Avv. Paola Lovati Scuola Superiore dell`Avvocatura in
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Avv. Paola Lovati Scuola Superiore dell’Avvocatura in collaborazione con gli Osservatori sulla Giustizia Civile Milano 21 febbraio 2014 Dovere etico di evitare conflitti distruttivi: la conflittualità tra le parti può aumentare o diminuire a seconda del parere reso dal legale o del comportamento da questi assunto nella gestione della controversia L‘avvocato deve assolvere il mandato con lealtà e correttezza evitando l’identificazione con la parte assistita, svolgendo un ruolo interattivo e non contrappositivo, utilizzando gli strumenti che favoriscono il dialogo e la collaborazione. Non deve consigliare azioni finalizzate ad esasperare ancor più la situazione (es. eludere gli obblighi di mantenimento o ostacolare i rapporti dell’altro genitore con i figli) l’avvocato deve responsabilizzare il cliente e suggerire il rispetto del dovere di leale cooperazione e collaborazione nell’accertamento dei fatti rilevanti ai fini della decisione obbligo di lealtà e trasparenza: la precisione nella predisposizione degli atti consente al convenuto di compiutamente replicare la completa informazione sui fatti oggetto della controversia consente al giudice di assumere la decisione in tempi rapidi atti redatti con modalità inadeguate sono causa di inefficienza del processo perchè: rendono difficile la comprensione della domanda, lo studio del fascicolo e l’elaborazione delle difese rendono inefficiente l’istruttoria e poco prevedibile l’esito del procedimento (così incentivando la proposizione di cause infondate). l’avvocato deve essere in grado di ascoltare il proprio assistito con competenza, ricercando la verità storico - fattuale (distinguendola quindi dalla verità soggettiva di questi) ed essere in grado di ridefinirne le richieste dovere di informazione : deve spiegare al cliente i suoi diritti ma anche i suoi doveri, non deve assecondare richieste infondate, deve suggerire modalità che consentano una soluzione consensuale della controversia deve evidenziare al cliente le questioni di fatto e di diritto potenzialmente ostative, sconsigliandolo dall’iniziare o proseguire una lite ove appaia improbabile un epilogo favorevole e, anzi, probabile un esito negativo e dannoso. LINGUAGGIO, ARGOMENTAZIONE, CONTRADDITTORIO E TECNICHE DI REDAZIONE DEGLI ATTI NEL PROCESSO CIVILE 21 FEBBRAIO 2014 Francesca Fiecconi 1 Tendenze in Europa per una Giustizia Accessibile a Tutti Formazione del giurista giurista:: comune Ruolo dell’avvocato dell’avvocato:: mediatore sociale sempre più specializzato specializzato.. Giudice : autonomo, imparziale e (in)formato Processo civile civile:: modello unico e semplificato, telematico, che non ammette sorprese, con salvaguardia del principio di lealtà e del principio dell’oralità, immediatezza e concentrazione, con strumenti acceleratori per controversie di media difficoltà, e dotato di filtri processuali non punitivi (premiali (premiali)) per i gradi superiori superiori.. Atti difensivi e motivazione motivazione:: lunghezza discendente degli atti – sentenza con motivazione sintetica che si raccorda agli atti, ma completa Forma degli atti atti:: secondo un modello unico e valido per tutti, con canovacci concordati, divisione per titoli e numerazione dei paragrafi, completo e privo di note a piè di pagina pagina.. Lingua:: del foro e priva di contaminazioni – stile chiaro, semplice, diretto Lingua e appropriato alla materia, privo di perifrasi, ellissi e frasi subordinate ( cd antilingua) antilingua).. 21/02/2014 2 Errori Comuni nel Comunicare Errata estrapolazione dei dati Errata interpretazione dei dati Confusa esposizione dei dati Antidoto:: Antidoto controllare i dati tre volte, rileggendo il testo con lettura veloce e lenta lenta;; assicurarsi di non avere omesso dati rilevanti e di averli messi nella loro sequenza logico--temporale logico temporale;; tenere conto dei dati altrui verificare che l’interpretazione dei dati sia conforme alla legge e al diritto vivente, verificare che i dati fattuali e normativi non siano interpolati Seguire la regola del messaggio nella bottiglia nell’esposizione dei dati 21/02/2014 3 Regole della Retorica Inventio: trovare elementi utili Inventio: Dispositio:: ordinarli Dispositio Elocutio:: tradurli in parole Elocutio Memoria : consolidarli Actio o Pronuntiatio Pronuntiatio:: esporli in modo da conquistare l’attenzione “Rem Tene Tene,, Verba Sequentur Sequentur”” 21/02/2014 4 N. R.G. 263/2011 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D’APPELLO DI MILANO SEZIONE IMPRESA nelle persone dei seguenti magistrati: dr. Giuseppe Tarantola Presidente dr. Francesca Fiecconi Consigliere relatore dr. Raimondo Mesiano Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 263/2011 promossa in grado d’appello da CAROFIGLIO RAFFAELE (C.F. CRFRFL53P16A662H), con il patrocinio dell’avv. D’ONOFRIO MASSIMO e dell’avv. AMODIO GUIDO (MDAGDU62R18A662W) VIA G. BOZZI, 9 70121 BARI , con elezione di domicilio in VIA FONTANA, 18 20122 MILANO, presso e nello studio dell’avv. D’ONOFRIO MASSIMO APPELLANTE CONTRO FLACHAIRE DANIEL (C.F. ) con il patrocinio dell’avv. GAVUZZI ELISABETTA e dell’avv. , con elezione di domicilio in VIA CARDUCCI, 8 20123 MILANO presso e nello studio dell'avv. GAVUZZI ELISABETTA ; SOCIETA’ MC COMPANY S.A.M. (C.F. ) con il patrocinio dell’avv. GAVUZZI ELISABETTA, con elezione di domicilio in VIA CARDUCCI, 8 20123 MILANO pagina 1 di 16 presso e nello studio dell'avv. GAVUZZI ELISABETTA ; APPELLATI ed APPELLANTI INCIDENTALI DITTA SPORT O.K. DI ADDUCCHIO OTTAVIO (C.F. ) con il patrocinio dell’avv. SCARDI MARIO GIULIANO. , con elezione di domicilio in VIA GIOVANNI AURISPA, 7 20122 MILANO presso e nello studio dell'avv. SCARDI MARIO GIULIANO ; APPELLATO avente ad oggetto: azione di responsabilità per contraffazione di marchi internazionali e azione di concorrenza sleale sulle conclusioni di cui ai fogli di seguito allegati: pagina 2 di 16 IN FATTO 1. La sentenza n. 13.699-2010 emessa in data 8 luglio 2010 del Tribunale di Milano, sezione specializzata proprietà industriale, è stata resa nei seguenti termini. 2. Il Tribunale ha dichiarato l'appellante RAFFAELE CAROFIGLIO responsabile della contraffazione dei marchi “ Banana Moon Top Wave “ e “Banana Moon” riferibili alle parti appellate (titolare statunitense e licenziataria europeo) inibendo al medesimo l'utilizzo di tali segni nel territorio nazionale, con l'esclusione della città di Bari, anche come nome a dominio, imponendogli una penale di € 200 per ogni violazione successivamente constatata e per ogni giorno di ritardo nella sua esecuzione, condannandolo altresì al risarcimento dei danni subiti dagli attori, liquidati in € 30.000, disponendo altresì la pubblicazione del dispositivo della sentenza, per una volta, a caratteri doppi del normale, sul quotidiano al Corriere della Sera e condannando l'appellante al pagamento delle spese di lite sostenute dagli attori. 3. Contro la sentenza di primo grado è stato proposto appello da RAFFAELE CAROFIGLIO, con il quale viene chiesto, in riforma della sentenza appellata, l’accoglimento delle conclusioni in epigrafe specificate . 4. E’stato chiesto il rigetto dell’appello dagli appellati FLACHAIRE DANIEL e dalla SOCIETA’ MC COMPANY S.A.M; che hanno replicato ai motivi di impugnazione ed hanno concluso come in epigrafe chiedendo al maggior danno non riconosciuto dal giudice di primo grado. LA DITTA SPORT O.K. DI ADDUCCHIO OTTAVIO si è costituita senza prendere posizione riguardo al giudizio di appello svolto dalle altre parti, chiedendo di essere eventualmente esonerato da ogni responsabilità. 5. Trattata la causa quanto alla sospensione del provvisoria esecutività della sentenza, da questa Corte rigettata,e ammessa l’esibizione delle scritture contabili dell’appellante a far data dal 2004 chieste dagli appellati , all’udienza del 14 giugno 2013 i procuratori delle parti hanno precisato le rispettive conclusioni, come in epigrafe riportate; sulla base delle memorie successivamente depositate, la causa è stata assunta in decisione per la camera di consiglio del 7.11.2013. pagina 3 di 16 IN DIRITTO Sulle questioni preliminari Questione n.1 6. Sostengono gli appellati che nelle conclusioni rassegnate dall'appellante all'udienza di precisazione delle conclusioni mancherebbero alcune richieste precedentemente indicate nella citazione in appello e che pertanto dette domande devono intendersi rinunciate. Opinione della Corte 7. LA Corte ritiene che le domande dell’appellante di riforma della sentenza impugnata non possano intendersi implicitamente rinunciate solamente per il fatto che nel foglio di precisazione di conclusioni non sono state esattamente specificate tutte le domande indicate nell'atto di appello, posto che nel contesto dell’appello e della comparsa conclusionale risulta evidente l'intenzione dell'appellante di insistere per la riforma della sentenza su tutti i punti indicati nell'atto di citazione notificato alle parti nei termini. 