1 Gli abiti griffati dati gratuitamente ai VIP da una casa di moda sono

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1 Gli abiti griffati dati gratuitamente ai VIP da una casa di moda sono
Gli abiti griffati dati gratuitamente ai VIP da una casa di moda sono spese di pubblicità?
(Cassazione civile, sezione V, sentenza del 22 aprile 2016, n. 8121)
1 di Guglielmo Fransoni , 28 aprile 2016
Questa sentenza della Cassazione fornisce una risposta a chi si pone la domanda se sia spesa di
pubblicità quella sostenuta per la cessione gratuita di un vestito griffato (ma lo stesso discorso può riguardare
qualsiasi oggetto contraddistinto da un marchio) a una personalità dello spettacolo o dello sport (o, comunque,
con una significativa “visibilità”) da parte di una casa di moda (o, più in generale, da parte del titolare del
“marchio”).
E tale risposta è solo apparentemente negativa come, invece, potrebbe sembrare da una lettura della
sola motivazione in diritto che non tenga conto della specifiche circostanze di fatto comunque valorizzate dai
giudici della Cassazione.
La Suprema Corte, infatti, dopo aver richiamato le espressioni generiche con le quali in giurisprudenza si
è tentato di tracciare il labile confine fra spese di pubblicità e spese di rappresentanza (affermando, cioè che
«costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e
l'immagine dell'impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese
pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se
non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell'attività svolta») prende
implicitamente atto del fatto che tale criterio distintivo, in un caso come quello di specie, non è idoneo a
risolvere la questione poiché l’uso da parte di un VIP di un capo di abbigliamento riconducibile ad un certo
stilista è sicuramente idoneo a pubblicizzare il marchio e, altrettanto spesso, il prodotto.
Il vero criterio discretivo, allora, deve essere individuato nel fatto che la cessione era «pacificamente
effettuata al di fuori di ogni patto contrattuale e di ogni consequenziale obbligo giuridico d'indossarli in
manifestazioni pubbliche […] [non sussistendo alcun] dovere - se non quello morale - d'indossare gli indumenti
griffati in situazioni di pubblica visibilità […] [e] persino l'immediata percezione e quindi il diretto riferimento del
capo alla griffe per il grande pubblico, se il tutto non sia accompagnato da ben diverso e ficcante messaggio
integrativo».
In altri termini, il punto centrale è se, a seguito della cessione gratuita del bene, il personaggio dello
spettacolo, dello sport ecc. ha un dovere (che non sia meramente morale) di utilizzare il medesimo in situazioni
tali da dare adeguata visibilità a questa circostanza e se l’abbinamento fra il “prodotto” e il suo “utilizzatore” è
idoneo a trasmettere al “pubblico” un messaggio di “validità” del prodotto o del marchio (qualcosa del tipo “se
lo utilizza lei o lui allora deve essere un buon marchio o un buon prodotto”).
Devono concorrere, quindi, due elementi.
Il primo giuridico: sul beneficiario della cessione deve sussistere un vincolo a dare visibilità al prodotto.
Il secondo meramente fattuale: l’utilizzo del prodotto in pubblico da parte del VIP deve essere idoneo a
comunicare un messaggio positivo in merito a quel prodotto.
Quanto al primo elemento, un aspetto molto importante nella sentenza è che la Cassazione sembra
escludere solo la rilevanza, ai fini della sussistenza del vincolo, del mero “dovere morale”. In questo modo,
però, appaiono rilevanti sia i veri e propri vincoli contrattuali, sia gli obblighi che possono derivare da usi (aventi
giuridica consistenza) che in alcuni settori dello sport o dello spettacolo potrebbero essersi effettivamente
formati. D’altra parte, (pur trattandosi di questione ben diversa) nel prosieguo della sentenza la Cassazione –
affrontando il tema della deducibilità delle spese per la cessione di vestiti ai dipendenti – si dimostra ben
consapevole dell’esistenza di normative di settore che possono rendere vincolanti determinate scelte.
Il secondo elemento (la “significatività” del messaggio) è, come si diceva, una valutazione di mero fatto,
2 rispetto al quale non si possono dare indicazioni specifiche.
Invero, l’idoneità della comunicazione realizzata tramite l’uso di un prodotto da parte di una personalità
a trasmettere un’immagine positiva dell’impresa ovvero del marchio e/o del prodotto, dipende da molteplici
elementi che possono presentarsi in diversa combinazione fra loro: p.es. un marchio molto forte unito a una
personalità non notissima può fornire un messaggio più incisivo che non il marchio meno distinguibile utilizzato
da una personalità all’apice della notorietà (ma ulteriori elementi sono dati dall’occasione, dalla specifica
menzione che ne faccia il commentatore televisivo ecc.)
Vero è, tuttavia, che si tratta di questioni che, pur essendo indefinibili in astratto, si prestano ad essere
risolte, in concreto, con un minimo di buon senso.