, ma nel senso che
la giurisdizione, giudicando, interpreta ed applica il diritto (il quale per sua natura
intrinseca “preesiste”) ad una fattispecie fattuale; il mutamento di giurisprudenza
costante della Corte di Cassazione in materia di interpretazione di norme
processuali è uno ius superveniens irretroattivo (cfr. R. Caponi, “Tempus regit
processum” Un appunto sull’efficacia delle norme processuali nel tempo).
Pertanto, bisogna distinguere nettamente i mutamenti di orientamento costante
della giurisprudenza di Cassazione che riguardano l’ermeneutica di norme
sostanziali da quelli che interessano le norme processuali. Mentre per il diritto
sostanziale l’orientamento della Suprema Corte riveste il ruolo di precedente con
efficacia retrospettiva, così non è, e non deve esserlo, per il diritto processuale.
Sul punto si rimandano i lettori all’esame del lucidissimo articolo del Prof. REMO
CAPONI, il quale svolge un’accurata opera di commento critico sia alle motivazioni
della sentenza n. 19246 del 9 settembre 2010, sia ai possibili risvolti pratici della
stessa:
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Possibili rimedi: la rimessione in termini.
Benché gran parte delle opinioni di autorevoli giuristi sostengano che
un’interpretazione conforme alla garanzia costituzionale della predeterminazione
delle regole processuali imporrebbe di applicare il nuovo orientamento
interpretativo della Cassazione unicamente ai giudizi instauratisi in epoca
successiva all’overruling, da più parti (ed in diversi Fori) si propende per la
concessione (anche d’ufficio) della rimessione in termini (cfr. Cass. 17 giugno 2010
n. 14627 e 21 luglio 2010 n. 15811)1. Le opinioni discordi, ma a mio giudizio fondate,
non vedono l’utilizzo di questo istituto se non come una “finzione giuridica”, poiché
sarebbero del tutto carenti i presupposti per la rimessione in termini. Infatti i
sostenitori della pronuncia della Cassazione quale ius superveniens irretroattivo
ritengono che l’applicazione dell’art. 153 c.p.c. presupponga in defettibilmente : 1)
l’inosservanza di un limite temporale assegnato al compimento di un atto
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Suprema Corte di Cassazione
sentenza n° 15811 del 2 luglio 2010
Alla luce del principio costituzionale del giusto processo, va escluso che abbia rilevanza preclusiva l'errore della
parte la quale abbia fatto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata, al tempo della
proposizione dell'impugnazione, giurisprudenza di legittimità sulle norme regolatrici del processo,
successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, e che la sua iniziativa possa essere
dichiarata inammissibile o improcedibile in base a forme e termini il cui rispetto, non richiesto al momento del
deposito dell'atto di impugnazione, discenda dall'overruling; il mezzo tecnico per ovviare all'errore
oggettivamente scusabile è dato dal rimedio della rimessione in termini, previsto dall'art. 184 bis c.p.c. ("ratione
temporis" applicabile), alla cui applicazione non osta la mancanza dell'istanza di parte, dato che, nella specie, la
causa non imputabile è conosciuta dalla corte di cassazione, che con la sua stessa giurisprudenza ha dato
indicazioni sul rito da seguire, "ex post" rivelatesi non più attendibili.
Tribunale di Torino, sez. I civ. 11 ottobre 2010
Alla luce del principio costituzionale del giusto processo (art. 111 Cost.), l'errore della parte che abbia fatto
affidamento su una consolidata (al tempo della proposizione della opposizione e della costituzione in giudizio)
giurisprudenza di legittimità sulle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di
orientamento interpretativo, non può avere rilevanza preclusiva, sussistendo i presupposti per la rimessione in
termini (art. 153 c.p.c. nel testo in vigore dal 4.7.2009), alla cui applicazione non osta la mancanza dell'istanza di
parte, essendo conosciuta, per le ragioni evidenziate, la causa non imputabile (così, Cass., sez. II, ordinanze
interlocutorie nn. 14627/2010, 15811/2010 depositate il 17.6.2010 ed il il 2.7.2010). Pertanto, la tardiva
costituzione dell'opponente e la decadenza che ne è derivata sono riconducibili ad un causa non imputabile
all'opponente stesso, con la conseguente sussistenza dei presupposti per rimettere in termini l'opponente, di guisa
che la sua costituzione, effettuata oltre il suddetto termine dimidiato ma entro quello ordinario di dieci giorni,
deve essere ritenuta tempestiva, e che quindi non occorre assegnare un ulteriore termine per provvedervi,
trattandosi di attività già compiuta (nel caso di specie viene esclusa la retroattività del principio di diritto
enunciato da Cass. civ. SS.UU. 9 settembre 2010 n. 19246 in materia di costituzione dell'opponente nel giudizio di
opposizione a decreto ingiuntivo, ricorrendo allo strumento della remissione in termini).