8. La richiesta d’improcedibilità dell’appello deve pertanto essere respinta. Questione n. 2 9. Gli appellati impugnano la sentenza nella parte in cui ha dichiarato l’ inammissibilità della domanda di declaratoria di nullità del marchio “ Banana Moon” numero 82 69 04 depositato in data 10 settembre 1998 da RAFFAELE CAROFIGLIO e concesso in data 24 ottobre 2000 dall’Ufficio Brevetti Italiano , di titolarità dell'appellante, perché ritenuta tardiva dal giudice di prime cure in quanto introdotta in sede di memoria di replica. Opinione della Corte 10. In relazione a questo punto la Corte condivide l'assunto del giudice di primo grado che ha giudicato inammissibile la domanda degli appellati sul presupposto che essa sia stata formulata successivamente, in sede di memorie e i sensi dell'articolo 183 c.p.c., e non nell'atto introduttivo del giudizio, ove peraltro è indicata espressamente l’intenzione degli appellati di non coltivare in tale sede processuale detta domanda e di volersi limitare alle domande d’inibitoria e di risarcimento correlate alla denunciata contraffazione dei marchi e alla concorrenza sleale intrapresa dall’ appellante in danno del marchio statunitense “ pagina 4 di 16 Banana Moon”, in ordine alle quali gli appellati avrebbero potuto avviare sin dall'inizio un congiunto procedimento, senza dover attendere le difese del convenuto. 11. Pertanto si conferma la sentenza di primo grado in relazione a questa questione preliminare in ordine al perimetro del giudizio di merito. Sul primo motivo d’appello 12. L’art. 28 c.p.i., in tema di convalidazionezione, il titolare di un marchio d'impresa anteriore ai sensi dell'articolo 12 e il titolare di un diritto di preuso che importi notorietà non puramente locale, i quali abbiano, durante cinque anni consecutivi, tollerato, essendone a conoscenza, l'uso di un marchio posteriore registrato uguale o simile, non possono domandare la dichiarazione di nullita' del marchio posteriore né opporsi all'uso dello stesso per i prodotti o servizi in relazione ai quali il detto marchio e' stato usato sulla base del proprio marchio anteriore o del proprio preuso, salvo il caso in cui il marchio posteriore sia stato domandato in mala fede. 13. E’ pacifico che i marchi in esame siano identici. E’ altrettanto pacifico che gli appellati hanno tollerato l’uso del marchio di cui l’appellate è titolare solo nella città di Bari, ove è presente la sua ditta di vendita al dettaglio di capi d’abbigliamento con corrispondente insegna “ Banana Moon”. 14. Quanto alla denunciata contraffazione del marchio da pare dell’appellante, il giudice di primo grado ha ritenuto che, data la scarsa attendibilità delle fatture prodotte dall'appellante in ordine alla prova dell'uso anteriore del marchio “Banana Moon” nel territorio nazionale e la sua malafede dimostrata al tempo del deposito del marchio italiano, non vi fossero i presupposti per l'operare della convalidazione del marchio, l’accertamento della quale era stata chiesta dal convenuto ai sensi dell’art. 28 c.p.i., e ne ha inibito l'uso al di fuori della città di Bari. Di conseguenza il giudice di prime cure ha accolto la domanda di accertamento di responsabilità dell’ attuale appellante per contraffazione di marchi, svolta dagli appellati con atto di citazione del 2 maggio 2007 nei confronti dell'appellante, per la produzione e commercializzazione pubblicizzazione in Italia di prodotti di abbigliamento, costumi da bagno, biancheria intima contraddistinti dal segno "Banana Moon", imponendo una penale di € 200 al giorno per ogni violazione della sentenza e la pubblicazione della sentenza su un quotidiano nazionale a caratteri doppi. pagina 5 di 16 15. Nel primo motivo di appello l'appellante censura la decisione del tribunale di Milano sostenendo, da un lato, di non avere considerato l’utilizzo del marchio di cui è causa con priorità sin dal 1978, circostanza questa che sarebbe stata conosciuta e tollerata dagli appellati e, dall'altro lato, di essere stato in buona fede al momento del deposito del suo marchio, avendo agito non già con l’intenzione di ledere diritti altrui, bensì di convalidazionere i propri diritti quesiti sul proprio marchio. Pertanto l'appellante denuncia l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di prime cure ha raggiunto le proprie conclusioni basandosi sia su un'errata interpretazione delle norme regolatrici dell'istituto della convalidazionezione del marchio, disciplinato dall'articolo 28 c.p. i, che su una parziale e incompleta valutazione delle prove offerte dall'appellante. 16. Gli appellati, di contro, sostengono che l'appellante, nel 1998, quando ha depositato all’UBI il marchio con denominazione “Banana Moon”, con registrazione italiana n. 826904 ottenuta nel 2000, non solo era perfettamente consapevole dell'esistenza degli omonimi marchi anteriori degli odierni appellati, registrati nel 1990 e nel 1997 riguardo allo stesso settore commerciale, ma era anche consapevole dell'inesistenza di suoi diritti anteriori in proposito. Solo nel 1998, difatti, gli appellati avevano accertato l'esistenza di un negozio di abbigliamento sito in Bari, recante l'insegna” Banana Moon” di titolarità dell'impresa individuale CAROFIGLIO, mentre è un dato certo che i diritti degli appellati risalgono al 1990 (Banana Moon Topware, con registrazione internazionale n. 553869) e al 1997 (Banana Moon con registrazione internazionale n. 681379). In merito deducono come solo in seguito l’appellante abbia iniziato ad usare il segno registrato come “Banana Moon” come marchio per contraddistinguere un'ampia gamma di prodotti di abbigliamento, biancheria intima e costumi da bagno (DOC e 13 fascicolo primo grado), ma anche come tali prodotti venissero commercializzati in numerosi punti di vendita in varie città italiane, nonché intensamente pubblicizzati su riviste a tiratura nazionale e in un ampio spazio espositivo ( palazzo Pitti) sito in Firenze (doc. 19 fascicolo primo grado) e questo in forza della registrazione nazionale del marchio avvenuta in aperta malafede e con l'evidente intento di ledere i loro diritti. 17. E’ incontestato che in data 23 luglio 1998 la Mc Company, in qualità di licenziataria francese dei marchi internazionali di cui si tratta, inviava all’appellante una raccomandata con la quale lo invitava a cessare l'utilizzo del segno “Banana Moon” e a questo punto l'appellante replicava non solo respingendo gli addebiti mossi nei suoi confronti dalla pagina 6 di 16 società francese licenziataria, ma altresì asserendo di vantare diritti prioritari sul marchio in Italia rispetto alle registrazioni del titolare signor FLACHAIRE e chiedendo quindi la cessazione dell'utilizzo del marchio da parte della Mc Company. Dopo la ricezione di questa lettera l’appellante si era premurato di depositare di nuovo la domanda di registrazione del marchio precedentemente depositato, ma non registrato. 18. L’appellante, sul punto, deduce che non si può trascurare, come ha fatto il tribunale, che egli aveva depositato il suo marchio già nel 1983 e che tale domanda era stata respinta per il mancato pagamento di oneri all'ufficio italiano brevetti e marchi (vedi doc. 30-32 appellante) , essendosi accorto di tale mancata registrazione solamente in seguito alla diffida inviatagli da parte della Mc Company. In quella occasione la sua consulente, signora Russo, sentita anche quale teste nella fase di primo grado, aveva suggerito all’appellante di ripresentare la domanda di registrazione del marchio. 19. Da tali circostanze il giudice di prime cure traeva il convincimento che l’appellante, al tempo del deposito del nuovo marchio, conosceva già i diritti prioritari degli appellati sul marchio “Banana Moon” e che pertanto prima di depositare il marchio non poteva ignorare di agire in presenza di diritti esclusivi altrui su tale segno. 20. L'appellante, in merito, sostiene che il giudice di prime cure, oltre a non avere ben soppesato il materiale probatorio fornito, non avrebbe considerato la valenza del precedente segnato dalla decisione del WIPO che ha accolto la tesi in ordine alla sua buona fede con riferimento alla registrazione del nome a dominio “Banana Moon store”. Pertanto il giudice, negando la sussistenza della sua buona fede, si sarebbe contrapposto a un precedente specifico e documentato nato in un analogo contesto giudiziario. Difatti il tribunale, assumendo lo stato soggettivo di malafede del depositante, ha ritenuto da un lato che l’appellante sarebbe stato consapevole dell'assenza dei propri diritti sul marchio nazionale “Banana Moon “ e, dall'altro, non avrebbe potuto in quel contesto ignorare i diritti esclusivi altrui sullo stesso segno. Opinione della Corte 21. Ai fini della delimitazione dei confini della controversia, la Corte sottolinea come la documentazione prodotta dall'appellante dimostri certamente un uso anteriore e datato nel tempo del segno come insegna del negozio di Bari, e che sia del tutto pacifico che gli appellati hanno tollerato l'uso del marchio sui prodotti venduti nella sola città di Bari, come pagina 7 di 16 stabilito dal giudice di prime cure. La controversia attiene dunque al preuso di detto marchio in sede nazionale che l’appellante ha inteso far valere registrandolo come marchio proprio. 22. Ritiene innanzitutto la Corte che non possa ritenersi sussistente la malafede dell’appellante, riscontrata dal giudice di primo grado in capo alla parte dell'appellante, concomitante al deposito della domanda di registrazione del marchio in questione, poiché la questione relativa alla prova del preuso in sede nazionale, ritenuto non sussistente dal giudice di primo grado in ragione della incongruenza di alcuni elementi documentali offerti quale prova dei pretesi diritti prioritari, non può essere valutata isolatamente e in assenza della considerazione di ulteriori elementi di fatto acquisiti nel corso del giudizio.. 23. Nell'esaminare gli atti e documenti di causa non può non essere tenuto in conto da questa Corte come risulti provato che l'appellante ha costituito la ditta individuale nel 1978 utilizzando il marchio “Banana Moon” quale denominazione sociale, segno e logo identificativo di una serie di articoli di abbigliamento, quali jeans, T-shirt e accessori moda, e che già nel 1983 l’appellante aveva depositato la domanda di marchio che non è stato registrato per un mero errore di procedura, continuando tuttavia regolarmente ad utilizzare il medesimo segno nel corso degli anni. Pertanto l'atteggiamento tenuto dall’appellante anche in seguito alla ricezione della raccomandata del titolare del marchio internazionale non può prescindere da tali fatti pregressi, dai quali si desume che il comportamento dell'appellante nel depositare il marchio in questione non sia stato caratterizzato da prevalente malafede, da intendersi come comportamento volto a pregiudicare diritti acquisiti dal concorrente provvisto di registrazione anteriore o di un preuso. Risulta infatti, e le prove per testi ne danno conto, che l'appellante era fortemente convinto di poter vantare propri diritti prioritari sul segno che contraddistingueva da tempo i prodotti di venduti nel territorio nazionale dalla sua ditta, ritenendo di avere un diritto antecedente a quello vantato dagli appellati. Pertanto il comportamento volto a registrare il marchio in sede nazionale per far valere i suoi diritti non può certamente essere indicato come prova della sua malafede. Dalle prove acquisite risulta infatti che il materiale veniva venduto a ditte o rivenditori posti anche al di fuori della città di Bari e in merito non si può togliere importanza a tale dato solo per il,fatto che le fatture emesse fossero scritte a mano o intestate a ditte con indirizzi errati. 24. A riprova di quanto sopra osservato si pone anche la pronuncia del WIPO del 16 aprile 2007 che ha rigettato il ricorso di FLACHAIRE contro CAROFIGLIO teso all'annullamento del dominio Internet per bananamoon-store.com, con provvedimento nel quale è stato pagina 8 di 16 riconosciuto che la rivendicazione di tale dicitura precede di più di 10 anni la data di privativa sui marchi internazionali. Come già affermato dal tribunale in sede di reclamo al provvedimento cautelare emesso dal giudice di prime cure in questo giudizio (v. provvedimento del Tribunale del 24 settembre 2007), la malafede deve essere provata da chi l'ha invocata e, nel caso di specie, questa prova non è stata fornita, risultando provato e documentato che, anzi, Raffaele CAROFIGLIO era fortemente convinto di poter vantare diritti sul segno “Banana Moon”, dal momento che lo aveva utilizzato da anni per la denominazione dei suoi prodotti e come insegna del suo negozio di Bari e, pensando di svilupparne l'attività, ne aveva chiesto la registrazione come marchio nazionale già dal 1983, apparendo quindi del tutto conseguente e coerente a tali fatti pregressi che il 10/9/1998 si fosse determinato a registrare il marchio per far valere i suoi (presunti) diritti e non per ledere quelli altrui. 25. Risulta infatti in atti che la ditta CAROFIGLIO, all'epoca della proposizione della domanda di registrazione, aveva consolidato una notorietà generale non circoscritta alla città di Bari e che al suo marchio era stata addirittura riservata una citazione nell'enciclopedia del jeans, come provato dallo stesso appellante. Mentre il marchio correlato agli appellati aveva origini più recenti e una stretta correlazione ai costumi da bagno femminili e dunque ad articoli in parte diversi da quelli riferibili originariamente alla ditta del CAROFIGLIO . 26. Al riguardo è pacifico che il deposito in malafede è solo quello di chi sappia di (poter) violare un diritto altrui, mentre altra cosa è il deposito di chi conosce l'esistenza di un marchio precedente, ma non pensa di violarlo per un ragionevole motivo. 27. Ritiene pertanto la Corte che, a fronte delle suesposte circostanze , gli appellati non abbiano indicato sufficienti e ulteriori elementi di prova circa la malafede dell'appellante, la quale nel caso concreto non può essere isolatamente desunta solo dal comportamento di deposito del marchio assunto dopo la ricezione della diffida nel 1998. 28. La sentenza appellata, in merito, deve quindi essere riformata, ritenendo la Corte che attraverso la registrazione italiana, ottenuta nel 2000, del marchio Banana Moon, e la commercializzazione e pubblicizzazione dei prodotti dei capi di abbigliamento contraddistinti dal segno “Banana Moon”, in ragione dell’accertata assenza di mala fede, l’appellante non si sia reso responsabile dell’attività di contraffazione dei marchi Banana Moon di titolarità di Daniel FLACHAIRE, né tantomeno di atti di concorrenza sleale ai danni di Mc Company ( posto che per tale illecito, come indicato dal giudice di prime cure, pagina 9 di 16 non sono stati allegati elementi di prova ulteriori a quelli indicati ai fini della prova della contraffazione) . Sul secondo motivo d’appello 29. Non ravvisando la buona fede dell'appellante al momento del deposito del marchio italiano, né la priorità d’uso dalla documentazione fornita dall’appellante , una volta accertata la contraffazione del marchio internazionale da parte dell’appellante, il Tribunale di Milano non ha ritenuto di dovere esaminare gli ulteriori presupposti dell’ assunta intervenuta convalidazione del marchio, ritenendo la questione assorbita dall'accertamento svolto con riferimento allo stato soggettivo di malafede dell’appellante all’atto del deposito del marchio italiano. 30. L'appellante insiste nel sostenere di aver utilizzato il segno “Banana Moon” come marchio dal 1978 in tutta Italia, circostanza questa che sarebbe stata conosciuta e tollerata dagli odierni appellati e che avrebbe determinato la convalidazione del marchio, la cui registrazione italiana numero 826902 è stata depositata il 10 settembre 1998 e ottenuta il 24.10.2000. Inoltre sostiene che il tempo di reazione degli appellati alla registrazione ottenuta in Italia e alla successiva più espansiva commercializzazione che ne è derivata, sia stato del tutto tardivo, avendo determinato la convalidazione ai sensi dell’art. 28 c.p.i.. 31. Gli appellati sul punto deducono che non sia affatto corrispondente al vero che l'appellante abbia utilizzato il marchio al di fuori della città di Bari dal 1978, bensì da epoca ben successiva e a loro insaputa; che non hanno tollerato alcun uso del marchio di cui si discute sul territorio nazionale; che sono venuti a conoscenza del marchio italiano usato su scala nazionale solo nel 2006, allorché la MC Company riceveva una nuova lettera da parte dell'appellante nella quale quest'ultimo rivendicava nuovamente diritti esclusivi sul segno “Banana Moon” in Italia, riconoscendo agli appellati diritti di esclusiva sullo stesso marchio solo a livello europeo (v. doc.18 appellati) . Opinione della Corte 32. Questa Corte, ai fini che rilevano, osserva che la pretesa avvenuta convalidazione del marchio, per effetto della tolleranza ultraquinquennale esercitata dagli appellati, titolare e licenziatario del marchio internazionale, alla diffusione sul territorio nazionale dell’omonimo marchio italiano, va in ogni caso affermata, non essendosi riscontrato il difetto dell’ ulteriore presupposto dell’uso continuo per l'operare della stessa rilevato invece pagina 10 di 16 dal Tribunale, il quale ha ritenuto non provato adeguatamente che CAROFIGLIO abbia continuato a utilizzare il marchio di cui si tratta da oltre trent'anni in tutto il territorio nazionale, e non solo in quello di Bari collegato al negozio di cui è titolare l'appellante. 33. Osserva la Corte che in atti risulta pacifico che solo l’ uso territorialmente limitato alla città di Bari sia stato espressamente tollerato dagli appellati, come rilevato dal medesimo tribunale nell’impugnata sentenza. Ciò non toglie, tuttavia, che dopo la diffida inviata nel 1998 dagli appellati, da parte loro non vi sia stata alcuna ulteriore reazione significativa (se non a partire dalla citazione del 2 maggio 2007) riguardo alla continua immissione nel mercato nazionale di prodotti col marchio in questione da parte dell’appellante, il quale ha evidentemente commercializzato articoli di abbigliamento con detto marchio oltre il circoscritto territorio di Bari, rivendendoli a negozi sparsi in tutto il territorio nazionale, nonché ha effettuato la relativa pubblicità del marchio a livello nazionale, gestendo anche un proprio dominio Internet nel 2003, e ottenendo l’apprezzamento da parte di personaggi notori degli articoli sportivi ( t- shirt) prodotti con detto marchio ( v. atti di cui ai fascicoli allegati ai ricorsi cautelari da cui si evince che il marchio è stato indossato da personaggi dello spettacolo e dello sport di pubblica notorietà ed è stato rivenduto a venditori al dettaglio in tutto il territorio nazionale, compresa la convenuta Ditta Sport O.K. di Adducchio Ottavio – v. cataloghi dei prodotti, fatture prodotte dal 2004 su ordine di esibizione della Corte ) . 34. In merito occorre soprattutto considerare che le prove offerte a riprova dell'uso prioritario del marchio in sede nazionale da parte dell’appellante , soprattutto a partire dalla data di registrazione del marchio, paiono essere sufficienti per sancirne la relativa convalidazione in ragione della manifesta ultraquinquennale tolleranza dimostrata dagli appellati che, a questo punto, non può essere indice di uno scaltro operare dell’appellante, bensì di uno scarso interesse degli stessi appellati a controllare il mercato italiano in cui attivamente operava l’appellante già individuato come contraffattore sin dal 1998, come attestato dai documenti contabili prodotti e dalle missive scambiate dalle parti (v. fatturato degli appellati in Italia) . 