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Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è violativa della Legge 633/1941 e pertanto perseguibile penalmente
processuale; 2) il verificarsi di un impedimento riferibile ad una parte, ma non
imputabile ad essa; 3) l’importanza e l’effettività dell’impedimento; 4)
l’accertamento in concreto dell’impedimento sulla base degli elementi forniti dalla
parte istante. Orbene tutti questi fattori risulterebbero assenti nel caso che ci
interessa poiché è stato osservato il termine temporale per la costituzione in
giudizio al tempo in cui questa è avvenuta, senza impedimento od errore alcuno, il
quale viene, invece, supposto in forza di una valutazione ex post , in seguito ad un
evento
sopravvenuto
(mutamento
dell’orientamento
costante
della
2
giurisprudenza) .
Pare doveroso, infine, menzionare le proposte in merito alla questione provenienti
dal Consiglio Nazionale Forense. Ecco dunque la proposta del C.N.F., anzi le
proposte del C.N.F. (Consiglio Nazionale Forense, comunicato stampa del
14 ottobre 2010)
•
La prima, come spiega il C.N.F., ” mira ad intervenire sulla disciplina
generale dei termini di costituzione (articolo 165 c.p.c.)”, consacrando
legislativamente un cinquantennale orientamento giurisprudenziale che legava la
riduzione del termine di costituzione dell’opponente-debitore alla sua scelta di
fissare all’opposto-creditore un termine di comparizioni inferiore a quello ordinario.
In particolare, si propone di chiarire che “l’art. 165 comma 1 c.p.c. va interpretato
nel senso che la riduzione del termine di costituzione dell’attore ivi prevista si
applica, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, solo se l’opponente abbia
assegnato all’opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui all’art.
163 bis comma 2 c.p.c”.
2
Tribunale di Varese, 8 ottobre 2010 – Est. Buffone.
Opposizione a decreto ingiuntivo – Costituzione dell’opponente – Dimezzamento automatico dei termini –
Sezioni Unite 19246/2010 – Mutamento giurisprudenziale“innovativo” – Irretroattività delle nuove regole
processuali
In caso di cd. overruling - e cioè allorché si assista ad un mutamento, ad opera della Corte di Cassazione a Sezioni
Unite, di un’interpretazione consolidata a proposito delle norme regolatrici del processo - la parte che si è conformata
alla precedente giurisprudenza della Suprema Corte, successivamente travolta dall’overruling, ha tenuto un
comportamento non imputabile a sua colpa e perciò è da escludere la rilevanza preclusiva dell’errore in cui essa è
incorsa. Ciò vuol dire che, per non incorrere in violazione delle norme costituzionali, internazionali e comunitarie che
garantiscono il diritto ad un Giusto Processo, il giudice di merito deve escludere la retroattività del principio di nuovo
conio (nel caso di specie viene esclusa la retroattività del principio di diritto enunciato da Cass. civ. SS.UU. 9 settembre
2010, n. 19246 in materia di costituzione dell’opponente nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo).
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La seconda mira a intervenire sull’articolo oggetto del cambiamento di
giurisprudenza, chiarendo che “l’art. 645, 2° comma (in seguito all’opposizione il
giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice
adito; ma i termini di comparizione sono ridotti a metà), va interpretato nel senso
che la riduzione dei termini ivi prevista non riguarda i termini di costituzione”.
Il C.N.F. così propone una “leggina” per evitare le improcedibilità di massa sulla
base di due possibili interventi interpretativi sul codice di procedura civile per
interrompere il legame perverso tra la presentazione della opposizione e la
riduzione dei termini di costituzione dell’opponente-debitore, dopo l’intervento
delle Sezioni Unite della Cassazione.
•
26 ottobre 2010
Michele Gobbi Ardini
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