35. Infatti le buste del negozio, i cartelloni stradali prodotti recanti il segno “Banana Moon”, i cataloghi anche se non esattamente databili e collocabili in un determinato spaziotemporale, al contrario di quanto sostenuto dal tribunale, dicono molto sull'ambito territoriale di diffusione e di utilizzazione del segno riferibile all’appellante, certamente non pagina 11 di 16 circoscritto alla città di Bari, luogo ove il marchio ha avuto pacificamente i suoi natali nel lontano 1978; in pari modo, le fatture relative all'acquisto di buste con detto marchio risalgono ad anni successivi al 2004, le fotografie si riferiscono a un evento del 2005 e dunque a fatti recenti, collocati in un arco temporale sufficientemente ampio che dimostra che l’attenzione degli appellati sul comportamento dell’appellante sia stata assai fievole nonostante la diffida lanciata nel 1998, riferita generalmente all’uso del marchio e priva di alcuna manifestazione di tolleranza o distinzione riguardo al marchio collegato al negozio di Bari. Pertanto se, da un lato, le suddette allegazioni non sono sufficienti a dimostrare un uso continuo e ininterrotto del marchio in questione per oltre trent'anni su tutto il territorio nazionale a partire dal lontano 1978 ( come indicato dal tribunale riguardo al periodo antecedente alla registrazione del marchio internazionale), dall'altro, le pubblicità più recenti diffuse sul territorio nazionale dall’appellante dopo la domanda di registrazione fanno ritenere che si sia nel corso del tempo effettivamente verificata la discussa convalidazione del marchio non tanto a partire dalla sua registrazione , ma dalla sua effettiva diffusione nel territorio nazionale e per effetto della ragionevole effettiva conoscenza di detta diffusione da parte degli appellati, altrettanto diffusamente presenti nel mercato italiano. 36. In relazione al tema della convalidazione per effetto della ultraquinquennale tolleranza si rammenta l’indirizzo giurisprudenziale in base al quale la citazione si pone quale unico elemento utile per interrompere la tolleranza ai fini dell’art. 28 c.p.i. (Cass. SU 17927/2008). In merito, giova richiamare anche l'indirizzo giurisprudenziale in base al quale il tempo utile per sancire la convalidazione di un marchio per tolleranza decorre non tanto dalla registrazione del marchio, ma dalla effettiva conoscenza dell'uso di quest'ultimo, essendo la conoscibilità attestata dalla registrazione non equipollente alla conoscenza effettiva richiesta dalla norma ( trib. Torino, 25 gennaio 2009). 37. La reazione degli appellati, avvenuta con atto di citazione solo nel 2007 e a distanza di molto tempo dalla prima diffida del 1998 e dalla registrazione del marchio sul territorio nazionale, a parere della Corte appare tardiva in considerazione anche solo dell’ ampio rilievo pubblicitario dato al marchio in sede nazionale dall’appellante, elemento che di per sé dimostra un apprezzabile grado di tolleranza ultraquinquennale da parte degli appellati alla diffusione di detto marchio sull’intero territorio nazionale, e comunque fuori dal territorio di Bari, non ragionevolmente collimante con gli interessi che gli appellati hanno inteso poi tutelare nella presente controversia pagina 12 di 16 38. Si sottolinea che dal 1998 al 2006 risulta solo la rivendicazione del proprio marchio registrato in Italia effettuata dall’appellante con lettera inviata agli appellati, segno evidente del fatto che nel frattempo il marchio italiano aveva espanso e rafforzato la sua posizione di mercato a fronte di una sostanziale inerzia degli appellati nell’ ottenere un’effettiva protezione del loro marchio a livello nazionale, atteso che gli appellati erano nelle condizioni di potere ben percepire il grado di diffusione interna ottenuto dal marchio in questione, non potendosi giustificare comportamenti omissivi che abbiano in ipotesi contribuito a ritardare l’effettiva conoscenza dell’interferenza ( vigilantibus, non dormientibus, jura succurrunt). Del resto, risulta che nell’arco di tempo considerato gli appellati hanno inserito nel circuito nazionale prodotti con il corrispondente marchio internazionale, e tale dato dimostra che erano nelle condizioni di potere percepire la diffusione del marchio italiano a livello nazionale, come hanno dimostrato di esserlo in questa sede processuale . 39. Alla luce di quanto sopra si ritiene che, in relazione all’asserita convalidazione del marchio italiano, da parte dell’appellante sia stata fornita idonea e adeguata prova. 40. Tale parte della domanda dell’appellante merita pertanto pieno accoglimento, con assorbimento delle ulteriori questioni e dell’appello incidentale degli appellati in ordine al preteso maggior danno. 41. Di conseguenza, vanno revocate le pene accessorie dell’inibitoria e della pubblicazione della sentenza comminate nel primo grado di giudizio, nonché la condanna di risarcimento accolta dal giudice di prime cure . Sul terzo motivo d’impugnazione 42. L'articolo 24, comma 1, c.p.i. dispone che, a pena di decadenza, il marchio deve formare oggetto di uso effettivo da parte del suo titolare o di terzi con il suo consenso, per i prodotti e servizi per i quali è stato registrato, entro cinque anni dalla registrazione, e che tale uso non deve essere sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni, salvo che il mancato uso non sia giustificato da un motivo legittimo. 43. La parte appellante denuncia l'ingiusto rigetto della domanda riconvenzionale tendente alla declaratoria di decadenza parziale dei marchi internazionali degli appellati per il loro mancato uso sul territorio italiano, richiamando anche la pronuncia della Corte d'appello di Milano dell'8 maggio 2001, in Giurisprudenza di Diritto Industriale, 2002,138 , secondo cui pagina 13 di 16 l'uso idoneo ad impedire la decadenza del marchio può bensì essere discontinuo e non generalizzato, ma deve pur sempre rispondere al ragionevole requisito di effettività (e non essere puramente simbolico), in modo da poter conservare, in relazione alla natura del prodotto che ne è contraddistinto e al consumo che di questo si può fare, la sua individualità, e testimoniare una certa presenza della relativa impresa sul mercato. Deduce in particolare che la documentazione prodotta degli appellati attiene unicamente alla pubblicità effettuata in alcuni paesi europei, e non certo in Italia, e soltanto ad alcune vendite di costumi da bagno in villaggi turistici. 44. Gli appellati riferiscono che l'appellante abbia mancato di fornire un principio di prova della sussistenza dei presupposti della decadenza, essendosi limitato a richiamare i principi ribaditi in argomento dalla giurisprudenza italiana ed europea, e che in atti siano state fornite le prove documentali della presenza sempre più crescente sul mercato dei prodotti venduti con tale marchio, attestate da numerose fatture inviate e esercizi commerciali collocati in tutto il territorio italiano. Opinione della Corte 45. Alla luce di quanto sopra osservato in ordine alla provata penetrazione nel mercato italiano del marchio internazionale degli appellati, attestata dalle fatture prodotte dagli appellati risalenti agli anni 2000, appare del tutto infondata la domanda dell’appellante di vedere dichiarare la decadenza parziale dei marchi internazionali di spettanza degli appellati per mancato uso sul territorio nazionale, poiché da parte degli appellati è stata fornita prova idonea, correlata ai fatturati realizzati sul territorio nazionale, circa la diffusione e pubblicizzazione degli articoli di abbigliamento con marchio internazionale “Banana Moon”. 46. La domanda dell’appellante di riforma della sentenza in relazione a questo punto non merita pertanto accoglimento.. Sulle spese di lite 47. Gravano sugli appellati, in ragione dell’esito dell’appello, le spese del primo grado che vengono per tale ragione poste a carico degli appellati in ragione della loro prevalente soccombenza nella misura di 2/3 da calcolarsi sulla somma liquidata pari a € 931 per spese, € 7.120 per diritti e € 15.000 per onorari, oltre spese generali e oneri di legge, in favore dell’appellante . pagina 14 di 16 48. Allo stesso modo, le spese del presente grado, liquidate in complessivi € 11000,00, oltre oneri di legge, sono poste nella misura di 2/3 a favore dell’ appellante a titolo di compensi defensionali - sulla scorta dei parametri indicati dal DM 140/2012 e tenuto conto della complessità della controversia in questo grado d’appello -, e a carico delle parti soccombenti. 49. Le spese dell’appellato Sport Ok di Adducchio Ottavio sono compensate poiché risulta una parte nei confronti della quale le altri parti del giudizio non hanno svolto appello e non risulta aver preso alcuna posizione in merito alle altrui difese. P.Q.M. La Corte d’Appello, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così decide: I. In accoglimento dell’appello, accertata la convalidazione del marchio italiano “ Banana Moon” n. 826904 del 24/10/200 di cui è titolare CAROFIGLIO Raffaele ai sensi e per gli effetti dell’art. 28 c.p.i , respinge le domande degli appellati nei confronti dell’appellante, riformando la sentenza di primo grado; II. Dichiara inammissibile la domanda di nullità del marchio italiano “ Banana Moon ” n. 826904, confermando per questa parte la sentenza di primo grado; III. Respinge la domanda dell’appellante di dichiarazione di decadenza parziale dei marchi internazionali “ Banana Moon Top Wave” e “Banana Moon” registrati al n. 553869 il 19/04 /1990 e al n. 681379 il 10/10/1997 di spettanza degli appellati, confermando l’impugnata sentenza; IV. Revoca le misure accessorie della pubblicazione della sentenza e dell’inibitoria comminate con la sentenza di primo grado; V. Condanna gli appellati a rifondere all’appellante 2/3 delle spese processuali del primo grado e del presente grado, da calcolarsi sugli importi complessivi di € 931 per spese, € 7.120 per diritti e € 15.000 per onorari, oltre spese generali e oneri di legge, a favore dell’appellante, e di € 11000,00, oltre oneri di legge, a favore dell’appellante; compensa la restante parte tra le parti; VI. Compensa le spese di lite tra le parti e l’appellato SPORT OK di Adducchio Ottavio . pagina 15 di 16 Così deciso in Milano, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte, il 7.11.2013 Il Consigliere est. Francesca Fiecconi Il Presidente Giuseppe Tarantola pagina 16 di 16 PROCEDIMENTO N. RG Tribunale di….. /Corte d’ Appello di Milano/ Giudice di Pace di …. Composto da Riunitosi in camera di consiglio il… Nel procedimento n…… Attore: contro Convenuto: 1. PROCEDIMENTO PRINCIPALE (v. art. 94 RdP e punto 22, 1° paragrafo, delle Raccomandazioni) 1. Esposizione succinta del procedimento * con atto di citazione/ricorso/notificato il/depositato in data/….l'attore/il ricorrente ….promuoveva un giudizio nei confronti di … per sentir dichiarare…. * la domanda dell'attore è diretta all'accertamento/alla condanna…nei confronti del convenuto, il quale, costituitosi in giudizio…. 2. Breve illustrazione dei fatti di causa 2. DIRITTO NAZIONALE 1 Disposizioni nazionali richiamate citazione esatta e fedele delle norme nazionali applicabili, indicate per esteso e senza interpolazioni del testo. 2 Giurisprudenza nazionale in materia indicazione degli orientamenti prevalenti più recenti, concernenti la fattispecie in esame (v. art. 94 RdP e punto 22, 2° paragrafo, delle Raccomandazioni) 3. DISPOSIZIONI DI DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA (v. art. 94 RdP e punto 23 delle Raccomandazioni) citazione testuale delle norme rilevanti ai fini della soluzione della questione citazione succinta e fedele al testo di tutte le norme UE rilevanti ai fini della decisione, ad es.: * articolo…del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) * direttiva…, segnatamente l'articolo… * regolamento…, segnatamente l'articolo… 4. BREVE ILLUSTRAZIONE DEI MOTIVI DEL RINVIO PREGIUDIZIALE (v. art. 94 RdP e punto 22, 3° paragrafo, delle Raccomandazioni) a) RINVIO PER INTERPRETAZIONE: spiegare perché vi sono dubbi sulla compatibilità della citata normativa nazionale con il diritto UE e perché l'interpretazione del diritto UE sul punto sia rilevante ai fini della decisione. Nel caso in cui la Corte di giustizia si sia già pronunciata in materia, spiegare perché persistono dubbi. b) RINVIO PER ESAME DI VALIDITÁ DI UN ATTO UE: spiegare perché vi sono dubbi sulla validità della norma UE citata e perché una pronuncia della Corte di giustizia sul punto sia rilevante ai fini della decisione. Nel caso in cui la Corte di giustizia abbia già dichiarato la validità dell'atto UE di cui trattasi, spiegare quali profili di invalidità persistano. 5. ARGOMENTI ESSENZIALI DELLE PARTI NEL PROCEDIMENTO PRINCIPALE (v. art. 94 RdP e punto 23 delle Raccomandazioni) (facoltativo) illustrazione succinta della posizione delle parti in ordine alla risposta da dare alle questioni pregiudiziali 6. PUNTO DI VISTA DEL GIUDICE DEL RINVIO (v. art. 94 RdP e punto 24 delle Raccomandazioni) (facoltativo) illustrazione della posizione del giudice del rinvio in ordine alla risposta da dare alle questioni pregiudiziali 7. RINVIO DELLE QUESTIONI PREGIUDIZIALI ALLA CORTE DI GIUSTIZIA (v. art. 94 RdP e punto 26 delle Raccomandazioni) Per questi motivi il Tribunale/ la Corte/ il Giudice di Pace , come sopra composto, visto l'articolo 267 TFUE, così provvede: sono sottoposte alla Corte di giustizia dell'Unione europea le seguenti questioni pregiudiziali: es.: 1) Se la nozione di…ai sensi dell'articolo…della direttiva…debba essere interpretata nel senso che essa ammette…., come consentito dall'articolo…della legge….(italiana) 2) nel caso in cui alla prima domanda sia data risposta negativa, se….. 3) nel caso in cui alla seconda domanda sia data risposta negativa, se….. FORMULE CONCLUSIVE …Sospende il procedimento fino alla pronuncia della Corte di giustizia…. Data firme i 9687~13 Oggetto REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Giurisdizione LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE R.G.N. 4691/2012 SEZIONI UNITE CIVILI Cron. Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROBERTO PREDEN - Primo Pres.te f.f. - Ud. Dott. MARIA GABRIELLA LUCCIOLI - Presidente Sezione - PU Dott. GIOVANNI SETTIMJ - Presidente Sezione - Dott. RENATO RORDORF - Presidente Sezione - Dott. LUIGI PICCIALLI - Consigliere - Dott. ANTONIO SEGRETO - Consigliere - Dott. ALDO CECCHERINI - Rel. Consigliere - Dott. SALVATORE DI PALMA - Consigliere - Dott. VITTORIO NOBILE Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 4691-2012 proposto da: PREFETTURE - UFFICI TERRITORIALI DEL GOVERNO DI ROMA, MILANO E NAPOLI, in persona dei rispettivi Prefetti protempore, DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE, in persona del legale rappresentante pro-tempore, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio pro-tempore, MINISTERO 26/03/2013 DELL'INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis; - ricorrenti contro EUROPEAN ROMA RIGHTS CENTRE FOUNDATION, in persona del legale rappresentante pro-tempore, SULEJMANOVIC HERKULES e RAMOVIC AZRA, in proprio e nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sui figli minori SULEJMANOVIC MOHAREM, SULEJMANOVIC ROBERTO, SULEJMANOVIC LAURA, SULEJMANOVIC DANIELE, SULEJMANOVIC ROBERTA, SULEJMANOVIC HAGIRA, SULEJMANOVIC ADRIANA, SULEJMANOVIC HABIBA, SULEJMANOVIC MOOGLI, SULEJMANOVIC RAMBO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 34, presso lo studio dell'avvocato PAOLETTI NICOLO', che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato ALESSANDRA MARI, per delega in calce al controricorso; - controricorrenti contro ROMA CAPITALE (già COMUNE DI ROMA), in persona del Sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21, rappresentata e difesa dall'avvocato PAT5ìRCA PIER LUDOVICO, per delega a margine del ricorso incidentale adesivo; - ricorrente incidentale adesivo contro AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI ROMA, in persona del Presidente pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 119-A, presso lo studio dell'avvocato SIENI MASSIMILIANO, che la rappresenta e difende, per delega in calce alla copia notificata del ricorso; - resistente con procura nonchè contro CROCE ROSSA ITALIANA, REGIONE CAMPANIA, REGIONE LOMBARDIA, PROVINCIA DI MILANO, REGIONE LAZIO, PROVINCIA DI NAPOLI, COMUNE DI NAPOLI, COMUNE DI MILANO; - intimati - avverso la sentenza n. 6050/2011 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 16/11/2011; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/03/2013 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI; uditi gli avvocati FEDELI dell'Avvocatura Generale dello Stato, Pier Ludovico PATRIARCA, Alessandra MARI; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MAURIZIO VELARDI, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo, inammissibilità del secondo. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con decreto del presidente del consiglio dei Ministri 21 maggio 2008, emesso a norma dell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992 n. 225, fu dichiarato lo stato di emergenza nel territorio delle Regioni Lombardia, Lazio e Campania, in relazione all'esistenza di comunità nomadi nei rispettivi territori. Con tre ordinanze presidenziali in data 30 maggio 2008 furono date disposizioni urgenti per fronteggiare la suindicata emergenza, con contestuale nomina di altrettanti commissari straordinari all'uopo delegati. Il decreto e le ordinanze furono impugnati in sede giurisdizionale dalla European Roma Rights Centre Foundation (ERRC) nonché dai signori Herkules Sulejmanovicn e Azra Ramovic, in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sui figli minori, unitamente agli atti presupposti e connessi e a quelli consequenziali. Nel frattempo lo stato di emergenza era stato prorogato per gli anni 2010 e 2011 con due decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri in date 31 dicembre 2009 e 2010, non impugnati. 2. Il T.A.R. del Lazio, investito del ricorso e dei motivi aggiunti proposti avverso gli atti indicati, li accolse in parte con sentenza 1 luglio 2009, annullando le ordinanze presidenziali nella parte in cui era prevista e autorizzata l'identificazione di tutte le persone presenti nei campi nomadi, indipendentemente dall'età e dalla condizione personale, attraverso "rilievi segnaletici"; e annullando specifiche disposizioni dei regolamenti, perché contrastanti con la libertà di circolazione garantita dall'art. 16 della costituzione, o con il diritto al lavoro anch'esso costituzionalmente garantito. Il T.A.R. respinse, invece, le più generali censure formulate avverso il decreto dichiarativo dello stato di emergenza e avverso gli altri atti consequenziali. Ritenne immune da vizi di legittimità la dichiarazione dello stato di emergenza, considerata la presenza di un'oggettiva situazione di pericolo, anche e soprattutto per la stessa popolazione nomade, sotto i profili igienico-sanitario, socio-ambientale e della sicurezza pubblica, derivante dagli insediamenti di comunità nomadi, in larga misura abusivi, in aree urbane ed extraurbane. Lo stato di emergenza dichiarato in Italia era conforme agli aspetti critici rilevati in sede comunitaria (risoluzione del Parlamento europeo 31 gennaio 2008, di accoglimento delle conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo 14 dicembre 2007) di rischi sociali, 4 ambientali e sanitari, e conformi erano le finalità perseguite dallo Stato italiano per fronteggiare questi problemi. Gli interventi, inoltre, erano destinati ai campi autorizzati o agli insediamenti abusivi in cui fossero presenti comunità nomadi, indipendentemente dalla nazionalità e da ogni altra caratterizzazione individuale delle persone presenti negli insediamenti, dovendosi perciò escludere un intento di discriminazione razziale nei confronti degli appartenenti all'etnia ROM. 3. La sentenza fu gravata di appello sia dalle amministrazioni statali e dal Comune di Roma, e sia dagli originari ricorrenti. Il Consiglio di stato, con sentenza 16 novembre 2011, ha respinto l'appello delle amministrazioni statali e del comune di Roma, e ha accolto quello degli originari ricorrenti. Il Consiglio ha affermato che il sindacato giurisdizionale in materia può dispiegarsi anche con riguardo all'apprezzamento della "intensità" ed "estensione" della situazione che si assume non fronteggiabile coni mezzi e poteri ordinari e - prima ancora - alla stessa individuazione dell'esistenza di una situazione di un "evento" avente tali caratteristiche. Il Consiglio ha ritenuto che non fosse possibile affermare l'esistenza di un rapporto eziologico tra l'insistenza sul territorio d'insediamenti nomadi e una straordinaria ed eccezionale turbativa dell'ordine e della sicurezza pubblica nelle aree interessate. I fatti accertati erano gravi, ma connotati da occasionalità ed eccezionalità, inidonei per intensità ed estensione a legittimare l'affermazione dell'esistenza di una situazione estesa all'intero territorio delle regioni interessate e tale da legittimare i poteri derogatori ed emergenziali di cui all'art. 5 della legge n. 225 del 1992. Quanto all'impossibilità di soluzioni finalizzate a una sostenibile distribuzione delle comunità nomadi senza il coinvolgimento di tutti gli enti locali interessati, per l'ubicazione dei campi nomadi al confine tra vari comuni e per la configurazione orografica dei territori interessati, il Consiglio ha premesso di non disconoscere le enormi difficoltà nel coordinare l'iniziativa e l'azione di una molteplicità di amministrazioni, laddove si voglia intraprendere un'attività di dislocazione sul territorio delle comunità di nomadi, e di ritenere tutt'altro che inverosimile che a tale scopo possano rivelarsi inidonei e insufficienti gli ordinari strumenti di coordinamento tra enti locali. Il Consiglio ha tuttavia rilevato un difetto d'istruttoria, perché in nessuna parte s degli atti che hanno condotto all'adozione del decreto 21 maggio 2008 sarebbe rinvenibile traccia di un pregresso infruttuoso tentativo d'impiego degli strumenti ordinari, o di fatti da cui evincere in maniera chiara e univoca l'inutilità del ricorso ad essi. 4. Contro questa sentenza ricorrono le amministrazioni dello Stato in epigrafe indicate, a norma degli artt. 111 Cost. e 110 c.p.a., per due motivi. V'è ricorso incidentale adesivo di Roma capitale. A ciascuno dei ricorsi resistono, con distinti controricorsi, ERRC e Herkules Sulejmanovicn e Azra Ramovic, in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sui figli minori. Vi sono memorie della Presidenza del consiglio dei Ministri e di Roma Capitale. RAGIONI DELLA DECISIONE 5. I controricorrenti hanno eccepito il difetto d'interesse dei ricorrenti alla pronuncia richiesta, perché alla data della proposizione del ricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri non aveva ancora esercitato il potere di sanare il vizio degli atti annullati, adottando i singoli atti a suo tempo emessi dai commissari delegati, e non aveva rinnovato la dichiarazione dello stato di emergenza fissando un termine successivo al 31 dicembre 2011, data nella quale lo stato di emergenza sarebbe comunque scaduto. 5.1. L'eccezione non è fondata. L'acquiescenza alla sentenza impugnata, che comporta la sopravvenuta carenza d'interesse della parte all'impugnazione proposta, consiste nell'accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di rinunciare all'impugnazione, la quale può avvenire in forma - oltre che espressa - anche tacita: in questo caso, tuttavia, l'acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l'interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè quando gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione. Non costituisce manifestazione univoca della volontà di rinunciare all'impugnazione della sentenza che ha annullato il decreto di stato di emergenza un comportamento meramente negativo, qual è l'omessa emanazione di atti diretti a prolungare lo stato medesimo. 6" 6. Con il primo motivo, le amministrazioni ricorrenti denunciano l'eccesso di potere giurisdizionale per l'esercizio del sindacato di legittimità esteso alle valutazioni di merito riservate all'autorità amministrativa, in relazione agli artt. 111, commi 1, e 8, 92, 95 e 113 Cost. e all'art. 110 c.p.a. Si deduce che la dichiarazione di emergenza ex art. 2 I. 24 febbraio 1992 n. 225 è atto di alta amministrazione, in relazione al quale è ammesso solo un sindacato giurisdizionale estrinseco di tipo debole. Considerando episodi specifici e isolati i gravi casi di turbamento dell'ordine pubblico, pur accertati, il Consiglio si era spinto ben oltre i limiti entro i quali è ammesso il sindacato di legittimità, non limitandosi alla verifica di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una motivazione che apparisse congrua, coerente, e ragionevole, ma sostituendo la propria soggettiva valutazione dei fatti a quella del Governo, che è l'organo di indirizzo politico amministrativo competente alle valutazioni di emergenza. 6.1. Si osserva preliminarmente che, nella valutazione della fondatezza del ricorso, occorre esaminare la motivazione della sentenza impugnata nella sua interezza. L'eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile ai sensi dell'art. 111, terzo comma, Cost. che sia riscontrabile nella sentenza del Consiglio di Stato sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera del merito, non ne giustifica l'annullamento, qualora sia riferibile a una parte soltanto della sua motivazione, senza incidere su altri profili presenti in essa, costituenti autonoma ratio decidendi e come tali idonei a giustificare anche da soli la soluzione adottata. Nel caso oggi all'esame della corte, la sentenza del Consiglio di Stato presenta una motivazione articolata. Nella sua prima parte, il Consiglio, premesso che il sindacato giurisdizionale in materia potrebbe dispiegarsi anche con riguardo all'apprezzamento della "intensità" ed "estensione" della situazione che si assume non fronteggiabile con i mezzi e poteri ordinari, e - prima ancora - alla stessa individuazione dell'esistenza di una situazione di un "evento" avente tali caratteristiche, valuta i fatti accertati inidonei a legittimare l'affermazione dell'esistenza di una situazione estesa all'intero territorio delle regioni interessate e tale da legittimare i poteri derogatori ed emergenziali di cui all'art. 5 della legge n. 225 del 1992. Alla critica di queste affermazioni, che tendono ad una diretta valutazione del merito, sostitutiva di quella dell'amministrazione, sono dedicati in larga misura i due ricorsi. A questa parte della motivazione, tuttavia, ne segue un'altra, del tutto distinta per contenuto e, ancor prima, per i presupposti di metodo dai quali muove: in essa il Consiglio di Stato identifica un difetto di motivazione del decreto dichiarativo dello stato di emergenza per il fatto che, con riferimento all'impossibilità di soluzioni finalizzate a una sostenibile distribuzione delle comunità nomadi senza il coinvolgimento di tutti gli enti locali interessati, non si rinviene traccia di un pregresso infruttuoso tentativo d'impiego degli strumenti ordinari, o di fatti da cui evincere in maniera chiara e univoca l'inutilità del ricorso ad essi. Per questa parte, la sentenza del Consiglio di Stato si sottrae alle censure mosse dai ricorrenti. Il vizio che qui viene in rilievo attiene alla motivazione del decreto dichiarativo dello stato di emergenza su un punto indubbiamente decisivo, perché costitutivo della fattispecie legale: la norma applicata include, infatti, tra i suoi presupposti la necessità, per fronteggiare gli eventi, di utilizzare mezzi e poteri straordinari. Il vizio rilevato è, pertanto, un vizio di legittimità, che emerge dall'esame esterno del provvedimento, e che non implica alcuna diretta valutazione del merito. Esso è tale che, anche considerando la parte precedente della motivazione tamquam non esset, giustifica l'annullamento del decreto, al quale il Consiglio è pervenuto. Nel ricorso si osserva, a questo riguardo, che l'insufficienza degli strumenti ordinari, quale in particolare la convenzione tra amministrazioni ex art. 15 della I. n. 241/1990, era dimostrata dal patto per la sicurezza per Milano, depositato in adempimento di un'ordinanza istruttoria, in cui pur potenziandosi gli strumenti di collaborazione ordinaria - si prendeva atto dell'impossibilità di risolvere la situazione in termini di ordinaria cooperazione interistituzionale e s'identifica in un commissario straordinario lo strumento idoneo a superare l'emergenza. Il documento e tutti gli altri prodotti al riguardo sarebbero stati ignorati dal Consiglio. Questa critica, tuttavia, non coglie nel segno, traducendosi nell'affermazione che il giudice amministrativo non avrebbe esaminato direttamente gli atti, prodotti al fine di dimostrare l'esistenza dei presupposti del decreto dichiarativo dello stato di emergenza. In tal modo si fa contraddittoriamente carico al giudice amministrativo di essersi sottratto a quella valutazione di merito, che nel resto del ricorso è correttamente addotta a fondamento del denunciato eccesso giurisdizionale. E' pertanto agevole osservare che il sindacato giurisdizionale di legittimità del Consiglio di Stato non si estende all'esame diretto e all'autonoma valutazione del materiale documentario tendente a dimostrare la sussistenza dei presupposti di un atto di alta amministrazione, qual è il decreto emesso a norma dell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992 n. 225; il sindacato medesimo, avendo natura estrinseca e formale, si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere nelle particolari figure sintomatiche dell'inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o mancanza di motivazione. Il Consiglio, in altre parole, ha correttamente - in questo caso - limitato il suo esame al provvedimento, astenendosi da valutazioni di merito. Neppure è concludente l'altra critica che emerge dal ricorso, laddove si osserva che il Consiglio non ha rilevato illogicità o contraddittorietà della motivazione del decreto, avendo al contrario espressamente affermato di non disconoscere le enormi difficoltà nel coordinare l'iniziativa e l'azione di una molteplicità di amministrazioni, laddove si voglia intraprendere un'attività di dislocazione sul territorio delle comunità di nomadi, e di ritenere tutt'altro che inverosimile che a tale scopo possano rivelarsi inidonei e insufficienti gli ordinari strumenti di coordinamento tra enti locali. La censura dei ricorrenti si traduce nella constatazione che il Consiglio sarebbe pervenuto all'annullamento di un atto di alta amministrazione in forza di un vizio qualificabile al più in termini di insufficienza, e non già di illogicità o contraddittorietà della motivazione: in tal modo non è tuttavia individuato il vizio di eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nel merito, ma un mero error in iudicando, interno alla giurisdizione generale di legittimità del Consiglio di Stato, per la mancata osservanza della riduzione che il sindacato del vizio di motivazione subisce nel caso degli atti di altra amministrazione. Un simile vizio di legittimità sfugge però al sindacato di questa corte suprema in sede di controllo dei limiti esterni della giurisdizione. In conclusione le censure formulate dalle amministrazioni ricorrenti non sono idonee a giustificare l'annullamento della sentenza impugnata. q 7. Con il secondo motivo si censura l'eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di competenze riservate alla pubblica amministrazione. Il Consiglio di Stato attraverso un'impropria applicazione dell'istituto dell'invalidità derivata ha annullato oltre al decreto 21 maggio 2008, anche i decreti con i quali lo stato di emergenza era stato esteso alle Regioni Piemonte e Veneto e prorogato di due anni, decreti mai impugnati. 7.1. Il motivo, con il quale si denuncia una decisione adottata ultra petíta, è inammissibile. In sede di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato, per motivi attinenti alla giurisdizione, le Sezioni unite della Corte di cassazione possono rilevare l'eventuale superamento dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, ma non possono estendere il sindacato al modo in cui la giurisdizione è stata esercitata, in rapporto a quanto denunciato dalle parti, come nel caso di pretesa ultrapetizione, che concreta un "error in procedendo" (Cass. Sez. un. 9 giugno 2006 n. 13433). 9. Le spese del presente giudizio di legittimità sono compensate tra le parti, tenuto conto della delicatezza della materia e della novità di alcune questioni affrontate. P. q. m. La corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio. Così deciso a Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni unite della Corte suprema di cassazione, il giorno 26 marzo 2013. Il Presidente. ez.„..\_,____ I cons. estens re e Aldo Ceccherini • Roberto Preden iL ap.a.,14 Paola F sca CAMP• Depositata Paola F APR. 2013 CAMPOU O SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione) 13 febbraio 2014 (*) «Inadempimento di uno Stato – Licenziamenti collettivi – Nozione di “lavoratori” – Esclusione dei “dirigenti” – Direttiva 98/59/CE – Articolo 1, paragrafi 1 e 2 – Violazione» Nella causa C-596/12, avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, proposto il 20 dicembre 2012, Commissione europea, rappresentata da J. Enegren e C. Cattabriga, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo, ricorrente, contro Repubblica italiana, rappresentata da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da S. Varone, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo, convenuta, LA CORTE (Seconda Sezione), composta da R. Silva de Lapuerta, presidente di sezione, J.L. da Cruz Vilaça, G. Arestis, J.-C. Bonichot (relatore) e A. Arabadjiev, giudici, avvocato generale: E. Sharpston cancelliere: A. Calot Escobar vista la fase scritta del procedimento, vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 Con il suo ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di constatare che, avendo escluso la categoria dei «dirigenti» dall’ambito di applicazione della procedura di mobilità prevista dal combinato disposto degli articoli 4 e 24 della legge del 23 luglio 1991 n. 223, recante norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro (Supplemento ordinario alla GURI n. 175, del 27 luglio 1991), nella versione applicabile alla presente causa (in prosieguo: la «legge n. 223/1991»), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi imposti dall’articolo 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi (GU L 225, pag. 16). Contesto normativo Diritto dell’Unione 2 I considerando 2 e 3 della direttiva 98/59 enunciano quanto segue: «(2) considerando che occorre rafforzare la tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi, tenendo conto della necessità di uno sviluppo economico-sociale equilibrato nella Comunità; (3) considerando che, nonostante un’evoluzione convergente, sussistono differenze tra le disposizioni in vigore negli Stati membri della Comunità per quanto riguarda le modalità e la procedura dei licenziamenti collettivi e le misure che possono attenuare per i lavoratori le conseguenze di tali licenziamenti». 3 Collocato nella sezione I, rubricata «Definizione e campo di applicazione», l’articolo 1 di tale direttiva prevede quanto segue: «1. Ai fini dell’applicazione della presente direttiva: a) per licenziamento collettivo si intende ogni licenziamento effettuato da un datore di lavoro per uno o più motivi non inerenti alla persona del lavoratore se il numero dei licenziamenti effettuati è, a scelta degli Stati membri: i) per un periodo di 30 giorni: – almeno pari a 10 negli stabilimenti che occupano abitualmente più di 20 e meno di 100 lavoratori; (...) ii) oppure, per un periodo di 90 giorni, almeno pari a 20, indipendentemente dal numero di lavoratori abitualmente occupati negli stabilimenti interessati; b) per rappresentanti dei lavoratori si intendono i rappresentanti dei lavoratori previsti dal diritto o dalla pratica in vigore negli Stati membri. (...) 2. La presente direttiva non si applica: a) ai licenziamenti collettivi effettuati nel quadro di contratti di lavoro a tempo determinato o per un compito determinato, a meno che tali licenziamenti non avvengano prima della scadenza del termine o dell’espletamento del compito previsto nei suddetti contratti; b) ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni o degli enti di diritto pubblico (o, negli Stati membri in cui tale nozione è sconosciuta, degli enti equivalenti); c) agli equipaggi di navi marittime». 4 L’articolo 2, paragrafi 1 e 2, della direttiva 98/59 stabilisce quanto segue: «1. Quando il datore di lavoro prevede di effettuare licenziamenti collettivi, deve procedere in tempo utile a consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori al fine di giungere ad un accordo. 2. Nelle consultazioni devono essere almeno esaminate le possibilità di evitare o ridurre i licenziamenti collettivi, nonché di attenuarne le conseguenze ricorrendo a misure sociali di accompagnamento intese in particolare a facilitare la riqualificazione [o] la riconversione dei lavoratori licenziati. (...)». 5 L’articolo 5 di tale direttiva così dispone: «La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o [di] favorire o consentire l’applicazione di disposizioni contrattuali più favorevoli ai lavoratori». Diritto italiano 6 L’articolo 2095 del codice civile italiano distingue quattro categorie di lavoratori, ossia i «dirigenti», i «quadri», gli «impiegati» e gli «operai». 7 La direttiva 98/59 è stata recepita attraverso la legge n. 223/1991. La procedura di licenziamento collettivo è disciplinata all’articolo 4 di tale legge, rubricato «Procedura per la dichiarazione di mobilità», nei seguenti termini: «1. L’impresa che sia stata ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale, qualora nel corso di attuazione del programma di cui all’articolo 1 ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative, ha facoltà di avviare la procedura di licenziamento collettivo ai sensi del presente articolo. 2. Le imprese che intendano esercitare la facoltà di cui al comma 1 sono tenute a darne comunicazione preventiva per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell’articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché alle rispettive associazioni di categoria. (...) 3. La comunicazione di cui al comma 2 deve contenere indicazione: dei motivi che determinano la situazione di eccedenza; dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, il licenziamento collettivo; del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente, nonché del personale abitualmente impiegato; dei tempi di attuazione del programma di riduzione del personale; delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma medesimo; del metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva. (...) (...) 5. Entro sette giorni dalla data del ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, a richiesta delle rappresentanze sindacali aziendali e delle rispettive associazioni si procede ad un esame congiunto tra le parti, allo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l’eccedenza del personale e le possibilità di utilizzazione diversa di tale personale, o di una sua parte, nell’ambito della stessa impresa, anche mediante contratti di solidarietà e forme flessibili di gestione del tempo di lavoro. Qualora non sia possibile evitare la riduzione di personale, è esaminata la possibilità di ricorrere a misure sociali di accompagnamento intese, in particolare, a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati. I rappresentanti sindacali dei lavoratori possono farsi assistere, ove lo ritengano opportuno, da esperti. (...) 9. Raggiunto l’accordo sindacale (...), l’impresa ha facoltà di licenziare gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti, comunicando per iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso. (...) (...)». 8 Ai sensi dell’articolo 24, comma 1, della legge n. 223/1991, rubricato «Norme in materia di riduzione del personale»: «Le disposizioni di cui all’articolo 4, commi da 2 a 12 e 15 bis, e all’articolo 5, commi da 1 a 5, si applicano alle imprese che occupino più di quindici dipendenti e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno cinque licenziamenti, nell’arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell’ambito del territorio di una stessa provincia. Tali disposizioni si applicano per tutti i licenziamenti che, nello stesso arco di tempo e nello stesso ambito, siano comunque riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione». Procedimento precontenzioso 9 Con lettera del 29 maggio 2008, la Commissione ha invitato la Repubblica italiana a presentare osservazioni in merito alla propria legislazione di recepimento delle procedure di tutela dei lavoratori in caso di licenziamento collettivo previste dalla direttiva 98/59. Secondo la Commissione, l’esclusione dall’ambito di applicazione della procedura di licenziamento collettivo prevista dagli articoli 4 e 24 della legge n. 223/1991 in danno di una categoria di lavoratori, designata dalla legge italiana con il termine «dirigenti», non è conforme all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 98/59. 10 Con nota del 7 agosto 2008, la Repubblica italiana ha presentato osservazioni alla Commissione. Non essendo stata soddisfatta da tale risposta, la Commissione ha avviato la procedura di cui all’articolo 226 CE. Con lettera del 26 giugno 2009, essa ha messo in mora la Repubblica italiana invitandola a presentare osservazioni e, con lettera di messa in mora complementare del 30 settembre 2011, ha esteso la portata degli addebiti all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 98/59. 11 Ancora non convinta dalle risposte della Repubblica italiana, la Commissione ha emesso, il 22 giugno 2012, un parere motivato, invitando la Repubblica italiana a conformarvisi entro un termine di due mesi. 12 Con lettera del 3 agosto 2012, la Repubblica italiana ha chiesto la proroga di tale termine. La Commissione ha respinto la richiesta con la motivazione che essa non soddisfaceva le condizioni a tal fine previste. In seguito, non essendole pervenuta alcuna ulteriore comunicazione, la Commissione ha deciso di presentare l’odierno ricorso. Sul ricorso 13 La Commissione rimprovera alla Repubblica italiana, in sostanza, di essere venuta meno agli obblighi imposti dall’articolo 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 98/59, in quanto gli articoli 4 e 24 della legge n. 223/1991 escludono una categoria di lavoratori dall’ambito di applicazione della procedura di licenziamento collettivo prevista dall’articolo 2 di tale direttiva. 14 La Commissione sostiene che la direttiva 98/59, il cui ambito di applicazione si estende a tutti i lavoratori senza eccezione, non risulta correttamente recepita dalla legislazione nazionale in esame, la quale ammette a beneficiare delle garanzie da essa previste unicamente gli operai, gli impiegati e i quadri, escludendo i dirigenti. Essa ritiene che la normativa e i contratti collettivi italiani riguardanti specificamente i dirigenti non colmino tale lacuna. 15 La Repubblica italiana osserva che le disposizioni della normativa italiana di cui è causa costituiscono disposizioni «più favorevoli» ai sensi dell’articolo 5 della direttiva suddetta. 16 Occorre ricordare che, armonizzando le norme applicabili ai licenziamenti collettivi, il legislatore comunitario ha inteso, nel medesimo tempo, garantire una protezione di livello comparabile dei diritti dei lavoratori nei vari Stati membri e uniformare gli oneri che tali norme di tutela comportano per le imprese della Comunità (v. sentenze dell’8 giugno 1994, Commissione/Regno Unito, C-383/92, Racc. pag. I-2479, punto 16, e del 12 ottobre 2004, Commissione/Portogallo, C-55/02, Racc. pag. I-9387, punto 48). Pertanto, la nozione di «lavoratore» di cui all’articolo 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 98/59 non può essere definita mediante un rinvio alle legislazioni degli Stati membri, bensì ha una portata comunitaria (v., in tal senso, sentenza Commissione/Portogallo, cit., punto 49). 17 A tal riguardo, la suddetta nozione deve essere definita in base a criteri oggettivi che caratterizzino il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi delle persone interessate. In quest’ambito, la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un altro soggetto e sotto la direzione di quest’ultimo, prestazioni in contropartita delle quali percepisce una retribuzione (v., per analogia, sentenza dell’11 novembre 2010, Danosa, C-232/09, Racc. pag. I-11405, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata). 18 Nel caso di specie è indiscusso, da un lato, che la categoria dei «dirigenti» ricomprende persone inserite in un rapporto di lavoro come quello descritto al punto precedente e, dall’altro, che l’articolo 4, paragrafo 9, della legge n. 223/1991 si riferisce soltanto agli operai, agli impiegati e ai quadri, con esclusione dei «dirigenti». Ne consegue che, come sostenuto dalla Commissione nel suo ricorso, la normativa italiana in esame può essere intesa nel senso che non impone al datore di lavoro di seguire la procedura di licenziamento collettivo per quanto concerne taluni lavoratori. 19 Infatti, dalla documentazione versata agli atti della Corte risulta che, in Italia, tale interpretazione è fatta propria sia dall’amministrazione che dalla Corte suprema di cassazione, circostanza questa non contestata dalla Repubblica italiana. 20 Tuttavia, quest’ultima sostiene che la normativa e i contratti collettivi riguardanti specificamente i dirigenti, i quali garantiscono loro una tutela di carattere economico in caso di licenziamento, rappresentano norme più favorevoli ai lavoratori ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 98/59, con la conseguenza che detto Stato membro non sarebbe venuto meno agli obblighi che gli incombono. 21 Per respingere tale argomento è sufficiente ricordare che la direttiva 98/59 persegue lo scopo di ravvicinare le disposizioni nazionali relative alla procedura da seguire in caso di licenziamenti collettivi (sentenza del 10 dicembre 2009, Rodríguez Mayor e a., C-323/08, Racc. pag. I-11621, punto 51). A tal fine, l’articolo 2, paragrafo 1, di detta direttiva stabilisce l’obbligo, per il datore di lavoro, di procedere in tempo utile a consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori qualora preveda di effettuare licenziamenti collettivi. Tali consultazioni devono vertere, in particolare, sulla possibilità di evitare o di ridurre i licenziamenti collettivi previsti (sentenza del 10 settembre 2009, Akavan Erityisalojen Keskusliitto AEK e a., C-44/08, Racc. pag. I-8163, punti 39 e 47). 22 Quindi, la direttiva 98/59 sarebbe parzialmente privata del suo effetto utile in caso di mancata attuazione della procedura di consultazione nei confronti di taluni lavoratori, a prescindere, peraltro, dalle misure sociali di accompagnamento che siano previste in loro favore per attenuare le conseguenze di un licenziamento collettivo. 23 Ciò è tanto più vero ove si consideri che la direttiva 98/59, fatta eccezione per i casi tassativamente previsti al suo articolo 1, paragrafo 2, non ammette, né in modo esplicito né in modo tacito, alcuna possibilità per gli Stati membri di escludere dal suo ambito di applicazione questa o quella categoria di lavoratori. 24 In considerazione di quanto precede, occorre dichiarare che, avendo escluso, mediante l’articolo 4, paragrafo 9, della legge n. 223/1991, la categoria dei «dirigenti» dall’ambito di applicazione della procedura prevista dall’articolo 2 della direttiva 98/59, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 1, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva. Sulle spese 25 Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna della Repubblica italiana, quest’ultima, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese. Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce: 1) Avendo escluso, mediante l’articolo 4, paragrafo 9, della legge del 23 luglio 1991, n. 223, recante norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro, la categoria dei «dirigenti» dall’ambito di applicazione della procedura prevista dall’articolo 2 della direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 1, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva. 2) La Repubblica italiana è condannata alle spese. Firme * Lingua processuale: l’italiano.